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Capitolo 8

L'Arcivescovo di Torino è fermo a negare le ordinazioni ai chierici dell'Oratorio, se non passino almeno un anno in Seminario - Mons. Gastaldi e Mons. Galletti lo persuadono a desistere - Si tenta di far uscire dalla Pia Società gli ordinandi - Sacre ordinazioni e doglianze dell'Arcivescovo - Non è vero che i chierici di Don Bosco non studiano - A Roma sono ultimate le fortificazioni: si spera nelle preghiere di Don Bosco - Morte del ch. Petiva - Scuola di musica nell'Oratorio - Don Francesia scrive al Cavaliere che Petiva non è il secondo del sogno, e aver detto Don Bosco esservi un giovane che non farà più l'esercizio della buona morte - Don Bosco prepara la pubblicazione dei Classici Italiani Purgati - Scrive al Cavaliere di alcuni debiti soddisfatti: gli dice di lettere ricevute o da scrivere: gli dà notizie della sua nobile famiglia: molte note da pagare.


Capitolo 8

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

 Controversie assai disgustose dimostravano la necessità che l'Istituto di Don Bosco ottenesse un'approvazione definitiva. Il Venerabile desiderava che quest'anno fossero promossi alle sacre ordinazioni tre de' suoi chierici appartenenti alla Diocesi di Torino, Francesco Dalmazzo, Giacomo Costamagna, e Paolo Albera. Quindi nel mese di gennaio aveva mandato una seconda volta Don Cagliero a visitare Mons. Arcivescovo per spiegargli le sue intenzioni e conoscere quelle di Sua Eccellenza. L'Arcivescovo accolse cortesemente l'inviato, ma si mostrò fermo nel volere che i chierici dell'Oratorio, prima di essere ordinati, entrassero in Seminario e vi dimorassero almeno un anno.

Era un non voler riconoscere in nessun modo la Pia Società di S. Francesco di Sales, già collaudata dalla S. Sede e un esigere pei suoi membri ciò che non si esigeva per alcuni chierici diocesani, di famiglia signorile, che avevano licenza di compiere gli studi stando nelle case loro.

Don Cagliero ripeté a Monsignore le ragioni esposte nell'udienza avuta nel dicembre, e l'Arcivescovo gli rispose:

 - Ciò non toglie il mio decreto.

 - Dunque V. E. vuole la distruzione dell'Oratorio?

 - Voglio i miei chierici solamente.

 - Con tutto il rispetto, Eccellenza, torno ad osservare che ciò vale lo stesso che distruggere l'Oratorio, perchè non si danno scuole senza maestri, n'è convitti senza assistenti. Per noi è questione di vita o di morte; ed è questione d'esistenza, è questione di diritto, perchè ognuno ha il diritto alla propria esistenza. E poi il bene che ha fatto alla diocesi l'Oratorio è patente: conti i preti istruiti ed educati nell'Oratorio.

 - Vi ringrazio, rispose Monsignore, de' beneficii che avete fatto alla diocesi, ma ora vi voglio ossequenti al mio decreto.

 - Allora è cosa finita: torno all'Oratorio e dirò a Don Bosco: prendiamo il nostro breviario e portiamo a Monsignore le chiavi dell'Oratorio, lasciandogli l'incarico di condurre avanti l'opera nostra. Sono però 800 giovani, ai quali da qui innanzi dovrà pensare Vostra Eccellenza.

 - Ma io... io... - rispondeva assai turbato l'Arcivescovo - Voi mi mettete in un bivio... eppure... eppure ho stabilito... e non debbo recedere .....

Don Cagliero si persuase che Monsignore fosse sobbillato da altri e indotto ad opporre quella resistenza, quindi continuò con rispetto e coraggio:

 - Deh! Monsignore, pensi alle conseguenze... alle dicerie che si faranno... ai giovani che si dovranno rimandare alle loro case... a quelli che potranno rimanere abbandonati in mezzo ad una strada... alla disapprovazione dei buoni.

E l'Arcivescovo sempre pi√π impensierito:

 - Ma insomma... ma insomma... Sedete, vi prego.

Facendo atto di scusa al replicato invito e chiesta licenza di fare una dichiarazione più esplicita, Don Cagliero proseguì:

 - Io, con altri, mi son fatto prete per consiglio di Don Bosco, ma prima di esserlo non avrei mai creduto che i primi oppositori al bene sarebbero stati quegli stessi dai quali sperava appoggio. Era meglio che io mi fossi dato a maneggiai la zappa! Avrei lavorato, mi sarei ingegnato in un modo o nell'altro, ma senza tante amarezze. Valeva la spesa che Don Bosco si accingesse ad un'opera di tanto vantaggio per la stessa diocesi, per vederla così presto distrutta?

Ciò detto, chiese licenza di ritirarsi. L'udienza era durata circa un'ora. Più di quaranta persone stavano in anticamera e attendevano impazienti di essere introdotte presso l'Arcivescovo. Al veder uscire Don Cagliero fu un mormorio generale:

 - Ma lei è stato in udienza un tempo abbastanza lungo!

E D. Cagliero, volgendo lo sguardo attorno, non seppe contenersi dall'esclamare:

 - Loro vengono a parlare ciascuno per sé; io son venuto a parlare per quaranta!

Non era riuscita la visita di Don Cagliero, ma sposavano la causa di Don Bosco i Vescovi di Saluzzo e di Alba. Mons. Gastaldi aveva scritto più volte all'Arcivescovo per raccomandargli calorosamente di lasciar tranquillo Don Bosco. Era anche venuto in Valdocco per conoscere lo stato della questione, e recatosi in Arcivescovado esortò Monsignore a non opporre più difficoltà alle sacre ordinazioni dei chierici dell'Oratorio. Anche Mons. Galletti s'interpose e cercò di dimostrare che la Pia Società di S. Francesco di Sales era canonicamente costituita e che eran validi i voti che taluni dei chierici di Don Bosco avevano già emessi.

L'Arcivescovo, vinto da queste insistenze, si arrese a conferire le sacre ordinazioni ai chierici Albera, Costamagna, e Dalmazzo nella seconda metà di quaresima.

Ma per questi non eran finite le prove. Ritiratisi in Seminario per attendere ai Santi Spirituali Esercizi, il Teologo Soldati, direttore spirituale, come aveva già fatto con altri chierici dell'Oratorio, usò anche con loro ogni argomento per indurli ad abbandonare la Congregazione. Questi maneggi ottennero però l'effetto contrario. D. Francesco Dalmazzo, che era ancora alquanto indeciso se dare o non dare definitivamente il nome alla Pia Società di Don Bosco, disgustato da quel modo di procedere, esclamò:

 - Appunto perchè non vogliono mi farò Salesiano!

Il 25 marzo i tre chierici suddetti ricevettero dall'Arcivescovo stesso la tonsura e i quattro ordini minori; e da lui furono pur insigniti dell'ordine del suddiaconato il 28 dello stesso mese, sebbene compiuta la sacra funzione non mancasse alla presenza dei chierici del Seminario di proferire parole pungenti contro i nostri, contro la nostra Pia Società e contro Don Bosco, quasi volessero capricciosamente sottrarsi alla sua giurisdizione.

Sta il fatto, e ci duole il doverlo rilevare, che Mons. Riccardi era allora totalmente contrario a che la Pia Società Salesiana avesse ad ottenere definitiva sanzione dalla S. Sede; e che dopo tante parole in proposito e i documenti esistenti in Curia egli giunse ad asserire di non saper nulla dell'esistenza della Pia Società di S. Francesco di Sales.

Contuttociò il 6 giugno, sabato delle tempora della SS. Trinità, Sua Eccellenza promoveva al diaconato i tre nuovi suddiaconi: e in seguito permetteva che Don Francesco Dalmazzo fosse ordinato sacerdote da Mons. Balma il 19 luglio, Don Paolo Albera a Casale da Mons. Ferré il 2 agosto; ed egli stesso promoveva al presbiterato D. Giacomo Costamagna il 19 settembre, come vedremo.

In quel tempo un'altra prova affliggeva i chierici dell'Oratorio, la voce che essi, preoccupati nella scuola e nell'assistenza, non attendevano, com'era doveroso, allo studio della Teologia. La voce, sparsa da chi non vedeva di buon occhio Don Bosco, era giunta anche all'Arcivescovo, che ne mosse lagnanza al Venerabile.

Ed ecco il chierico Stefano Bourlot, che era il tipo della franchezza e della lealtà, presentarsi in curia per chiedere di essere ammesso co' suoi compagni all'esame semestrale di Teologia. Il Teol. Gaude con altri gli disse:

 - Ma voialtri di Don Bosco non studiate!

 - E perché?

 - Perchè siete occupati in mille altre cose e non frequentate le scuole del seminario.

 - Mi scusi: si può attendere ad una cosa e alle altre.

 - Non è possibile.

 - Gli esami però che abbiamo preso, finora furono coronati da buoni voti, mai inferiori a quelli dei Seminaristi.

 - Sì, sì; ma è una preparazione affrettata, superficiale.

 - Il fatto sta che noi rispondiamo come i chierici del Seminario.

 - E che cosa avete studiato?

 - Gli stessi trattati dettati dai Professori del Seminario, eccettuato il Banaudi sull'Eucaristia.

 - E perchè non seguire anche questo?

 - Perchè altri autori parvero preferibili.

Il Teologo, esposta la domanda all'Arcivescovo, ebbe il suo consenso, e il giorno 22 febbraio 13 chierici dell'Oratorio si presentarono agli esami in Seminario. Al ritorno trovarono Don Bosco che li aspettava in porteria col cappello in testa: e appena li vide, li interrogò:

 - Come sono andati gli esami?

 - Benissimo; abbiamo quasi tutti optime, Giuseppe Cagliero peroptime, rispose Bourlot; e io con D. Domenico Vota e Pietro Norza egregie con lode.

 - Ne sei sicuro?

- Sicurissimo: ho visto il foglio dei voti: siamo i primi sopra tutti i chierici del Seminario.

 - Deo gratias! - rispose il Venerabile, vado a portare all'Arcivescovo la risposta alla sua lettera.

E Don Bosco andò. Lo stesso Monsignore che aveva presieduto agli esami e non conosceva personalmente i chierici di Don Bosco, ne aveva fatto gli elogi. Egli credeva che uno di quelli che avevano ottenuto la lode fosse Bourlot del Seminario, cugino di quello dell'Oratorio: e dovette ricredersi innanzi alla realtà della cosa.

Mentre incominciavano ad appianarsi queste difficoltà, da Roma P. Oreglia scriveva a Don Francesia: “ Si avvicinano i tempi cattivi. Le fortificazioni a Roma sono ormai finite. Resta a vederle alla prova. Colle orazioni di Don Bosco speriamo che faranno buona prova. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam. Tutto tranquillo finora. Anche il Carnevale. Forestieri assai: allegria poca ”.

Ma se era poca allegria a Roma, questa soprabbondava nell'Oratorio. Teatrino, giuochi, rottura delle tradizionali pignatte, lotteria, musica, avevano tutti occupati i giovani negli ultimi tre giorni di carnevale. Quella gioia era un effetto della pace del cuore, rassicurata coll'esercizio della buona morte, col quale si erano suffragate le anime sante del purgatorio, in specie quella del ch. Petiva, morto in que' giorni nell'Ospedale di S. Luigi in Torino.

Secondo Petiva, educato nell'Oratorio, essendo molto valente nella musica, era stato capo scuola di questa nobile arte, per più anni dal 1858. A tale scuola potrebbe competere il nome di accademia musicale, perchè per iniziativa di Don Bosco essa diede e dà sempre distinti organisti, compositori di musica e cantori per le sacre funzioni, per ogni parte della terra. Fra i primi suoi allievi e maestri furono Don Cagliero Giovanni, D. Giuseppe Lazzero, D. Luigi Chiapale, Giuseppe Buzzetti, Giacomo Rossi, Giovanni Turchi, Callisto Cerruti, e Giuseppe Dogliani; e Bersano, Tomatis, Reano, Fumero, Brunetti, Dassano e cento altri che alla lor volta furono maestri a migliaia di discepoli.

Ma il ch. Petiva dopo varii anni, per certi suoi disegni, congedatosi da Don Bosco, veniva per qualche tempo ospitato nel piccolo Seminario di Mirabello, ove per più mesi rendeva qualche servizio; finchè allontanatosi anche di là, dopo varie vicende, infermatosi per mal di petto, si era ricoverato nell'ospedale. Don Rua così scrive nella cronaca:

“ Aggravandosi Petiva nella sua lunga infermità, desiderava di essere visitato da Don Bosco. Il buon padre, malgrado le gravi sue occupazioni, andò a trovarlo due volte, ricevette la sua confessione e gli somministrò tutti i conforti che gli abbisognavano. Singolare però fu che Petiva fino allora aveva sempre nutrito ferma fiducia di potersi ristabilire e nella primavera uscire dall'ospedale. Ma dal momento che ricevette la prima visita, cambiò intieramente modo di pensare; sicchè in appresso più non parlava che della prossima sua morte ed il suo pensiero era sempre rivolto a ben prepararvisi. Don Bosco gli aveva parlato in maniera che senza spaventarlo, senza annunziargli apertamente la morte, gli aveva fatto capire che i motivi su cui appoggiava la sua speranza erano illusorii; ciò aveva fatto con tanta destrezza ed unzione che l'infermo non mostrossi mai atterrito dell'idea della morte: anzi dopo la seconda visita di Don Bosco, mostrossi contento di presto morire, rassicurato da Don Bosco che dopo la sua morte sarebbe andato tosto in paradiso. Né furono fallaci le parole di Don Bosco, ché, pochi giorni dopo, colle più belle disposizioni spirò la sua anima nel bacio del Signore.”

Saputasi nell'Oratorio la sua morte, siccome alcuni lo credevano ancora appartenente alla Pia Società supposero che poteva essere dei tre morti visti da Don Bosco nel sogno. Ma Don Francesia scriveva a Roma al Cav. Oreglia:

“ Il povero Petiva è morto con una tale rassegnazione da farsi invidiare da tutti. Don Bosco però assicura che non è il secondo che doveva fare il fagotto per l'eternità. Disse però di un altro che ieri fece l'esercizio di buona morte che deve essere l'ultimo per lui. Si allieti dunque, perchè lei non lo sarà per certo (il secondo)... Intanto lo avviso che la stampa della grammatica greca del Teol. Pechenino è terminata... Si dà nuovo impulso alla Biblioteca (della gioventù italiana)... Si distese già il programma …… ”

Don Bosco pensava già a dar vita all'associazione mensile dei Classici Italiani purgati per uso delle scuole.

Altre notizie mandava Don Bosco al Cavaliere, al quale diceva chiaramente che le strettezze dell'Oratorio rendevano quel tempo opportuno per chi voleva grazie dalla Madonna.

 

Carissimo sig. Cavaliere,

 

Tempo bello, freddo scomparso, siamo in primavera, ed ella sempre a Roma. Non mi lamento però perchè ci manda Cantù. Ho ricevuto i franchi 1300 e li ho ricevuti in momento che Don Rua era in faccende per danari per Avvezzana. Mille franchi furono dati a lui, il resto ad uno scalpellino. Deo gratias. Bellissimo l'episodio di quella visita singolare! Se mi scrivono me la caverò come potrò. Scriverò una lettera alla Contessa Folchi. Notate le messe della Contessa Calderari cui ringrazii e dica che noi qui preghiamo ogni giorno per lei. Ho ricevuto lettera da Mons. Fratejacci, cui risponderò presto: andiamo d'accordo. Manderò qualche anonima a P. Oreglia, cui faccia i più cordiali saluti.

Si dice da molti che starà ella sempre a Roma, io dico sempre di no; ma ad ogni momento si domanda di lei. Ho veduto sua madre, che mi raccomandò tanto suo fratello, per cui facciamo speciali preghiere. Sono lieto di sapere le buone notizie che mi fa sperare.

Io sono ingolfato nelle spese, note molte da saldare, tutti i lavori da ripigliare. Faccia quel che può, ma preghi con fede: credo tempo opportuno per chi vuole grazie da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno una più commovente dell'altra e con questo mezzo andiamo avanti.

La contessa Digny, contessa Uguccioni, Marchesa Nerli dimandano di lei e mi dicono se venendo da Roma passerà a Firenze.

Tutta la casa è in salute e le augurano ogni bene. Non dimentichi la meditazione al mattino. In nome del Signore mi dico,

 

Torino, 3 marzo 1868.

Aff.mo amico

Sac. GIOVANNI BOSCO.

 

 

 

Omai si diceva piano e forte che il Cav. Oreglia non sarebbe più tornato all'Oratorio. Don Bosco, pieno di carità con tutti, non risparmiò le sollecitudini più delicate perchè quel suo caro figlio spirituale perseverasse nella vocazione abbracciata. Lo vedranno i lettori dalle numerose sue lettere.

 

 

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