Solenne ricognizione del corpo.
del 12 dicembre 2006
Ormai il corpo di Don Bosco era tutto una sacra reliquia; ma la Chiesa, che venera le reliquie dei Santi, non permette che si presti ad esse qualsiasi atto di culto prima di aver bene accertato, se un dato corpo e ogni singola sua parte appartennero veramente alla persona, a cui si attribuiscono. Per questo ne ordina la solenne ricognizione canonica. Della salma di Don Bosco fu cominciata questa ricognizione il 16 maggio 1929 nell'istituto salesiano di Valsalice, dove la tomba del Venerabile era da oltre quarantun anni custodita.
Tutto fu predisposto a norma dei sacri canoni. La Sacra Congregazione dei Riti, accogliendo la relativa istanza di Don Tomasetti, Postulatore della Causa, aveva con un decreto del 27 aprile accordato al Cardinale Gamba, Arcivescovo di Torino, le facoltà necessarie, perchè procedesse agli atti della ricognizione o personalmente o delegando un sacerdote costituito in ecclesiastica dignità. A presentargli il testo del decreto venne da Roma il Postulatore. Venne con lui anche Monsignor Salotti, Promotore della Fede, al quale spettava impartire le opportune istruzioni e invigilare, perchè ogni cosa si facesse nelle forme prescritte. Sua Eminenza volle eseguire in persona il mandato con l'assistenza dei due Canonici Desecondi e Maritano, rispettivamente sottopromotore della Fede e cancelliere nel processo apostolico.
Tutti i personaggi nominati, più tre medici e due testimoni, si radunarono la sera del 16 maggio nell'aula magna dell'istituto. Qui il Promotore della Fede invitò primieramente il Cardinale e i due Canonici a giurare di adempiere con coscienza l'incarico ricevuto. Analogo giuramento prestarono poi al Cardinale i dottori Peynetti, Rocca e Filippello, chiamati come periti anatomici. Finito questo, il Promotore della Fede fece avanzare i sacerdoti salesiani Don Manione e Don Marocco, affinchè, previo giuramento, attestassero, se, quando e come la salma di Don Bosco fosse stata rimossa dal luogo, dov'era stata deposta nel 1888 e se dopo eventuali rimozioni fosse stata restituita al pristino luogo. La loro testimonianza, fondata su diretta e personale cognizione di causa, mirava a escludere qualsiasi dubbio sull'identità della salma stessa. Inoltre come testes instrumentarii, destinati a deporre sulla regolarità degli atti, comparvero l'Economo generale dei Salesiani Don Giraudi e il sacerdote salesiano Don De Agostini, che giurarono anch'essi di eseguire fedelmente l'ufficio loro. Infine col consenso del Promotore della Fede vennero designate due Figlie di Maria Ausiliatrice quali aiutanti nell'estrazione e ricomposizione delle venerate spoglie; a loro pure fu deferito il giuramento di voler compiere esattamente il proprio dovere. Ultimate queste pratiche preliminari e stesone il verbale, Sua Eminenza col Promotore della Fede e con i suddetti uscì dall'aula e si avviò alla cripta sepolcrale.
Qui li attendevano autorità e invitati. Dominava su tutti l'alta e distinta figura del Conte Thaon di Revel, Podestà di Torino. A lui facevano corona il Conte Rebaudengo, Presidente generale dei Cooperatori Salesiani, i rappresentanti del Clero, del Segretario Federale, della Magistratura e degli uffici civili con un bel numero di medici. Le Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice formavano un gruppo a parte. Ai lati della tomba facevano ala i primari Superiori Salesiani con a capo il Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi. Nel cortile stavano schierati molti Salesiani, i liceisti dell'istituto e alunni di altri collegi. Nonostante la nessuna pubblicità data alla cosa, la notizia era trapelata e un discreto pubblico aveva trovato modo d'introdurvisi.
Quando giunse il Cardinale col suo seguito, Monsignor Salotti aveva già ordinato di rimuovere sotto i suoi occhi la lapide monumentale che adornava il loculo, sicchè fu lavoro di pochi istanti il rompere la muratura retrostante e mettere allo scoperto la bara ivi racchiusa. Questa, fra il più religioso silenzio e la generale commozione, venne con leggera e rapida manovra cavata fuori e deposta sopra un tavolato, dove tutti la potevano vedere. Seguendo l'esempio del Rettor Maggiore, anche il Cardinale, il Podestà e i più ragguardevoli fra gli astanti si accostarono a imprimervi un bacio di riverente e affettuosa ammirazione.
Tosto sei sacerdoti salesiani vestiti di cotta presero in ispalla il dolce carico e preceduti da lunga teoria di chierici che, recando in mano torce accese, recitavano salmi dell'Ufficio dei Santi Confessori, e seguiti dal corteo delle personalità, fra il divoto atteggiamento dei presenti assiepati lungo il passaggio, trasportarono la cassa in una sala adorna di drappi, di fiori e di verdi fronde. Dalla parete di fondo sorrideva l'immagine di Don Bosco nella riproduzione d'un quadro del Pollini. Nel centro un ampio tavolo ricevette la bara. Come le autorità e le persone invitate ebbero finito di entrare, furono sbarrate le porte e si diede principio alle operazioni.
Fuori intanto avvenivano scene commoventi e gentili episodi. Come nelle Catacombe romane i pellegrini sostano accanto ai loculi aperti dei primi cristiani senza turbarsi alla vista di funerei avanzi, ma provando invece fremiti di tenerezza, così al vuoto sepolcro, che per otto lustri aveva tenuto in grembo le morte spoglie di Don Bosco, la folla guardava visibilmente assorta in soavi pensieri. Vi furono madri che adagiavano là entro i loro figliuoletti infermi, sperando che Don Bosco volesse ottenere loro la guarigione. Un piccolo
cieco gridava: - Don Bosco, fammi vedere! - Mattoni e calcinacci, ammucchiatisi a piè del muro nella demolizione, andavano piamente a ruba. Un fanciullo, aggrappatosi all'orlo dell'apertura e cacciatosi dentro, vi si distese quant'era lungo dicendo: - Io faccio Don Bosco. - Il gesto fu subito imitato; altri ragazzi dopo di lui vollero a gara, com'essi dicevano, fare Don Bosco. Nè tardarono a giungere scolaresche torinesi per pregare presso la tomba santificata dal grande amico della gioventù.
Numerosi erano coloro che invidiavano la sorte dei privilegiati ammessi nella sala di ricognizione e facevano ressa sotto le finestre nella speranza di poter venerare presto e da vicino i resti mortali del Santo; ma s'illudevano, ignorando quanto le cose sarebbero andate per le lunghe. Nella sala Monsignor Salotti, parlatore facondo e temperamento emotivo, non che ammiratore convinto di Don Bosco, volle, prima che si scoperchiasse la cassa, prendere la parola e pronunciò un breve e affettuosissimo discorso, esordendo così: “ Ieri sera ebbi l'onore di essere ricevuto dal Santo Padre. - Vada volentieri a Torino, mi disse il Papa, ed assicuri il Cardinale Gamba del nostro compiacimento per la solennità con cui egli ha voluto celebrare nella città di Don Bosco il nostro giubileo sacerdotale; dica alla famiglia salesiana che noi partecipiamo al suo gaudio, che la sua gioia è la gioia nostra ”. Fatta questa doppia comunicazione, si disse commosso nell'appressarsi all'apertura della bara che racchiudeva i resti mortali di colui che tanta orma di sè aveva lasciato nella società moderna, affascinando la sua generazione e quelle che sarebbero venute dopo e perpetuando il suo nome nei secoli. “ Bisogna, soggiunse, riportarsi ai tempi in cui egli iniziò la sua opera di bene e comprendere la mentalità de' suoi contemporanei per inquadrarne nella sua realtà tutta l'importanza e tutta la difficoltà. Vi furono perfino prelati che si spaventarono di quell'opera che stava iniziando il povero prete venuto dall'Astigiano, e uomini eccelsi che, come il Marchese di Cavour, padre del propugnatore dell'unità italiana, non nascosero le loro vive preoccupazioni: quei monelli adunati e accarezzati da Don Bosco, furono definiti avanzi di galera, destinati a creare in un temuto prossimo domani un movimento, che avrebbe avuto del sovversivo ed avrebbe dato del filo da torcere. Invece Don Bosco doveva fare, come fece, di quei monelli tanti buoni Italiani e buoni operai ed a mezzo loro creare nuovi solchi nella vita del vostro Piemonte, di tutta Italia, formando uomini che poi sono saliti alle più alte gerarchie della Chiesa, dell'esercito, della diplomazia, della politica, della magistratura. Anche voi, Eminenza, sareste stato preda di lui, se non aveste avuto da pensare a quell'angiolo di bontà che vi era al fianco: vostra madre! ”. L'oratore continuò affermando che la cerimonia della ricognizione della salma era un rito che andava compiuto con fede. “Non sappiamo ancora, osservò, in quali condizioni si trovi la salma. Ossa o semplici ceneri, esse ci rappresenteranno l'uomo di Dio che visse il Vangelo e seppe volgere al bene ogni umana contingenza ”. Infine, quale Promotore Generale della Fede, diffidò tutti i presenti, che nulla poteva essere toccato, asportato od aggiunto, sotto pena di scomunica.
Parlato che ebbe elaboratis verbis et magna cum cordis emotiome, come dicono i verbali, ad un suo cenno il Canonico Cancelliere lesse gli atti della ricognizione e tumulazione eseguite rispettivamente il 13 e il 15 ottobre 1917. Quindi, svitata la prima casa e sollevatone il coperchio, apparve la seconda chiusa e fasciata da nastri annodati e muniti di sigilli. Sua Eminenza, verificato che erano i sigilli del Cardinale Richelmy, suo predecessore, apposti nel 1917, li infranse. Allora tutti i presenti si avanzarono per vedere più da presso il corpo che stava per offrirsi ai loro sguardi. Scoperchiata la seconda cassa, ecco quello che rimaneva del grande Don Bosco! L'impressione generale fu penosa: nulla di eccezionale presentava la salma. Il tempo e gli agenti chimici l'avevano disfatta. Muti e commossi tutti contemplavano i resti del glorioso Servo di Dio, cercando di ricostruirne con la memoria le amabili e amate sembianze. Poi Arcivescovo e autorità, accompagnati da Don Rinaldi e dai Superiori, lasciarono la sala, cedendo il posto ai medici.
Ma l'opera dei medici fu ritardata dalla folla, che tosto irruppe dentro. I chierici salesiani arginarono rapidamente la piena, regolando l'ingresso. Centinaia di persone, signori e popolani, giovani e vecchi, sani e infermi sfilarono esclamando, pregando, sfiorando con la - mano la bara. Là presso le due miracolate lacrimanti sembravano due esseri misteriosi venuti da un mondo lontano per rendere testimonianza alla santità, che un tempo aveva animato quelle membra consunte.
Cessato l'affluire della gente, le casse furono richiuse e trasportate in altra sala presso la cappella dell'istituto, dove finalmente i medici avrebbero potuto mettere mano all'opera loro. Ma, data l'ora tarda, si decise di rimandare all'indomani l'inizio delle operazioni; quindi, constatato che per nessun'apertura sarebbe stato possibile introdurvisi dall'esterno, tutti uscirono. Allora il Cancelliere dinanzi al sottopromotore della Fede e ai testimoni strumentali appose sulla porta i sigilli arcivescovili. D'ora in avanti passeremo sopra a simili formalità, prescritte dai sacri canoni affinchè risulti in ogni caso l'assenza di violazioni.
Il dì appresso, dalle prime ore del mattino, la strada che dal Po a va raggiungere il torrente Salice e fiancheggiandolo conduce al collegio, si andava sempre più animando: gruppi di popolani, massime operai, salivano portati dalla brama di vedere Don Bosco. Era cosa che commoveva l'osservare tanti lavoratori che per avere il tempo di procurarsi quella consolazione prevenivano il giorno e consumavano lassù il pane della loro colazione. L'affluenza crebbe nelle ore seguenti: laici ed ecclesiastici, uomini e donne si riversavano nel vasto cortile dell'istituto, aspettando pazientemente il loro turno. Poichè, non volendosi scontentare tanta gente, i Superiori avevano ottenuto che fosse anticipata la rimozione dei sigilli e permessa l'entrata. Ma alle dieci la sala dovette essere sgombrata e chiusa a tutti, fuorchè ai medici e alla autorità ecclesiastiche per principiare le operazioni della ricognizione.
Il pellegrinaggio continuò tutta la giornata e ricominciò, anzi aumentò il giorno seguente. Di bel nuovo i fedeli poterono per poche ore accostarsi alla salma; i più però dovettero limitarsi a visitare il luogo della sepoltura e la soprastante cappella della Pietà. Ma il 18 un comunicato diffuso per mezzo della stampa rendeva noto al pubblico: “La direzione generale dei Salesiani, commossa dal plebiscito di affetto che la folla dei divoti ha dimostrato verso la salma di Don Bosco, ringrazia con profonda riconoscenza, ma è anche nell'assoluta e dolorosa necessità di avvertire che per ora le visite sono sospese. Farà noto in seguito quando potrà essere soddisfatto il pio desiderio ”. Questo tuttavia non arrestò l'accorrere di torinesi e di forestieri, che si ammassavano nel cortile, si spargevano sotto i portici e pregavano dinanzi alla vuota tomba. Presero poi a giungere anche le scolaresche dei vari compartimenti scolastici della città. Giungevano pure fiori in grande copia sì da convertire il luogo in giardino.
Tre dovevano essere le operazioni dei medici: liberare la salma da tutti gl'indumenti che l'avvolgevano, procedere all'esame constatativo e provvedere alla conservazione dello scheletro. La salma nel suo complesso diede subito e a primo aspetto l'impressione precisa che, salvo le consunzioni naturali causate dal tempo, non vi era stata manomissione o effrazione di sorta, e questo importava anzitutto accertare. Diamo una sommaria descrizione del lavoro compiuto
I paramenti sacerdotali rivestivano il corpo intero. I piedi erano contenuti nelle scarpe, logoratesi ed aperte in punta per macerazione della cucitura. Accanto al capo giaceva la berretta. Sul petto poggiava un crocifisso di legno con Cristo di metallo ossidato e un abitino di Maria Ausiliatrice. Un altro abitino eravi da lato con la Madonna del Carmine. I medici tolsero primieramente i residui circostanti e i detriti vari, che furono con diligenza raccolti in apposite urne di vetro a coperchio. Poscia passarono a staccare adagio adagio il camice, il colletto, l'abito talare e il rimanente, riponendo ogni cosa in maggiori recipienti di vetro. In altre urne più piccole racchiusero in seguito le parti molli ex carnibus ed ex ossibus. Tutto questo sarebbe poi stato buon materiale per formare reliquie, al quale scopo l'Economo generale teneva in pronto migliaia di piccole teche. I medici intanto avevano messo così in luce, isolato, il corpo, che, rialzato e liberato dalle parti di abiti rimasti aderenti al dorso, venne collocato sur un tavolo chirurgico, apprestato di fianco alla cassa.
La venerata spoglia si presentava in queste condizioni. Scheletro anatomicamente completo; ossa asciutte, compatte e situate nella loro naturale positura; giunture trattenute dai loro legamenti e dalle parti molli conservate. I tegumenti cutanei del capo, essiccati per processo di mummificazione, rivestivano completamente le ossa del cranio e della faccia, la cui forma era ben conservata per la mantenuta unione della mandibola; i capelli c'erano quasi tutti. Il torace aveva molte parti mummificate, sicchè le coste e la colonna vertebrale costituivano un insieme compatto, mentre nelle cavità si rinvennero resti essiccati degli organi interni. In continuazione delle parti molli del dorso e dei lombi erano pure in buono stato quelle che cingevano e mantenevano unite le ossa del bacino, a cui si vedevano annessi i due femori abbondantemente avvolti da muscoli mummificati. Anche lo scheletro delle gambe e dei piedi era ben conservato ne' suoi rapporti col resto del corpo, nonostante la mancanza delle parti molli. I sanitari chiusero una delle loro relazioni con una dichiarazione e un rilievo, scrivendo: “I sottoscritti medici possono dichiarare che la salma del Venerabile Don Bosco è nel suo assieme ben conservata e a soddisfazione di tutti i devoti e ammiratori del grande Apostolo della gioventù e del popolo aggiungono che tra i diversi organi è particolarmente ben conservata la lingua ”.
La lingua di Don Bosco! Era naturale che nella sua conservazione sembrasse potersi scorgere alcunchè di simbolico, destinato a glorificare quel dono della parola, che fu al Servo di Dio per tutta la vita strumento efficacissimo a fare del bene dal pulpito, in confessionale, tra le pareti della sua cameretta, nei viaggi e durante i primi decenni del suo giovanile apostolato anche attraverso il cortile dell'Oratorio di Valdocco. La lingua di Don Bosco non aveva vibrato se non per lodare Dio e dispensare al prossimo insegnamenti, consigli, conforti. Le parole formate da quella lingua furono lume alle menti, pace ai cuori, mistica elevazione agli spiriti, invito a conversione, stimoli a perseveranza, lenimento ai mali della vita, salvezza eterna a innumerevoli anime.
Il Postulatore della Causa Don Tomasetti, a nome dei Superiori Salesiani, espresse il desiderio che si studiasse la maniera di conservare il meglio che fosse possibile quei resti preziosi. I medici, per assecondare tale desiderio, fecero venire, col consenso del Promotore della Fede, il Dottor Giorgio Canuto, professore all'Università di Torino, il quale, prestato il solito giuramento, si accinse all'operazione. Da essi coadiuvato, avvolse la salma di bendaggio impregnato a saturazione di preparazione colloidale aromatica, processo conservativo che richiese tempo. Lo eseguirono in modo che tronco, bacino e cosce si mantenessero in unico pezzo; gli altri pezzi staccati furono protetti con una soluzione e vernice alcoolica di lacca o gomma di benzoino. É questo un preparato che vale ad assicurare perennemente la conservazione.
Certe parti vennero estratte per farne reliquie, le une da portare a Roma secondo la consuetudine, e altre da consegnare ai Superiori Salesiani. Le prime erano destinate a suntuosi reliquiari, che si dovevano dopo la beatificazione offrire al Santo Padre, ai Cardinali e alle Sacre Congregazioni; le seconde, affidate a Don Rinaldi, e chiuse anch'esse in reliquiari, sarebbero poi state distribuite ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ad Arcivescovi e Vescovi, a chiese pubbliche e private ed a benefattori insigni delle opere di Don Bosco. Fra le reliquie consegnate da Mons. Salotti a Don Rinaldi spiccavano la lingua e il polmone destro, unico non consunto. Il medesimo Rettor Maggiore ricevette pure 128 grammi di sostanza cerebrale essiccata, che per il gran foro occipitale i medici avevano estratto dal capo. Dopo la beatificazione Don Rinaldi ripartì una porzione di quella materia in tante fialette vitree, che, collocate in ricche teche, furono distribuite agli Ispettori Salesiani e alle Ispettrici delle Suore.
I ripetuti avvisi dei giornali sulla sospensione delle visite alla salma ottennero l'effetto contrario a quello che si voleva. O che non vi si prestasse fede o che si sperasse di vincere la consegna, il fatto è che la gente affluiva da mane a sera e sempre più numerosa. Qualche soddisfazione bisognava pur dare a tante brave persone, che non sapevano rassegnarsi ad andar via così deluse; perciò si ricorse allo spediente di far toccare al capo di Don Bosco oggetti religiosi ed anche indumenti d'infermi, che attendevano con fede dal nuovo Beato la guarigione dei loro mali.
Condotti a termine i lavori descritti, i medici prepararono la salma per la vestizione. Gli abiti dovevano posare direttamente sopra lo scheletro, il quale perciò fu deposto e fissato con speciali apparecchi ortopedici sopra un lettino di velluto cremisi con frange d'oro, dono della famiglia Boggio. Ma poichè l'opera della vestizione sarebbe durata non poco e si era giunti al 23 maggio, parve opportuno rimandarla di qualche giorno, tanto da lasciare passare la festa di Maria Ausiliatrice.
La circostanza della festa, che condusse quell'anno a Valdocco una moltitudine maggiore del solito, accrebbe pure in misura straordinaria l'affluenza a Valsalice. Nella vigilia sei sacerdoti e due suore dalle otto alle tredici non fecero altro che prendere dalle mani dei visitatori corone, medaglie, crocifissi e indumenti, portarli a contatto col corpo del Beato e restituirli. Poco dopo le tredici poterono visitare la salma dirigenti e allievi dell'Istituto. Con quale trasporto ne baciavano essi la mano e il capo! Aleggiava nella sala qualche cosa di sacro, che infondeva raccoglimento e induceva a meditare. Fiori in grande quantità adornavano e profumavano l'ambiente; mazzi numerosi e svariati circondavano i sacri resti.
L'accennata visita diede motivo allo spargersi della voce che la salma di Don Bosco o, come più semplicemente si diceva, che Don Bosco fosse visibile. La notizia corse per le colline all'intorno, e i contadini scesero a frotte dai loro cascinali; corse anche in città, ed ecco un incalzarsi di automobili, che, rompendo là folla, penetravano nel cortile o facevano coda lungo la strada. Verso sera la ressa era tanta, che dovettero intervenire dalla locale stazione guardie civiche per disciplinare il movimento. I Superiori Salesiani, impressionati alla vista di sì schietto e fervido entusiasmo, decisero di appagare i comuni desideri, e la sfilata cominciò. In quella fitta mescolanza di persone d'ogni ceto avvenivano manifestazioni di pietà che strappavano le lacrime.
Nel giorno solenne della festa di Maria Ausiliatrice dalle primissime ore del mattino fino a tarda sera non cessò mai il concorso dei visitatori; un calcolo approssimativo ne fece ascendere il numero a ventimila. L'Economo Generale Don Giraudi, che sovrintendeva a tutte le attività valsalicesi di quei giorni, vedendo tanta folla desiderosa di venerare le reliquie del Beato, non ebbe cuore di mandarla via insoddisfatta; perciò, organizzato un servizio d'ordine e accordatosi con i responsabili della tutela canonica, riaperse per tempo
i battenti della sala, che pareva trasformata in una serra di olezzanti fiori.
Quando Dio volle, si mise mano alla vestizione. Furono indossati alla salma tutti i paramenti del sacerdote all'altare. Giaceva quella sopra un ricco e lungo cuscino di velluto, adorno di ricami eseguiti dalle Suore. Le loro orfane di guerra avevano lavorato le calze in seta nera; poichè da tutti gl'indumenti i medici vollero assolutamente esclusa la lana per preservarli dall'azione del tarlo. Dalle scuole professionali dell'Oratorio di Valdocco vennero le scarpe e la veste talare. Un ricco amitto a ricami simbolici con un bellissimo centro crociato era dono inviato dalle Madri Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il camice in pizzo vero di Bruxelles ricordava la venerazione profonda nutrita costantemente per Don Bosco dalla Contessina Mazé de la Roche, nipote dell'Arcivescovo Gastaldi. D'inestimabile valore era la pianeta con rispondenti stola e manipolo. Ne aveva fatto dono il Sommo Pontefice Benedetto XV al Rettor Maggiore Don Paolo Albera nel 1918, celebrandosi il giubileo d'oro sacerdotale del secondo successore di Don Bosco. Il velo del calice, annesso alla medesima pianeta, era servito a confezionare il secondo cuscino che doveva sostenere il capo.
La salma così rivestita venne adagiata entro un'urna tutta di tersissimo cristallo, che più tardi doveva essere inclusa in un'altra di legno dorato, artistico lavoro della scuola professionale salesiana di S. Benigno Canavese. Al capo era stata applicata la maschera modellata dallo scultore Cellini, autore del monumento di Don Bosco che sorge in piazza Maria Ausiliatrice, e dipinta dal pittore Carlo Cussetti.
Ai riguardanti sembrò di rivedere la soavissima fisionomia del caro Padre, placidamente addormentato, con le mani giunte dinanzi al petto, esse pure modellate dal Cellini.
Nei giorni seguenti continuò più animato di prima l'avviarsi della gente a Valsalice. Quella strada, a memoria d'uomo, non aveva mai visto per tanto tempo un sì incessante
e incalzante movimento di popolo. Intorno all'urna ferveva la preghiera. Sulle lastre del cristallo che rinserravano il corpo, molti deponevano per brevi istanti rosari e immagini. Non pochi infermi si trascinavano lassù e ottenevano di poter indugiare più degli altri presso l'urna, invocando e sperando. A schiere a schiere sfilavano gli allievi d'istituti educativi e caritativi. Un giorno arrivò uno stuolo di Camicie Nere. Quei baldi giovinotti, deposto sul coperchio un magnifico mazzo di fiori, passavano baciando il cristallo e portando con sè, come caro ricordo, fiori appassiti che trovavano qua e là ammassati negli angoli. Poi venne la volta delle Piccole Italiane e dei Balilla, che vi si succedettero a molte riprese. Veramente tutta quella venerazione pubblica era un po' prematura; ma nessuno l'aveva prevista, nè si poteva ormai arrestare la corrente, e il Promotore della Fede chiuse entrambi gli occhi.
Intanto, avvicinandosi la data della beatificazione, comitive di pellegrini stranieri diretti a Roma sostavano fra un treno e l'altro a Torino; potendo, si recavano a Valdocco, dove per i cortili si udivano saluti e liete voci in vari idiomi, e molti si spingevano anche fino a Valsalice. Per Roma partivano ogni giorno Salesiani provenienti da Stati dei due mondi e da paesi di Missione. Erano in gran parte Ispettori e delegati d'ogni ispettoria, venuti in Italia per partecipare al Capitolo Generale della Società Salesiana, che doveva tenersi a Valsalice nel mese di luglio. Durante il viaggio all'eterna città essi incontravano stuoli di giovani inviati a rappresentare i loro compagni da cento e cento collegi e oratorii festivi; la sola casa madre di Torino mandò 250 alunni interni e 125 oratoriani. Fra i Salesiani avviantisi a Roma spiccavano i Prefetti e i Vicari Apostolici e i Vescovi residenziali d'Italia, d'America e delle Indie. Il Cardinale Salesiano Augusto Hlond, Arcivescovo di Gniezno e Poznam e Primate di Polonia, partì in volo dalla sua sede e atterrò nel campo d'aviazione presso Roma. Nessun Principe della Chiesa aveva mai compiuto una trasvolata di tanta lunghezza. Festosissima accoglienza fecero a Don Rinaldi, terzo successore del Beato, gli amici romani. Sempre più l'attenzione universale si volgeva a Roma, dove la stampa si occupava largamente della prossima beatificazione, attribuendole un carattere d'importanza mondiale. Lasciando dunque che il pellegrinare dei divoti a Valsalice prosegua con ritmo ininterrotto fino alla trionfale traslazione, ci trasporteremo anche noi nella capitale del mondo cattolico per vedere le cose più notevoli che precedettero, accompagnarono e seguirono il glorioso avvenimento.
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