Capitolo 68

Trattative di D. Bosco col Municipio di Lanzo per l'apertura di quel Collegio - Il Vicario Albert - D. Bosco va a Lanzo e firma la Capitolazione - Capitolo e accettazione di nuovi socii - Conferenza di D. Bosco: quanti meriti si acquista il religioso obbediente - Sua parlata ai giovani: - conto delle proibizioni de' Superiori - Chiede al R. Provveditore i temi degli esami per iscritto - Predizione avverata - D. Bosco tranquillizza un morente - Nota storica di D. Bosco sul castello di Lanzo - D. Bosco elegge il Direttore del nuovo Collegio e lo conduce a S. Ignazio Nuove costruzioni presso quel Santuario - Il Teol. Golzio succede al Can. Galletti nella direzione del Convitto Ecclesiastico - D. Bosco scrive, ai giovani dell'Oratorio e narra le avventure del suo viaggio a S. Ignazio - Decreto della Deputazione provinciale che approva il contratto fra D. Bosco e il Municipio di Lanzo - Ultime pratiche e disposizioni pel Collegio - Distribuzione de' premi nell'Oratorio e chiusura dell'anno scolastico.

Capitolo 68

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

   La ruota del sogno aveva incominciati i suoi giri. Da più mesi que' di Lanzo trattavano con D. Bosco perchè aprisse nel paese una Casa di educazione per la gioventù.

Sulla vetta di quel colle isolato da due acque, fra i contrafforti delle Alpi, allo sbocco di tre vallate, stava un antico convento di Cappuccini soppresso sul principio del secolo XIX dal Governo francese. Alla caduta di Napoleone I, l'edifizio, la chiesa e il giardino annesso furono occupati dal Municipio. In questo locale aveva fiorito per circa cinquant'anni, sotto diverse e successive direzioni, un collegio convitto; ma da parecchio tempo, per essersi ritirato l'ultimo direttore e per mancanza di alunni, era stato chiuso.

Si trattava adunque di riaprirlo. Il degnissimo Vicario di Lanzo, Teol. Federico Albert, santo apostolo non solo di quelle valli, ma del Piemonte, pel primo aveva pensato a D. Bosco.

Egli vedeva con vivo dolore allontanarsi sempre più dalla Chiesa i giovanetti parrocchiani e si accorgeva, che unico mezzo per conservare nei loro cuori la fede era il provvederli di una istruzione religiosa, alla quale fossero obbligati di assi­stere. Il catechismo nella scuola e nella Chiesa del Collegio nei giorni festivi, li avrebbe spinti ad accostarsi ai Sacra­menti. Egli perciò era venuto più volte nell'Oratorio e aveva trattato di questo importantissimo affare. Alle sue vive istanze si erano unite le preghiere di D. Arrò e finalmente si ottenne da D. Bosco la promessa, che egli si assumerebbe quell'impegno. Nello stesso tempo il Vicario Albert trattava col Municipio, il quale accondiscese ad esaminare i patti di quel progetto. Dopo lunghe discussioni si approvò in mas­sima e si formolò la convenzione fra le due partì, della quale riportiamo gli articoli più importanti, che riguardano la gio­ventù del paese: - Il Municipio si obbliga di pagare a D. Bosco la somma annua di lire 3000 per le scuole elementari e ginnasiali sino alle due rettoriche inclusivamente; e altre 100 lire per la provvista de' premi annuali. - Gli concede l'uso del locale detto del Collegio coi siti, cappella, cortili e giardini annessi, per uso delle scuole, - si obbliga per tutte le riparazioni che sono necessarie all'uso ed alla conserva­zione dell'edificio ed ai locali annessi. - Non potrà licenziare D. Bosco senza avviso preventivo di cinque anni. - Tutte

le spese d'impianto saranno a carico di D. Bosco. - Il Co­mune procurerà un mutuo di 12.000 lire a D. Bosco, il quale presterà idonea cauzione - D. Bosco provvederà tre maestri per le scuole elementari muniti della relativa patente, ed insegnanti idonei per le cinque classi ginnasiali. - Gli alunni che frequentano le classi ginnasiali pagheranno un minervale, eccettuati quelli di Lanzo riconosciuti come poveri dalla Giunta. - Per le scuole elementari pagherebbero un minervale gli scolari che non appartengono al Comune. Le scuole saranno aperte col principio dell'anno scolastico 1864 - 65.

Il minervale riducevasi a poco per la scarsità in paese di studenti pel ginnasio, il mutuo riusciva un onere e la somma fissata dal Muncipio non poteva bastare pel mantenimento dei professori, dei maestri e del rimanente personale. Una spesa gravissima, come a Mirabello, importava la provvista della mobilia per un locale sprovvisto di tutto. Ma D. Bosco non guardò a sacrifizii per tendere pago lo zelo del Vicario Albert, il quale, per conseguire il santo suo fine, aveva già dovuto superare difficoltà materiali e pecuniarie.

Dopo la festa di S. Luigi D. Bosco recavasi a Lanzo e il Vicario Albert e il Sindaco Tessiore Paolo lo accompagnavano a visitare il Collegio. D. Savio Angelo mandato tempo prima a farvi un'ispezione aveva dato un rapporto non troppo incoraggiante. Quel vecchio edifizio aveva bisogno di alcuni restauri, perchè da qualche anno era disabitato, fatta eccezione di alcune stanze assegnate ai maestri comunali, colle sale per le scuole. Tuttavia Don Bosco non si ritrasse dall'impegno, anche pel suo vivo desiderio di possedere, comunque fosse e a costo di sacrifizi, una terza casa per la Pia Società. Il sindaco però prometteva che avrebbe fatto eseguire certe riparazioni e il Vicario si assumeva di costrurre tre piccole stanze, innalzando il tetto di un lato dell'atrio interno. Don Bosco per allora si contentò. Nel 1851 era Salito su quella vetta con Giuseppe Brosio il bersagliere, come abbiamo già narrato e, osservando lo stupendo panorama dei dintorni, aveva esclamato! - Che bella posizione per un collegio!

 Il 30 giugno si radunava il Consiglio Comunale in seduta straordinaria, autorizzata con nota della Prefettura il 16 dello stesso mese, per deliberare sulla proposta inoltrata da D. Bosco per la riapertura dell'antico collegio. D. Bosco era presente e si convenne e si stipularono i patti sopra esposti. Questa capitolazione, firmata da D. Bosco, dal sindaco e da due consiglieri, venne spedita senz'altro all'Autorità tutoria della Prefettura perchè fosse approvata.

Ciò fatto D. Bosco ritornava all'Oratorio..

Il 4 luglio alla sera radunatosi il Capitolo, accettò alla prova Rossi Spirito e Orsi Stefano i quali avevano domandato di essere ascritti alla Pia Società. In questi giorni Don Bosco teneva anche conferenza ai confratelli. La Cronaca riporta il senso delle sue parole.

L'ubbidienza è il compendio della perfezione di tutta la vita spirituale, è la via men laboriosa, men pericolosa, e la più sicura e la più breve che vi sia, per arricchirei di tutte le virtù e per arrivare al paradiso. S. Teresa era così persuasa di questa verità da dire: che se tutti gli angioli insieme le avessero detta una cosa ed il Superiore le avesse comandato il contrario, avrebbe preferito senza esitare l'ordine del Superiore: - Perchè, ungeva, l'obbedienza al Superiore è comandata da Dio nelle sante Scritture e perciò non vi può essere inganno. Di S. Luigi si legge nella sua vita che non violò mai una sola delle più piccole regole del collegio in cui si trovava; anzi diceva egli stesso di non aver mai disobbedito alla minima disposizione o ordine del Superiore. Chi sa se noi potremo tutti dire la stessa cosa? Il motivo per cui non si pratica rigorosamente l'ubbidienza si è perchè non si conosce il gran pregio di questa virtù. Ascoltate il fatto di S. Dositeo.

Essendo egli giovane nobile, delicato, aveva concepito gran timore dello stretto conto che Dio gli avrebbe chiesto in fin di vita, ed entrò in religione per apparecchiarsi al gran giudizio. Egli era di debole complessione, e non poteva stare alla vita comune, nè levarsi a recitare a mezzanotte il mattutino cogli altri, nè mangiare i cibi che mangiavano gli altri. Ma non potendo osservare quelle regole, fece seco stesso i suoi conti, e si risolse di dedicarsi tutto all'obbedienza; e colla massima prontezza e diligenza agli uffizi più umili del Monastero a lui affidati dal Superiore. Dopo cinque anni morì e il Signore rivelò all'Abate, che Dositeo aveva conseguito il premio eguale a quello di S. Antonio e di S. Paolo eremita. L'Abate palesava quella rivelazione ai monaci, i quali, non essendo persuasi della cosa, andavano dicendo: - Possibile che un uomo, il quale non ha mai digiunato, allevato nelle comodità e delicatezza, abbia in paradiso ad essere trattato al pari di quelli che per cinquanta, sessanta e più anni portano tutto il peso delle asprezze, penitenze, privazioni, fatiche della vita religiosa? Che cosa adunque abbiamo noi altri guadagnato da più di lui, coll'esserci affaticati tanto, tanto aver fatto, mentre Dositeo passava giorni tranquilli in foresteria? - Ed il Signore per mezzo dell'Abate rispose loro: - Voi non conoscete il merito ed il valore della vera ubbidienza. È per questa virtù che Dositeo in poco tempo, meritò più che altri con lunghi sacrifizii e fatiche.

La sua era un'obbedienza di esecuzione, di volontà e di giudizio.

Di esecuzione pronta, allegra, puntuale; di volontà, non volendo altro fuori di quel lo che vuole il Superiore; di giudizio facendo proprio lo stesso sentimento del Superiore.

È per questa perfezione di ubbidienza che Dositeo ebbe un premio così splendido……Vedete adunque quanti meriti noi abbiamo perduto tutte le volte che abbiamo fatto il nostro capriccio; tutte le volte che abbiamo violata qualche regola della Casa o della Congregazione, od abbiamo lasciato di fare i nostri doveri; tutte le volte che abbiamo mormorato, giudicato di una cosa, di un ordine, non approvando il giudizio del Superiore.

Anche per gli alunni D. Bosco aveva ammonimenti e consigli in questo ultimo scorcio dell'anno scolastico. Parlò per varie sere, ma la Cronaca ci conservò uno solo dei suoi discorsi. È molto tempo che un scellerato avendo ricevuto un amorevole avviso dal Vescovo di Saluzzo se l'ebbe tanto a male che pensò di farne vendetta. Per compiere il suo disegno studiò il modo di avvelenarlo. Un giorno che il Vescovo doveva fare una pubblica, solenne funzione, quello scellerato lo invitò a pranzo in sua casa per avere agio di spegnerlo. Ad un punto determinato del pranzo un domestico portò del vino al Vescovo come per farglielo assaggiare, dicendogli essere quella una bevanda sommamente deliziosa. Il Vescovo appena che l'ebbe gustato, esclamò: - Che vino eccellente! non mi ricordo in vita mia di aver mai assaggiato l'eguale. - I commensali ciò udendo chiesero che se ne portasse anche a loro. Ma il domestico aveva ordine che appena versato il vino al Vescovo, subito andasse a gettare la bottiglia in una gora profonda. I commensali continuavano ad insistere che se ne desse anche a loro di quel vino e non vedendosi contentati, presero ad offendersi altamente. Ma buon per loro che non riuscirono a berne, perchè sarebbe toccata ad essi la sorte che toccò al Vescovo, il quale poco dopo si sentì straziare le viscere da acerbi dolori e poi morì.

 - Quando lessi questo fatto pensai essere un bell'esempio di ciò che capita ai giovani. Guai se si concedesse loro quello che sovente domandano colle parole o anche coi fatti. Quante volte berrebbero il veleno! E ciò sia detto specialmente per ciò che riguarda la modestia. Vorrebbero andare con certi compagni, desidererebbero continuare certe amicizie, e i Superiori non vogliono. Intatti vi è alcuno che ha un po' di malizia, la lascia travedere agli altri, ed ecco gli innocenti, subito curiosi, chiedono con istanza spiegazioni e pur troppo le travedono a loro danno, e sono anche date da quei disgraziati che fanno le parti del demonio; e intanto gli incauti bevono il veleno. Se pensassero al fatto di Savio Domenico e facessero come lui, non avverrebbe che fossero ingannati. Questo giovane, invitato ad andarsi a bagnare, rispose: Chiederò licenza ai miei parenti.

 - Oh no; i compagni risposero; eglino non te la darebbero.

 - Ah dunque è segno che è male il farlo; ed io non, vengo.

 - Miei cari figliuoli, tenete conto delle proibizioni de' vostri Superiori e se prevedete che essi sarebbero malcontenti di quell'azione che voi siete per fare, non fatela mai. Vi cade nelle mani un libro? e voi prima di leggerlo pensate: - Don Bosco sarà contento che io lo legga? - La coscienza vi darà la risposta. Avete ricevuto un biglietto da qualche compagno: dite a voi stesso: - Se i Superiori lo vedessero, qual concetto si farebbero di me? - Perciò stracciatelo subito, o meglio, consegnatelo all'assistente; ciò sarà pro va della vostra bontà; ma non rispondete mai a simili biglietti. Vedete in un crocchio alcuni che parlano in modo misterioso, occhieggiando se si avvicina qualche superiore? Voi da costoro state lontani come dalla peste. Là è veleno, là è morte. Ricordatevi le mie parole. Talora questo veleno non porta subito la morte eterna, benchè porti sempre la morte dell'anima. Uno può risorgere colla santa Confessione: ma questo veleno lascia sempre orribili conseguenze. Il rimorso, noia nelle cose di pietà, debolezza, cattive inclinazioni che prima non vi erano, deplorabile facilità a nuove cadute, ricordi che amareggiano tutta la vita, timor dei castighi di Dio, maggior violenza nell'eseguire i propri doveri, talora il disonore e la disistima dei compagni. Pensateci prima adunque, per non cadere in simile stato. Vi basti stare agli avvisi dei superiori senza cercar la ragione. Se essi proibiscono una cosa dite pure: - È  veleno, è morte, ed io non voglio morire!

Intanto D. Bosco pensava agli esami finali e forse desiderava che si potesse fare un confronto tra il profitto fatto negli studi dagli alunni dell'Oratorio e quello degli studenti delle scuole governative.

Il 10 luglio egli scriveva al R. Provveditore agli Studi, e dalla risposta di questi s'intende quale fosse il suo pensiero.

 

Torino, addì 13 luglio 1864.

 

Non può lo scrivente accondiscendere alla domanda per i temi, indirizzata dalla S. V. Chiarissima, dacchè la circolare Ministeriale 149, non concede facoltà di trasmetterli che agli Istituti Regii e parificati.

Ringrazia per l'invito di assistere alla distribuzione dei premii in codesto Istituto, e qualora non sia impedito da affari non tralascierà di intervenirvi.

 

D R. Provveditore

F. Selmi.

 

 

D. Bosco notava in margine: - Si ricordi la vigilia della premiazione.

 

Due giorni dopo il 15 luglio, venerdì, alle ore 4 del mattino, moriva nell'Ospedale Mauriziano il giovane Vallino Luigi, torinese, in età di 15 anni. Così avveravasi la predizione fatta da D. Bosco il 14 giugno. Al secondo esercizio di buona morte non prendeva parte il Vallino.

A questi pare che accenni un foglio staccato della cronaca, senza nominarlo, narrando un fatto che pi√π volte noi abbiamo udito raccontare da Giuseppe Buzzetti, e da Giovanni Bonetti.

“ Il giovane che sospettava essere lui il disegnato, fu condotto all'ospedale. La sua malattia si fece seria, gli si gonfiò stranamente il capo, e fu preso dal delirio. Le parole che proferiva indicavano essere egli persuaso di dover morire; chiamava D. Bosco e gli chiedeva aiuto e perdono. Nessuno dei medici e delle suore poteva trarre costrutto dalle sue frasi sconnesse. D. Bosco saputo il suo stato si affrettò ad andarlo a visitare. Le suore gli narrarono la stranezza del vaneggiamento di quel giovane. D. Bosco rispose: - So io come è la cosa: lascino che gli parli e lo vedranno tranquillato. - Avvicinatosi al letto, come l'infermo udì la sua voce, si sollevò: - Ah D. Bosco! gli disse, non mi legga la sentenza!

” - Ma che cosa vai dicendo! Io son venuto, perchè ti voglio bene e perchè voglio che tu viva: hai inteso? Ora dimmi: vuoi confessarti da D. Bosco?

” - Oh si; non desidero altro; ma purchè non mi legga la sentenza.

    ” - Nessuna sentenza, mio caro: voglio che tu stia allegro.

 - E curvatosi, gli disse una parola all'orecchio che lo rasserenò, togliendogli ogni timore. Quindi lo confessò, gli fece amministrate il viatico e l'estrema unzione, e, ricevuti con gran fede questi sacramenti, il giovane tranquillamente spirava ”.

Avvicinandosi il tempo degli esercizi Spirituali a S. Ignazio, D. Bosco raccoglieva da varii autori, e specialmente dal Casalis alcune note storiche sopra Lanzo e su qualche paese pi√π importante delle sue valli per consegnarle al nuovo Direttore.

Nel secolo XII fu fabbricato il Castello di, Lanzo a guardia della valle e de' suoi passaggi. Ma il Castello di Lanzo fu espugnato nel 1551 dai francesi. Sul finire dell'anno cacciati i francesi dal Gonzaga capitano delle anni imperiali, da esso fu in allora ripigliato il Canavese. Ma anche il presidio Spagnuolo nel 1552 venne si furiosamente assalito dai nemici che dovette partirsene. Intanto il generale francese Brisacco ordinò la distruzione dei Castello nel 1557. Tornato Emmanuele Filiberto ne' suoi stati, infeudò nel 1570 il Marchesato di Lanzo a D. Filippo d'Este. Cinquanta anni dopo la distruzione dei Castello ulle rovine di esso un Bonesio Bartolomeo pose le fondamenta del convento dei Cappuccini, assegnandogli per primo fondo 2000 scudi. Fece anche innalzare la chiesa in cui fu per la prima volta celebrata la messa nel di di Ognissanti nel 1615.

L'Eremo è fondato dai Granieri, antica famiglia di Lanzo; nel 1661 lo donò ai Padri Camaldolesi.

Da quest'eremo venne Colombano Chiaverotti. Nel 1839 vi vennero i Carmelitani.

Forno di Groscavallo è a 667 metri sopra il livello del mare. La Madonna apparve nel 1630 in un bosco di faggi, platani, frassini. La fontana dell'Arcivescovo Rorà.

Balangero (Berengarii Castrum), La Madonna dei martiri (Tebei), Piè (plebis Castrum). Berengario II, Marchese d'Ivrea poi Re d'Italia, quivi fece fabbricare un castello, e un altro al di là del Tanaro pure detto Berengarium e detto poi Balangio Blanqua.

Vallis de Amatis (al presente Mathi). Questo nome era comune a tutta la valle di Lanzo (Matigis).

Ciriè. Cerreto. Boschetti pieni di cerri di cui ora pochi rimangono. Anticamente si usava eleggere a patroni, santi col nome simile a quello del luogo. Quindi S. Ciriaco è il patrono. Alcuni dicono che qui passò il verno Federico I.

Lunedì 18 luglio D. Bosco partiva per Lanzo, dopo aver incaricato D. Arrò di parlare al giovani alla sera. Conduceva con sè il Sac. Ruffino Domenico, che aveva eletto a Direttore del Collegio di Lanzo, il quale sul partire scriveva un biglietto al compagno Rebuffo.

Questo andare a S. Ignazio che io fò, non so se debba riguardarle più come soggetto di contentezza o di tristezza; certamente se io considero il gran bisogno dell'anima di ritirarmi un poco ad aggiustar gli affari della mia coscienza, finora così trasandati e bistrattati, non posso a meno che ringraziarne Iddio e D. Bosco d'avermi procurata questa occasione; ma se d'altra parte io considero che debbo lasciare l'Oratorio, lasciar gli amici, lasciare te; se considero di più che questa breve di partenza sarà forse l'esordio di una più diuturna, io mi sento commosso di tal commozione he noti provai mai nel partire dalla mia propria casa patema, nel lasciare i miei fratelli e sorelle carnali. Oh! quanto sono più stretti i vincoli d'unione spirituale: già prima lo sapeva, ma ora lo provo.

Caro Rebuffo, saremo divisi per qualche giorno col corpo, ma non lo saremo giammai collo spirito.

D. Bosco arrivava a S. Ignazio, ove nuovi edifizi andavano erigendosi, e alla direzione dell'Opera degli esercizi spirituali era stato preposto un nuovo Rettore.

Al Can. Eugenio Galletti, che si ritirava a lavorare nella Piccola casa della Divina Provvidenza, succedeva nella Direzione del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi il Teologo Felice Golzio confessore di D. Bosco, il quale continuò anche nel Santuario di S. Ignazio l'opera di D. Cafasso dal 1864 al 1873. Galletti e Golzio, ultimavano la strada carrozzabile che metteva al santuario e costruivano il nuovo magnifico refettorio col fabbricato sovrastante, co' generosi soccorsi della Marchesa Barolo. I Rettori vi posero un cappellano fisso tutto l'anno coll'obbligo del ricevimento dei forestieri, di attendere al Confessionale e compiere le funzioni festive a vantaggio della sottostante Borgata di Tortore e della scuola ai ragazzi.

Mentre D. Bosco colass√π attendeva agli esercizi, non dimenticava i figli dell'Oratorio e loro scriveva una lettera nella quale narrava le avventure del suo viaggio.

Al sig. Avv. Arrò, se stima bene di leggerla agli studenti ed artigiani radunati.

 

Ai miti cari figliuoli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales,

 

Persuaso di farvi cosa grata nello scrivervi qualche cosa che vi possa ricreare, ho pensato di darvi un cenno sul mio viaggio da Torino a S. Ignazio dove, grazie a Dio, presentemente mi trovo.

Lunedì, 18 corrente alle ore 4 recavami alla vettura per la partenza e, siccome il mio stomaco soffre alquanto entro l'omnibus, così io mi era preso posto sull'imperiale ovvero sopra l'omnibus. Ma il mio posto era occupato da un altro. Che fare adunque? Il Sig. Avv. Arrò reclamava i miei diritti, ma con poco risultato. Finalmente un cotale che era sull'Imperiale con aria grave m'indirizzò il discorso e generosamente disse: - Alto là, io sono disposto a cangiare il mio posto, non per far piacere, che certamente noi farei; ma mediante competente mancia. - Io risposi: - Se il denaro aggiusta le cose vi contenterò. Discendete pure. Eccovi una moneta di cui sarete contento.

E lo fu difatto.

Montato a mio posto, presi un poco di sole, poi un poco di vento e di polvere e mentre raccontava ai viaggiatori come due anni Addietro in quello stesso giorno aveva gustato un stupendo temporale da Caselle a Lanzo, ecco rannuvolarsi il tempo, tuonare, lampeggiare e cominciare a piovere proprio nel paese di Caselle. Di otto che eravamo nella parte superiore io solo aveva l'ombrello, sicchè tutti amorevolmente si strinsero attorno di me, come appunto fate voi, miei cari figlioli, quando facciamo ricreazione insieme e che ho qualche piccolo regalo a farvi. Ma se prima eravamo animati a discorrere, lo fummo assai più allora essendo costretti di starcene là tutti a tu per tu.

Vi erano due medici, due avvocati, un letterato e due altri, I nostri discorsi furono intorno alla storia Egiziana, Persiana, Greca ed Italiana; ma il loro scopo era sempre di attaccare D. Bosco contro alla Storia Sacra. Ma a dirla schietta quando furono messi alla prova ho potuto convincermi che sapevano molti spropositi, ma la storia non la sapevano; perciò dopo alcuni schiamazzi dovettero mettere berta in sacco.

Allora il discorso si portò in filosofia, in teologia; volevano sostenere il panteismo di Spinoza, il dualismo di Manete ecc. ecc., ma dovettero tosto desistere dalle loro proposizioni: allora si misero a schiamazzare e gridare tanto forte contro all'esistenza di Dio, che io ho stimato bene di lasciarli sfogare per poter loro rispondere. Calmatisi alquanto, in modo di scherzo raccontai loro la storia della gallina e dei pollaiuolo, di poi li interrogai così: - A voi, dissi ad un medico; sembra che sia stato fatto prima l'uovo o prima la gallina?

Certamente fu prima la gallina che ha di poi fatto l'uovo.

     - Donde nacque la gallina?

 - Dall'uovo.

 - Chi ha dunque fatto il primo uovo da cui nacque la gallina?

Allora il medico voleva rispondere, ma pi√π non sapeva: - Dite voi anche qualche cosa; dissi ai suoi colleghi.

Ma niuno faceva parola. - Dite pure come a voi sembra pi√π esatto; soggiunsi: fu prima l'uovo o prima la gallina?

In quel momento egli montò sulle furie e nel trasporto di collera: Vada al diavolo l'uovo e la gallina: io non so più che cosa rispondere.

Tutti allora si misero a ridere ed a battere le mani: quindi uno degli astanti prese a parlare così: - Io consegnerei l'uovo e la gallina in mani migliori che non sono quelle dei diavolo. Io darei ad un buon cuoco la gallina e l'uovo affinchè li faccia cuocere e ci serva di ristoro dopo questa pioggia. Ma voi, Sig. Dottore, andate pure dall'uovo alla gallina finchè volete, ma dovete conchiudere esservi un Dio che abbia creato o l'uovo o la gallina da cui sia di poi venuto l'uovo. Quindi andiamo pure da padre in figlio, ma dobbiamo terminare con un uomo creato da Dio, cioè con Adamo che è il primo uomo del mondo.

Qui ebbero termine le questioni; essi domandarono il mio nome, io ho domandato il loro; di poi si discorse dell'Oratorio fino a Lanzo.

Contava di passare la notte a Lanzo, ma il Teol. Bertagna col capo mastro Felice avendo divisato di continuare il cammino, e diminuendo la pioggia, mi sono unito ad essi alla volta di S. Ignazio. Erano le otto e noi partimmo per un'alta montagna. Dopo breve tratto, oscurandosi il cielo e divenendo notte buia, smarrimmo la strada e ci trovammo tra roccie e macigni. Mentre stavamo pensando che fare, ecco diradarsi le nuvole, apparire la luna che ci dava la nostra direzione. Allora ci siam messi pel cammino e in mezzo a sassi e a mucchi di pietre siamo giunti alla sommità. Niun incidente ci turbò ad eccezione di Felice che si smarrì, nè più lo vedemmo se non in fine della salita. Eravamo stanchi e pesti; erano le dieci. Ma, quale non fu la nostra meraviglia quando giunti al Santuario non ci era possibile di trovare gente viva per farei aprire! A forza di bussare, di battere e perfino di spezzare ci vennero infine ad aprire e ci prepararono una buona cena che atteso il nostro appetito musicale riuscì a meraviglia. Dopo il sonno ci coman­dava ed essendo mezza notte siamo andati a riposo.

Buona notte anche a voi.

Domani spero potervi scrivere cose pi√π importanti. Pregate per me, miei cari figliuoli; io prego anche per voi. La Santa Vergine ci conservi tutti suoi e sempre suoi. Fate una comunione spirituale o sacramentale secondo la mia intenzione. Amen.

 

S. Ignazio, 22 luglio 1864.

 

                                                                           Tutto vostro aff.mo nel Signore

 

 

Non pare che D. Bosco abbia scritta la seconda lettera promessa, non essendo di questa cenno in verun documento. Forse il sacro, Ministero volle per sè tutti que' giorni. D. Arrò adunque, fatti venire gli artigiani nel parlatorio degli studenti, a tutti insieme fece udire ciò che aveva scritto D. Bosco. Sì deve notare che da qualche anno le due categorie di alunni avevano un luogo o sala a parte, per recitare le orazioni della sera e per ascoltare gli avvisi di un superiore loro proprio. Erano convocati insieme quando si doveva dar loro una straordinaria comunicazione.

Finiti gli esercizi D. Bosco discendeva da S. Ignazio e, come aveva promesso, ritornava in Lanzo per prendere col sindaco qualche accordo e per condurre a termine tutte le pratiche colle Superiori autorità scolastiche.

Dalla Prefettura di Torino era giunto il decreto della Deputazione Provinciale.

 

Visto il verbale del Consiglio Comunale di Lanzo in data 30 giugno prossimo passato portante riapertura dei collegio e capitolazione col signor D. Bosco, sentito il Relatore, ritenuta la convenienza e l'utilità ai un pubblico collegio in Lanzo;

La Deputazione Provinciale concede l'approvazione del succitato atto unicamente per quanto riguarda la spesa, dovendo la parte che concerne l'istruzione e la convenzione particolare passata col Don Bosco, essere approvata dalle Autorità scolastiche competenti dalle quali deve intieramente dipendere, sotto l'osservanza delle leggi sulla pubblica istruzione.

 

Torino, 15 luglio 1864­

              Il Prefetto Presidente

                               Pasolini

Il Segretario

Zotto.

 

Perciò si stabiliva di mandar con premura al R. Ispettore delle scuole primarie e al R., Provveditore agli studii tutti i documenti voluti dalla legge. D. Bosco avrebbe loro presentato i diplomi dei professori e dei maestri che sarebbero destinati. Per quest'anno prevedendosi che non si avrebbero alunni per le classi di umanità e di rettorica, il Municipio si contentava di tre insegnanti nel ginnasio. In quanto al mutuo D. Bosco dichiarò di non aver nessuna premura, e ritornato a Casa fece stampare e divulgare il programma simile a quello di Mirabello.

D. Ruffino poi, come direttore degli studii, ordinava nell'Oratorio gli esami finali.

Il giorno 31 luglio distribuivansi solennemente i premii, e si chiudeva l'anno scolastico. Molti personaggi distinti erano convenuti a quella geniale solennità. D. Bosco aveva anche invitato il Conte Cibrario, dal quale riceveva il seguente biglietto: “ Mille grazie al gentilissimo signor D. Bosco, ma con mio dispiacere non posso, per ragione di salute, profittare del suo cortese invito. - 29 luglio - Conte Luigi Cibrario ”.

 

 

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