D. Bosco continua a lavorare nonostante le sue infermità parlate di D. Bosco alla sera: un alunno andrà in Paradiso prima del termine del carnovale: un poltrone che invidia la sorte di animali al pascolo: conseguenze funeste dei piccoli difetti: il precetto della carità vicendevole: imitare le api per farci dei meriti - Cuore di D. Bosco - Non si permette nessun riguardo nel cibo e riconosce i bisogni degli altri D. Bosco infermo per nutrimento indigesto - Il R. Provveditore di Alessandria muove opposizione al collegio di Mirabello - D. Rua chiede consiglio a D. Bosco e sua risposta per mezzo di D. Ruffino - Altra lettera di D. Bosco a D. Rua: spera di venire a Mirabello prima della metà di quaresima.
del 01 dicembre 2006
Don Bosco era stanco oltre ogni dire: emetteva san­gue dalla bocca e con difficoltà digeriva il cibo.
Tuttavia, sempre ilare, non abbandonava il tribu­nale di penitenza, sempre più affollato per le sue predizioni; e
alla sera continuava a far sentire i suoi paterni ammonimenti.  
“ Il giorno II di Gennaio, narra la cronaca, dopo la sepoltura di Besucco, D. Bosco parlò ai giovani dopo le orazioni e disse:
 - Besucco ha portato via tutto quel poco di bene che aveva­mo radunato: ora dobbiamo preparare qualche cosa per altri.
Dunque, voi direte, vi è qualchedun'altro che dovrà morire;
Sì, vi è un altro che vuole andare a terminare il Carnevale in paradiso. Ad alcuni rincresce che io dica queste cose e vorreb­bero, per es., che io le dicessi solo a colui cui tocca partire: così quel tale si preparerebbe e gli altri starebbero tranquilli. Ma no! Io non farei il mio dovere se non vi dicessi queste cose. Alcune volte io so che alcuno deve morire e non so chi sia: altre volte so chi è e non conviene dirlo ”.
Altri discorsi tenne D. Bosco in questo mese ai giovani e la cronaca ce ne conservò alcuni, ma senza indicazione di giorno.
 
I.
 
In Torino vi era un maestro che aveva alcuni giovani da educare. Un giorno li conduceva a passeggio e per la strada si incontrarono in certi animali che erano spinti da un mandriano, al pascolo. Un di quei giovani guardò con occhio attento quegli animali e poi disse ai compagni: - Almeno questi animali non sono obbligati ad andar sempre a scuola, a far tutti i giorni il loro lavoro, a studiar la loro lezione. Guai se noi non compissimo il nostro dovere! Oli la scuola è una gran seccatura: - e continuava le sue lamentazioni quasi che la sorte di quelle bestie fosse migliore della sua. Costui che parlava in questo modo è ancor vivo, è uomo fatto, ebbe una carica in Torino, ma solamente perchè è ricco; del resto la sua carica gli fa spesso fare dei marroni così grossi da dover arrossire di se stesso, dando argomento da ridere agli altri.
Volli raccontarvi questo aneddoto per far ridere anche voi e per farvi vedere a che punto conduce un giovane la ripugnanza di assoggettarsi ad un po' di disciplina, che pure lo aiuta a farsi un corredo di quelle cognizioni, che gli sono necessarie per adempiere i proprii ufficii in quello stato cui il Signore lo destina. Ma intanto io vi domando; le parole dette da quello spensierato non starebbero forse bene anche in bocca di qualcuno dei nostri giovani? Cioè: chi sa se fra i nostri giovani ce ne sarà qualcuno che si assoggetti mal volentieri alla disciplina, che stia nell'Oratorio di inala voglia? Spero di no: so che tutti voi siete amanti dell'ordine e del vostro dovere. Ma se ci fosse, costui si meriterebbe davvero di essere condotto al pascolo, invece di andare a scuola. Impiegate adunque bene il vostro tempo che così in punto di morte avrete una gran consolazione e mentre vivrete potrete sempre portare la fronte alta ed essere onorati in società. Date gloria a Dio colla vostra condotta, consolazione ai vostri parenti e ai vostri Superiori. Altrimenti un giovane poltrone, indisciplinato, sarà un giovane disgraziato, sarà un giovane di peso ai suoi genitori, di peso ai suoi Superiori, sarà di peso a se stesso.
 
II.
 
Ho bisogno da voi che mi diate una licenza, ma bisogna che me la diate tutti dal primo all'ultimo; cioè che mi permettiate di farvi il parrucchiere e tagliarvi i capelli a tutti il parrucchiere non è abbastanza abile, bisogna che ve li tagli io. Se non facessi così vi verrebbero tanto lunghi da non potersi più tagliare, perchè uniti insieme formerebbero una corda coi la quale qualcheduno potrebbe tirarvi in qualche precipizio. Vi ricordate che si legge nella storia come avendo i Romani tolte le armi ai Cartaginesi, costoro non avendo corde da mettere agli archi tagliarono i capelli alle loro donne, che li avevano lunghissimi, e intrecciatili ne fecero delle corde. Ora io non voglio che i vostri capelli diventino delle corde. Voi mi domanderete: - Che cosa vuol dire ciò ? - Ecco! S. Teresa dice che anche l'anima ha i suoi capelli, i quali se si lasciano crescere diventeranno corde. Questi capelli dell'anima sono i difetti che ciascuno ha. Sono piccoli da principio, sottili come un capello, ma se non si tagliano quando incominciano a manifestarsi, diverranno in breve così grossi, così lunghi che il demonio ne farà delle corde per tirarvi alla rovina. Questi difetti, questi vizii adesso si possono facilmente tagliare, ma andando avanti diventano abito, mettono profonde radici, diventano corde e come si fa a tagliare le corde con un paio di forbici? Per es.: Ad uno salta la voglia di fumare e fuma nascostamente. È  un piccolo capello che cresce. Se mi ascolta, se si persuade che è cosa dannosa, se lascia questo capriccio, ecco il capello tagliato. Se invece vuol continuare, si sottrae alla vista dei Superiori, si nasconde in luogo appartato, si assuefà ai sotterfugi, viene il giorno che incontra qualche diavolo, ed ecco la corda che lo trae in perdizione; senza contare il danno che può riceverne la sanità. Un altro ama i liquori, cerca di averne provvista nel baule, di quando in quando ne beve un bicchierino. Ecco il capello. Se si lascia guidare da chi gli vuole bene, capirà che con ciò s'infiamma il sangue, e che non sono convenienti simili bibite ad un giovanetto bene educato, ed ecco il capello tagliato. Se invece vuol continuare a dispetto degli avvisi, farà disordini, il sangue si accende, talora sarà mezzo brillo, le tentazioni assaltano, si cede ed ecco la corda. Vi è un tale che quando può avere roba da mangiare, salame, frutta, formaggio, è felice; mangia a tutte le ore: procura di aver sempre la provvista abbondante: se non ne ha, scrive ai parenti che gliene mandino. Ecco il capello. Se obbedisce al superiore che gli dice di mangiare a pasto con certa misura, non fa indigestione, non fa malattie; ma se si lascia vincere dall'appetito, collo stomaco pieno non può più studiare; a poco a poco abborre dall'applicarsi perchè ciò gli fa male, si dà alla poltroneria, l'ozio è il padre di tutti i vizii, ed ecco la corda. Vi sarà un giovane il quale talora ha un po' di rispetto umano nello star composto in Chiesa, nel farsi bene il segno della croce, nell'andare con certa frequenza ai Sacramenti. Poveretto, se non cambi, sappi in primo luogo che Dio conosce l'interno dell'animo tuo e poi questo rispetto umano ti farà trasgredire l'obbligo della messa, del far vigilia, quando sarai fuori dell'Oratorio; ed ecco la corda e che corda! E così andate avanti discorrendo. Si incomincia dal poco e si va al molto. Si incomincia dalla bugia e si finisce col calunniare i compagni quando non si sa come scusarsi. Il capello della disobbedienza finisce colle corde di certi discorsi. Insomma aiutatemi a correggervi delle mancanze leggiere colla vostra buona volontà. Lasciatemi tagliare questi piccoli capelli e il demonio non riuscirà ad afferrarvi e a strascinarvi.
 
III.
 
Stassera vi dirò una sola parola e poi vi lascio in libertà. Ricordatevi dell'avviso che dava S. Giovanni Evangelista ai suoi discepoli: Diligite alterutrum. Questo amore non è semplice consiglio; è un comando, e perciò, pecca chi non l'osserva. Quindi mai ci siano fra voi parole ingiuriose, risse, invidie, vendette scherni, malignità. Fatevi del bene l'un l'altro e sarà prova che vi amate tutti a vicenda come fratelli.
Oh! che bel Paradiso terrestre sarebbe questa nostra casa, quanti atti virtuosi si ammirerebbero dagli angioli, quante benedizioni di più il Signore invierebbe sui nostri capi, quale sarebbe la consolazione di Maria SS. se tutti ci mettessimo d'impegno nel compatirci aiutarci, sopportare, perdonare perchè trionfasse sempre la carità. Oh! se ciascuno si mettesse ad imitare Magone e Besucco, nel cercare di accrescere negli altri l'amore di Dio e allontanare gli incauti dal peccato. Tutti possono impedire i cattivi discorsi di un compagno, come ha fatto Savio; tutti possono colle belle maniere calmare gli animi caldi di chi volesse attaccar briglie o già avesse incominciata una rissa. Perchè non farvi amici con qualcuno dei più dissipati per condurli a confessarsi, invitarli a fare qualche visita a Gesù in Sacramento? Questa carità era quella che rendeva più amabili Savio e Besucco. Adocchiati certi compagni, dei quali desideravano trarre le anime al Signore, ora li vedete spiegar loro con ogni pazienza le difficoltà non capite nella scuola; ora ceder loro le proprie mitene vedendo che noi, potevano scrivere pel freddo alle dita; ora in ricreazione mettere sulle spalle ad un compagno leggermente vestito il proprio mantello; ora regalare a chi mangiava pane asciutto, una mela, qualche noce. Sono cose, si dirà, che costano poco, e paiono eziandio cose da niente, eppure con queste impedivano alterchi, erano ricevuti con amore i loro buoni consigli, cessavano le mormorazioni, si prendevano in buona parte gli avvisi di chi chiedeva ad essi l'osservanza della regola. Erano cose da niente, ma più di un giovane per mezzo di queste si salverà, che altri­menti sarebbesi perduto. Sono cose da niente, ma oh! quanto rivelano un'anima gentile, un'anima bella, un'anima santa! Se tutti imitas­sero Savio e Besucco che bel paradiso sarebbe l'Oratorio. Allora io son sicuro, che riuscirci a farvi tutti santi ed è questo l'unico mio de­siderio.
 
IV.
 
Desidero che impariate a far il miele come lo fanno le api. Sapete come fanno le api a produrre il miele? Con due cose principalmente. I° Non lo fanno ciascuna da sola, ma sono sotto la direzione di una, regina che obbediscono in ogni circostanza; e poi sono tutte insieme e si aiutano a vicenda. 2° La seconda cosa si è che vanno raccogliendo qua e là i succhi dei fiori: ma notate; non raccolgono già tutto quello che trovano, un ora vanno su di un fiore, ora si posano sii di un altro e da ciascheduno pigliano solamente ciò che serve a fare il miele.
Veniamo all’applicazione. Il miele figura tutto il bene che fate voi colla pietà, collo studio, e coll'allegria, perchè queste tre case vi da­ranno tante consolazioni, dolci come il miele. Dovete imitare però le api. Primo nell'obbedire alla Regina, cioè alla regola ed ai Superiori.
Senza obbedienza viene il disordine, il malcontento e si fa più nulla che giovi. Secondariamente, l'essere molti insieme serve molto a far questo miele di allegrezza, pietà e studio. È  questo il vantaggio che reca a voi il trovarvi nell'Oratorio. L'essere molti insieme accresce l'al­legria delle vostre ricreazioni, toglie la melanconia quando questa brutta maga volesse entrarvi nel cuore; l'essere molti serve di incorag­giamento a sopportare le fatiche dello studio, serve di stimolo nel ve­dere il profitto degli altri; uno comunica all'altro le proprie cognizioni, le proprie idee e così uno impara dall'altro. L'essere fra molti che fanno il bene ci anima senza avvedercene. Dovete pure imitare le api nell'an­dare a raccogliere solo ciò che è buono e non ciò che è cattivo. Ciasche­duno osservi nella condotta dei suoi compagni ciò che vi ha di meglio, e poi procuri di imitarli. Da uno si imparerà ad essere umile e a non parlare tanto di se stesso. Si vede un altro che è tra i primi della scuola e da lui s'impari ad adempiere esattamente i proprii doveri. Vedo un compagno che è divoto, raccolto in Chiesa ed io seguo quel buon esempio. Così nell'uno splenderà l'amorevolezza, nell'altro un po' di mortificazione, in questo una gran riservatezza nel parlare, in quello un candore che non cela mai la verità; e andate via discorrendo. Or bene, ciascheduno dica risolutamente: Voglio far mia quella virtù.
Si raccoglie anche il miele in un altro modo. Fate un piccolo qua­dernetto per registrarvi i vostri segreti. Qui notate gli avvisi che vi dà il Direttore e il professore, ciò che vi fece più impressione nelle prediche: notate quei fatti più facili ad imitare, quelle massime più necessarie a praticarsi che avete trovate nei libri che si leggono o nello studio, o a tavola, o in camerata, o in Chiesa. A questo modo non tarderete molto a farvi ricchi di miele, cioè di buone cognizioni, di buone opere, e di santa allegria prodotta dalla pace del cuore.
Queste parole uscivano da un cuore pieno di una tenerezza indescrivibile per quelli che la Divina Provvidenza aveagli affidati. Avremmo esempi senza numero, ma ne richiamiamo uno solo perchè ce lo presenta l'ordine della Cronaca di D. Ruffino.
“ D. Bosco mi diede cinquanta franchi per i miei parenti, mentre io gli consegnava il semestre del patrimonio ecclesiastico e promise di darmeli ogni volta che facessi questa riscossione. Io non gli aveva domandata alcuna cosa. Mi interrogò un giorno sullo stato di mia famiglia e senti che era alquanto in bisogno ”.
Caro D. Bosco! Tanta attenzione per gli altri e nessun riguardo per sè! Egli voleva sempre a mensa il vitto della comunità, non permettendo che si apprestasse per lui qualche cibo più leggero.
“ Eppure, narra il Can. Anfossi, D. Bosco usava riguardi amorevoli per gli altri. Quando io attendeva all'insegnamento nell'Oratorio e nello stesso tempo frequentava l'Università, ritornava a mezzo giorno alquanto affaticato e non poteva indurmi a mangiare la polenta di meliga, che certe volte era apprestata come minestra. D. Bosco, il quale non era meno affaticato di me, si stava mangiando lo stesso cibo e vedendo che io indugiava nel portare il cucchiaio alla bocca, dava ordine al chierico che serviva di portarmi brodo o minestra.
” Gli altri professori fecero rimostranze per lo stesso motivo, e D. Bosco, riconoscendo il loro bisogno, fece dire al cuciniere che a loro richiesta desse del brodo; ma solo ad essi affinchè non ne venissero abusi.
” Egli intanto cadeva ammalato e dovette tenere il letto per aver mangiato di quella polenta. Con tutto ciò non cangiava sistema ”.
Coll'infermità, nuove contraddizioni e quindi nuovi affari sopraggiunsero. Il piccolo Seminario di Mirabello, come dipendenza dall'Autorità ecclesiastica di Casale, riconosciuto e approvato da Mons. di Calabiana, non aveva chiesta l'autorizzazione dal Regio Provveditore degli studi di Alessandria, nè gli aveva data notizia della sua apertura. Il Governo nei piccoli seminari lasciava liberi i Vescovi nella disciplina e nel dare agli alunni quell'istruzione che avessero creduta conveniente allo scopo delle vocazioni ecclesiastiche, e non esigeva diplomi per gli insegnanti. Si riserbava solamente di ordinare ispezioni sia per l'igiene, sia per accertare, che fossero rispettate le istituzioni patrie. Ora il Regio Provveditore, l'avv. Cav. Damasio Ambrogio, avendo incontrato a S. Salvatore una camerata di alunni, e chiesto a quale Istituto appartenesse, venne a conoscere l'esistenza della casa di Mirabello. Chiese tosto per lettera spiegazioni a D. Rua, che ne scrisse a D. Bosco. D. Ruffino ebbe l'incarico di rispondere.
 
Torino, 16 Gennaio 1864.
 
Carissimo Confratello,
 
D. Bosco non può risponderti per quello di cui gli scrivesti, perchè tiene il letto da tre giorni. La cagione di questo male fu un'indigestione; ma ora sta meglio e credo che domani si leverà.
Egli intanto è di parere, che per l'affare del Provveditore  Mons. Vescovo di Casale scrivesse egli stesso a questo Provveditore e gli dicesse che se si tollerano i seminarii aperti da lungo tempo, vuole dire che non c'è legge in contrario. Ad ogni modo se il Sig. Provveditore crede che un Vescovo non possa aprire un piccolo seminario, favorisca di dirglielo, ed allora egli si indirizzerà all'Autorità Superiore, affinchè gli sia concesso per favore, quanto gli vien negato a titolo di legge. Ed in tal caso tu prega il Sig. Provveditore ad usare espressioni benevoli, qualora venisse richiesto di schiarimenti analoghi.
D. Bosco, siccome si trova in speciali relazioni coll'Ispettore d'Alessandria, gli scrisse una lettera relativamente alle scuole elementari, ed intanto lo pregò d'investigare l'ultima volontà del Provveditore. Questa lettera la scrisse mercoledì scorso, ed attende a giorni una risposta. Appena poi potrà, scriverà anche una lettera Monsignor Vescovo di Casale.
Abbiamo avuto in questi giorni la morte del giovane Besucco Francesco. Le circostanze di essa furono così preziose al cospetto dei Signore, che D. Bosco giudica bene scriverne la biografia.
Il Chierico Do sta molto male; ha già ricevuto i SS. Sacramenti, anche l'olio santo, e forse i suoi giorni non saranno più molti ... .
 
D. RUFFINO DOMENICO.
 
Il Provveditore però giudicava diversamente e non voleva riconoscere nel Collegio di Mirabello il carattere di piccolo seminario. D. Rua ebbe molti fastidi per ribattere le sue contestazioni, ma non moveva passo senza aver prima consultato D. Bosco, del quale noi abbiamo la seguente lettera:
 
Caro D. Rua,
 
Va bene che tu vada col Conte Radicati dal Provveditore. Il tenore dei tuo discorso sarà che ti rincresce dei disturbo datogli, e lo ringrazi della cortesia usata, che Monsignore conta il piccolo Seminario di Mirabello, come una continuazione di quello stato chiuso o meglio occupato per uso militare in Casale. Che questo Seminario di Mirabello incontrava molte difficoltà; ma la beneficenza venne in aiuto; Monsignore chiese a D. Bosco in Torino il personale, che gli fu somministrato e provveduto gratuitamente, e gratuitamente si occupa tuttora.
Il resto te lo dirà il Signore. Ho parlato ad A.... e credo farà meglio il suo dovere. Hai fatto bene come ti sei regolato coi medesimo.
A D. Crova ho già scritto io in proposito.
Nella prima metà di quaresima spero di poter fare una gita costì, ma di ai tuoi giovani che io voglio che stiano molto allegri in quel giorno.
Dio benedica te, il prefetto, i maestri, gli assistenti e tutti i giovani. Amen.
 
Torino, 5 Febbraio 1864.
 
Tuo aff.mo in G. C
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
Finiremo con notare che le lunghe pratiche coll'Autorità scolastica di Alessandria ebbero allora ottimo esito per D. Bosco. Ma pur troppo che più tardi il Provveditore Prof. Gioachino Rho, benchè suo condiscepolo a Chieri, non volle riconoscere in quel collegio la qualità di piccolo Seminario e lo costrinse inesorabilmente a provvedersi di Professori con diploma. Altre noie ed altro danno ebbe D. Bosco fin dal principio, anche dall'agente delle tasse che gli impose e mantenne una grave contribuzione di ricchezza mobile sulle esigue pensioni che pagavano gli alunni. Ma torneremo a parlare altrove di queste contrarietà sopportate dal Servo di Dio.
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