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Capitolo 57

La classe degli studenti - Le scuole private dei professori D. Picco e Bonzanino - I cappotti dei militari - Nuove testimonianze delle meraviglie di D. Bosco nell'Oratorio - Gli scolari cittadini delle scuole private e D. Bosco - La festa di S. Matteo ed una sassaiuola - Influenza salutare di D. Bosco su alcuni insegnanti - Elogi meritati dagli studenti dell'Oratorio - Cordialità tra i figli del popolo e quelli dei signori.


Capitolo 57

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

A mano a mano che nell'Oratorio aumentavano i ricoverati artigiani, andava pure ingrossando la categoria degli studenti. La istituzione di questa classe fu un'opera provvidenziale e, possiamo dirlo, ispirata da Dio. Tra i giovani, che dal Governo, dai Municipii, dai Parrochi e dai parenti venivano raccomandati a D. Bosco, non pochi appartenevano a famiglie già benestanti o di civile condizione, ma per rovesci di fortuna cadute nella miseria. A questi giovanetti, allevati già nelle agiatezze della vita, l'apprendimento di un'arte faticosa o di un ruvido mestiere, non tornava sempre nè  il più gradito nè  il più conveniente. Altri poi mostravansi forniti di sì raro ingegno, che pareva un peccato lasciarlo come sepolto in una officina; giovani siffatti, se fossero stati coltivati nella scienza, avrebbero potuto col tempo prestare alla civile società servizi assai più importanti. Ora D. Bosco, che, per quanto poteva, acconciava la carità sua a seconda del bisogno, della convenienza e della propensione, destinava cotali ragazzi piuttosto allo studio, che non ad un manuale lavoro. Per questa guisa la famiglia degli studenti, che nel 1850 era composta di soli dodici, nel 1853 venne ad eguagliare quella degli artigiani.

Con questa istituzione D. Bosco rese il suo Oratorio benefico ad un maggior numero di povere famiglie; coltivò bellissimi ingegni, che altrimenti, perchè privi di mezzi, sarebbero rimasti nella rozzezza; diede alla civile società non solo dei buoni operai ed abili artisti, ma degli istruiti impiegati; e, quello che più conta, inaugurava fin d'allora un vivaio di chierici per le diocesi, e di suoi aiutanti per l'Oratorio, coi quali doveva estendere il benefizio della civile istruzione e della morale educazione a migliaia di poveri fanciulli nell'uno e nell'altro emisfero.

Noi abbiamo già narrato come D. Bosco, non potendo più attendere a far scuola di latinità, nell'anno scolastico 1851-52 avesse, incominciato a mandare tutti i suoi studenti dei corsi classici alla scuola privata del Sig. Cav. Giuseppe Bonzanino, professore di ginnasio inferiore, indi a quella del Sacerdote D. Matteo Picco, professore di rettorica. Questi due egregi signori si prestarono di buon cuore a quell'atto di carità, apersero gratuitamente i loro corsi agli alunni di D. Bosco e si resero altamente benemeriti del nostro Oratorio. Essendo uomini esimii, di tratto squisito, aspetto venerando, e dotti nelle materie che insegnavano, le loro scuole erano molto stimate nella città: gli allievi le frequentavano con grande vantaggio, e le famiglie agiate andavano a gara nell'affidar loro i proprii figli.

D. Bosco mandava i suoi studenti divisi in due squadre, perchè Don Picco abitava presso Sant'Agostino e il prof. Bonzanino a fianco di San Francesco d'Assisi. Una squadra era composta degli alunni delle tre classi ginnasiali, l'altra di quelli che frequentavano l'umanità e la rettorica: e dovevano nell'andare e nel tornare tenere un itinerario rigorosamente loro prescritto. Questo faceva allungare di un buon tratto la via, ma i giovani obbedivano ciecamente senza saperne il perchè ; e se qualche volta lo chiedevano, D. Bosco si contentava di rispondere: Corrumpunt bonos mores colloquia prava. Lo seppero più tardi, cresciuti in età, il motivo di questa prescrizione. Il Ch. Rua aveva l'incarico di sorvegliarli nel tragitto ed egli andava a scuola di filosofia dai professori del Seminario e teologi Mutura e Farina. Il Can. Berta ricordava sempre con gran piacere come gli avesse fatto talora ripetizione delle lezioni udite.

Giunti gli studenti là all'Istituto, essi avevano per condiscepoli i fanciulli delle prime famiglie di Torino o per nobiltà o per censo. È da ammirare come la Divina Provvidenza li conducesse in luogo ove potessero stringere famigliarità con tanti giovani destinati ad occupare un giorno cariche eminenti nello Stato e nel Municipio; e nei quali i ricordi incancellabili della fanciullezza li avrebbero resi propensi ad aiutarli quando avessero chiesto il loro appoggio. Oltre a ciò, riuscendo i giovani dell'Oratorio gli ottimi della scuola, per virtù, per ingegno, per studio e per diligenza, si spargeva fama di loro bontà nelle splendide sale di quei signori che erano o sarebbero divenuti in avvenire i loro benefattori. Fin dal principio fu eziandio cosa che recò grande meraviglia, che cioè nessuna delle famiglie torinesi ritirasse i suoi figli da scuole che accoglievano quei poverelli, nessuna ne fece neppur lamentanze, anzi tutte videro volentieri l'operato dei professori. È da notarsi però che quelli non erano ancora i tempi di democrazia.

Ma nello stesso tempo quanto è degna di lode la carità cristiana e dirò, eroica, di D. Picco e del Cav. Bonzanino, i quali a rischio di veder disertate le loro scuole dal fiore della cittadinanza, che loro procurava onorevole sostentamento, si azzardavano a porre sugli stessi banchi giovani di umile condizione, vestiti dimessamente, a fianco di signorini tutti lindi, in abiti fini, conoscitori della propria posizione sociale. L'unico riguardo che aveva il prof. Bonzanino era quello di recarsi sulla porta di sua casa e far deporre a quei di Don Bosco i cappotti da soldato che vestivano come soprabito, per ripararsi dalla pioggia o dalla neve.

Questi cappotti erano un dono fatto a D. Bosco dal Ministro della guerra; ma quantunque difendessero la persona dalle intemperie, erano tarlati; e avevano più forma di coperta che di vestito, e a chi li indossava davano quasi l'aria di contrabbando o di caricatura. Infatti Tomatis, recandosi un giorno a scuola di disegno con quella divisa, sedutosi su una banchina dei viali, tosto gli si avvicinarono due guardie chiedendogli le carte di riconoscimento. Tomatis rispose loro ingenuamente di aver con sè  carta di disegno, e senz'altro la estrae di saccoccia. Alle domande, chi è , dove sta, che cosa fa, replicò, chiamarsi Tomatis, essere studente e abitare con D. Bosco in Valdocco. Interrogato come facesse D. Bosco a mantenere i suoi ragazzi, Tomatis pronunciò una sola parola: - La Provvidenza!

- Ma che Provvidenza! esclamarono le guardie con un sorriso beffardo.

E Tomatis: - Se non ci fosse la Provvidenza, neppure essi, signori miei, starebbero così bene in gamba. Ed è quella stessa che mi provvede questo cappotto. - Le guardie, avute alcune altre spiegazioni, lo lasciarono in pace.

Que' cappotti e que' berretti da militare sul principio furono causa di qualche ammirazione indiscreta, di qualche dileggio; ma poi tutto passò e per anni molti i giovani di D. Bosco li vestivano stando in casa od uscendo fuori. Tuttavia il professore Bonzanino non li aveva, e con ragione, trovati presentabili in una società di signorini, facili a ridere e a scherzare.

Gli studenti di D. Bosco nel primo anno furono, come si disse un piccol numero, ma a poco a poco essendo cresciuti fino a 100, finirono quasi con riempire le sale di chi dalle scuole traeva il necessario per vivere. D. Bosco però non ometteva di far pagare da quei parenti che potevano o da coloro che aveangli raccomandato un fanciullo, la retta mensile prescritta dal programma. Ed egli stesso prese a retribuire quei professori con una annualità, prima di 50 lire e poi di somme maggiori, secondo che le sue finanze gli permettevano.

E quei buoni insegnanti non respinsero mai un giovane raccomandato da D. Bosco, il quale per altro sapeva domandare con tanta cordialità, da vincere, se vi fosse stata, ogni riluttanza. Valga come prova una lettera da lui scritta al professore Bonzanino.

 

Torino, 28 dicembre 1853.

 

Ill.mo e Car.mo Sig. Professore,

 

Ho ancora due giovani da mandare a scuola: uno di nome Carossi, e credo che convenga alla scuola del Signor Pasquale avendo fatto la terza elementare, e desiderando di cominciare il latino; questi paga quel tanto che occorre. L'altro di nome Anfossi, che parmi si possa unire con quelli di 2° grammatica. Esso mi fu mandato dalle Signore Losana, sorella e cognata del Vescovo di Biella, le quali spero faranno pure quanto occorre per la spesa di scuola.

Resta a vedere se può ancora nasconderli in qualche cantuccio per sentire le preziose sue lezioni. Cominci a vederli, poscia farà in Domino quel che meglio le parrà.

Il Signore benedica Lei e tutta la rispettabile famiglia, e ringraziandola di quanto fa per questi miei poveri figli, me le offro in quel che posso.

Di V. S. Ill.ma e Car.ma

Obbl.mo servitore

Sac. GIO. BOSCO

 

Anfossi Giovanni Battista, giovanetto di 13 anni, il 22 dicembre era stato condotto nell'Oratorio dalla sorella di Mons. Losana. Tutta Torino conosce l'esimio Sacerdote, Canonico onorario della Collegiata della SS. Trinità, Dottore in Belle Lettere e Filosofia, Cavaliere di S. Maurizio e Lazzaro. Orbene; egli così ci esponeva verso il 1900 come fin dai primi istanti concepisse una grande stima di Don Bosco. “ Nel 1853 quando entrai nell'Oratorio, ivi era fama che D. Bosco avesse operati miracoli. I più anziani de' miei compagni mi narravano, ed era ferma persuasione in tutti noi ed in quei giorni eravamo 51, non compresi i chierici, che tali fatti fossero avvenuti: il morto risuscitato, le castagne e le ostie moltiplicate. Eziandio narravano della distribuzione del pane, che molte volte soleva farsi nell'Oratorio, nella occasione di una comunione generale, insieme con qualche companatico. In tale circostanza solevano intervenire a centinaia anche i giovani esterni, il cui numero non si poteva prevedere. Eppure quantunque talora in casa non si avesse pane a sufficienza, ce n'era stato per tutti.

”Ho conosciuto anche Mamma Margherita; ammirai la sua vita di sacrifizio, occupata continuamente del bene dei fanciulli. Noi quando abbisognavamo di qualche cosa, eravamo soliti di rivolgerci a lei; ed essa potendo, tosto ci aiutava e ci somministrava il necessario, esortandoci sempre alla preghiera ed alla virtù. Era venerata da quanti venivano all'Oratorio, anche da persone di alta condizione”.

Il professore Bonzanino lo ammise alle sue lezioni col giovanetto Carossi.

D. Bosco s'intratteneva sovente con questi buoni professori, sui varii classici latini, e raccomandava loro di correggere sempre le copie dei compiti, di notarne gli errori e porli sott'occhio agli alunni, giudicando essere questo il modo migliore per far imparare con perfezione una lingua. Questo avviso lo ripeteva più tardi e con insistenza agli insegnanti dell'Oratorio. E non abbandonava i suoi ragazzi nel tempo che si presentavano agli esami, o in tali scuole private o in quelle governative. Egli andava a visitare gli esaminatori, i quali per loro bontà lasciavangli vedere i lavori per iscritto de' suoi allievi. Ei leggevali attentamente, esaminava le correzioni, difendeva certe improprietà che erano state giudicate errori. Ciò faceva con tanta erudizione, da farsi ammirare da que' professori, i quali esclamavano che mai si sarebbero immaginati che D. Bosco avesse tanta profondità e varietà di cognizioni nella letteratura latina.

D. Bosco poi ricompensava D. Picco e Bonzanino il meglio che poteva, estendendo le sue cure affettuose a tutti i loro discepoli. Non tenendosi in quelle classi lezioni di catechismo e di religione, egli nel 1853 visitavale regolarmente ogni sabato, e continuò per varii anni successivi. Al suo entrare in una scuola il professore usciva, ed egli per un'ora si intratteneva cogli scolari che ivi stavano in pensione o venivano dalle loro case. Raccontava loro un fatto di storia ecclesiastica, una parabola, un aneddoto edificante, ma tutto indirizzato al fine di condurre quei giovanetti a confessarsi sovente e bene. Spiegava eziandio qualche risposta del catechismo.

Li accoglieva poi nell'Oratorio per le confessioni mensili, ed esercitava sopra loro e anche su quelli delle famiglie più illustri della città una salutare influenza. Ancora di questi giorni ci narrava il Prof. Can. Anfossi: “Odo frequentemente il racconto di questi fatti, con sentimenti di profonda gratitudine a D. Bosco, da persone illustri e della prima nobiltà che allora frequentavano meco queste scuole e udivano da lui le istruzioni religiose e da lui si confessavano”.

Tutti questi giovanetti avevano una gran confidenza in D. Bosco ed eziandio i loro parenti, sicchè a lui riuscì più volte di comporre la pace in questa o in quella distinta famiglia, turbata per qualche malinteso od anche per l'indole caparbia o focosa di un figlio. Un certo Cal..., che da fanciullo frequentava l'Oratorio, in quest'anno, rimproverato aspramente dal padre, fuggiva di casa e veniva in Valdocco. Don Bosco lo ritenne con sè , calmò la sua irritazione, ne diede avviso al padre, preparò il giovane a fare una buona confessione, e dopo un mese lo ricondusse in famiglia, ivi accolto a braccia aperte. Fu poi un uomo eccellente, studiò da avvocato e divenne consigliere alla Corte d'Appello.

Famigliari ciano pure le attinenze di D. Bosco coi loro maestri, cui professava somma riverenza e gratitudine. A tale proposito gli occorse un episodio semiserio, degno di memoria.

D. Bosco era solito passare il 21 settembre nella villeggiatura di D. Matteo Picco, per celebrarne l'onomastico, avendo anche quel professore il privilegio della cappella domestica. In quest'anno 1853, alla sera della vigilia di tale festa, vi si incamminò col giovinetto Francesia Giovanni, il quale aveva tra le mani un bel fascio di razzi che si dovevano mandare in aria sul cominciar della notte nel giorno seguente e in saccoccia un augurio poetico che avrebbe letto sul finire del pranzo. Usciti dalla barriera di Casale ed inoltratisi ai piedi del colle di Superga, per la valle di S. Martino, incominciavano a salir le colline, sopra una delle quali in posizione amenissima biancheggiava la casa del professore. Con D. Bosco non si stava mai in ozio; egli aveva sempre qualche cosa a dire, qualche progetto da proporre; e rendeva la sua compagnia dilettevole e vantaggiosa. Giunto al luogo detto di S. Bino ed Evasio, egli narrava a Francesia la vita meravigliosa di questi due santi e il giovane era tutto intento ad ascoltarlo. In questo mentre ecco sbucare fuori da un gruppo di alberi una decina di giovanetti ed assalire D. Bosco a sassate. Erano soliti a far tale scherzo a chiunque passasse per quella via e specialmente ai preti. D. Bosco si voltò, e tranquillamente mosse incontro a quegl'insolentelli, che gli volsero le spalle correndo. D. Bosco allora gridò loro dietro: - Fermatevi! Sentite, sentite: venite qui; io non voglio mica battervi; non voglio sgridarvi.

I giovani a queste voci si fermarono.

- Ho una medaglia da regalarvi! continuava D. Bosco. E cavandola fuori, la faceva vedere.

I pi√π arditelli gli si avvicinarono, dicendo: - Non siamo noi che abbiamo lanciate le pietre. Sono quegli altri laggi√π, che si sono nascosti dietro a quella fila di gelsi.

- Venite qui anche voi, gridò D. Bosco ai più lontani. Oh! siamo amici, e lo so bene che avete fatto per ridere. E tutti corsero intorno a lui.

- Ora ditemi, continuò D. Bosco: vi piacciono le ciliege?

- Oh sì! sono capace di mangiarne un rubbo, gli risposero.

(D. Bosco diceva che questi motti scherzevoli ed altri simili riuscivano sempre in tali circostanze a produrre un ottimo effetto, e che egli, collo spendere qualche soldo in frutta, si rendeva affezionati i monelli).

- E anche cogli ossi? soggiunse D. Bosco.

- Cogli ossi e tutto.

- Ditemi ancora; alla domenica andate alla messa e al catechismo?

- Sissignore!

- E dove?

- Andiamo alla parrocchia, risposero alcuni; ed altri: Andiamo all'Oratorio di D. Bosco in Vanchiglia, dove nelle feste solenni ci danno per colazione pane e salame.

E D. Bosco sorridendo: - Come! Voi andate all'Oratorio di D. Bosco, e prendete a sassate D. Bosco?

- Lei è D. Bosco!

- Certamente: sono io!

- Oh D. Bosco, D. Bosco!

Intanto i parenti dei ragazzi erano usciti dalle case ed avendo ascoltato quel dialogo, presero ad apostrofare i loro figli: - Ah biricchini, briganti, baloss, tirate le pietre neh! Avrete da fare con noi... Scusi, signor D. Bosco!

- Oh no, rispondeva loro D. Bosco; non li sgridate questi buoni figliuoli: non facevano mica con cattiva intenzione. E ne prendeva le difese, sapendo che queste maniere piacevano estremamente ai genitori ed ai figli, mentre le parole brusche avrebbero irritati gli uni e gli altri.

D. Bosco però nel congedarsi esortò i genitori a custodire i loro buoni ragazzi, ad osservare che adempiessero i doveri di buon cristiano, ed a raccomandar loro il rispetto ai religiosi, poichè educati in questo modo avrebbero rispettato anche i loro parenti e li avrebbero aiutati nella loro vecchiaia.

Era ormai notte fatta e D. Bosco, salutata quella folla col togliersi il cappello, continuò il suo cammino. Mentre si allontanava, la gente formando crocchi presero a commentare ammirata le parole di D. Bosco, e la lezione produsse il suo effetto. Infatti D. Picco, il quale più volte era stato preso a sassate in quella valle e soleva avvisare chi andava a visitarlo in villa che prendesse altra via, da questo giorno con sua meraviglia, non ebbe più in quel luogo a soffrire il minimo sgarbo. E quando seppe il caso avvenuto a D. Bosco, ei disse e ripetè : - Ora non mi stupisco più di tal cambiamento. D. Bosco solo era capace di operarlo!

Un vantaggio grande recava a questi e ad altri professori, specialmente se preti, anche il solo trattenersi sovente con D. Bosco. Senza che quasi se ne avvedessero, smettevano un fare alquanto secolaresco, divenivano più esatti nella vita spirituale, sapevano vincere le bizzarrie dei loro naturali. Il contegno di D. Bosco e la sua prudente parola sortivano sempre questi consolanti effetti. Noi potremmo recarne molti fatti in prova, ma ci contenteremo di esporre ciò che a noi raccontava il Prof. Francesia.

“Ho conosciuto un bravo e buon professore che era sacerdote, e come si accostumava tanti anni fa, invece che colla veste talare andava in curtis, cioè vestiva un abito che giungeva appena alle ginocchia. I preti amanti della regola lo portavano lungo sino a metà delle tibie. Bastò che D. Bosco entrasse in relazione con quel professore, che subito, senza che alcuno gliene facesse parola, allungò le falde dell'abito, e d'anno in anno fino ai piedi, da non lasciare alcuna differenza tra lui e chi portava la veste ecclesiastica. ”Il medesimo aveva un carattere così impetuoso, che in certi giorni, malgrado gli sforzi che egli si faceva, era anche di molestia a que' di casa. Allora guai ad urtarlo, guai a contraddirlo. Un dì mi trovavo presso di lui mentre stava per prendere il caffè. La sorella si era dimenticata di portare il cucchiaino; ma egli invece di fare un finimondo, secondo il solito, si volse a lei con aria sorridente, e facendo conca della mano le disse: - E quell'arnese pel zucchero? - Ciò fece con tale garbo e novità che la sorella, dopo averlo servito, mi disse segretamente: - Veda; effetto della frequenza con D. Bosco! Se quanto mi avvenne stamattina fosse capitato alcun tempo fa, per oggi non sarebbe più comparso il sole. Adesso invece è tutt'altro! Scherza che è un piacere e noi si vive in pace!”.

Alla loro volta gli studenti dell'Oratorio erano oggetto di ammirazione per la loro edificante condotta, in mezzo ai compagni. Amavano D. Picco e Bonzanino e ne erano cordialmente riamati. Questi due professori si possono chiamare i patriarchi dei maestri nelle scuole salesiane, poichè istruirono un bel numero di quelli che il Signore destinava ad essere collaboratori di D. Bosco nell'insegnamento, a vantaggio della gioventù. Essi gloriavansi di avere scolari, quali Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti e altri che erano sempre i primi nella classe per studio, diligenza, profitto, e che col loro esempio stimolavano i compagni di famiglie cittadine a corrispondere meglio ai precetti dei loro istitutori. E nella loro tarda età ricordavano sempre con grande piacere come i giovani dell'Oratorio li compensassero delle pene, degli scoraggiamenti ad essi cagionati dalla poca corrispondenza di altri allievi.

Tuttavia fra tutti gli alunni, ricchi e poveri, regnava la più gioconda armonia, poichè i figli di D. Bosco erano amati dai compagni. Comuni erano le feste. Gli uni accorrevano a quelle dell'Oratorio, gli altri partecipavano a quella delle scuole private di rettorica e grammatica, che celebravasi solennemente in onore di S. Luigi Gonzaga nella Regia Basilica Magistrale. La religione era ancora l'ispirazione e la dominatrice nell'educazione, e S. Luigi il patrono e modello degli studenti. In occasione di questa festa i nostri studenti, con quelli delle scuole private, erano soliti comporre e stampare alcuni sonetti per esprimere la loro divozione per Colui che era stato denominato angelo in carne umana. D. Bosco conservò quelli stampati nel 1854.

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