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Capitolo 56

Giovanni subisce gli ultimi esami di teologia - Magnifiche lodi a lui tributate dai condiscepoli - Gli esercizi spirituali in preparazione all'ordinazione sacerdotale - La prima Messa di D. Bosco - L'efficacia della parola - Sublimi ammonimenti di mamma Margherita.


Capitolo 56

da Memorie Biografiche

del 13 ottobre 2006

Ormai siamo giunti al termine della prima parte del nostro racconto. Giovanni Bosco a grandi passi si avanza verso il compimento de' suoi ardenti voti, verso il giorno sospiratissimo della sacerdotale sua ordinazione, che gli schiuderà dinnanzi un immenso orizzonte per la salute delle anime. Egli era languido, bisognoso d'aiuto, privo di forze e ricco di miseria; ma l'occhio di Dio lo mirò benignamente, lo sollevò dal suo abbattimento e gli fe' alzare la testa; motivo per cui noi vedremo molti restare ammirati e rendere gloria al Signore.

Rientrato in seminario, Giovanni, si presentò all'esame che si suol dare sul principiar dell'anno ed ottenne, secondo il solito, un optime, come risulta dalle memorie dei voti meritati da ogni seminarista scritte dal Prof. Appendini e che noi conserviamo.

Una piccola umiliazione però preparavagli il Signore, prima di lasciar il seminario. Nel secondo esame, che diede il 17 febbraio 1841, non conseguì che fere optime. Essendo esaminato dal Teol. Dott. Lorenzo Gastaldi, interrogato sopra un punto che o non aveva avuto tempo a studiare o che forse non credeva materia d'esame, senza scomporsi improvvisò e abborracciò un canone del Concilio di Trento con quelle frasi che gli vennero in mente. - E proprio così che dice il Concilio? chiese Gastaldi maravigliato di tanta franchezza. D. Bosco si mise a ridere sicchè fe' ridere pure l'esaminatore. Al Sabato Sitientes del 1841, avanti la Domenica di Passione venne promosso al Diaconato. Il 15 maggio subiva l'esame per l'ultima ordinazione e riportava un plus quam optime. Era antica consuetudine nel seminario di Chieri, che i superiori nello scadere di ogni anno scolastico si radunavano a concilio e addivenivano ad un diligente scrutinio sulla condotta di tutti e singoli i seminaristi, di cui prendevasi nota da conservarsi negli archivi. Or bene nei registri della Curia di Torino ove si legge l'elenco dei chierici dell'anno 1841, all'articolo osservazioni, a fianco del nome Giovanni Bosco sta notato: “Zelante e di buona riuscita”.

L'anno scolastico era finito e per Giovanni si trattava di uscire definitivamente dal seminario. Quello fu per lui un giorno di vera costernazione. “I superiori mi amavano, così scrive egli stesso, e mi diedero continui segni di benevolenza. I compagni mi erano affezionatissimi. Si può dire che io viveva per loro, essi vivevano per me. Perciò mi tornò dolorosissima quella separazione, separazione da un luogo dove era vissuto per sei anni, dove ebbi educazione scienza, spirito ecclesiastico e tutti i segni bontà e di affetto che si possano desiderare”.

E qui, prima di passar oltre, ci sia concesso di raccogliere, come fiori stretti in un mazzo, le attestazioni che fecero a noi in lode di D. Bosco i compagni di seminario. È un vero plebiscito di affetto, di stima, di venerazione pel nostro Giovanni. D. Antonio Giacomelli: - Fin dai primi giorni che io lo conobbi in seminario, lo considerai come se fosse già prete per la sua assennatezza e morigeratezza. - Il Teol. Carlo Allora: - In seminario diede esempi preclari di pietà e di obbedienza. Tanta era la stima che di lui avevano i chierici, che lo consideravano più che compagno, superiore. Noi fin da quei tempi lo tenevamo come santo. - D. Francesco Oddenino: - Il chierico Bosco occupava minutamente il suo tempo; era dato ad una assidua lettura, i compagni soleano andargli intorno per interrogarlo su disparate materie, essendo sorprendente la sua erudizione; godeva presso tutti grande stima di virtù e di pietà. - Il teologo Albino Massa, parroco di Corio: - In seminario fu il modello dei chierici. - D. Vincenzo Sosso, canonico onorario della collegiata di Moncalieri: - In seminario lo chiamavamo il Padre, tanta era la sodezza, compostezza e regolarità della sua vita. - D. Grassini, prevosto di Scalenghe: - D. Bosco era paciere tra compagni e compagni. - Il Teol. D. Giovanni Ferrero, parroco di Pontedarano e poi canonico arciprete del duomo di Biella: - Molti chierici compagni di D. Bosco mi assicurarono che egli in seminario tenne una condotta lodevolissima e che era in Chieri un Bosco già fin d'allora molto prezioso. - Molti altri ci ripeterono: Questo nostro amabile compagno in seminario era tenuto in gran conto per santità di vita. - D. Bosio, parroco di Levone Canavese: - Fui suo compagno per cinque anni in seminario e altri cinque tra Convitto e Rifugio; e non scopersi mai in lui il minimo difetto: anzi ogni virtù la vidi da lui praticata con perfezione. - Mons. Giov. Battista Appendini, suo professore di teologia: - Il chierico Bosco per pietà e per studio fece molti progressi in seminario, senza averne le apparenze, a cagione di quella sua bonarietà che fu poi il carattere di tutta la sua vita. - Un chierico salesiano, che, ascritto nella milizia, faceva il campo a Giaveno, avendo udito che il teologo Arduino, canonico prevosto, vicario foraneo in quella collegiata, era stato maestro di D. Bosco in teologia nel seminario di Chieri, si fece un dovere di andarlo a visitare, dichiarandogli la sua condizione e presentandogli i suoi ossequi. - D. Giovanni! esclamò quel venerando sacerdote colle lagrime agli occhi; io lo ricordo, rammento ancora quando era mio scolaro; era pio, diligente, esemplarissimo. Certo nessuno a quel tempo avrebbe pronosticato di lui quel che è adesso. Ma debbo dire che il suo dignitoso contegno, l’esattezza, con cui adempiva i doveri suoi di scuola e di religione, erano cosa esemplare. Come sta ora? Oh mi ricordi a lui quando ritorni a Torino e le sue preghiere mi ottengano la grazia di ben morire!

Il giorno 26 maggio, festa di S. Filippo Neri, D. Bosco veniva a Torino e incominciava gli esercizi spirituali nella Casa dei Signori della Missione. “Li fece in modo edificante, afferma D. Giacomelli; era compreso in modo straordinario delle parole del Signore, che udiva nelle prediche, e specialmente da quelle espressioni che indicavano la grande dignità che avrebbe fra poco conseguita: - Chi salirà al monte del Signore? o chi starà nel suo santuario? Chi potrà dirsi degno di essere ministro di Dio e trattare i suoi sacrosanti e tremendi misteri? - E il chierico Bosco, parlando co' suoi confidenti, si mostrava tutto compreso di ciò che risponde il Salmista alla suddetta interrogazione: - Colui che ha pure le mani e mondo il cuore e non ha ricevuta invano l'anima sua, facendola servire a Dio e non alle passioni. Questi avrà benedizione dal Signore e misericordia da Dio suo Salvatore.

In un suo quadernetto troviamo scritto quanto segue “Conclusione degli esercii fatti in preparazione alla celebrazione della prima mia santa Messa: Il prete non va solo al cielo, nè va solo all'inferno. Se fa bene, andrà al cielo colle anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se dà scandalo, andrà alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo. Quindi metterò ogni impegno per osservare le seguenti risoluzioni:

” 1. Non mai far passeggiate, se non per grave necessità, visite a malati, ecc.

” 2. Occupar rigorosamente bene il tempo.

” 3. Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre, quando trattasi di salvar anime.

” 4. La carità e la dolcezza di S. Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa.

” 5. Mi mostrerò sempre contento del cibo, che sarà apprestato, purchè non sia cosa nocevole alla sanità.

” 6. Beverò vino adacquato e soltanto come rimedio: vale a dire solamente quando e quanto sarà richiesto dalla sanità.

” 7. Il lavoro è un'arma potente contro ai nemici dell'anima; perciò non darò al corpo più di cinque ore di sonno ogni notte. Lungo il giorno, specialmente dopo il pranzo, non prenderò alcun riposo. Farò qualche eccezione in caso di malattia.

” 8. Ogni giorno darò qualche tempo alla meditazione ed alla lettura spirituale. Nel corso della giornata farò breve visita, o almeno una preghiera al SS. Sacramento. Farò almeno un quarto d'ora di preparazione ed altro quarto d'ora di ringraziamento alla santa Messa.

” 9. Non farò mai conversazioni con donne, fuori del caso di ascoltarle in confessione o di qualche altra necessità spirituale.

Queste memorie furono scritte nel 1841. Nel noto suo manoscritto D. Bosco scrive ancora quanto segue:

“Il giorno della mia ordinazione era la vigilia della SS. Trinità, 5 di giugno, e fu tenuta da Mons. Arcivescovo Luigi Fransoni nell'episcopio. La mia prima Messa l'ho celebrata nella chiesa di S. Francesco d'Assisi, dove era capo di conferenza D. Giuseppe Cafasso, mio insigne benefattore e direttore. Era ansiosamente aspettato in mia patria, ove da varii anni non si era più celebrata Messa nuova; ma ho preferito celebrarla in Torino senza rumore, all'altare del S. Angelo Custode, posto in questa chiesa dal lato del Vangelo. In questo giorno la Chiesa universale celebrava la festa della SS. Trinità, l'archidiocesi di Torino quella del Miracolo del SS. Sacramento, la chiesa di S. Francesco di Assisi la festa della Madonna delle Grazie, quivi onorata da tempo antichissimo, e quello posso chiamarlo il più bel giorno della mia vita. Nel memento di quella memoranda Messa ho procurato di fare devota menzione di tutti i miei professori, benefattori spirituali e temporali, e segnatamente del compianto D. Calosso, che ho sempre ricordato come grande ed insigne benefattore. È pia credenza che il Signore conceda infallibilmente quella grazia, che il nuovo sacerdote gli domanda celebrando la prima Messa: io chiesi ardentemente l'efficacia della parola, per poter fare del bene alle anime. Mi pare che il Signore abbia ascoltato la mia umile preghiera”,

D. Bosco nella sua umiltà dice semplicemente mi pare; ma quanti lo conobbero, poteron vedere come abbia ottenuta con meravigliosa abbondanza la grazia dimandata. Nel corso del suo ministero, sia in privato sia in pubblico, parlando, predicando, confessando, talmente s'impadroniva dei cuori, da trarli a Dio e spingerli a virtuose e generose risoluzioni, mettendo in molti i germi di una soda santità, feconda di grandi opere. Colla sua parola ammaliava, diremmo, i giovanetti: li faceva buoni se erano cattivi, e i buoni li portava nella via della perfezione, specialmente proponendo loro l’imitazione di S. Luigi Gonzaga, che loro aveva dato per protettore. Un numero infinito di volte un semplice suo motto operava portenti, mutando istantaneamente le volontà e suscitando meravigliose vocazioni religiose.

E come poteva essere altrimenti, se, oltre l'intrinseco infinito valore dell'incruento sacrificio, oltre la convenienza indubbia di una grazia necessaria per la sublime missione intimatagli dallo stesso Divin Redentore, D. Bosco aveva celebrati i santi misteri con quell'ardore di fede, speranza, carità, che solo alberga ne' cuori de' più intimi amici di Dio? Ne è prova luminosa l'amore di serafino, col quale egli continuò a celebrare la santa Messa fino all'estremo di sua vita. Moltissimi ci affermano ciò che noi d'altronde provavamo ogni giorno. - Abbiamo assistito tante e tante volte alla sua Messa, ma in quel frattempo sempre s'impossessava di noi un soave sentimento di fede, nell'osservare la divozione che traspariva da tutto il suo contegno, la esattezza nell'eseguire le sacre cerimonie, il modo di pronunciare le parole e l'unzione onde accompagnava le sue preghiere. - E l'edificante impressione ricevuta non cancellavasi mai più. Ovunque andasse, eziandio fuori d'Italia, il sapersi l'ora e il luogo dove D. Bosco celebrava, bastava per radunare gente intorno al suo altare. Per soddisfare l'ardente desiderio di gustare anche una volta questa grande consolazione, molti fecero, con questo solo scopo, lunghi viaggi per venire a Torino; ove, allorchè D. Bosco usciva parato dalla sagrestia per avviarsi alla cappella di S. Pietro, centinaia di persone divote, sparse per la chiesa, lasciavano i loro posti per aggrupparsi intorno a lui. - È un santo! è un santo! - ripetevansi poi a vicenda sottovoce, quando la Messa era finita.

Il lunedì dopo la Trinità D. Bosco andò a celebrare la sua seconda Messa alla chiesa della Consolata, per “ringraziare, com'egli scrisse, la Gran Vergine Maria degli innumerabili favori, che mi aveva ottenuto dal suo Divin Figliuolo Gesù.

” Martedì, continua egli, mi recai a Chieri e celebrai Messa nella chiesa di S. Domenico, dove tuttora viveva l’antico mio professore P. Giusiana, che con paterno affetto mi attendeva. Durante quella Messa egli pianse sempre per commozione. Ho passato con lui tutto quel giorno, che posso chiamare di paradiso.

” Mercoledì offersi il santo Sacrifizio nel duomo di quella città.

” Il giovedì, solennità del Corpus Domini, appagai i miei patriotti e mi recai a Castelnuovo, ove cantai Messa e feci la processione di quella solennità. Il prevosto volle invitare a pranzo i miei parenti, il clero, ed i principali del paese. Tutti presero parte a quella allegrezza; perciocchè io era molto amato da' miei cittadini ed ognuno godeva di tutto quello che avesse potuto tornare a mio bene. La sera di quel giorno mi restituii in famiglia. Ma, quando fui vicino a casa e mirai il luogo del sogno fatto all'età di circa nove anni, non potei frenare le lagrime e dire: - Quanto mai sono meravigliosi i disegni della divina Provvidenza! Dio ha veramente tolto dalla terra un povero fanciullo per collocarlo coi primarii del suo popolo

” Mia madre in quel giorno, avutomi da solo a solo, mi disse queste memorabili parole: - Sei prete: dici la Messa: da qui avanti sei adunque più vicino a Gesù Cristo. Ricordati però che incominciare a dir Messa vuol dire cominciare a patire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti ha detto la verità. Sono sicura che tutti i giorni pregherai per me, sia ancora io viva o sia già morta; ciò mi basta. Tu da qui innanzi pensa solamente alla salute delle anime e non prenderti nessun pensiero di me”

Oh! santa e generosa madre, che aveva fatto miracoli come narrava D. Cinzano, di sacrìfizi, di privazioni, di pazienza, di umiliazioni per aiutare il figlio a farsi prete. E il Signore l'aveva conservata, perchè potesse baciare la mano consacrata del suo Giovanni. Alcun tempo prima infatti dessa era salita sopra di un gelso a grande altezza per fare foglie e provvederne i bachi da seta; ma ad un tratto si ruppe il ramo, sul quale stava, e cadde battendo sul suolo e restando fuori dei sensi. Rinvenendo, si accorse con meraviglia di non essersi fatto alcun male; se non che, mentre ancor seduta per terra ringraziavane il Signore, le cadde sopra il ramo spezzato, causa di quell'infortunio, e battendole sulla fronte lasciolle un segno che portò finchè visse.

Quanto è buono adunque il Signore per coloro che lo temono! In quanti modi ricompensò Margherita per avergli gelosamente custodito il sacro deposito, che le aveva consegnato nella persona del figlio Giovanni. Sta scritto: “Chi istruisce il proprio figlio, ne ritrarrà onore e di lui si glorierà colla gente di sua famiglia”. E immortale sarà il suo nome eziandio sovra la terra.

Ma il premio più sentito e più caro a Margherita sarà nel veder giganteggiare nel cuore del figlio le virtù, delle quali ella pose il seme; nel leggere ne' suoi sguardi la pace esuberante della coscienza; nel gustare la sua inalterabile felicità per aver corrisposto alla divina vocazione, nel saperlo unicamente intento a promuovere la gloria di Dio; nell'osservare il visibile e continuo aiuto prestato dalla divina Provvidenza alle sue intraprese; nello scorgerlo sempre anelante alla salvezza delle anime, alla distruzione del peccato; nel sentirlo pieno di quella gioia, che accende il pensiero della presenza di Dio, così descritta dal Reale Profeta: “Io canterò il Signore, finchè vivrò; inneggerò al mio Dio, finchè io sarò. Sia accetto a lui il mio carme: quanto a me la mia gioia sarà nel Signore. Spariscano dalla terra i peccatori e gli empi più non esistano. Benedici anima mia il Signore”.

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