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Capitolo 54

La festa della Purificazione di Maria SS. - D. Bosco dice la messa alle Stimmate - Le Perpetue Adoratrici vorrebbero una nuova sua visita - Casa ospitale del Conte Vimercati - Il Centenario di S. Pietro presentato al Papa - Visita del Principe Torlonia a D. Bosco - Oblazioni per la Chiesa di Maria Ausiliatrice - Molti vogliono D. Bosco a mensa - Fra gli alunni del Collegio Nazzareno - Infermi guariti - Il S. Padre in S. Pietro - Alla Villa Pamfili e presso Mons. De Merode - D. Bosco non ha tempo per scrivere ai giovani dell'Oratorio - D. Francesia manda saluti agli alunni ed ai professori dell'Oratorio - Il Re di Napoli assiste alla messa di D. Bosco - Suo abboccamento col Servo di Dio che gli toglie ogni speranza di ricuperare il regno - Il Can. Gastaldi riceve notizia della sua elezione all'episcopato.


Capitolo 54

da Memorie Biografiche

del 06 dicembre 2006

 Il 2 febbraio, sabato, festa della Purificazione di Maria SS. e della benedizione delle candele, nell'Oratorio di Torino si facevano molte comunioni per D. Bosco. I giovani vi si erano preparati colla confessione e una novena di fioretti che il Servo di Dio aveva lasciati a Don Rua con suo autografo perchè ne annunciasse uno per sera.

Erano identici a quelli che aveva dati l'anno prima: Dio nostro padrone! ecc.

Da Roma giungevano altre notizie. Il 2 febbraio 1867 la Contessa Anna Bentivoglio scriveva al Cavaliere:

“ Questa mattina Don Bosco ha detto la messa alle Stimmate e ci ha dato la Santa Comunione. Egli stava di un aspetto bellissimo, florido e sembrava veramente un giovane, malgrado la vita affaticatissima che fa, andando in giro e dando udienza, si può dire, dalla mattina alla sera. Tutti qui sono entusiasmati di lui, e lo riguardano come una santa persona, ed ha onori e privilegi straordinarii; ma che io sappia non credo abbia finora operato nulla di strepitosamente prodigioso, come sarebbe stato, per es. la istantanea guarigione di quell'idropico a Torino. Vedremo se prima della partenza il Signore permetterà che faccia qualche cosa di sbalorditivo.

” Questa mattina noi non abbiamo avuto il tempo che di baciargli la mano, e salutarlo nel suo passaggio per la sacristia, perchè era aspettato di sopra per prendere qualche ristoro, suppongo, e poi andare alle funzioni in S. Pietro. Annibale va di tanto in tanto a S. Pietro in Vincoli, ma raramente ha la fortuna di trovarlo, perchè non gli lasciano un momento di riposo ”.

Una Comunità femminile, ricordando la visita ricevuta nel 1858, gli scriveva:

 

W. G. S. M. G.

 

Rev.do sig. D. Bosco,

 

Avendo altra volta il mio Monastero avuto l'onore di una sua visita, mi permetta la sua bontà di pregarla a volerci onorare ancora in questa circostanza, pria della sua partenza da Roma.

Domando umile scusa di tanta mia libertà e raccomandandomi alle sue sante orazioni, con rispetto ho l'onore di professarmi

Dalle Per.e Adoratrici del SS. Sacramento, li 2 febbraio 1867.

 

Um.ma, Obbl.ma Serva

Suor MARIA TERESA DEI SS. CUORI, Sup.a

 

Di questa giornata e di altre scriveva D. Francesia:

 

 

    3 febbraio 1867.

 

Caro sig. Cavaliere,

 

Vado alternando le mie lettere romane, indirizzandole un po' a Lei, un po' al Prefetto, perchè non nasca qualche invidia. Incominciando ora dalla casa dove abitiamo, le devo dire qualche cosa che non sarà inaspettata, ma nuova. È proprio vero che il sig. Conte Vimercati è industrioso e sagace nelle sue opere. Non vuole che alcuna Casa pia non l'abbia a ringraziare. Sappia che, oltre al molto che già fece, l'altro ieri ci fece questa brutta figura da offendere qualunque buon cristiano. Per fortuna ci aveva prima domandato scusa dell'ingiuria che aveva in animo, del rimanente era proprio il caso di scappare a Torino. Diede ordine alla sua lavoratrice di camicie che nel più breve spazio di tempo preparasse per D. Bosco e per me quattro camicie, e come! e quattro fazzoletti; in tutto otto, che poi ci vedemmo improvvisamente sul letto. Così oltre alla fatica del bucato, c'è la paga ancora. Evviva la cuccagna! Credo che Pelazza parteciperà al nostro sdegno e domanderà un compenso. Ha ragione. Ma non è tutto. La servitù per non impaurire D. Bosco sulla mancia da darsi, ha pensato di prevenirlo e di dargli qualche cosa pe' suoi cari ragazzi, che essa ama tanto nel suo direttore. L'altra sera, con mille rincrescimenti di non potere fare di più, diedero 36 lire anticipate, e come ringraziamento di essere venuto ad accrescere di tanto i loro lavori.

Il Centenario di S. Pietro va a vele gonfie, fu presentato al Papa, ne lesse subito alcune pagine, approvò l'opportunità, ne lodò altamente l'autore. La copia presentata al S. Padre, era magnificamente legata in tela bianca, e 25 copie, meno elegantemente, pei Monsignori; tutto a spese del bravo e benefico Vimercati. Non possiamo aprire un piccolo desiderio, che è già soddisfatto.

L'altro dì fui io pure alla casa Torlonia. Il sig. Principe è veramente incantato di D. Bosco. Non so se abbia già fatto qualche cosa per l'Oratorio, ma farà sicuramente. Non contento di averselo goduto tutta una mattinata, venerdì sera fu qui a restituirgli la visita. Non faceva che atti di meraviglia a sentire a parlare delle cose della Casa e capì largamente i molti bisogni. Dio volesse ispirargli qualche buon pensiero! Vidi in quell'occasione la sua povera moglie, che saprà essere inferma di mente. Vicino a Don Bosco era più calma; baciavagli la mano e non dava segni di pazzia. Povera donna! Alla sera, mentre si trovava il Principe Torlonia, stava ad aspettare D. Bosco il Duca Salviati; era la seconda volta che già veniva senza aver potuto vederlo, ed ora lo dovette attendere un'ora.

E' cosa inaudita che i Principi romani facciano anticamera; ci voleva D. Bosco per aprire una consuetudine nuova. Il Principe Ruspoli aspettò due ore per parlare a D. Bosco, senza impazientirsi menomamente. È una vera frenesia ne' Romani per D. Bosco. V'ha già chi piange per doverlo perdere. Però si è trovato un mezzo per averlo in casa senza fallo: o venire ammalati, o promettere elemosine. Per es.: una signora ha preso 700 biglietti della lotteria, inoltre promette qualche altra offerta, ma vuole che D. Bosco si rechi a casa sua a prendere i danari. Ci andrà sicuramente; se no, io lo porto. In un altro luogo si preparò qualche oblazione, si presero 500 biglietti, e si daranno i denari, ma a lui in mano. Così un bravo signore, un Eminentissimo, ne taccio il nome come inutile, dal primo giorno che era giunto in Roma, aveva mostrato desiderio di vederlo e parlargli. È da notarsi che D. Bosco nol conosceva, ed aveva necessità assoluta per le cose nostre di avere seco lui qualche conferenza. No, signore; ci vollero 20 giorni e più, prima di avere un momento disponibile, ossia rubato e con mille stenti. Ci andò, e quell'Eminenza pose in mano a D. Bosco la bella oblazione di 50 scudi in segno di venerazione ed aiuto.

Quanti più conforti ci verrebbero, se Don Bosco potesse dividersi in 5 o 6 (si noti la cifra), e andare dove lo desiderano. Per eccesso di buon cuore e per la sua propensione a dire di sì gli avvenne più volte di accettare pranzi alla medesima ora in varii luoghi. Alcune volte io servo, negli intramezzi specialmente, ma vogliono sempre D. Bosco, e non andando possono nascere degli inconvenienti disgustosi. Quando si aspetta D. Bosco a pranzo in giorno ed ora determinata, si calcola di poterlo avere un due ore dopo, e ciascuno viene munito e premunito di pazienza.

Giovedì fummo, a pranzo al Collegio Nazzareno. Che belle accoglienze non fecero a D. Bosco quei giovanetti! Ne conoscevano già le opere, usano nella loro scuola la sua Storia Sacra e d'Italia e ne avevano sentite a dire tante, che quando lo videro credettero di vedere un Santo. Sapendolo molti giorni prima, avevano di ciò avvisati i parenti, che pur numerosi si trovavano. Al pranzo si fece allegria, ma alla fine ci fu tripudio. Un giovane aveva scritto qualche cosa in latino a lode del nostro amato D. Bosco, ed il lesse in mezzo al silenzio universale. Dopo, un furioso battimani, ed un evviva così alto, che pareva che si sfasciasse il cielo. Mi spiace di non ricordarmi le parole, ma ricordo benissimo il senso. Ringraziava D. Bosco di averli onorati in quel dì, quel Collegio esserne riconoscentissimo; S. Giuseppe Calasanzio, che ne fu il fondatore, giubilarne dal Cielo, e versargli sulla testa nembi di fiori; augurògli mille felicità. Tutto breve ed affettuoso. Dirne la bellezza, la grazia, la commozione, non potrei a lunga pezza giungervi colle mie parole. Visitata la casa, si radunarono in cappella, e vollero sentire D. Bosco a parlare. Improvvisò come il solito e quanto bene! Non c'era occhio che movesse; e D. Bosco parlò commoventissimo quando rivoltosi ai Padri ed agli alunni si separò.

Forse mi fermo un po' troppo spesso in queste circostanze; ma sono così fatto, che le onoranze fatte a D. Bosco mi vanno sì profonde al cuore, che di esse non mi posso mai scordare.

Intanto qua e colà riceviamo buone notizie per le sue visite. Quegli migliora, questi più rassegnato, quell'altro guarito. Una povera monaca, da molto tempo ammalata, desiderò una medaglia di D. Bosco. L'ebbe e con tanta fede se la pose al collo, che subito migliorò, ed in termine di due o tre giorni al più era interamente guarita. Il fanciullino De Maistre di cui parlai nella prima mia, va sempre meglio, e, cosa singolare, ha cominciato a camminare, mentre prima della malattia non sapeva ancora mettere un piede a terra. La contessa madre ed il conte padre, Eugenio, ne sono gratissimi a D. Bosco e diedero già elemosine, e quella affermò che riguarderà la chiesa di Valdocco come oggetto speciale delle sue cure; e che ogni volta penserà a Maria, la dovrà onorare specialmente sotto al titolo Auxilium Christianorum per lei tanto salutare.

Si dice e si teme, e qui fu scritto, che D. Bosco sia l'arcivescovo futuro di Torino. È sogno di mente pazza. Qualche giornale si interessò di D. Bosco, e la Nazione di Firenze, parlando della conversione del P. Passaglia, accolta con tanto piacere a Roma, disse che doveva trattenere fra breve i suoi lettori del tanto famigerato D. Bosco. Ne dirà delle sue, ma non servirà ad altro che a propagarne sempre più il nome e le opere.

Caro sig. Cavaliere, questa mattina ho goduto anch'io delle feste romane. S. Pietro, così immenso, era pieno di gente. Io pensando di dover vedere e sentire per tanta gente mi portai in un bel posto, donde potei assistere alla funzione e vedere il S. Padre. La sua fisionomia non mi sfugge più dalla memoria. Quando prendeva la benedizione sua e la presi dieci o dodici volte da diversi punti, aveva sempre l'occhio all'Oratorio, dove stanno le mie più care memorie. D. Bosco doveva andare a prendere la candela, come il S. Padre gli aveva fatto sentire, ma non si potè combinare. Anzi non potè nemmeno prendere la più piccola parte, nè come attore, nè come spettatore. Cominciò per andare a dire messa alla Stimmate, chiesa vicino al palazzo Vitelleschi, dove lo aspettavano le sante turbe. Là però lo lasciai per andare al Vaticano. Non volea perdere una terza o quarta occasione di vedere a pontificare il S. Padre. Ma seppi che fu un'accoglienza la più bella e divota. Alle 11 ore fu libero; ed allora pensò di portarsi da Monsignore De Merode, presso cui dovevamo pranzare. Sale in vettura e lo conducono, sa dove? Alla villa Pamfili, per ammalati. Ebbi un bel protestare contro alla violenza, ma le proteste sono merce sconosciuta. Dovetti aspettarlo per un'ora e più dopo le 12, passeggiando vicino a S. Pietro. Che vuole? Si va a gara di poterlo avere, e quando uno l'ha, come padrone, non pensa più che a sè, lasciando che D. Bosco soddisfaccia come può alle cose e promesse sue. Tutti lo vogliono, chè la sua conversazione è molto cara.

Glielo dissi in altre lettere che mandi biglietti, solo biglietti. Ne mandi coi primo corriere e quanti può. Non sa l'avidità che si svegliò di avere di questi biglietti! Si soddisfacciano.

I giovani dimandano di avere lettere di D. Bosco, ma non è possibile che si metta al tavolino, che alle 10 di sera e più volte, anzi quasi sempre, va fino alle 12 ed oltre per leggerle soltanto. Si lamenta di non potere soddisfare alle giuste loro dimande, ne chiede tolleranza. Saluti tanti e molti, e preghi per il suo in Cristo

come fratello aff.mo

 Sac. FRANCESIA.

 

N. B. - Aveva ancor da dirle che ieri a S. Pietro in Vincoli si fecero i fuochi e belli, ma mi manca lo spazio.

 

Questa lettera era seguita da un'altra.

 

4 febbraio 1867.

 

Carissimo D. Durando,

 

Leggo con molto piacere quello che scrivi di costà; i miei ringraziamenti te gli avranno già fatti da parte mia, ed ora li faccio io stesso. Parlando ai giovanetti nostri alla sera, non dimenticare di salutarli molto e molto a mio nome. Di' loro che li vedo in tanti altri giovanetti che mi fanno la corte a Roma. Malgrado però ogni comodità, chè siamo trattati da principi, io corro continuamente all'Oratorio. Le cose nostre vanno sempre bene lo stesso.

In questi giorni D. Bosco ha ordito e ordisce una trama contro il Can. Gastaldi, nostro riverito maestro di morale. Andando a scuola potrai comunicargliela, e se domanda qual sia questa trama, dirai che per ora non si può manifestare. Silenzio e mistero. Non dovrei essere così puntiglioso con lui, ma per questa volta voglio star sulle mie, come diciamo noi. Riveriscilo tanto da parte mia questo buon di Dio, e tu scrivimi spesso.

Saluta i nostri cari professori e di' loro che non posso dimenticarli ovunque io vada; e se qualche volta non manifesto il gran bene che loro voglio e desidero, vien piuttosto dal non sapermi esprimere. Ma li amo tutti e assai nel Signore. E tu, caro mio Durando, ama e raccomanda a Dio il

Tuo aff.mo amico e fratello

Sac. FRANCESIA.

 

P. S. - Stamattina D. Bosco fu presso il Re di Napoli a celebrare la S. Messa; ne era stato tanto tempo prima invitato e con tanta istanza che non potè e non volle ricusare.

 

 

Francesco II aveva lasciato a D. Bosco la scelta del luogo ove si sarebbero incontrati; o l'avrebbe atteso al palazzo Farnese ove abitava, ovvero, se lo preferiva, egli stesso si sarebbe recato a fargli visita a casa Vimercati. Don Bosco gli rispose, come aveva concertato colla Duchessa di Sora, che se a lui non dispiaceva, volentieri si sarebbe recato all'abboccamento nella Villa Ludovisi, che era una splendidissima e regale abitazione, sia per il palazzo come per i giardini. Don Bosco vi andò e trovò che il Re di Napoli già lo aspettava con molti e nobili Signori, fra cui il De Charette, comandante de' Zuavi Pontificii. Celebrò la S. Messa e parlò per dieci minuti sulla Fede. Il discorso fu tale che la Duchessa, la quale altre volte aveva ammirati i suoi sermoni, esclamava fuori di sè per la meraviglia:

- Ma dove prende D. Bosco certe ragioni? Non ho mai sentito simile potenza di persuasione! Nessuno predica come lui!

Finito il ringraziamento il Venerabile disse essere a disposizione di Sua Maestà. Ambedue si ritirarono in una camera e il loro dialogo durò circa tre quarti d'ora.

Dopo vario parlare il Re lo pregò a dirgli con tutta schiettezza se avrebbe riacquistato il regno, poichè tutti gli promettevano che fra pochi mesi si sarebbe trovato nuovamente nella sua reggia.

D. Bosco si schermi dicendo che non toccava a lui divinare il futuro. Il Re insistette. E il Servo di Dio con tutta semplicità:

- Se vuole che Le parli schietto, le dirò che Vostra Maestà non tornerà più sul trono.

- E su cosa si fonda per dirmi questo? Sopra induzioni o argomenti certi?

- Sopra argomenti certi!

- E quali?

- Sono per me argomenti certi il modo con cui i Reali di Napoli trattarono la Chiesa.

- Che intende con queste parole?

- Che la Santa Chiesa fu trattata a Napoli con poca reverenza.

- Come?! la Chiesa non era protetta?

- Protetta la Chiesa?! Per pi√π di sessant'anni rimasero in vigore le leggi Febroniane. Un Vescovo non poteva dare la cresima senza la licenza del Re, non poteva ordinar preti, radunar sinodi, far visite, pastorali, corrispondere con Roma senza aver prima il beneplacito del Sovrano. E questo si chiama protegger la Chiesa?

- Ma veda, D. Bosco, soggiunse il Re; era una misura generale di sorveglianza, era necessità politica, era il timore di una rivoluzione, era precauzione, perchè non fossero violati i diritti della Corona, che inducevano il potere civile a fare così.

- E crede Vostra Maestà che fossero tuttavia da approvarsi queste misure contro la Chiesa? E il pessimo tribunale della Regia Monarchia ed Apostolica Legazia di Sicilia, che da più di un secolo pretendeva che in quell'isola la Chiesa in gran parte le fosse soggetta?... che spiava e impediva ogni relazione del Clero secolare e degli Ordini religiosi colla S. Sede?... giudici iniqui che facevano ogni loro volere, usurpando l'autorità del Papa e dello stesso Sovrano? Costoro rendeano vane le disposizioni e gli ordini dei Vescovi, troppo spesso perseguitavano i buoni religiosi favorendo i peggiori, e per loro colpa venivano guasti spaventosi, che formavano lo scandalo dei fedeli: immoralità, simonia, prepotenza, frodi, introduzioni di indegni ne' maggiori uffizii, dispersioni de' beni religiosi in usi profani: e vi erano altri aggravi che non fa bisogno che enumeri. E tali giudici erano appoggiati o almeno tollerati. Questa è la causa dei presente castigo di Dio sulla Dinastia.

- Ma la Maestà di Re Ferdinando mio padre, negli ultimi anni del suo regno in buon accordo col Papa, aveva acconsentito a togliere non pochi disordini che duravano in Sicilia.

- Sì, è vero; ma le cause di tanti mali religiosi non furono o non poterono essere rimosse. Si vollero conservare ancora alcuni privilegi di quel funesto tribunale, che avrebbe dovuto essere soppresso.

A questo punto D. Bosco rimase qualche tempo raccolto e pensieroso, e il Re dopo qualche istante ripigliò:

- E se io tornassi sul trono de' padri miei, crede che le cose non andrebbero meglio?

- Maestà, io conosco la sincera Vostra devozione alla S. Sede, conosco le prove luminose che ne avete date. Siete il figlio di una santa! Ma il potere corrisponderà al volere? Il malo influsso di certi consiglieri non cercò per molti anni di tenere accese nel cuore dello stesso vostro Padre, le diffidenze contro Roma Papale? In certi casi, se Dio non v'aiuta, potreste fare quello che fecero i Vostri Antecessori.

Il Re si mostrò quasi offeso di quella supposizione e replicò:

- Non sa che nessuno prima di lei mi ha mai parlato con tanta franchezza? Tuttavia mi piace che uno mi parli schiettamente, come la pensa.. Ora mi dica: non crede lei che un qualche avvenimento possa ricondurmi sul trono di Napoli?

- Non vi sarebbe che un solo avvenimento, ma che non avverrà.

- E quale? chiese il Re con viva curiosità.

- Che venga una generale anarchia, e mancando il Sovrano conquistatore e la sua dinastia, i popoli, o più presto o più tardi, in vista delle sue grandi e buone azioni, ricorrano a chi avevano prima per Re. Solo in questo caso vi potrebbe essere speranza. Ma è una pura supposizione.

In sul finire dell'abboccamento il Re pregò Don Bosco a volersi recare al suo palazzo, perchè anche la Regina Sofia desiderava conoscerlo. Quel giorno era lunedì e la visita a palazzo Farnese venne fissata pel venerdì. Il Venerabile lasciò pensieroso il povero Re, che aveva sperato da lui un pronostico più conforme al suo desiderio.

A Torino D. Durando faceva la commissione di Don Francesia al Can. Gastaldi. Questi capì benissimo di che si trattava, e presto ebbe dallo stesso D. Bosco la piena conferma della sua elezione al Vescovado di Saluzzo. Incontrato in que' giorni dal professore D. Matteo Picco che si congratulò con lui, gli rispose famigliarmente:

- In questo momento io non sapeva che cosa fare, e il Papa mi ha dato un'occupazione!

 

 

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