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Capitolo 51

D. Bosco continua la scuola di latino ai quattro giovani prescelti - Studio sui regolamenti di vari ospizi e collegi - La moltiplicazione delle castagne - Elogi all'Oratorio del Conciliatore Torinese.


Capitolo 51

da Memorie Biografiche

del 16 novembre 2006

 La scuola di latino, non interrotta a Castelnuovo, continuò alacremente dopo il ritorno in Valdocco. D. Bosco voleva condurre i suoi quattro allievi al punto di potere nel più breve tempo possibile vestire l'abito clericale. Il sacerdote D. Merla, suo compagno a Chieri, e fondatore dell'Istituto di S. Pietro in Torino, accondiscese ad aiutarlo per circa un anno, svolgendo un programma ordinato di cognizioni necessarie, della grammatica inferiore e poi della retorica. Buzzetti e i tre suoi condiscepoli erano mandati tutte le sere alla sua casa ad esercitarsi nelle composizioni e nelle spiegazioni degli autori classici. Al chierico Savio Ascanio venne affidato il compito di assegnare e correggere le traduzioni dall'italiano al latino.

Ma D. Bosco era come la ruota principale che metteva in moto tutto questo lavorio d'insegnamento. Aveva compreso che gli ordinari metodi usati nel far scuola non gli avrebbero dato frutto sufficiente; quindi ne escogitava uno tutto caratteristico e l'esperienza diede ragione alla sua ingegnosa audacia. Insegnava la grammatica esponendone con brevità e lucidissima chiarezza le regole, ed esigendone da ciascun allievo la ripetizione, per così accertarsi se avessero compreso. In virtù del suo ingegno sì acuto e si chiaro, della sua facile comunicativa, e soprattutto in forza della sua inalterabile pazienza e carità, egli potè ben presto renderli in grado di assaggiare il latino.

Nè ciò deve far meraviglia se riflettasi come fossero piene le giornate di D. Bosco e dei suoi scolari. Si levavano alle 4½ e colla Messa, la santa Comunione e la lettura spirituale, occupavano la prima ora della giornata. Circa alle 6 si portavano nella cameretta di D. Bosco, e là si dava principio alla scuola. D. Bosco pel primo facendo da scolaro, recitava la lezione assegnata precedentemente, e come egli aveva finito, gli altri la ripetevano il meglio che potessero, sempre aiutati, sostenuti, incoraggiati. Il libro della grammatica non si apriva quasi mai a scuola, ma vi era solo per sciogliere un dubbio allorchè era necessario riandare qualche punto sfuggito. Avendo le menti imparato a lavorare si tirava avanti di buon passo. Come per la grammatica, così si usava per le altre materie.

Alle 8 suonate andavano alla colazione ed alla ricreazione e quindi a studiare per non levarsene se non a mezzogiorno.

Alle 2 pomeridiane D. Bosco li radunava di bel nuovo e riprendevasi la scuola. Non bisogna però credere che egli non riflettesse come l'arco troppo teso può spezzarsi; quindi un giorno sì ed uno no, li conduceva a passeggio dalle quattro alle sette della sera, e con questo regime li manteneva sani di corpo e vivaci di mente. Non li perdeva però di vista un momento solo, e quando si ponevano a sedere sulla piazzetta innanzi alla Madonna di Campagna, o in Piazza d'armi o nel viale di Rivoli, questo infaticabile maestro ricominciava le lezioni sotto altra forma e più dilettevole. Egli allora faceva bellamente ripetere tutte le spiegazioni già date, le quali così, senza che essi vi durassero fatica, si stampavano sempre meglio in quelle giovanili intelligenze. È ben vero che questo studio all'aperta campagna era una tentazione a qualcuno di quei fanciulli, i quali talora avrebbero amato più di sollazzarsi che non di studiare in quel tempo: ed in realtà più volte provarono a sbandarsi rincorrendosi. Ma D. Bosco non si lasciò vincere da condiscendenze inopportune e, sempre calmo, raccolto, come fermo ed inflessibile nelle sue risoluzioni, non permise mai che si perdesse il più piccolo ritaglio di quel tempo. Durava di questo passo quasi fino al termine del 1850.

D. Giacomelli in quest'anno rilevava l'eccellenza del suo metodo d'insegnamento, attestando come fruttasse mirabili risultati.

Mentre D. Bosco era tutto occupato nel far progredire tale scuola, incominciò ad ideare la compilazione di un regolamento interno pel suo Ospizio in Valdocco ed anche per i collegi di studenti che aveva in mente di fondare. Prese pertanto ad esame il metodo educativo usato specialmente negli stabilimenti delle opere pie e delle case religiose di educazione pei giovanetti. Domandò ad alcuni e ne ebbe i programmi ed i regolamenti. Visitò attentamente vari istituti in Torino ed in altri luoghi del Piemonte.

Sul finire dell'anno 1849 mandava eziandio D. Pietro Ponte, Direttore dell'Oratorio di S. Luigi, a Milano, a Brescia e in alcune altre città a prendere cognizioni sull'ordinamento e le costumanze religiose, professionali, disciplinari ed economiche di certi ricoveri pei figli dei popolo e anche di qualche collegio dei più reputati per la buona riuscita dei giovani appartenenti a famiglie signorili o di medio stato. D. Ponte ritornava in Torino sul principio del 1850 avendo raccolte memorie ed appunti che giovassero allo scopo pel quale aveva fatto quel viaggio. Intanto D. Bosco pensava ai chierici dei quali sentiva che un giorno avrebbe dovuto prendere la direzione e chiedeva ed otteneva da Mons. Gentile le regole dei seminarli grandi e piccoli della Diocesi di Novara. Così, unendo la preghiera a questo studio e alla propria esperienza, si preparava ad ordinare, quando la necessità lo richiedesse, il nuovo popolo che andava radunando.

Ma prima che finisse l'anno 1849 avveniva un fatto sorprendente del quale fa memoria il Padre Giovanni Giuseppe Franco della C. di G. nella sua lettera riprodotta in un capitolo precedente. Dopo aver accennato alla sua persuasione che, per la straordinaria bontà, gli sembrasse cosa naturale che D. Bosco operasse dei veri miracoli, soggiungeva: “ L'udirne raccontare qualche saggio non mi avrebbe recato veruna meraviglia, se anche la cosa fosse frequente. Ne intesi poi in realtà raccontare; ma non ricordo abbastanza i particolari. Posso accertare in generale d'aver udito dire che una domenica, avendo accolto, come soleva, un gran numero di giovani a trattenersi in onesti divertimenti, alla fine nel congedarli volle fare una buona grazia a quei cari giovanetti dando a ciascuno una manciata di castagne lesse e calde. Gli fu fatto osservare che la pentola non sarebbe bastata a tutti. Allora si pose egli in persona a dispensare le castagne, dandone a ciascuno una mestolata, e in tanta copia ne diede che i circostanti si avvidero le castagne essersi moltiplicate sotto le sue mani. Questo fatto mi sembra d'averlo udito dalla bocca di un gentiluomo, il cavaliere Federico Oreglia di Santo Stefano che, o vi fu presente, o l'udì come pubblico fatto e conosciuto nell'Istituto, dove egli usava con famigliarità continua. Non saprei tuttavia accertare se il detto cavaliere ciò mi raccontasse quand'era ancor secolare o dopo che egli entrò nella Compagnia di Gesù in cui ora vive ed è sacerdote ”. Noi racconteremo come andò l'avvenimento.

In quest'anno 1849 una domenica dopo la festa d'Ognissanti, D. Bosco, fattosi in cappella l'esercizio della buona morte, condusse tutti i giovani interni ed esterni dell'oratorio a visitare il campo santo e a pregare pace per i poveri defunti. Aveva loro promesse le castagne quando fossero ritornati in Valdocco. Mamma Margherita ne aveva comperati tre sacchi, ma pensando che il figlio non ne abbisognasse che di piccola quantità per divertire i giovani, non ne fece cuocere che due o tre coppi. Giuseppe Buzzetti, che aveva preceduto i compagni nel ritorno, entrato in cucina vide che bolliva una pentola di poca capacità e sì lamentò colla mamma che di castagne non ce ne fossero a sufficienza per tutti. Ma non potevasi rimediare subito a quella mancanza. Ed ecco sopraggiungere i giovani e accalcarsi alla porta della Chiesa di S. Francesco; D. Bosco medesimo si mise alla soglia per fare la distribuzione. Buzzetti versò la pentola dentro un cestello e lo teneva fra le sue braccia. D. Bosco credendo che sua madre avesse fatto cuocere tutte le castagne comperate, ne riempiva il berretto che ogni giovane gli sporgeva. Buzzetti, vedendo che ne dava troppo grande quantità a ciascuno, - Che fa D. Bosco? grida. Non ne abbiamo per tutti. Se ne dà così, non andiamo alla metà.

 - Ma sì, gli rispondeva D. Bosco, ne abbiamo comperati tre sacchi, e mia madre le ha fatte cuocere tutte.

 - No, no; queste sole, queste sole, ripeteva Buzzetti. Tuttavia D. Bosco, rincrescendogli diminuire le porzioni, gli disse tranquillamente: - Continuiamo a dare a ciascuno la parte sua, fintanto che ce ne sarà. - E continuava a dare agli altri la stessa quantità che ai primi. Buzzetti crollava il capo guardando. D. Bosco, fin tanto che nel canestro non vi fu più altro che la porzione per due o tre. Solo una terza parte dei giovani aveva ricevute le sue, castagne, e il loro numero era di circa 600. Alle grida di gioia successe un silenzio di ansietà, poichè i più vicini si erano accorti che il cesto era quasi vuoto.

Allora D. Bosco, credendo che sua madre per motivo di economia avesse riposte le altre castagne, corse sopra a prenderle; ma trovò, con sorpresa, che non erano state cotte, e che invece della pentola grossa se ne era posta al fuoco una più piccola che era destinata per i superiori. Che fare? Non si sgomentò, ma disse: - Le ho promesse ai giovani e non voglio mancar di parola. - Preso un grosso mestolo bucherato, lo colmò di castagne quanto ne poteva capire e riprese la distribuzione di quelle poche che restavano. Qui incominciò la meraviglia. Buzzetti era come fuori di sè. D. Bosco calava il mestolo nel canestro e lo ritraeva pieno in modo che le castagne si riversavano; mentre la quantità che rimaneva nel cesto sembrava non diminuisse. Nè due o tre, ma circa 400 ne ebbero a sazietà. Quando Buzzetti portò il canestro in cucina vide che vi era ancora dentro una porzione, quella di D. Bosco, perchè forse la Madonna SS. Gli aveva riserbata la sua parte. La voce dei fatto dai giovani più vicini si propagò a quelli più lontani, tutti rattenevano perfino il respiro, aspettandone la fine, e quando l'ultimo ebbe la sua parte, un grido universale risuonò D. Bosco è un santo, D. Bosco è un santo! - Il buon prete subito impose loro silenzio, ma gli costò gran fatica far cessare i loro schiamazzi, mentre da tutte parti gli si stringevano attorno. In memoria di questo prodigio D. Bosco volle che si distribuissero alla sera di Ognissanti, come asserisce il Canonico Cav. Anfossi, le castagne lessate a tutti quelli dell'Oratorio.

Noi abbiamo esposta fedelmente questa moltiplicazione delle castagne, secondo la narrazione che ascoltammo dal nostro amico Giuseppe Buzzetti confermata per iscritto da Carlo Tomatis, e riconosciuta da tutti gli antichi allievi di questi tempi come autentica. Quale spiegazione si potrebbe dare a tale meraviglia? Null'altro che questa. La buona Madre Maria SS. manifestava il suo gradimento per quanto si faceva nell'oratorio! Quivi fiorivano le virtù cristiane come se ne legge un magnifico elogio, pubblicato l'anno 1849 nel periodico “Il Conciliatore Torinese”.

Questo giornale era scritto e diretto dal Canonico Lorenzo Gastaldi. L'elogio è così splendido che ci sembra pregio dell'opera l'inserirlo quale documento in questa istoria, come quello che è una solenne conferma di quanto noi abbiamo narrato nel corso di queste nostre memorie. Eccolo nella sua interezza.

“ Se all'uscire di questa città per la porta di Susa, nasca vaghezza a taluno di ricrearsi sotto il viale che gli sta a destra, e costeggiando i quartieri militari e gli ospedali di S. Luigi e dei pazzerelli, scendere per l'ameno declive sino al bel palazzo, che gli si porge innanzi, quindi volgendo a manca proseguire il delizioso cammino pel viottolo, che rasenta i muri dei vari edifici quivi attigui, a breve distanza gli si presenta un cancello di legno, per cui si entra in un recinto d'una certa ampiezza. Al fabbricato lungo sì, e piuttosto decente, ma assai basso, e di aspetto più rustico che civile, il quale, sporgendo verso mezzanotte, divide quel recinto in due parti, l'una assai più ampia e lavorata a mo' di orto, l'altra più stretta e lasciata incolta, egli di leggieri estima, questa sia la dimora di alcuni ortolani, di cui infatti abbondano quei dintorni; ma portando l'occhio attento su quell'umile edificio, alle varie religiose iscrizioni, che vi si leggono, al campaniluzzo, che sormontato da una croce si eleva sul tetto, all'avviso: Questa è la casa del Signore, che sta sopra l'uscio verso ponente; egli vede, benchè non senza meraviglia, che qui è un sacro Oratorio. Ma quanto più crescerà il suo stupore, ove chi legga da chi e per qual fine si sia consacrato alle pratiche di religione quel luogo sì modesto, e gli sarà risposto che un umile Prete, fornito di nessun'altra ricchezza, che di una immensa carità, già da più anni vi raccoglie ogni dì festivo da cinque a seicento giovanetti per ammaestrarli nelle virtù cristiane, e renderli a un tempo figliuoli di Dio e ottimi cittadini.

“ Questo egregio Sacerdote, pieno di quella filantropia, la quale non deriva da altra fonte che dalla fede cattolica, era altamente accuorato nel vedere, nei dì sacri al Signore, centinaia e centinaia di fanciulli, che abbandonati a se stessi, invece di accorrere alla Chiesa, per attingervi lezioni di santità, si disperdevano nelle piazze, nei viali, nelle campagne, che cingono la città, a sciupare tutto il giorno in sollazzi pericolosi, e quindi ritornavano alle case loro ognora più dissipati, e irreligiosi e indocili. La vista di tanti garzoncelli, che per la trascuranza, oltre ogni modo biasimevole, dei genitori e dei padroni, crescevano nella più crassa ignoranza di ciò che più importa all'uomo, esposti a tutte le corruttele, che nascono dall'ozio e da pessime compagnie e da pravi esempi, il punse così vivamente nel cuore, che deliberò di porvi quel rimedio, che ei sapesse migliore. Che fece egli dunque il nuovo discepolo di Filippo Neri? Consigliatosi col suo zelo, armatosi di una pazienza a tutte prove, vestitosi di tutta la dolcezza e umiltà, che ben conosceva richiedersi all'alta impresa, si diede a girare nei dì festivi pei dintorni di Torino, e quanti vedesse crocchi di giovani intenti ai trastulli, avvicinarli, pregandoli che lo mettessero a parte dei loro giuochi; poscia dopo essersi affratellato alquanto con essi, invitarli a continuare il giuoco in un luogo, che egli teneva a ciò assai più atto al sollazzarsi, che quello non fosse. Egli è facile il pensare con quanti scherni sarà stato assai delle volte ricevuto il suo invito, e quante ripulse avrà dovuto soffrire; ma la sua costanza e la sua dolcezza a poco a poco trionfarono in un modo prodigioso; e i fanciulli più riottosi, i giovanetti più scapestrati, vinti da tanta umiltà e da tanta mitezza di modi, si lasciarono condurre all'umile recinto che vi ho descritto, dove convertita una parte dell'edificio in modesta sì, ma devota Cappella, si varino alternando le ore del giorno festivo tra gli uffizi della religione ed innocenti trastulli.

“ I primi giovanetti, che vi furono chiamati, assaporate le dolcezze della pietà, provato l'ineffabile piacere di un'anima, che sentesi o cavata dall'abisso della corruzione, o sollevata alla più ferma speranza di un eterno premio, divennero altrettanti piccoli apostoli presso i loro compagni e colleghi nel vizio o nella dissipazione, promettendo a questi dei sollazzi assai più cari presso il signor D. Bosco (che tal'è il nome di questo esimio ecclesiastico), di quelli con cui si ricreavano per lo innanzi, e così di bocca in bocca divulgatasi la notizia del nuovo Oratorio, fra breve vi accorse una turba sterminata di giovani, con quanto pro dell'anima ognuno il pensi. Un alveare intorno a cui s'aggiri ronzando uno sciame di api, mentre una gran parte di queste dentro vi sta lavorando tranquillamente il miele, ti presenta una vera immagine di quel sacro recinto nei dì festivi. Per le vie che vi conducono tu incontri ad ogni passo frotte di giovinetti, i quali cantarellando vi si portano con più allegrezza che non andrebbero ad un festino: dentro per ogni parte tu vedi fanciulli a

trastullarsi divisi in piccole brigate, ed altri saltellare, altri giocare alla palla, altri alle bocce, chi fare all'altalena, chi dei capitomboli e chi la quercia; mentre nella chiesetta altri imparano il catechismo, altri si preparano ai Sacramenti, e nelle attigue stanze ad altri s'insegna il leggere e lo scrivere, ad altri l'aritmetica e la calligrafia, ad altri il canto. Vari Sacerdoti vegliano quella turba composta di sì diversi elementi, agitata da sì disparate inclinazioni, adoperandosi a tutt'uomo per rivolgerne i pensieri, gli affetti, gli atti verso la religione, e vegliando perchè nelle ore destinate alla preghiera e alla istruzione comune tutti cessino dai trastulli e si raccolgano nell'oratorio. Ed egli è senza dubbio un piacere indicibile lo scorgere la docilità, con cui tutti quei giovani, un dì sì male avviati, ora obbediscono a quegli ecclesiastici; la gioia che loro sta dipinta sul volto, la devozione con che assistono ai divini uffizi, usano ai Sacramenti, frequentano le istruzioni religiose, che anche lungo la settimana si porgono a chi ne abbisogna, intervengono agli spirituali esercizi, che ogni anno si rinnovano pel corso di parecchi giorni.

 ”Ella è una meraviglia il vedere l'affetto e la riconoscenza tenerissima, che quei fanciulli nutrono in cuore verso il loro benefattore, il signor D. Bosco. Nessun padre riceve più carezze dai suoi figliuoli, tutti gli sono ai panni, tutti vogliono parlargli, tutti baciargli la mano; se lo veggono per la città escono incontanente dalle botteghe per riverirlo. La sua parola ha una virtù prodigiosa sul cuore di quelle anime ancor tenere, per ammaestrarle, correggerle, piegarle al bene, e lucarle alla virtù, innamorarle anche della perfezione. La sua umile abitazione è un asilo sempre aperto in ogni ora a qualunque sia giovanetto, che ricorra a lui per campare dai pericoli del mondo corrotto, per liberarsi dagli artigli della colpa, avere dei consigli, ottenere aiuto in qualche onesto intento. Non potendo capire in quest'Oratorio tutti i fanciulli che vengono a lui, egli già da alcuni mesi ne aperse un altro fuori di Porta Nuova, cui affidò alle cure di vari sacerdoti già formati anch'essi alla scuola della sua carità, e che speriamo sarà per apportare frutti non meno copiosi di cristiana civiltà ”.

Qui il valente scrittore, pieno di caldo entusiasmo, conchiude il suo articolo con questa bellissima apostrofe a D. Bosco: “ Salve perciò, o nuovo Filippo, salve, o Sacerdote egregio. Il tuo esempio deh! trovi molti imitatori in ogni città; sorgano per ogni parte Sacerdoti a premere le tue orme; aprano ai giovani dei sacri recinti, dove la pietà si circondi li onesti sollazzi: che solo in tal modo si potrà guarire una delle piaghe più profonde della società civile e della Chiesa, che è la corruzione dei giovani ”.

Tal è l'elogio che il Canonico Gastaldi tributava in quei giorni all'Oratorio di S. Francesco di Sales.

 

 

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