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Capitolo 50

Parlate di D. Bosco a' suoi giovani: motivi di aver confidenza nel superiore: facilità nell'Oratorio di fare il bene: non dir menzogne denigrando l'Oratorio e non disonorarlo colla cattiva condotta: un'anima da salvare: un consiglio, un amico, un pensiero. - Attenzioni paterne di D. Bosco per gli alunni: come annunzi ad uno di questi la morte del Padre - Varie raccomandazioni ai maestri ed assistenti - Prendere in buona parte anche un avviso errato dei superiori - Danno dal non osservare le regole - Tre lettere di D. Bosco al Can. Vogliotti, riguardo ai giovani che aspirano alla vestizione clericale; al servizio delle sacre funzioni in duomo; all'aiuto da porgersi ad un sacerdote pericolante e a qualche chierico - Don Bosco manda assistenti in altri convitti od ospizii.


Capitolo 50

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

    Nei primi giorni di Agosto era entrato nell'Oratorio almeno un centinaio di nuovi alunni, che avevano bisogno di frequentare una scuola preparatoria alla prima classe di ginnasio. In molti villaggi non vi era maestro oltre quello di terza elementare ed era quindi per loro conveniente una serie di esercizi della quarta. A questi si aggiungevano altri che dal 15 agosto al 15 settembre, interrotte le vacanze, venivano per aver ripetizioni, o per cercare di abilitarsi ad una classe superiore a quella nella quale erano già dichiarati idonei. Altri poi non si erano mossi dall'Oratorio. Grande quindi era il loro numero.

E D. Bosco ripigliava i suoi discorsetti alla comunità ra­dunata alla sera, avendo specialmente di mira i nuovi alunni, dei quali si prendeva gran cura per avviarli alla frequenza de' Sacramenti.

D. Bonetti ce ne lasciò alcune traccie senza indicare il giorno.

Siamo tutti insieme per correre un arringo e guadagnarci una bella corona. Tutti voi avete desiderio di fare una buona riuscita. Dunque mettiamoci in cammino. Io vi guiderò, voi mi seguirete. Prima però bisogna che ci intendiamo nei patti. Patti chiari, amicizia lunga; dice il proverbio. Io non sono qui per guadagnar denari, per acquistarmi un nome, per gloriarmi nel vostro numero, sono qui per niente altro che per far del bene a voi. Perciò fate conto che quanto io sono, sono tutto per voi, giorno e notte, mattino e sera: in qualunque momento. Io non ho altra mira che di procurare il vostro vantaggio morale, intellettuale e fisico. Ma per riuscire in questo ho bisogno dei vostro aiuto: se voi me lo date, io vi assicuro che quello del Signore non ci mancherà ed allora tenete per certo che faremo grandi cose.

Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro Superiore quanto vostro amico. Perciò non abbiate nessun timore di me, nessuna paura, ma invece molta confidenza, che è quella che io desidero che vi domando, come mi aspetto da veri amici. Io, ve lo dico schiettamente, abborrisco i castighi, non mi piace dare un avviso coll'intimare punizioni a chi mancherà: non è il mio sistema. Anche quando qualcheduno ha mancato, se posso correggerlo con una buona parola, se chi ha commesso il fallo si emenda, io non pretendo di più. Anzi se dovessi castigare un di voi, il castigo più terribile sarebbe per me, perchè io soffrirei troppo. Quando un padre ha un figliuolo insubordinato sovente si sdegna, dà anche mano alla sferza che in certe circostanze è necessario adoperarla. E fa bene perchè qui parcit virgae odit filium suum. Nondimeno il mio cuore non reggerebbe non che a battere neppure a vedere. Non già che io tolleri i disordini; oh no! specialmente se si trattasse di certuni che dessero scandalo ai compagni: in questo caso per forza io dovrei dirgli: - Tu non puoi stare in mezzo a noi! - Ma c'è un mezzo per antivenire ogni dispiacere mio e vostro. Formiamo tutti un solo cuore! io son qui pronto per aiutarvi in ogni circostanza. Voi abbiate buona volontà. Siate franchi, siate schietti come io lo sono con voi. Chi fosse in pericolo si lasci sostenere me lo dica; chi avesse mancato non cerchi di coprirsi, ma invece procuri di rimediare al mal fatto. Se io so le cose e da voi stessi, allora procurerò di trovar ripieghi, perchè tutto proceda pel vostro meglio spirituale e temporale. Non sono io che voglio condannare coloro cui Dio avesse perdonato ecc. ecc.

 

 

II.

 

Ho da dirvi una cosa di molta importanza e questa si è che mi aiutiate in una impresa, in un affare, il quale tanto mi sta a cuore: quello di salvare le anime vostre. Questo è non solo il principale, ma l'unico motivo, per cui venni qui­. Ma senza il vostro aiuto non posso far nulla. Ho bisogno che ci mettiamo d'accordo e che fra me e voi regni vera amicizia e confidenza.

Guardate quale fortuna per voi è l'essere stati accolti nell'Oratorio. A casa se volevate assistere ad una messa bisognava o andar lontano, o levarvi presto, o aspettare molto tardi: qui invece siete a pochi passi dalla Chiesa e potete ascoltarla tutti i giorni senza doverne soffrire nessun incomodo. A casa se volevate confessarvi bisognava aspettare alla Domenica, tante volte bisognava fare un lungo cammino, talora il prete non si poteva trovare: qui invece tutti i sabbati, tutte le Domeniche e anche tutti i giorni, avete il Sacerdote pronto ad ascoltarvi. A casa se volevate fare la Comunione, spesso non vi era nessuno a comunicare o bisognava attendere, o far chiamare il prete; spesso forse vi erano compagni che non aspettavano altro se non che andaste a fare la Comunione per burlarsi di voi; qui invece potete andare alla Comunione quanto più spesso volete, non c'è nessuno che vi burli, nessuno che vi osservi e vi noti quando andate e quando non andate. In paese se volevate andare a fare una visita a Gesù Sacramentato, bisognava partirsi da casa ora per pioggia, ora per sole: talora la Chiesa era chiusa, talvolta i parenti gridavano perchè avevano bisogno del vostro lavoro; qui invece chi vi proibisce in tempo di ricreazione di entrare in Chiesa a  visitare Gesù, Maria SS., recitare un Pater ed Ave, e poi ritornare a divertirvi? Qui avete amici buoni, esempi santi, consiglieri sicuri; alle case vostre avevate altrettanto? Qui vi sono tutte le comodità possibili per fare un po' di bene all'anima vostra: i superiori non hanno altro impegno che di aiutarvi.

Qualcheduno potrà chiedere: A che cosa ci gioverà trarre profitto da questi mezzi?

Vi rispondo: - Il non approfittarne è lo stesso come uno il quale si trovasse ad una tavola e gli venissero apprestati i più lauti cibi e i più squisiti liquori, ma egli invece di mangiare e bere stesse osservando le mosche e il soffitto.

 - Ma perchè non  mangi?

 - Sì, sì mangerò mangerò poi domani!

 - Ma domani non ci sarà più questa tavola!

 - Ma lasciatemi un po' stare, che seccature!

Ah miei cari giovani! Mi chiedete se vi giovano le pratiche di pietà? E potete dubitarne? In prima vi giovano per salvarvi eternamente e andare in paradiso; e poi vi giovano moltissimo per gli studii. Io ho già per più anni notato questo. Vi è un giovane che sia assiduo di suoi doveri di pietà? Egli è amato dai compagni, dai superiori, si distingue nella scuola, al paese è la consolazione de' suoi genitori e del parroco. Al contrario quelli i quali, non vogliono saperne di pietà, sono la disperazione dei superiori, non sono amati dai compagni, poichè a questo tolgono la roba, con quell'altro rissano, col terzo adoperano villanie, prepotenze; al paese sono il disonore della famiglia, l'oggetto di disprezzo per tutti. E quando saranno grandi? Costui avrà perduti i suoi anni e si troverà colle mani vuote.

 

III.

 

Una cosa di cui debbo avvisarvi si è che scrivendo a casa non si scrivano menzogne, ma sibbene si dicano le cose come sono. Benchè si dia pane a volontà e se ne trovino pur troppo dei tozzi e mezze pagnotte intere dappertutto, vi è chi osa scrivere che qui si fan patire di fame i giovani. Ve ne è qualcheduno, il quale non avendo studiato e non essendo stato promosso, fa sapere ai parenti che si sono commesse ingiustizie a suo carico e che i maestri e gli assistenti lo trattano male. Certuni annoiati della regola, poltroni, amanti solo di mangiare e di bere, trovano a dire su tutto perchè nessuna cosa li contenta. Ma perchè fare così, o cari figliuoli? Perchè dire cose contrarie alla verità? Se il vostro occhio è torbido e vede tutte le cose di brutto colore, che cosa ci possiamo fare noi? Io non fo qui la difesa della casa, perchè la casa non ne ha bisogno e centinaia di giovani sono contentissimi di star qui con noi, con D. Bosco! Del resto se qualcheduno non ci si trova bene, sappia che non teniamo nessuno per forza. Chi non è contento della prima tavola si faccia mettere dai parenti all'altra pensione, ovvero scriva a quelli di sua casa che vengano a ritirarlo. Qui c'è nulla di male, facciano come stimano meglio. Stiano, vadano; ma che si proceda sempre con sincerità.

Ma non è solamente per i brontoloni ch'io parlo stassera: ma eziandio per quelli i quali non lo dicono colle parole, sibbene coi fatti, che l'Oratorio non è luogo per loro. Ascoltatemi. Un proverbio dice: la secchia a forza di andare nel pozzo vi lascia i cerchi. Vi sono dei giovani i quali cercano di farla franca, sicchè restino occulte le loro gherminelle. Vanno a nascondersi qua e là per sfuggire la scuola e lo studio, van rubacchiando ai compagni quello che hanno riposto nel baule, fanno certi discorsi che un giovane cristiano non dovrebbe fare: e vivono sicuri di sè, dicendo. Nessuno ci ha veduti. Costoro badino che ancorchè nessun superiore se ne accorgesse, vi è Dio onnipotente che ha veduto e loro ne domanderà stretta ragione. Ma poi sarà vero che i superiori sapranno nulla? Stiano certi che forse la faranno franca per la prima volta o per la seconda, ma non di più. Ci sono troppi occhi qui nell'Oratorio per non vedere e il diavolo fa la pentola ma non fa i coperchi. Dunque anche costoro facciano giudizio, perchè sono ancora in tempo, e coi fatti diano prova di star volontieri nell'Oratorio: altrimenti bisogna dir loro che vadano a casa.

Pertanto sia gli uni che gli altri si mettano ad operare con maggior lealtà. Io apro a voi tutti il mio cuore, se ho qualche cosa che non mi piaccia la manifesto, se ho qualche avviso da darvi ve lo do subito o in pubblico o in privato. Non vi faccio mai nessun mistero: ciò che è nel cuore l'ho sulle labbra. Così fate anche voi, o miei cari figliuoli. Se c'è qualche cosa che non vi piaccia, parlatemene; si combinerà quello che sarà meglio: se aveste fatto qualche sproposito, confidatemelo prima che altri lo sappia e vedremo di rimediare a tutto. Se voi mi ascolterete e farete così, allora sapete che cosa avverrà? Ne avverrà che finchè starete qui nell'Oratorio sarete contenti, e quando partirete pel vostro paese, andrete via di buona grazia erberete buona memoria degli uni e degli altri e saremo sempre amici.

 

IV.

 

Si legge nella storia che un potente imperatore mandò al Pontefice Innocenzo XI ambasciatori, pregandolo di aderire a certi suoi desiderii contrarii alla giustizia. L'ambasciatore sfoderò tutta la sua eloquenza per dimostrare al Papa la convenienza di non disgustare un tanto principe. Il Papa ascoltava in silenzio.

 - Santità, proseguiva l'ambasciatore; il mio sovrano promette di fare un gran bene alla religione e di proteggere la Chiesa.

 - Non posso; rispose finalmente il Papa.

 - Santità, pensate che esso possiede immense ricchezze e doterà largamente le basiliche e potrà largheggiare anche con voi se ne avrete bisogno.

 - Non posso.

 - Santità, se i vostri nemici vi recheranno insulto esso è pronto a difendervi con tutti i suoi eserciti.

 - Non posso.

 - Santità, il mio sovrano potrebbe sdegnarsi e tardi vi pentireste di aver incorso nel suo sdegno.

 - Non posso.

 - Dunque .....

 - Dunque poichè tanto insistete, ritornate al vostro imperatore e parlategli così: il Papa dice: - Se io avessi due anime ne darei volentieri una per lui e quindi alla perdizione, e mi contenterei di salvar l'altra: ma io ne ho una sola.

Gran pensiero è questo e degno del Papa! Lo stesso io dico a voi, cari figliuoli. Abbiamo un'anima sola. Se ne avessimo due potremmo una darla al demonio col contentare le nostre passioni. Ma ne abbiamo una sola! Quale dunque sarà la nostra conclusione? Darla al demonio perchè se la prenda? Eh, no! Darla al Signore affinchè ce la salvi in eterno: quindi per darla al Signore, siccome ci sono molte cose a praticarsi e molte a fuggirsi, il nostro impegno è di studiare quali sono queste cose per poterle praticare o fuggire. Io ve le ho già in gran parte insegnate e spero che farete profitto de' miei avvisi. Dovete adunque dire al demonio quando vi chiede qualche cosa contro coscienza: - Non posso, non posso, perchè ho un'anima sola! - Questa è la vera logica cristiana, questo è un ragionamento migliore che non tutti quelli dei sapienti secondo il mondo. Ma notate però che il demonio ragiona anche lui. Egli ha studiato la filosofia, la storia, la teologia, la geografia e sa ragionare con sottigliezze che presenta sotto aspetto seducente per ingannare. Egli concede che abbiamo un'anima sola, ma soggiunge: - L'uomo è nato per godere; il tempo del godere è specialmente quello della gioventù, perciò coronemus nos rosis.

Ma chiediamogli un poco: - In avvenire che cosa sarà di noi?

 - Oh! egli dice; lascia l'avvenire ensa al presente.

 - Ma quando ti avrò compiaciuto che cosa mi darai nell'altra vita?

 - Oh di questo non ne parliamo! - E con questa parola egli sottintende: Fa' il male adesso e nell'altra vita so io cosa fare: saprò bene io aggiustarti. - Così ragiona il demonio e tanti si lasciano rovinare.

Ma noi invece ragioniamo col Signore che ci paga in questa e nell'altra vita. Quando S. Nazario andò a convertire i Genovesi loro parlava dell'anima, della religione, del paradiso, ma non ne volevano sapere. Allora disse il santo: - Ascoltatemi: se voi servirete al vero Dio egli vi darà il cento per uno. - I Genovesi che erano negozianti: - Come! esclamarono; noi stentiamo ad avere il 5 per cento e questo Dio ci darà il cento per uno? - E senz'altro si fecero cristiani. Anche noi, o figliuoli, pensiamo al centuplo, ma spirituale, che Dio ci tien preparato! Oh quanto sarete fortunati se in tutto il corso della vostra vita terrete fisso sempre nella mente questo pensiero: Abbiamo un'anima sola. Se questa si salva è salva per sempre; se questa si perde è perduta per sempre.

 

V.

 

D. Bosco diede tre ricordi in questi termini: Un consiglio, un amico, un pensiero. I° Confessione frequente; 2° Gesù Cristo  tutto ciò che lo riguarda; 3° Il paradiso.

 

Le sue parole trovavano le vie dei cuori, poichè la verità che annunziavano, la grazia che accompagnavale, erano avvalorate da una carità che prendeasi cura di ogni bisogno degli alunni. Non sfuggivano al suo occhio attento le infermità, le malinconie, gli scoraggiamenti e cercava di procurare a tutti il conforto necessario. Se gli giungevano notizie dispiacenti dalle famiglie de' suoi figliuoli, egli stesso le comunicava loro con una impareggiabile delicatezza. Le cento volte si assunse l'impegno di annunziare a qualche giovanetto la morte del padre o della madre.

Verso la fine di settembre moriva quasi improvvisamente al suo paese, Monticelli d'Olgiate, il padre del giovane Sala Antonio, che in que' giorni assisteva in porteria. D. Bosco dopo il pranzo lo mandò a chiamare che venisse nel refettorio. Stupito Sala andò subito e gli chiese: - Che cosa desidera?

 - Voglio prendere il caffè in tua compagnia! - e gliene porse una tazza con molta amorevolezza. Sorbito il caffè a poco a poco gli diede la dolorosa notizia. Sala diede in un dirotto pianto, ma D. Alasonatti sorreggendolo gli sussurava all'orecchio: - Ti è morto un padre e te ne rimane un altro.

D. Bosco finì con assicurarlo che se la sua famiglia non avesse potuto pagare la modica pensione, egli era pronto a tenerlo con sè gratuitamente per tutto il tempo de' suoi studii. Il giovane andò subito a casa sua per il disbrigo di varii affari e di là scriveva a D. Bosco: “ Creda: le lagrime che io spargo per la perdita di mio padre, se penso a Lei, in un istante si cambiano in altrettante lagrime di consolazione e di gioia ”.

Sala Antonio fu sacerdote, Economo generale della Pia Società; e ripeteva gli ammirabili tratti di bontà usatigli da D. Bosco in così dolorosa circostanza.

Oltre alle parlate che D. Bosco tenne coi giovani, D. Bonetti raccolse alcuni importanti consigli da lui dati ai preti ed ai chierici o in conferenza, o trovandosi con essi in refettorio, o nel cortile in crocchio: - Guardatevi, disse, dal parlare con disprezzo di un giovane per qualche suo difetto, massime alla sua presenza o dei compagni. - Se dovrete dare un avvertimento, datelo da solo a solo, in segreto, e colla massima dolcezza. - In generale, cioè tolto qualche raro caso, non si lascino mai moltiplicare gli atti difettosi, prima di fare una correzione.

Si parli subito e schiettamente. Lodare chi si corregge ed incoraggiare gli indolenti. - Per la pace della Casa siate umili e tolleranti. Anche quando un Superiore per rapporti ricevuti, avvisa di una cosa o esagerata, o male intesa, o falsa, si accolga sempre con rispetto la sua osservazione: e in questi casi si tenga l'avviso come rimedio preventivo. - Un superiore deve esser padre, medico, giudice, ma pronto a sopportare e a dimenticare.

Raccomandò un giorno l'osservanza delle regole e a non trascurarne per varii pretesti alcuna, se voleasi avere sull'Oratorio la benedizione di Dio. In prova leggeva un tratto di lettera a lui scritta il giorno 2 del mese di settembre da una Benedittina dal Monastero di S. Maria del Fiore, presso Firenze: “ Per conservare la sanità delle monache si sono modificate le regole riguardo al coro, e la sanità nel monastero da allora in poi andò deteriorando specialmente nelle suore giovani. Da più di cinque anni non si è vestita alcuna monaca e nel frattempo, ne morirono tredici e varie sono gravemente ammalate. Pare quasi toccar con mano che tali modificazioni alle regole non siano di gradimento al Signore ”.

Nel settembre D. Bosco doveva anche pensare a que' suoi giovani che avevano scelto di abbracciare lo stato ecclesiastico. Erano la pupilla degli occhi suoi, come pure lo erano eziandio i chierici che appartenevano alla diocesi di Torino, i quali, non sapendo ove ritirarsi in tempo di vacanza, o non potendo essere provveduti dai parenti poveri, venivano a chiedere ricovero a D. Bosco. Ed egli accoglievali paternamente; e per circa quattro mesi procurava loro gratuitamente quanto era necessario alla vita.

Scriveva intanto al Rev.mo Can. Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario dell'Archidiocesi, anche per scusarsi di un rimprovero che eragli stato fatto dallo stesso canonico.

 

 

Ill.mo e Molto R.do Sig. Rettore,

 

Le trasmetto qui la copia dei voti sulla condotta scolastica dei candidati per la Vestizione chiericale, siccome fu espressa da tutti i Superiori di questa casa radunati. Se mai il Ghella Antonio non eccedesse di molto il numero degli errori fissati, vorrei chiederle favore pel medesimo; sia per la sua veramente esemplare condotta, sia per la morale certezza che porge della continuazione de' suoi studii.

I giovani Birocco Antonio, Cuffia Francesco, Nasi Angelo della diocesi d'Ivrea, Alessio Felice La pregano per mezzo mio a volerli aggregare alla diocesi di Torino.

Sebbene poveri non darebbero disturbo alcuno, giacchè io li terrei volentieri in casa e li provvederei di quanto loro occorre pel servizio che potrebbero prestare all'Oratorio.

In questa medesima occasione Le noto che i due madornali difetti di cerimonie in Duomo (appoggiando il gomito sull'altare e non aiutando a svestire i piviali in sagrestia) non sarebbero da imputarsi ai nostri dell'Oratorio, ma a due del Seminario di Chieri attualmente in questa casa. Così mi fu detto. Ciò nullameno non mancherò animare energicamente i nostri chierici e maestri affinchè si diano sempre maggior sollecitudine per rendersi capaci di quanto riguarda al divino servizio.

La Santa Vergine La conservi in sanità e mi creda con pienezza di stima.

Di V. S. Ill.ma e M. R.

Torino, 2 settembre 1863:

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

Ma non solo ei procurava di far gli interessi de' suoi alunni, ma eziandio quelli di, sacerdoti extradiocesani, come consta dalle due seguenti lettere indirizzate allo stesso canonico Vogliotti alcun tempo dopo.

 

Ill.mo e M. R.do Signore,

 

Il giovane Berardi, di cui ieri V. S. Ill.ma parlava, è veramente quello di cui aveva reminiscenza. Egli fu in questa casa con una condotta abbastanza buona, tanto per ciò che riguarda allo studio, quanto per ciò che riguarda alla moralità. E fu di sua spontanea volontà che partì da questa casa, dicendo che voleva abbandonare lo studio; di poi ne ho saputo più nulla. Ora godo che siasi presentato per l'esame dei chierici, perchè è segno che si è conservato buono.

C'è Don F…… che mi visita quasi tutti i giorni, dimandandomi appoggio e pecunia. Se mai potesse condurre la sua pratica a qualche buon risultato mi farebbe un favore e sarebbe una vera carità per questo sacerdote pericolante.

Le acchiudo qui la lettera del chierico Duina Antonio, già allievo di questa casa. Faccia quanto Le pare bene nel Signore.

Sempre miserie, sempre miserie. Il Signore La faccia ricco di grazie, di benedizioni, e Le doni un giorno le ricchezze del Paradiso, amen. Mi creda tutto

 

Torino, 21 ottobre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

Ill.mo e M. R. Signore,

 

Oggi sabato non posso recarmi in Curia come vorrei; e dovendo dar sesto ad alcune cose di premura, mi fo lecito pregarla col presente scritto.

I°) Abbia la bontà leggere la lettera di Mons. Caccia e di aggiungere due linee di commendatizia o almeno di legalizzazione della firma per l'affare  per così terminar un affare che ci ha già dato millanta di­sturbi.

2°) Veda se può promuovere la remissione a favore del Ch. Provera Secondo, che mi rinnova Mons. Vescovo di Casale: prenda con bontà questo disturbo ed io Le farò dire stassera un'Ave Maria da tutti i nostri giovanetti, mentre con vera gratitudine mi professo.

Di V. S. Ill.ma

 

Torino, 14 Novembre 1863.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Giovanni

 

La cronaca nota ancora un'altra sua carità. “ Spesso in questi tempi ricorrevano a D. Bosco i Rettori di collegi e di Ospizi per avere insegnanti ed assistenti. Egli, potendo, accondiscendeva alle loro domande per collocare chierici i quali non sentivansi chiamati alla vita dell'Oratorio, e non appartenevano alla diocesi di Torino  ovvero erano esitanti sulla loro vocazione. Al Canonico Domenico Costa che domanda un assistente pel suo convitto di S. Filippo in Chiavari, propone il Ch. Turletti di Vemante, studente di i' Filosofia, in età di 18 anni ”.

 

 

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