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Capitolo 47

Letture Cattoliche - Don Bosco visita il Collegio di Lanzo - Dà agli alunni alcune notizie del Papa. Due lettere di Don Bosco al Sindaco di Lanzo per l'ampliazione del Collegio - Il Municipio non accetta le sue Proposte - Don Bosco amplia il locale a sue spese - Sogno: I giovani che si confessano e i lacci del demonio - Album colla sottoscrizione di tutti i Salesiani e dei giovani delle case di Don Bosco da presentarsi al Papa, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua prima messa - Don Bosco tiene conferenza ai Salesiani: Emissione di voti: non propalare ciò che si fa tra di noi: mortificazione: si debbono eleggere i membri del Capitolo: procuriamo di essere degni, fondatori della Pia Società - Sacerdote inglese nell'Oratorio, che porta al Papa una stupenda medaglia d'oro de' suoi compatriotti - Feste solennissime al Santo Padre per la sua Messa d'Oro - Lettera di Don Bosco ad una Signora.


Capitolo 47

da Memorie Biografiche

del 05 dicembre 2006

Mentre gli alunni di Lanzo, associati in gran numero alle Letture Cattoliche, leggevano con grande interesse il racconto ristampato nel fascicolo di aprile “ La Valle d'Almeria ”, Don Bosco giungeva in mezzo a loro. Era il mercoledì, 31 marzo, alla sera.

Dopo le orazioni, egli parlò alquanto delle udienze che aveagli concesse il Sommo Pontefice, del quale descrisse la fiorente sanità, la meravigliosa intelligenza, e l'ardente

affetto che portava ai giovanetti. Quindi riferì i consigli che il Papa loro mandava, gli stessi già comunicati agli alunni dell'Oratorio; e loro annunziava l'Apostolica Benedizione.

Nel Collegio in tutto quest'anno non v'era stata finora neppure una leggera infermità. Fiorentissima la salute di tutti e l'annunzio dato da Don Bosco nel dicembre scorso non era più ricordato. Solo alcuno dei confidenti dell'intero segreto aspettava e taceva.

Il Servo di Dio, benchè occupato a lungo dalle confessioni, non lasciò di ispezionare la casa, di tener conferenze, d'interrogare superiori e soggetti, di dare udienza a chiunque la domandasse; e risultato della sua diligenza fu anche una proposta al Municipio.

 

 

Ill.mo Signor Sindaco,

 

Nell'occasione della visita fatta testè alle scuole del Municipio di Lanzo, affidate alle nostre cure, sono stato assai soddisfatto per ciò che riguarda alla disciplina ed al profitto scientifico e morale che scorgo fra i giovanetti tanto interni, quanto esterni.

Ma ho dovuto osservare, con vero rincrescimento, l'agglomerazione degli allievi che sono certamente in numero maggiore di quanto porta la capacità del locale. Mi tornò eziandio di non leggiero rincrescimento il vedere i dormitori, lo studio, il refettorio così stivati di giovani da non potersene più aggiungere alcuno, mentre sono continue le domande di accettazione che da varii paesi si fanno.

Per provvedere all'uno e all'altro di questi preveduti bisogni aveva già altre volte trattato col Municipio, che prese ogni cosa nella dovuta considerazione, e si addusse la sola mancanza di mezzi materiali, se non vennero dati per allora opportuni provvedimenti. Sebbene sia assai limitato lo stato delle mie finanze, tuttavia pel desiderio di provvedere al bene della studiosa gioventù e rendere stabile e florido il crescente collegio di Lanzo, mi sarei determinato di assumermi alcuni lavori a mio conto, secondo i principii già manifestati, cioè:

1° Il Sacerdote Bosco si assumerebbe a proprie spese l'ampliazione delli attuali locali del Collegio ad uso delle scuole, secondo il disegno e il limite da sottoporsi al beneplacito del Municipio.

2° Il Municipio non fa alcuna prestazione pecuniaria, ma intende compensare le spese fatte dal Sac. Bosco nel caso presente, lasciando il novello locale ad uso libero del medesimo per lo spazio di quarant'anni, purchè continui a servire per la pubblica istruzione scientifica della gioventù.

3° Passati quarant'anni, la nuova località rimarrà di totale e assoluta proprietà del Municipio.

Credo bene di notare che in questo contratto il Municipio non cagiona alcun gravame a chi succederà nella pubblica amministrazione del paese, perchè con poche tavole di terreno verrebbe a lucrare un edifizio senza costo di spesa che servirebbe per le pubbliche scuole, a rimediare ad un difetto dell'attuale edifizio del collegio, e che mentre se ne lascia ad altri l'uso, deve servire a continuare ad essere impiegato a benefizio del paese.

Neppure credo si abbiano ad incontrare difficoltà presso il Consiglio Provinciale, perchè non sarebbe un contratto niente oneroso dalla parte del Municipio, giacchè vestirebbe la natura della convenzione di chi permette la fabbricazione sul proprio suolo, a condizione che, dopo trascorso quel numero di anni, l'edifizio ceda in proprietà del padrone del terreno.

Nemmeno può ingenerare difficoltà il caso in cui fossero cangiati i programmi dalla parte del Governo, perchè qualunque essi siano, saranno sempre quelli che si dovranno usare nelle pubbliche scuole, siccome fu convenuto all'apertura del Collegio l'anno 1864.

Sono persuaso, Ill.mo Sig. Sindaco, che Ella comprenderà di leggieri che in questa proposta, per cui dovrò sottostare a non leggeri sacrifizii, io non ho altro scopo che il pubblico bene della gioventù a cui nella mia pochezza mi sono totalmente consacrato, e pregandola a manifestare questi miei sentimenti agli altri Signori del Municipio, ho l'onore di potermi con pienezza di stima professare,

Di V. S. Ill.ma,

 

Collegio - Convitto di Lanzo, 2 aprile 1869.

Obbl.mo servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

La risposta del Municipio fu tale da addossare a Don Bosco la maggior parte dei pesi che importava il progetto; e Don Bosco, alcun tempo dopo, replicò:

 

 

Ill.mo Signor Sindaco,

 

Ho ricevuto il verbale che V. S. Ill.ma si compiacque di comunicarmi relativamente alla proposta diretta ad avere mezzi opportuni per l'ampliazione del collegio di Lanzo.

Ho letto attentamente, ma con vero rincrescimento ho veduto che le apposte condizioni rendono impossibile l'esecuzione del progetto. Fra le altre non so darmi ragione della 1° 2° e 5° condizione, che tornerebbero di grave dispendio dal canto mio, senza che vi sia compenso di sorta dall'altra parte.

Non potendosi pertanto effettuare il mio progetto, la prego di volersi adoperare a che sia provveduto locale opportuno per le due Retoriche e per la 1° elementare, se pure giudica che si faccia divisa in due, come si è finora praticato, sebbene non esista obbligo nella convenzione.

Io spero che tal cosa al Municipio non tornerà difficile, qualora volesse a questo uopo impiegare il sussidio che percepisce dal Consiglio Provinciale per la manutenzione del collegio di Lanzo.

Mi creda colla dovuta stima, quale ho l'onore di professarmi,

Di V. S. Ill.ma,

 

Torino, 12. maggio 1869,

Dev.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

Non si potè venire ad un accordo; ciò non ostante Don Bosco ingrandì qualche locale delle scuole, e costrusse un nuovo dormitorio, colla spesa di circa 20, 000 lire.

Egli era partito da Lanzo il sabato 3 aprile dopo aver raccontato ai giovani un sogno da lui avuto pochi giorni prima in Torino, di cui non aveva ancor fatto parola all'Oratorio, ove ne ripeteva la descrizione il 4 aprile, domenica.

Leggiamo nelle nostre memorie:

“ Don Bosco, il 4 aprile, a tutti i giovani radunati nello studio dopo le orazioni della sera raccontò il seguente sogno:

“ Mi trovavo vicino alla porta della mia camera e mentre uscivo, tutto ad un tratto guardo attorno e mi trovo in Chiesa, in mezzo ad una moltitudine tale di giovani che la Chiesa ne era piena zeppa. Erano i giovani dell'Oratorio di Torino, quelli di Lanzo e di Mirabello ed altri molti che io non conosceva. Non pregavano, ma sembravano prepararsi per potersi confessare. Una quantità immensa stava assiepando il mio confessionale sotto il pulpito, aspettandomi. Io, dopo aver guardato un poco, mi sono messo a pensare come mai potessi fare a confessarli tutti. Ma poi temeva di essere addormentato e di sognare, e per assicurarmi che non dormiva, mi sono messo a battere le mani e ne sentiva il rumore; e per accertarmi di più allungai il braccio e toccai il muro, che è di dietro al mio piccolo confessionale. Certo così di essere svegliato, dissi: - Già che son qui, confessiamo: - e cominciai a confessare. Ma presto, vedendo tanti giovani, mi alzai per guardare se vi fossero altri confessori che mi aiutassero; e non vedendo nessuno, mi incamminai per andare in sagrestia a chiedere di qualche prete, il quale venisse ad ascoltare le confessioni. Ed ecco che vidi qua e là giovani che avevano una corda al collo che loro stringeva la gola.

 - Perchè quella corda? domandai; levatevela. - E non mi rispondevano e mi guardavano fisso.

 - Orsù, dissi ad alcuno: va' e leva quella corda.

Il giovane comandato andò, ma mi rispose:

 - Non posso levarla; vi è uno dietro che la tiene. Venga a vedere.

Volsi allora gli occhi con maggiore attenzione su quella moltitudine di giovani e mi parve di vedere dietro alle spalle di molti spuntare due lunghissime corna. Mi avvicinai un po' pi√π per veder meglio, e girando alle spalle di colui che mi era pi√π vicino, vidi una brutta bestia, con un ceffo orribile, in forma di gattone, con lunghe corna, che stringeva quel laccio. Ma costui abbassava il muso, lo nascondeva gi√π tra le zampe, rannicchiandosi quasi per non lasciarsi vedere. Io interrogava questo giovane e altri, chiedendo il loro nome, ed essi non mi rispondevano: interrogo quel brutto animale ed esso si nasconde ancor pi√π. Allora dissi ad un giovane:

 - Olà! va' in sagrestia e di' a D. Merlone, direttore della sagrestia, che ti dia il secchiello dell'acqua benedetta!

Il giovane ritornò ben presto col secchiello, ma in quel mentre io scopriva che ciaschedun giovane aveva dietro alle spalle un servitore così poco grazioso come il primo, e ch'egli pure sempre più si raggomitolava. Io temeva ancora di dormire. Presi allora l'aspersorio e domandai ad uno di quei gattoni:

 - Dimmi: chi sei tu?

L'animale, che mi guardava, allarga la bocca, allunga la lingua e poi si mette a digrignare i denti in atto di avventarsi contro di me.

 - Dimmi presto: che cosa fai qui, brutta bestia? Infuria come ti pare, io non ti temo. Vedi? con quest'acqua ti lavo per bene.

Il mostro mi guardava raccapricciato; poi si metteva a contorcersi in modo tale, che le gambe di dietro venivano su a toccare le spalle davanti. E di bel nuovo voleva avventarsi contro di me. Io lo considerava attentamente e vidi che aveva in mano varii lacci.

 - Orsù, dimmi: che cosa fai qui?

E alzai l'aspersorio. Egli allora si divincolò e voleva fuggire.

 - Non fuggirai, io continuava: rimani, te lo comando!

Ringhiò, e: - Guarda! - mi disse: e mi presentava i lacci.

 - Dimmi, io soggiunsi, che cosa sono questi tre lacci? Che cosa significano?

 - E non sai? Io stando qui, mi rispose, con questi 3 lacci stringo i giovani perchè si confessino male: con questi io conduco alla perdizione con me i nove decimi del genere umano.

 - E come? in che maniera?

 - Oh! non te lo voglio dire: tu lo palesi ai giovani.

- Olà! voglio sapere che cosa sono questi tre lacci. Parla! altrimenti ti getto addosso l'acqua benedetta.

 - - Per pietà mandami all'inferno, ma non gettarmi addosso quell'acqua.

 - In nome di Gesù Cristo, parla adunque!

Il mostro, storcendosi spaventosamente, rispose: - Il primo modo col quale stringo questo laccio è col far tacere ai giovanetti i loro peccati in confessione.

 - E il secondo?

 - Il secondo è spingerli a confessarsi senza dolore.

 - Il terzo?

 - Il terzo non te lo voglio dire.

 - - Come? non me lo vuoi dire? Adesso ti getto sopra quest'acqua benedetta.

 - No, no: non parlerò; - e si mise a gridare forte: - E come? E non ti basta? Ho già detto troppo! - E ritornò a infuriarsi.

 - Ed io voglio che tu lo dica per riferirlo ai Direttori! - E ripetendo la minaccia alzai il braccio. Allora uscirono fiamme dai suoi occhi, e poi alcune goccie di sangue e disse: - Il terzo è non fare proponimento fermo e non seguire gli avvisi del confessore.

 - Brutta bestia! - gli gridai per la seconda volta, e mentre voleva domandargli altre cose e intimargli di svelarmi in qual modo si potesse rimediare a quel gran male e render vane le sue arti, tutti gli altri orribili gattoni, che fino allora si erano studiati di star nascosti, incominciarono un sordo mormorio, poi ruppero in lamenti, e si misero a gridare e a prendersela tutti contro colui che aveva parlato e fecero una sollevazione generale.

Io, vedendo quello scompiglio, e pensando che non avrei ricavato pi√π nulla di vantaggioso da quelle bestie, alzai l'aspersorio, e gettando l'acqua benedetta su quel gattone che aveva parlato: - Ora va'! - gli dissi; e quello disparve. Quindi gettai l'acqua santa da tutte parti. Allora, con grandissimo strepito, tutti quei mostri si diedero a precipitosa fuga, chi da una parte, chi dall'altra. A quel rumore mi svegliai e mi trovai nel letto.

Oh, cari giovani, quanti, che io non mi sarei mai creduto, avevano il laccio al collo e il gattone dietro. Ecco adunque questi tre lacci che cosa sono. Il primo, che tiene allacciati i giovani, significa quello per cui uno tace in confessione. Il laccio gli chiude la bocca affinchè per vergogna non si confessi di tutto: oppure invece di confessare che certi peccati li commise quattro volte per esempio, dica tre o quattro, mentre sono quattro precise. E costui manca di sincerità allo stesso modo di chi tace. Il secondo laccio è la mancanza di dolore; e il terzo la mancanza di proponimento. Quindi se vogliamo rompere questi lacci e toglierli dalle mani del demonio, confessiamo tutti i peccati e procuriamoci un vero dolore ed un fermo proponimento di obbedire al confessore.

Quel mostro, poco prima di andare così in furia, mi disse ancora:

 - Osserva il profitto che i giovani ricavano dalle confessioni. Il frutto di queste deve essere l'emendazione, e se vuoi conoscere se io tengo i giovani allacciati, guarda se si emendano.

Devo ancora osservare che ho voluto farmi dire dal demonio perchè stesse dietro alle spalle dei giovani, ed ei mi rispose: - Perchè non mi vedano e per poterli più facilmente trascinare giù nel mio regno. Vidi che erano molti quelli che  avevano alle spalle quei mostri, più di quelli che credeva.

Date a questo sogno quel peso che volete, ma il fatto sta ed è che ho voluto osservare e vedere un po' se fosse vero ciò che ho sognato, ed ho trovato che la cosa era veramente così. Approfittiamoci pertanto di questa occasione, che abbiamo di acquistare l'indulgenza plenaria, facendo una buona confessione colla comunione. Facciamo il possibile per liberarci da questi lacci del demonio. Il S. Padre concede l'indulgenza plenaria a tutti quelli, i quali nel giorno che sì fa la festa del cinquantenario della sua prima messa, nella prossima domenica 11 aprile, confessati e comunicati, pregheranno secondo l'intenzione di Santa Chiesa. Sabato il nostro sig. Cavaliere avrà un'udienza particolare dal Santo Padre ed offrirà l'Album dove sono sottoscritti tutti i giovani dell'Oratorio e delle altre case..

Intanto voi osservate se per lo addietro avete messe in pratica tutte le condizioni necessarie per far bene la S. Confessione; io domenica vi raccomanderò tutti nella S. Messa.

L'Album, cui accennava Don Bosco, era un elegante fascicolo di gran formato e di 48 pagine. Sul frontespizio si leggevano queste sole parole: L'UNDICI APRILE 1869. Seguivano, nelle altre pagine, un'iscrizione latina e un indirizzo in italiano.

L'epigrafe diceva così:

 

Laetitia . Maxima - Gestientes - Et Ante. Pedes . Tuos . Sanctissimos . Provoluti - Tibi - 0 . PIE. IX . Pontifex. Maxime - Iam . Inde . A . Quinquaginta . Annis - Sacra. Deo.  Facienti - Mente . Et. Corde . Gratulantes - Sacerdotes. Alumni. Sacrorum. Et Iuvenes - Asceteriorum . Taurinensium - Quibus. A . S. . Francisco. Salesio. Aloysio. Et Iosepho - Nomina . Sunt . Facta - Et Ephebeorum . A . S. Philippo. Apud . Lanceum - A . S. . Carolo - Apud . Mirabellum - Plurimos . Adhuc . Annos - A . Deo . Optimo . Maximo Praecantur - Ut . Tute . Ipse . Aliquando . Videas - Integrum. Christiani. Nominis . Triumphum.

 

L'indirizzo in italiano.

 

 

Beatissimo Padre,

 

Noi siamo Poveri giovanetti, che desideriamo di farvi sentire una Parola, che vi attesti il grande amore che portiamo a Voi, o Beatissimo Padre, in questo giorno di universale letizia. I nostri Superiori ci raccontarono le continue prove di affetto che Voi mostrate in generale per la gioventù, e specialmente per quella che accorre agli Oratori e Collegi diretti dall'amato nostro Padre D. Bosco. Oh come ci commosse quel tenero affetto! Noi Vi ringraziamo infinitamente, e Vi abbiamo pregato e Vi preghiamo dal Signore una ricompensa, che si avvicini ai Vostri meriti. In questo giorno poi in cui tutto il mondo invia regali ed auguri alla Veneratissima Vostra Persona, noi non abbiamo potuto tacere, ed ultimi per meriti e non per affezione, osiamo avanzarci al Vostro amatissimo cospetto e dirvi che oggi vorremmo avere tutte le ricchezze di questo mondo per offerirle al Paterno Vostro cuore, e la sapienza di Salomone per saper esaltare meritamente le Vostre glorie. Ma noi siamo poverelli, e non abbiamo ancora nella nostra età quella scienza necessaria per parlare a Voi e lodare Voi, Vicario di Gesù Cristo. Ma fin d'ora vogliamo tutti sacrificare a Voi i vostri affetti, i nostri pensieri, il nostro ingegno, il nostro cuore. Nel giorno faustissimo in cui si compierà il Vostro cinquantenario di Sacerdozio, caldamente ci raccomandiamo che vogliate comprendere anche noi tra quelli per cui innalzate le preci del Divin Sacrifizio, e noi raccolti intorno all'altare di Gesù in Sacramento, oltre a speciali preghiere, faremo la nostra Santa Comunione secondo la Vostra intenzione, e uniti ai nostri buoni Direttori, che applicheranno la Messa per voi, Vi auguriamo da Dio molti anni ancora di vita gloriosa in terra. Oh! la gloria non Vi manca, chè ormai tutto il mondo Vi ammira, e Vi benedice; ma non Vi mancano Pure le spine! Oh quanto ci rincresce, o Veneratissimo Padre! Facesse il Signore che in quella gran festa per tutti i buoni, anche i Vostri figliuoli che si allontanarono da Voi, Vi benedicessero e ritornassero ai Vostri piedi. Noi preghiamo anche per ciò, sapendo che pur questa è la Vostra intenzione e brama, acciocchè vi conosca il mondo e Vi ami. Noi Vi vorremo sempre bene, e riconosceremo sempre la Sede di Roma, come l'ancora di salute, come l'arca di Noè, dove potremo riparare nei giorni del diluvio.

Accettate, o Veneratissimo Padre, queste povere, ma sincere attestazioni di fede e di affezione, e degnatevi di benedire tutti noi, che in ispirito ci prostriamo devoti ai Vostri piedi santissimi.

 

(Seguivano le firme de' Sacerdoti in N.° di 32, dei Chierici in N.° di 73, degli Alunni in N°. di 3430).

 

Ma per Don Bosco il più bell'omaggio al Pontefice era quello di formare i Salesiani secondo lo spirito da lui voluto: perciò non si stancava di esortarli alla vita di perfetti religiosi. Peccato che poche furono le sue conferenze conservate dalle cronache e quelle poche, piuttosto a modo di tracce, che di intiero ragionamento. Tuttavia non vogliamo ommettere, ciò che fu conservato.

 

 

6 aprile 1869.

 

Nella biblioteca dell'Oratorio ebbe luogo la sera, dopo le orazioni, la conferenza di S. Francesco di Sales. Dopo il Veni Creator Spiritus, recitato alternativamente, Don Bosco vestito di cotta sedette, e i due sacerdoti D. Garino e D. Dalmazzo, l'uno dopo l'altro, fecero i loro voti ad triennium, assistiti da Don Rua e da D. Cagliero. Dopo si recitò il Te Deum. Ciò fatto, Don Bosco ci disse addattate cose per questa circostanza.

“ Quando qualcheduno fa i voti, siamo soliti a date qualche avviso più essenziale a questo riguardo. Prima di tutto desidero che nessuno dica niente ad estranei di ciò che si fa qui. Se qualcheduno di fuori ci domandasse qualche notizia intorno a noi, si dica qualche cosa in generale, per es: che la nostra Società è approvata, ma nulla di ciò che si fa, che si dice nell'interno della casa; come sarebbe dei consigli di qualche superiore, di qualche divergenza fra confratelli, di qualche disordine o difficoltà. I mondani non intendendo queste cose non compatiscono. Nolite projicere margaritas vestras ante porcos. I mondani non sapranno dir altro, se non che siamo stolti a volere abbandonare il mondo. Se accadrà qualche cosa di disgustoso, questo calice ce lo berremmo noi soli e che nessuno sappia niente. Questo è dettame di cristiana prudenza. Ciascuno stia contento di quello che gli vien affidato dai Superiori: non cerchi di aver quella o quell'altra cosa. Procuriamo di star uniti in un solo spirito. Raccomando che tutti insieme vogliamo quello che vogliono i superiori. Riguardo alla tavola ciascuno sia contento di quel poco che la Provvidenza ci manda: ci sia quel tanto che è necessario, e basta. Otia, vina, dapes, sono la rovina della castità.

Otia: Abbiamo la carne che è un nemico formidabile e per combatterlo dobbiamo fuggire l'ozio: otia... Facciamoci un impegno per osservare l'orario della Casa: che in tempo di occupazione nessuno si veda a passeggiare, ad eccezione di bisogno per sanità. Ciascuno si occupi in quel che deve occuparsi e non in altro... Si faccia la visita al SS. Sacramento. Si frequenti la confessione e la Comunione regolarmente. Facciamoci un impegno per mettere in pratica tutte le regole della congregazione. Al mattino, al suono della levata, ciascuno, senza qualche motivo di sanità, non stia mai a letto, ma vada in Chiesa a fare cogli altri le sue preghiere; e se non può fare cogli altri questi esercizii di pietà, li faccia da sè e non li trascuri.

Vina. Noi non dobbiamo osservare quello che fanno gli altri, ma se ci cadono sotto gli occhi cose che non vanno bene, noi non possiamo non vedere. Infatti vediamo qualche povero sacerdote secolare dato al vizio del bere. Escono di casa, vanno alle bettole, si ubbriacano e cadono in uno stato il più deplorevole e lagrimevole. E come custodire la castità in queste occasioni? Ah! se non si perde, è un vero miracolo! ...

Dapes. Temperanza nel mangiare. Per noi qui non c'è pericolo, perchè abbiamo solo il necessario, ma si osservi il digiuno del venerdì per quanto si può.

Adesso succederanno delle crisi, perchè è vero che la Società è approvata, ma non basta ancora; bisogna riordinarla, stabilirla: bisogna esaminare quali individui non facciano per la Società e spedirli: altri che sono indecisi si determinino: ciascuno pensi a risolvere, perchè il Superiore è obbligato in coscienza a fare così.

Ora ci saranno diversi religiosi e parroci di campagna che domanderanno di entrare nella Congregazione: bisogna però andare molto adagio nell'accettarli, perchè essi vorrebbero venir qui a comandare, anche con buono spirito; ma ci disturberebbero, o difficilmente potrebbero adattarsi al nostro genere di vita.

Stiamo attenti che nulla si cambii delle tradizioni, altrimenti difficilmente si potrà richiamare l'antico fervore.

Udite un fatto. Vi era un padre rettore di un convento, il quale voleva portar rimedio ai disordini che in esso accadevano: voleva riformarlo. Vedeva che i frati uscivano, liberamente, portando il vano pretesto non poter vivere senza fare al mattino e alla sera una passeggiata per divagarsi alquanto. Egli aveva pensato di ridurre il vitto a due pietanze, dicendo che così i religiosi avrebbero potuto più facilmente digerire.

Come pensò, così fece; ma i religiosi levarono i lamenti, dicendo al Padre Provinciale che il loro superiore li faceva morir di fame. Il Rettore disse al Provinciale in sua difesa, che le rendite del convento non potevano sopportare tanta spesa pel cibo. Il Provinciale gli rispose: - Guardate; i vostri religiosi sopporteranno le discipline, le penitenze anche rigide, ma se li colpite nel ventre, non li potrete ridurre all'obbedienza, e vi scapperanno.

 - Io non posso fare altrimenti, replicò il Rettore. Scriverò al Padre Generale.

 - Ma no: perchè il vostro convento sarà allora distrutto dai Superiori! - La cosa restò a questo punto ed il fatto sta ed è che questo convento sarebbe stato risparmiato e sarebbe stato esente dalla soppressione dell'autorità civile; ma per questo motivo, che furono colpiti nel ventre, si disciolse da per sè. Si sbandarono, prima ancora che venisse l'ordine di uscirne. Avete inteso?

Un'altra volta stabiliremo il personale del Capitolo. Quelli che vi erano sono per scadere.

Tratteremo poi il modo col quale potremo eleggerli e chi saranno gli elettori. Quindi si daranno i voti. Forse i votanti saranno solamente i professi perpetui. Poi bisogna pensare ad un locale, ad un oratorio privato per radunarci.

Guardiamoci di farci proprio degni fondatori della Società di San Francesco di Sales, affinchè coloro che leggeranno la nostra storia possano trovare in noi tanti modelli e che non abbiano invece ad esclamare:

 - Che razza di fondatori eran quelli!

Aiutatemi colla buona volontà ed obbedienza in questa grande impresa. Tocca a voi rendere facile il mio compito. Si ha un bel dire: mettetevi a capo di una Congregazione! Bisogna essere alla prova. La diversità di sentimenti e di pensieri, e la fatica di ridurre molti ad uno spirito e ad un'anima, sola, è cosa di immensa difficoltà. Ma col vostro aiuto filiale tutto mi sarà facile.

Di quei giorni passavano a Torino molti cattolici stranieri che andavano a Roma per assistere alle feste giubilari della messa d'oro di Pio IX; e venivano a visitare la Chiesa di Maria Ausiliatrice e vedere Don Bosco. Fra questi giunse, accompagnato dal Cav. Faà di Bruno, un sacerdote, partito dall'Inghilterra, il quale portava al Papa una medaglia di oro, del valore di 500 sterline, dal diametro di più di 16 centimetri, dono dei fedeli di quell'isola. Da una parte aveva un ritratto stupendo del S. Padre con un popolo di figure che magnificavano la definizione dell'Immacolato Concepimento; dall'altra la Vergine, abbellita dal confronto di Adamo e di Eva a Lei rivolti con affetto dolcissimo, mentre una colomba misteriosa le pioveva dall'alto un nembo di raggi. Era lavoro di Vechte, artista francese, pareggiato al Cellini.

Don Bosco e Don Ghivarello maravigliarono a quel miracolo d'arte.

Era come la primizia di un'infinità di donativi preziosissimi, in oggetti sacri e profani, mentre ad un milione ammontava l'obolo di S. Pietro. Il Teol. Margotti di Torino, a mezzo dell'Unità Cattolica, aveva egli solo raccolto 300.000 lire, la maggior parte in oro.

Il 10 aprile il Cav. Oreglia, recatosi a Roma, era ammesso all'udienza privata dal Papa, al quale presentava l'Album dell'Oratorio; e l'11 assisteva alla messa cinquantenaria celebrata dal Pontefice in S. Pietro, dalle otto alle nove. Circa 100.000 persone gremivano tutta la basilica, anche la corsia della gran navata di mezzo, che in simili casi soleva mantenersi sgombra dalle file delle milizie, ed anche gli atrii, formando una massa unita e compatta.

Nell'ora medesima in cento e mille templi del mondo, una moltitudine, rispetto alla quale gli adunati in S. Pietro non erano che un pugno, stava assistendo ai sacri misteri, attorniando in ispirito l'altare di Pio IX. I pellegrini accorsi da ogni parte a Roma avevano raddoppiata la popolazione della città e molti dovettero pernottare negli atrii delle chiese, e sotto i portici. Le feste religiose, cittadine, militari, durarono tre giorni con splendore sovrano, con tripudio affettuoso e inenarrabile dei popoli.

Anche i Collegi di D. Bosco partecipavano a tanto gaudio filiale, con comunioni generali, musiche, e luminarie.

Così Don Bosco offriva a Pio IX il tributo del suo ardentissimo affetto col quale il suo cuore stringeva anche tutta la Chiesa Cattolica. E non era il tributo di un giorno o di una speciale solennità, ma quello di ogni istante della sua vita, operosa, piena di zelo, pronta ad ogni più arduo sacrificio. E questo affettuoso omaggio era illimitato, perchè si estendeva verso ciascuno dei figli del Sommo Pontefice, col quale conviveva, s'incontrava, s'intratteneva, era in corrispondenza per lettera. In ognuno venerava l'immagine di Dio, il carattere del Cristiano, a qualsivoglia classe della società appartenesse.

Chiudiamo questo capo con una lettera che egli scriveva alla Signora Rosa Gnecco, Via Giulia 21, Genova.

 

 

Pregiatissima Signora,

 

Dio sia sempre benedetto e quando ci dà consolazioni e quando ci dà afflizioni. Preghiamo con fede e speriamo. Se non è contrario al bene dell'anima, Dio ci concederà quanto dimandiamo.

Dica tutti i giorni: tre Pater, Ave e Gloria al SS.mo Sacramento con una Salve Regina. Io pregherò eziandio nella Santa Messa; Dio è un buon padre.

Dio ha già concesso molte grazie a quelli che promettono di fare qualche oblazione per la continuazione dei lavori della chiesa qui dedicata a Maria Ausiliatrice.

Ogni bene venga sopra di Lei e sopra le persone che mi raccomanda; preghi anche per me che mi professo di V. S. Preg.ma

 

Torino, 14 aprile 1869.

Obbl.mo Servitore

Sac. Giov. Bosco.

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