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Capitolo 47

Trepidazione di Roma pel pericolo di essere invasa dai nemici. - Don Bosco scrive ad alcuni Romani assicurandoli essere insussistenti i timori, e che egli sarà presto con loro. - Gli animi rimessi in calma, e grande gioia per l'aspettazione del suo arrivo. - Lettere del Conte Vimercati: chiede la guarigione dal male nervoso: una parola misteriosa del Servo di Dio lo mette in dubbio d'essere esaudito: si lamenta perchè non gli ha scritto della sua venuta in Roma: gli fa sapere che il Papa lo aspetta: attende da lui qualche sollievo. - Il Conte offre a Don Bosco generosa ospitalità nel suo Palazzo ed è accettata - La fame in Italia.


Capitolo 47

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Dai numerosi fasci di lettere che si conservano nei nostri archivii si vede come D. Bosco fosse in corrispondenza colla primaria nobiltà del Veneto, della Lombardia, della Liguria, di Parma, di Modena, della Toscana, e di tutta l'Italia Centrale e anche di qualche regione del Napoletano. Si ricorreva a lui per consigli, preghiere, benedizioni, con una confidenza filiale; gli si domandavano medaglie, e lo si invitava a volersi recare nelle varie città.

Specialmente i Romani pensavano a lui in questi giorni. A Roma, dopochè era stata privata delle sue provincie, non bastavano i tributi dei pochi territorii rimastile per gli stipendii de' suoi impiegati, per gli interessi da soddisfare del debito pubblico, e pel mantenimento del suo piccolo esercito. L'obolo di S. Pietro e il prestito cattolico erano

stati fin qui il mezzo prodigioso per far fronte a tante obbligazioni; sebbene talvolta inadeguato, e sempre incerto e precario.

Intanto continuava il graduale ritiro delle truppe francesi (che sommavano a 14,000 soldati), incominciato nel dicembre del 1865; gli ultimi battaglioni avevano lasciato Roma il 10 dicembre 1866. Napoleone però per convenzione fatta col Cardinale Antonelli, aveva formato in Antibo un presidio di 1200 uomini cattolici francesi e stranieri, arruolati per quattro anni a tutte spese del Papa per provvedere alla deficienza delle sue milizie. Questa legione era entrata in Roma il 22 settembre colla sola missione, stampò il Moniteur de l'Armée - di difendere la persona del Papa e di mantenere l'ordine nella città di Roma contro i perturbatori. - E il Governo Francese fin dal principio dell'anno aveva categoricamente dichiarato che quella milizia non aveva alcuna attinenza con esso lui e sarebbe in tutto ed in ogni circostanza pareggiata alle altre truppe papali. Il Governo Italiano scaglionava intanto le sue truppe sulla frontiera pontificia, concentrandole a Perugia, Orvieto, Rieti e Temi, mentre il Ministero mandava da Firenze danari e consigli al Comitato Nazionale di Roma che preparava la rivoluzione. Agenti stipendiati per vie clandestine e per segrete congiure preparavano aperte violenze. Un proclama di Mazzini in cento mila esemplari eccitava furiosamente i sudditi del Papa a ribellarsi. Casse di fucili, di bombe e pugnali, viaggiavano dall'Inghilterra verso la città papale per i settarii, e 1200 carabine erano state già introdotte. Questi indizii facevano temere un'imminente perturbazione gravissima.

Anche il Conte Conestabile della Staffa il 12 novembre 1866 scriveva al Cav. Oreglia: “Lo sviluppo degli avvenimenti che si presentano nella loro gravità, deve essere atteso con calma, corroborata colla fede, coadiuvata colla preghiera. Così inculca ai Cattolici il S. Padre e questi sono i sentimenti di Don Bosco espressi recentemente a persone rispettabili ”.

I signori Romani temevano assai l'invasione dei Garibaldini e molti consultarono Don Bosco se non fosse meglio per essi allontanarsi da Roma. Don Bosco scrisse alla Marchesa di Villarios: “ Gli italiani non entreranno. È più facile che le pietre dei selciati di Roma sorgano per battersi l'una contro dell'altra, di quello che ora entri la rivoluzione in Roma. E ciò è tanto vero, che io stesso nei primi giorni dell'anno venturo 1867, mi recherò immancabilmente ai piedi del Santo Padre, e mi fermerò lungo tempo nell'eterna città ”.

Scrisse anche che prima del centenario di S. Pietro nulla sarebbe accaduto.

La notizia di queste assicurazioni si diffuse ben presto per Roma e contribuì grandemente a mettere gli animi in calma. Però furono causa eziandio di un famoso equivoco, pel quale anche nel 1870 molti si confortavano con questo non entreranno! Ma Don Bosco, come vedremo, aveva parlato del 1867 e non degli anni di poi.

L'effetto delle parole del Venerabile appare da altre lettere romane. Scriveva di nuovo al Cav. Oreglia, il Conte Scipione Conestabile della Staffa, il 2 dicembre 1866: “ Per le assicurazioni ricevute da Don Bosco si sta tranquilli e quietamente si dispone il prolungamento del soggiorno in Roma. Questa calma, questa quiete in oggi è completamente, grazie a Dio, compenetrata in noi; ed è risuscitata generalmente in tutti. Si attende con fiducia in questi giorni il trionfo della Chiesa; e un miracoloso avvenimento che glorificherà il Pontefice dell'Immacolata.... Siamo tutti contenti di poter ossequiare Don Bosco, stimarlo d'appresso e baciargli la mano, avere le sue parole, le sue esortazioni e l'associazione delle sue preghiere.... Ho ritirato il prezzo dei biglietti esitati della Lotteria ”.

Il Conte Annibale Bentivoglio, il 3 dicembre 1866, dopo aver parlato di un altare e di una cappella da erigersi a sue spese per la Chiesa di Maria Ausiliatrice, continuava: “ Ho inteso ieri che Don Bosco pensa venire in Roma pel 12: sarebbe assai buona e confortante la sua presenza in un momento di grande ansietà per molti e molte; e per ciò che mi interessa, sarebbe per me una gran fortuna accelerata, quella di poter parlare con questo buono e santo Sacerdote e Padre, che non desidero al certo di annoiare, nè opprimere, ma non le nascondo che vorrei assai godere della sua compagnia, presenza, discorsi, opere e che so io… Lessi prima e quindi feci recapitare l'acclusa per la Duchessa di Sora, come anche spedii all'Ufficio della Civiltà Cattolica l'altra lettera.

” Il fatto da Lei narrato circa la guarigione operata per preghiere di D. Bosco di quell'idropico, mi era già noto per parte della Marchesa Villarios: è un fatto assai importante per iscuotere, incoraggire, e per formarne un processo: mi dispiace che la persona gratificata non voglia essere nominata: ciò che impedisce, almeno credo, qualunque passo di pubblicità. Dio sa quel che fa, e son certo che qui in Roma opererà qualche portentoso tratto di sua bontà e potenza con l'intermezzo del suo fedelissimo servo Don Bosco. Tanto io che mia moglie e le nostre vicine siamo sempre in smania per il piacere di vederlo; noi poi per ringraziarlo con tutta effusione di animo per tanti benefizi ottenuti da Dio per suo mezzo e per le sue preghiere, e per quelle della sua Casa.

” Resta sempre fisso che, qualora credesse approfittarsene, le spese dei viaggio di Don Bosco sono per mio conto, come le dissi in Roma; arriveremo fin dove potremo nelle attenzioni per uno che io riguardo come padre, il quale ci ha insegnato il modo di onorare e fare qualche piccola cosa per la SS. Vergine Ausiliatrice ”.

E D. Aicardi il 28 dicembre: “ Mi si assicura che Don Bosco sarà a Roma nella prima quindicina del prossimo gennaio. L'uomo provvidenziale dove lo condurrà ad alloggiare la Provvidenza? Sento che molte distinte persone e famiglie si contendono l'onore di poterlo avere nelle loro case. Io e la famiglia ci terremo contentissimi di avere la sorte di avvicinarlo ”.

Fra gli abitanti dell'alma città il Conte Giovanni Vimercati, ricco signore, dato alle opere di beneficenza e stimatissimo in Roma, avendo stretta amicizia col Cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, teneva corrispondenza epistolare con lui e con Don Bosco. Più volte si era raccomandato al Servo di Dio perchè gli ottenesse la guarigione della SS. Vergine da una seria malattia nervosa: il 23 agosto rispondeva a Don Bosco: “ La buona Cornelia Millingen mi comunicò una lettera a lei diretta dal Cav. Oreglia, assai misteriosa sul conto mio, ed io sto tranquillamente aspettando i risultamenti. Io so di essere nelle mani di Dio e di Maria Ausiliatrice, e mi basta. Ella però, mio rev. Don Bosco, mi dica se debbo fare qualche cosa. Ella mi fa ringraziamenti, ma io non li merito affatto; però lo assicuro che tornerò a fare quel meglio che potrò in soccorso di cotesta fabbrica, tosto che mi verrà di poterlo fare ”. La parola misteriosa alludeva al dubbio, cioè se la Madonna avrebbe giudicato essere pel suo meglio la guarigione.

E continuava a scrivere a Don Bosco in data 17 ottobre: “ Tutti dicono che Don Bosco vien presto a Roma! Ma perchè non consola anche me con sì bell'annunzio? Si ricordi che nel mio stato di salute ho bisogno di conforti… Gli assalti nervosi non fanno tregua… Mi dica se veramente viene presto. Oh io lo credo e lo spero ”.

E il 15 novembre: “La signora Sofia Timoni sorella della contessa Malvasia di Bologna mi fece molta premura di far avere a lei l'inclusa carta che fedelmente le rimetto con preghiera di esaudirla.

” Io fui sabato ora scorso da Sua Santità che mi trattenne a lungo colla solita sua bontà seduto al suo fianco. La sua salute è ottima, e tranquillo il suo spirito. Gli parlai anche molto di lei e dell'ultima sua lettera. Esso è meco desideroso di vederlo a Roma. Del resto ha la stessa fiducia che Ella ha ed io ho fermissima.

” La mia salute poi è sempre e forse anche più bersagliata da disturbi nervosi che si fanno assai frequenti; ne benedico però e ne ringrazio il Signore: questi mi sono un continuo argomento di tenermi alla sua presenza ed abbandonato nelle paterne sue braccia. Egli sia sempre benedetto. Mille cose di paradiso all'angelico Cav. Oreglia, che Iddio benedica con Lei e li faccia sempre più santi ......

” Anche l'aureo nostro Podestà e Senatore Marchese Cavalletti la ricorda con affetto ed ossequio ”.

E il 28 novembre: “ Io ho una grande fiducia che Maria Ausiliatrice mi vorrà mandare col di Lei mezzo qualche suo rimedio anche per la povera mia salute, se sarà nell'adorabile volontà di Dio che io abbia ad esserne ristorato ”.

Finalmente il 1° dicembre la signora Cornelia Von Millingen notificava al Cav. Oreglia: “ Oggi sono stata dal Signor Conte Vimercati per dirgli quanto Ella mi scriveva nella sua del 26. Il Conte ringrazia tanto Lei e Don Bosco delle orazioni, Messe, e comunioni; e prega quanto sa e può Don Bosco di voler venire ad abitare in casa sua quando verrà in Roma; gli offre due camere, una per lui, una per un compagno; poi la cappella e tutta la casa a sua disposizione; e perchè abbia comodo di uscir quando vuole, senza aver riguardo per il conte, vi sarà sempre alla porta una carrozza per Don Bosco; potrà uscire e ricevere chi vorrà, senza incomodo veruno del Conte. Dice che il caffè è sempre pronto, il pranzo sempre lo troverà senza lusso, ma di tutto cuore: insomma l'aspetta.... E piangeva dalla consolazione al solo pensarvi. Io la pregherei, dopo aver ottenuto il sì da Don Bosco, di telegrafare dicendo: Accetta l'invito. Così il povero Conte sarà tutto contento.

” Quando poi sarà il momento che Don Bosco verrà, allora me ne prevenga e tutto sarà messo in ordine.

” Il buon Conte sta sempre in casa; è alzato, fa qualche passo per la camera, ma non può uscire; dice che lo raccomandino a Dio molto, molto. Egli desidera tanto di vedere Don Bosco e l'aspetta con ansietà. Sarò ancor io ben contenta di conoscere Don Bosco.

” Domani a Dio piacendo farò le sue parti e quelle di Don Bosco coll'Em.mo Cardinale Patrizi; le ritorno i saluti del conte Conestabile, di Mons. Serlupi e Canonico Munetti. Questi vorrebbe che Don Bosco, venendo, portasse quattro copie della sua Storia d'Italia ......

” N.B. - Dica a Don Bosco che abitando col Conte Vimercati avrà sempre il SS. Sacramento in casa, che dalla sua camera potrà andare al coretto quando vuole, senza dare il minimo incomodo al Conte. Aspettiamo il telegramma che dica che accetta ”.

Verso il fine del mese di dicembre giunse al Conte Vimercati la desiderata notizia, che Don Bosco accettava con riconoscenza un'ospitalità offerta con tanto affetto.

Mentre il Servo di Dio si disponeva a partire per Roma, avveravasi la terza dolorosa sua previsione, quella della fame in Italia.

La miseria si era andata aumentando nella penisola e la questione della fame faceva spaventevoli progressi, causa le strettezze dell'erario, la sospensione dei lavori pubblici per parte del Governo e de' Municipii, i mancati raccolti, le devastazioni della guerra; 150.000 uomini congedati dall'esercito con 40,000 soldati restituiti dall'Austria, i quali non potevano trovar subito pane e lavoro; la distruzione dei conventi, alle porte dei quali il povero poteva una volta trovare la sua minestra.

A Venezia il 1° dicembre la plebe affamata, chiamando pane e lavoro, irruppe schiamazzando nel Palazzo Municipale, di cui a stento, chiudendo i cancelli, venne impedito il sacco. Il 3 dicembre nuovi tumulti: la folla è dispersa dalla forza armata; i più riottosi gettati in carcere. Erano operai della Darsena che pel caro delle derrate non potendo campare colla misera paga, chiedevano che venisse loro accresciuta. In più luoghi si dovette far marciare la truppa per domare le sommosse della plebe, dove ammutinata per fame, dove ribellatasi all'autorità civile, dove pronta al saccheggio.

A Verona il municipio cercava calmare il popolo promettendo lavoro e soccorsi, mentre a frotte le donne e i fanciulli correvano a strappare le palafitte dei forti abbandonati dagli Austriaci per farne legna da ardere, con pericolo di scoppio delle mine non ancora rimosse; e il malandrinaggio infestava la città. A Padova il popolo rispondeva alle esortazioni delle autorità cantando per le vie canzoni che invocavano il ritorno dei Tedeschi.

A Napoli il caro dei viveri aveva raggiunto il doppio degli anni precedenti, e nel Napoletano la miseria uccideva o faceva uccidere. Tristissime le notizie delle altre provincie, da potersi affermare (stampavano i giornali) essere incerto come vivranno nei prossimi mesi alcuni milioni di Italiani. Da ogni parte del Friuli, come dalle Calabrie, si sollevava un grido d'angoscia. Nel Cadore andarono in tumulto i luoghi d'Auronzo, di Lozzo, di Vigo e di Candide, nella quale ultima terra ebbero a deplorarsi pi√π ferimenti e risse sanguinose. Gravi disordini avvennero anche a Dogliani e in Santa Margherita di Rapallo.

In Sardegna a Nuoro scoppiò una sommossa. Era fallito nell'isola il raccolto del grano. Il popolo soleva cibarsi esclusivamente di pane e sui mercati il grano costava 32 lire all'ettolitro, sicchè riusciva impossibile all'operaio il provvedere alla giornaliera sussistenza della sua famiglia. La disperazione spinge al delitto. Bande in armi aggredivano intiere borgate, e le depredavano; e per depredare ferivano ed uccidevano. Molti morivano solo per inedia. Moltissimi si nutrivano di sole erbe, di mirto, e di corbezzoli. Perfino le fave appena seminate furono in alcuni luoghi notte tempo raccolte e mangiate.

A Modena, dal 24 al 27 gennaio, per tenere a freno gli affamati contadini radunatisi per aver pane, si dovettero mandare attorno squadre di lancieri a cavallo e di guardie e appostare i soldati a difesa delle botteghe.

A Torino il 28 gennaio operai affamati e frammisti a facinorosi, si sparsero per la città, assalirono e misero a sacco e ruba per 4 ore un grandissimo numero di botteghe di panattieri e di salsamentari, sfondando porte e fracassando ogni cosa.

Nel Genovesato fallì il raccolto degli olii.

In Sicilia la desolazione era divenuta quasi universale per la stemperata arsura della stagione, che tutte disseccò le seminagioni senza speranza di raccolto, per cui si erano moltiplicate le bande de' malfattori e de' briganti, che infestavano non solo le campagne e le borgate, ma le città più popolose.

In mezzo a tante miserie sordidi speculatori provocavano il furore dei popolo, che nelle Romagne assai volte a viva forza s'oppose alla esportazione de' cereali, comprati in buona moneta e che si conducevano in Francia con speciali convogli sulle ferrovie.

Ogni settimana partivano dalla Lombardia e dall'Emilia pi√π centinaia di capi di bestiame e di sacca di frumento e i popolani invasi dalla paura della carestia irruppero sulla via ferrata e saccheggiarono il convoglio, minacciando di peggio se non si desisteva da quel mercato.

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