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Capitolo 43

Ispezione nell'Oratorio provocata dal Cav. Gatti - Visita alle scuole - Dante, Guelfi e Ghibellini e il dominio temporale dei Papi - Belle parole e tristi fatti - D. Bosco si presenta al Ministro della Pubblica Istruzione - Gli accusatori messi in confronto con D. Bosco e loro smacco - I consigli del Ministro - Tranquillità assicurata.


Capitolo 43

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

Un alto funzionario aveva, detto a D. Bosco in tempo, delle perquisizioni nel 1860, dopo averlo udito parlare di diritti civili e di leggi scolastiche:

 - Ma lei ne sa più di un avvocato! Ha forse studiato legge?

 - Ho letto qualche cosa! - rispondeva D. Bosco.

Egli infatti, benchè pieno di fiducia in Dio, da parte sua nulla rimetteva al caso, ma aveva letto qualche cosa anche nel 1863. Infatti, come abbiamo visto, nelle ultime questioni sui diplomi, erasi occupato nello studio delle sue ragioni e de' mezzi per farle valere. Quindi è anche questo il motivo del decreto di approvazione concesso dal Regio Provveditore Selmi a favore delle sue scuole; e in gran parte dell'ottenuto esame di ammissione alla facoltà di lettere per i suoi insegnanti.

Ma queste vittorie riportate da D. Bosco parve che togliessero il sonno al Cav. Gatti, il quale, nella speranza di spuntarla pur una volta, provocò dal Ministero una nuova visita ed ispezione nell'Oratorio. Si era sulla fine di maggio, quando un mattino verso le nove un signore elegantemente vestito si presenta all'Oratorio e domanda di D. Bosco. Era costui il Sig. Ferri, professore di filosofia, ispettore delle scuole secondarie classiche per la parte scientifica. Fatti i primi convenevoli, il professore gli annunzia come fosse incaricato, dal Ministro di Pubblica Istruzione di fare una ispezione alle scuole dell'Istituto; e ne mostra il mandato.

D. Bosco non tralasciò di fare qualche riflesso sulla convenienza di ripetute inquisizioni nella casa di un libero cittadino, che albergava caritatevolmente e gratuitamente istruiva più centinaia di poveri giovanetti del popolo, ma in ossequio dell'Autorità che la S. V. rappresenta, egli soggiunse, io passo sopra ad ogni osservazione, ed ella eseguisca pure il suo mandato. Mi raccomando solamente che non si facciano ai giovani domande inopportune e non si getti lo sgomento nei loro animi. - E in cortesi parole gli venne promesso.

Troppo lungo sarebbe il riferire le domande fatte dall'ispettore e le risposte date dagli allievi in ciascuna delle cinque classi del ginnasio, e perciò ne daremo solo un semplice cenno. Notiamo anzitutto che il professore sebbene si mostrasse con D. Bosco, coi maestri e cogli allievi cortese e garbato, dava tuttavia a divedere che ei faceva una visita con un piano preconcetto, non per esaminare, ma per iscoprire, non per sapere se gli alunni erano istruiti, ma per sorprenderli, non per conoscere la legalità dell'insegnamento, ma le idee ed opinioni politiche, che da essi erano professate. Lasciando a parte la letteratura latina, egli scelse di trattenersi su materia più acconcia alla sua capziosa ispezione. Nelle classi superiori i nterrogò sopra Dante Alighieri, e nelle inferiori sulla geografia d'Italia; anzi in alcune scuole, chiamati a sè presso la cattedra alcuni dei giovani, spinse le sue indagini sin nel santuario della coscienza.

Nella 1a e 2 a rettorica, ossia in 4a e in 5 a classe ginnasiale, si fermò mattino e sera sopra la prima Cantica della Divina Commedia, e a tutti gli altri preferì quei canti e quelle terzine, dove il poeta per mire politiche e personali inveisce ingiustamente contro i Papi e specialmente contro Bonifacio VIII, che reputava cagione di sua cacciata da Firenze. L'ispettore pertanto domandò l'origine dei Guelfi e dei Ghibellini, quali le idee degli uni e degli altri, a quali partiti corrisponderebbero oggidì in Italia, a quali dei due apparteneva Dante, che opinione avesse egli intorno al dominio temporale del Papa, se i Papi avessero fatto del bene o del male all'Italia, ed altre consimili interrogazioni più o meno insidiose. Con queste pare che egli mirasse a trarre dai giovani qualche risposta poco considerata, la quale gli servisse almeno, di pretesto per riferire che la istruzione, che s'impartiva nell'Oratorio, era avversa alle moderne istituzioni del Governo; ma per la Dio mercé e per la corretta condotta e prudenza dei professori e degli alunni ei fu deluso nella sua speranza.

Nelle classi del ginnasio inferiore interrogando sulla geo­grafia d'Italia, trovò finalmente di che rallegrarsi. Un giovane della prima nel dire la divisione dell'Alta Italia, si lasciò sfuggire, quasi per abitudine, l'antica denominazione di Lombardo Veneto, siccome appartenente all'Impero Austriaco. Ciò udito, il signor ispettore diede tosto segno di grande stupore e disapprovazione, e disse: - Come? E non sa ancora che dal 1859 la Lombardia è disgiunta dal Veneto, ed appartiene al Regno d'Italia? E le importa si poco il conoscere le glorie della patria comune? - Al riflesso fatto tosto dal maestro che quello era un errore di lingua, cagionato più da consuetudine che da ignoranza, l'ispettore mostrò di crederlo, ma poi in difetto d'altro non tralasciò di segnalare questo fatto innocentissimo nella sua relazione e farne un aggravio all'Oratorio presso il Ministero.

Ma una cosa, forse a suo malgrado, lo riempì veramente di maraviglia, e fu il silenzio, la disciplina, il buon ordine che trovò in tutte le scuole. Fra le altre la 3 a ginnasiale, composta

di oltre a 124 alunni, lo convinse che tal disciplina non era passeggera e fittizia, ma soda e reale. Terminata la visita, il maestro in segno di gentilezza volle accompagnarlo nell'altra scuola, ma l'ispettore cercò di dissuaderlo, adducendo per ragione che la sua assenza dalla classe, ancorchè solo momentanea, avrebbe dato a tanti vispi giovanetti ansa a levare rumore e mettersi in disordine. - Non tema, signor professore, rispose il maestro, perchè io sono sicuro, che niuno di essi aprirà bocca o si muoverà di posto. - Questo mi pare impossibile, riprese l'ispettore, impossibile che 130 scolari stiano zitti nell'assenza del maestro. - Si lasciò nondimeno accompagnare per un tratto e poi: - Ritorniamo indietro, disse, e andiamo ad ascoltare se fanno il silenzio che ella dice; e così dicendo si accostò pian pianino all'uscio della scuola, origliò e spiò dal buco della serratura, e trovò appunto tutta la numerosa scolaresca immobile e silenziosa, come se il professore sedesse in cattedra. A tal vista si allontanò di là, ripetendo: - Non, l'avrei mai creduto, non l'avrei mai creduto! Questa è una meraviglia e fa onore a lei e ai suoi scolari. Il professore era il chierico Celestino Durando.

Quello che era una maraviglia per l'ispettore governativo, per quei della Casa era cosa usuale e succedeva in tutte le scuole; imperocchè i giovani dell'Oratorio apprendevano a fare il bene e a fuggire il male, non già pel riguardo dell'uomo, ma per riguardo di Dio; non pel premio o pel castigo del maestro o del superiore, ma per dovere di coscienza.

L'ispezione del professore suddetto durò ben due giorni. Congedandosi ei si mostrò con D. Bosco grandemente soddisfatto, usando espressioni che facevano credere che la sua relazione al Ministero gli sarebbe stata favorevolissima. Oltre a questa testimonianza, D. Bosco aveva motivo ad aspettarla tale, e perchè i giovani avevano di fatto risposto adeguatamente, e perchè il detto ispettore godeva stima di uomo onesto e giudicavasi incapace di fare studiosamente un torto.

Ma a parole buone non corrisposero i fatti. In verità alcuni giorni dopo, con grande suo stupore e dolorosa sorpresa, D. Bosco venne a sapere da persona amica, che il signor Ispettore stava per presentare al Ministro una relazione malevolissima. Secondo questa: nell'Oratorio tutto era disordine, immoralità, reazione. - Noti, Vostra Eccellenza, scriveva il relatore tra le altre cose al signor Ministro, noti che avvi uno spirito così ostile al Governo, che in tutto quel vasto stabilimento non si rinviene il ritratto del nostro augusto Sovrano e signore. - All'udire tal cosa, fuvvi tosto chi disse: - Se la relazione è fatta in questo modo, è fuor di dubbio che vi entra la zampa del Gatti. - Nè questo era punto un giudizio temerario, poichè, oltre a quello che aveva già fatto contro l'Oratorio, dava ragione a sospettare di lui un suo confidente, che spesso lo rimproverava e cercava di ridurlo a sani consigli. Questi assicurò D. Bosco che quando il Gatti poteva rompere una lancia a danno di istituti governati da preti o da monache, ne menava vanto come di una prodezza, e ne andava in festa.

Ma chiunque fosse il precipuo autore di cotale falsità, Don Bosco, appena avutone sentore, studiò di prevenirne le conseguenze, di spegnere cioè, come egli si esprimeva, i fulmini prima che ne succedesse lo scoppio, e di scongiurare il temporale prima che ne cadesse la grandine. A quest'uopo portossi al palazzo del Ministero e domandò di parlare coi Ministro della Pubblica. Istruzione Michele Amari, cui doveva essere presentata la relazione famosa. Era un giorno del mese di giugno. Ottenuta a stento l'udienza verso sera, ebbe luogo la seguente conversazione, accompagnata da un lepido episodio.

 - In che cosa potrei servirla, mio caro abate? domandò il Ministro.

 - Io sono continuamente vessato da perquisizioni, rispose Don Bosco, e non ne posso sapere la ragione. Prego perciò la E. V che me la voglia notificare. Io sono sempre stato

suddito fedele al mio Sovrano, e se mai fu trovato in me qualche fallo, desidero vivamente di conoscerlo per potermene guardare.

 - In buona grazia chi è lei?

 - Io sono il sac. Giovanni Bosco, direttore dell'Istituto detto Oratorio di San Francesco di Sales, avente per iscopo di raccogliere poveri ragazzi, per educarli ed istruirli e provvederli di una onesta carriera.

 - Godo di poterla conoscere, e mi congratulo con lei del nobile ministero che esercita; ma ella non deve allontanarsi dalla lodevole meta che si è prefissa. Si dice che il suo filantropico Istituto abbia degenerato, e siasi convertito in una congrega di reazionarii, e che lei ricusi persino di sottomettersi agli ordini dell'Autorità scolastica. Ecco la ragione per cui venne ordinata una visita alle sue scuole. Credo peraltro che il signor ispettore abbia usato i riguardi dovuti a lei ed ai suoi allievi, come ho appunto ordinato.

 - Ignoro gli ordini dati dell'E. V., ma posso dirle che si spinse la ispezione sino nei pensieri dei giovani; si fecero dimande spettanti più alla politica che alla materia d'insegnamento, e alcuni allievi furono fin anche interrogati sopra cose di confessione. Il simile aveva già fatto il cav. Gatti tre anni sono, meritando la disapprovazione dello stesso Ministro Mamiani.

 - Questa non era di certo la missione del cav. Gatti, ne del professore da me incaricato. Essi devono presentarmi la relazione dell'ispezione da me ordinata, e da loro potrò avere le informazioni che ne attendo.

Qui il Ministro suonò il campanello, e presentatosi un usciere lo mandò a chiamare i due mentovati signori. Venuti l'un dopo l'altro, nel crepuscolo della sera, , non si accorsero essi della presenza di D. Bosco, onde invitati si sedettero presso di lui per discorrere col Ministro, che, rivolto all'ispettore, domandò:

- Come riuscì la visita fatta alle scuole di Don Bosco?

 -  Come era da aspettarsi, Eccellenza. Dalla relazione che avrò l'onore di presentarle, la E. V. potrà avere una chiara idea del cattivo spirito, che domina in quell'Istituto.

 - Per mezzo del cav. Gatti io l'aveva incaricata di esaminare la legalità degli insegnanti e della materia insegnata; orbene, come risultarono questi due punti?

 - Poco soddisfacenti, Eccellenza; s'immagini che in quell'Istituto non vi ho neppur trovato il ritratto dell'augusto nostro Sovrano.

 - Ma sulla legalità degli insegnanti e dell'insegnamento che cosa ha da dirmi? - riprese il signor Ministro un po' stizzito, perchè vedeva l'ispettore uscire affettatamente di carreggiata, e non rispondere a tono.

 - A questo riguardo Don Bosco ha carpito un decreto di approvazione al regio Provveditore, che per quest'anno tollera quelle scuole.

 - Dunque per la parte legale non havvi a ridire.

 - Stiamo per altro carteggiando, disse qui il cav. Gatti, col regio Provveditore, e pare che il decreto da lui lasciato a Don Bosco non sia legale.

 - Se pare solo che non sia legale, è segno che non è ancora deciso che non lo sia, e finchè la questione è pendente non dobbiamo inquietar alcuno. Ma D. Bosco si è lagnato che si fecero ai suoi giovani domande indiscrete ed inopportune, e questo mi rincresce.

 - La E. V. avrà la bontà di persuadersi che ciò non è vero, riprese l'ispettore.

 - Abbiamo qui lo stesso D. Bosco, soggiunse il Ministro; lasciamolo parlare, e così verrà appurata la verità; e guai ai menzogneri, ripetè con forza, guai agli impostori, che non tollererò giammai che mi traggano in inganno.

Qui ognuno può figurarsi lo sbalordimento dell'ispettore e del Gatti, quando si accorsero di trovarsi con D. Bosco, e udirono le risolute parole del signor Ministro. Non è iperbole il dire che il primo diventò rosso come lo scarlatto, per la vergogna di essersi di propria bocca dato a divedere uomo di due faccie, lodando a cielo le scuole dell'Oratorio alla presenza di D. Bosco e dei suoi maestri, e poi coprendole d'infamia alla presenza del Ministro; e che al secondo saltarono i brividi della febbre, pel timore che venissero finalmente scoperte le sue gherminelle contro dell'Oratorio e contro di tanti istituti di simil natura. Il fatto sta che il Gatti non sentendosi l'animo di sostenere quell'inaspettato incontro, sotto pretesto di dover spicciare affari di premura, domandò di allontanarsi per un momento e più non comparve, lasciando solo nell'impaccio il suo collega.

E qui avvenne un episodio che vogliamo ricordare per far vedere quanto poco costi al Signore l'umiliare un uomo superbo, ancorchè potente. Tanta fu la confusione che in quel momento incolse il povero Gatti, che nell'uscire dalla sala sbagliò direzione, e invece di aprire l'uscio aperse un armadio. A quell'atto il Ministro sorrise, e adagio, adagio, disse, signor cavaliere; quello è un armadio; torni indietro; - ed alzatosi andò egli stesso ad aprirgli la porta. Il professore poi volendo mutar sito e scostarsi alquanto da D. Bosco, inciampò col piede nel piccolo strato, e per poco non cadde.

Intanto partito il Gatti e postosi a sedere l'ispettore, Don Bosco, invitato dal signor Ministro, prese a parlare:

 - Eccellenza, io la ringrazio della facoltà che mi dà di parlate. Io non intendo di accusare alcuno, ma di difendere: la mia causa e la causa dei miei fanciulli. Questi fanciulli furono interrogati indiscretamente, furono torturati con domande insidiose, con indegne insinuazioni contro ai loro superiori, e con parole che è bello il tacere. Una tale inquisizione è contraria allo Statuto, è contraria alla stessa onestà naturale, e se fosse conosciuta ecciterebbe la pubblica riprovazione. Aggiungo altro, ed è: Il signor ispettore alla presenza

mia, alla presenza di più altre persone dell'Istituto, confessò che le nostre classi potevano proporsi per modello di studio, di moralità e di disciplina, e che non vi aveva trovato che ridire: anzi soggiunse che sarebbe a desiderare che le pubbliche scuole fossero regolate come le nostre; e poi qui in faccia all'E. V. asserisce tutto il contrario. Dice che nel mio Istituto non si trova il ritratto dei Sovrano ed invece ne osservò ben tre in tre distinte camere.

 - Sì, ma sono ritratti bruttissimi, riprese il professore.

   - Se sono brutti, replicò D. Bosco, la colpa non è mia, ma di chi li ha incisi o dipinti; se fossero più belli piacerebbero più anche a me. Ma una cosa non può piacere a nessuno ed è il nascondere il vero e travisare i fatti al cospetto delle pubbliche Autorità, a danno di chi consacra la propria vita a sollievo delle umane miserie e sopratutto a vantaggio della gioventù abbandonata. Questa è una congiura contro la verità e la giustizia, questo è un opprimere l'innocenza, questo è un ingannare il Governo.

Dalla franchezza con cui parlava Don Bosco e dalle contraddizioni e dai cavilli dei relatori, il Ministro non tardò ad intendere da che parte stesse la ragione, onde: - Basta, disse, basta così; ho capito tutto. Ho capito che furono trasgrediti i miei ordini, e che per soprappiù mi si vorrebbe trarre in errore. Questo poi no. Ella, signor professore, vada pure in uffizio; ci riparleremo in altro tempo.

Uscito l'ispettore il sig. Ministro prosegui a discorrere con Don Bosco, e disse:

 - Non mi pensava di essere così malamente servito. Questo per altro mi è di norma per conoscere chi mi circonda. Ma intanto, per passare ad altro, ella, sig. D. Bosco, mi dica un poco su qual fondamento poggiano tante dicerie, che corrono così sfavorevoli a lei e al suo Istituto. Qualsiasi segreto, qualsiasi fatto, anche compromettente me lo confidi come ad amico, e l'assicuro che non ne avrà danno, anzi, occorrendo, le darò opportuno consiglio.

 - Mille grazie, Eccellenza, io le rendo della cortesia e della bontà con cui mi parla. Confidenza domanda confidenza. Orbene da quanto ha udito poc'anzi dai due relatori, ella può argomentare di tutte le altre imputazioni. La malignità e l'ignoranza accumularono menzogne sopra menzogne; queste furono segnalate dalla stampa, avversa ai sacerdoti e agli istituti di cristiana educazione; alcuni impiegati governativi le raccolsero e le vollero ritenere per verità, e in tal modo si andò formando una falsa opinione a mio danno, o meglio a danno dei miei giovanetti, che si vorrebbero da me allontanati, cacciati e dispersi. Ecco l'origine, ecco il fondamento delle male dicerie. Finora io non fui e non sono combattuto che colle armi della calunnia, e lo dico e lo affermo senza timore di essere smentito. Sono tanti anni che dimoro in Torino, ora sfido chiunque a citarmi una parola, una linea, un fatto che meriti biasimo in faccia alle Autorità, in faccia alle leggi, e ove si citi e si provi sono contento di essere severamente punito. Debbo invece aggiungere con dolore, che sono malamente corrisposto da chi dovrei essere, se non rimunerato, almeno rispettato e lasciato tranquillo. Non parlo dei capi del Governo, non parlo della E. V.; ma di certi subalterni i quali o per la vanagloria di essere creduti zelanti e progredire in carriera, o per un futile puntiglio, o per un sordido guadagno, si gio­vano del loro posto per tribolare gli onesti concittadini, a costo financo di compromettere i reggitori della pubblica cosa.

Il Ministro lo guardava commosso. D. Bosco, quando sentiva in sè qualche contrasto di passione, allora pareva che la natura si lamentasse e il suo accento aveva qualche cosa di così dolce e di affettuoso, che piegava al suo volere chi lo ascoltava.

 - Mi piace, proseguì il Ministro, questo schietto parlare e le ripeto che questa sua confidenza non rimarrà senza effetto: ma non ha ella pubblicata una Storia d'Italia, che mi dicono contenere principii e massime incompatibili coi tempi nostri? - La Storia d'Italia, a cui fa cenno la E. V., fu scritta colla miglior volontà di un cittadino. Appena stampata ne mandai copia al Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Lanza, il quale la fece esaminate, e, trovatala preferibile a tutte quelle che correvano per le scuole, la encomiò, diede un premio di mille lire all'umile autore, e poco dopo venne annoverata tra i libri da distribuirsi in premio nelle pubbliche scuole. Essa fu presa ad esame e lodata da uomini competenti in materia, e tra gli altri da Nicolò Tommaseo. Ora non capisco, come un libro cotanto beneviso al Ministero e lodato da uomini di tal fatta, sia divenuto pericoloso allo Stato.

 - Io ne ho letto una parte, e davvero che non vi ho trovato quel malaccio che taluni vanno dicendo. Notai però un capitolo in favore del potere temporale dei Papi.

 - Io ho narrata la storia esponendo l'origine di questo potere, il suo ampliamento consecutivo, i vantaggi dai Papi recati all'Italia. Sfido di smentirmi in questo; e non ho col mio racconto detto parola contro l'attuale stato delle cose.

 - Sta bene; tuttavia dacchè ne, uscì la prima edizione, i tempi subirono un radicale cambiamento, le idee vestirono nuova forma, e parmi, che sarebbe anche bene, che ogni volta che il pollo vieti portato in tavola fosse pure diversamente condito e accompagnato con novello intingolo. Che ne pare a lei?

 - Che ciò si faccia coi polli da portarsi a mensa, non ho che ridire, ma giudico che questo non si possa praticare coi fatti storici. La storia è sempre la stessa, perchè il vero non può essere falso, come il bianco non può essere nero. I fatti avvenuti una volta non mutano col mutare dei tempi, e perciò vanno presentati al pubblico come sono succeduti, e non già travisati o ravvolti in, abiti oppure in intingoli, che li facciano apparire tutt'altro da quello che sono; altrimenti la storia, cangiando col cangiar di gusto o di testa di chi la racconta o di chi la scrive, invece di farsi stabile e verace maestra della vita, diverrebbe una mascherata, una contraddizione, una congiura contro la verità.

 - È vero; le idee degli uomini variano, mentre i fatti tramandati dalla storia veridica ed imparziale non variano più. Tuttavia io consiglio la S. V. a rileggere la sua storia, e riscontrando certi riflessi, che pugnano troppo apertamente colle idee del giorno, li modifichi a segno che non offendano la suscettibilità di taluni. Mi ha ella compreso?

 - Ho compreso benissimo, signor Ministro, e se la E: V. si degnerà di farmi notare le cose meritevoli di modificazioni, le do parola di farne tesoro per la prima ristampa del povero, mio lavoro.

 - Siamo dunque d'accordo; ed ora lei vada tranquillo, che niuno andrà più a recarle disturbo. Nascendo difficoltà intorno alle sue scuole, venga pure direttamente dame e non dubiti. Finchè io sarò al Ministero della Pubblica Istruzione, lei avrà il mio appoggio e la mia protezione.

 - Ringrazio V. E., conchiuse D. Bosco, di sua alta benevolenza, e io non potendo altro pregherò e farà pregare i miei giovanetti, giovanetti, che Iddio le conceda in compenso una vita lunga e felice, e a suo tempo una morte preziosa.

 - Addio, o mio caro Abate, rispose il Ministro, stringendogli la mano.

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