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Capitolo 4

Primi atti delle Autorità scolastiche per la chiusura delle scuole ginnasiali nell'Oratorio.


Capitolo 4

da Memorie Biografiche

del 07 dicembre 2006

Nella lunga e odiosa guerra mossa alle scuole dell'Oratorio le autorità Scolastiche agirono come strumenti più o meno consapevoli delle sètte, che, col passaggio del potere governativo nelle mani della sinistra parlamentare, moltiplicarono le congiure contro il fiorire ognor crescente delle scuole private, aperte e dirette da ecclesiastici o religiosi. Su tale argomento avremo forse occasione di ritornare più volte; qui esporremo solo i fatti che si svolsero ai danni della nostra Casa Madre. Ora pertanto, sospendendo il racconto del ritorno di Don Bosco a Torino, ci soffermeremo a narrare le prime avvisaglie contro il ginnasio di Valdocco e le difese opposte dal Servo di Dio durante la sua dimora a Roma.

Il primo documento, venuto come ad aprire il fuoco, data dal io ottobre 1878. In esso il Consiglio scolastico provinciale intimava a Don Bosco di non affidare le classi se non ad insegnanti forniti di regolari diplomi che li abilitassero all'insegnamento, comminando in caso contrario misure di rigore, non esclusa la chiusura delle scuole; si esigeva pertanto che fosse inviato al regio Provveditore agli studi l'elenco dei professori per l'anno scolastico 1878-79 con la indicazione dei rispettivi titoli legali.

Don Bosco a tale ingiunzione non diede risposta; il motivo si è che tentò invece di ottenere dal Ministero una tolleranza di tre anni, durante i quali potessero nelle scuole dell'Oratorio insegnare anche professori senza diploma. In questo senso indirizzò la seguente supplica all'onorevole Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione.

 

Eccellenza,

 

La grande sollecitudine con cui la E. V. promuove e sostiene gli Istituti che hanno per fine l'istruzione e l'educazione dei figli del povero popolo, mi dà animo a supplicarla per un segnalatissimo favore appoggiato unicamente alla nota di Lei clemenza ed autorità. Questo favore riguarda l'Istituto detto Oratorio di S. Francesco di Sales eretto in Torino. Qui sono raccolti più centinaia di poveri fanciulli indirizzati dalle varie autorità dello Stato i quali con un'arte o mestiere, oppure colla scienza letteraria si preparano a potersi guadagnare a suo tempo il pane della vita. Questa istituzione non ha alcun reddito fisso e si sostiene di sola Provvidenza. Perciò l'autorità scolastica ci usò sempre benevolenza; e considerando queste classi come insegnamento paterno e caritatevole, siccome è di fatto, non pose mai difficoltà sui titoli legali degli insegnanti. Ora però il Sig. Regio Provveditore agli Studi mi ha prevenuto che vuole tutti i professori muniti delle rispettive legali patenti.

Il che sarebbe un vero disastro per questi poveretti, perciocchè numero notabile di costoro che sono di svegliato ingegno si troverebbero nella impossibilità di farsi una posizione onorata nel commercio, nella milizia, e nell'insegnamento.

In questo grave bisogno ricorro supplichevole alla E. V. affinchè in via di grazia conceda che gli attuali Maestri riconosciuti idonei mercè più anni d'insegnamento, siano autorizzati almeno per un triennio a continuare il loro gratuito uffizio nella rispettiva classe. In tale spazio di tempo i medesimi insegnanti raggiungeranno l'età prescritta pei pubblici esami e potranno munirsi dei prescritto diploma di abilitazione.

A nome dei poveri giovani di questo Istituto dimando questo segnalato favore, mentre prego Dio che renda felici i giorni della E. V.

Con profonda gratitudine ho l'alto onore di professarmi di V. E.

Torino, I° Novembre 1878.

 

Sac. Gio. Bosco.

 

Un autografo di Don Bosco, la cui copia, scritta e firmata da Don Durando, fu unita alla supplica, contiene questa dichiarazione: “ Il sottoscritto nella sua qualità di direttore degli studi dell'Ospizio detto Oratorio di S. Francesco di Sales, dichiara di tutto buon grado e con piena conoscenza di cosa che i signori insegnanti (seguono i nomi e le classi) hanno prestato insegnamento nelle rispettive classi con zelo e con notabile profitto della scolaresca loro affidata, dando non dubbie prove dì capacità e di attitudine nei vari rami d'insegnamento. Attesa poi la loro abnegazione nell'insegnare gratuitamente ai poveri fanciulli di questo istituto, unisce la stia preghiera a S. E. il Sig. Ministro della pubblica istruzione, affinchè in via di grazia si degni di autorizzarli a continuare nella rispettiva classe quell'insegnamento che prestano da più anni, ecc. D. DURANDO ”.

Per non lasciare nulla d'intentato che credesse utile a scongiurare il pericolo, invocò pure i buoni uffizi del suo amico israelita, segretario generale al Ministero degli Esteri, il commendator Malvano.

 

Onorevolissimo sig. Commendatore,

 

Mi trovo veramente in bisogno del suo appoggio. Ho innoltrata una domanda al Ministero della pubblica Istruzione, perchè le scuole di questo ospizio di poveri fanciulli siano considerate come scuole di carità rette da chi la le veci del genitore, perciò senza che i professori siano obbligati ad avere pubblica patente. Ciò devesi trattare forse lunedì o martedì. Si tratterebbe che gli attuali insegnanti siano autorizzati provvisoriamente, oppure ammessi a subire i prescritti esami, sebbene manchino dell'età prescritta da un ministeriale decreto.

Una sua parola in mio favore mi tornerà vantaggiosa assai; specialmente pel nuovo ministro che forse non conosce come questa casa è vero orfanotrofio e come la maggior parte degli allievi sono qui indirizzati dalle pubbliche autorità.

Mi confido nella sua bontà e noi avremo un motivo di più alla gratitudine verso di Lei, o benemerito Sig. Commendatore.

Voglia gradire gli ossequi del Prof. Pechenino e del Prof. Durando, ambedue qui in mia camera che desiderano di essere ricordati alla sua benevolenza.

Dio la conservi in buona salute e in vita felice e mi creda con verace riconoscenza.

D.V. S. Onorev.ma

Torino, 19 Ottobre 1878.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. GIO. BOSCO.

 

 

Dal Ministero fu incaricato il Prefetto di significare a Don Bosco che, come già altra volta, così allora con rincrescimento non si poteva fare eccezione alla legge comune e che si confermava in tutto e per tutto la deliberazione del Consiglio scolastico provinciale. Nell'adempiere l'incarico il Prefetto per conto suo pregava Don Bosco di mandargli sollecitamente l'elenco e i diplomi degli insegnanti; essere volontà del Ministro che, qualora Don Bosco non ottemperasse all'invito, si provvedesse a norma di legge. Don Bosco il 15 novembre mandò i nomi di Don Rua, Don Durando, Don Bonetti, Don Bertello e Don Pechenino. All'elenco dei professori titolari volle aggiungere anche la nota dei maestri supplenti in ciascuna classe, non forniti di alcun diploma. Uomo delle imprese ardite, pare che tentasse con questo di ottenere un'approvazione implicita a favore dei non patentati. Egli intese sempre che l'Oratorio fosse riconosciuto come casa paterna. Un paio di settimane dopo il Provveditore Rho compiè una ispezione improvvisa in tutte le scuole e locali dell'Oratorio, avendo seco il Provveditore di Novara. Due dei titolari che stavano in casa, ebbero tempo di salire in cattedra; nelle altre classi furono trovati i supplenti. Il funzionario andandosene non celò la sua poca soddisfazione; tuttavia, essendo egli stato condiscepolo di Don Bosco, si sperava che a titolo di amicizia sarebbe proceduto con le buone. Era notorio però che egli vedeva piuttosto di mal occhio le case salesiane, quantunque sapesse generalmente fare buon viso e coprire così le sue reali intenzioni.

Quella visita era stata ordinata dal Consiglio scolastico di Torino nell'intento preciso di riconoscere se gl'insegnanti possedevano o no i titoli voltiti e fossero veramente quelli dati in nota. La relazione provveditoriale fu disastrosa; onde il medesimo Consiglio rincarò la dose, minacciando severi provvedimenti, se prima del 30 gennaio 1879 non fosse tutto in regola. Questa comunicazione fu seguita a brevissimo intervallo da un altro foglio ufficiale, con cui a nome del Pre­fetto si pregava Don Bosco di voler ricoverare nel suo Oratorio un povero giovane .

Una seconda visita, fatta pure dal Provveditore il 7 marzo e finita peggio della prima, obbligò Don Bosco a occuparsi energicamente dell'affare. Intanto da fonte sicura potè venir in chiaro di due particolarità per lui importantissimo: il Ministero, scrivendo al Provveditore di Torino, aveva richiamato all'osservanza della legge, ma senza provocare a rigorose misure, e l'iniziativa della faccenda non era partita da Roma, sibbene dalle autorità locali, invocanti provvedimenti superiori . Queste informazioni gli agevolarono la via. In casi di vessazioni da parte di autorità Don Bosco non si arrestava. a mezza costa, ma si spingeva su fino al sommo il 15 marzo domandò per iscritto udienza al ministro Depretis, presidente dei Consiglio; gli rispose il suo Capo di gabinetto commendator Celesia di Vegliasco, dicendogli che Sua Eccellenza l'avrebbe ricevuto quel giorno stesso dal tocco alle due nel Ministero degli Interni. Don Bosco fu puntuale. Attendeva da circa mezz'ora, quand'ecco entrare il Ministro. Si alzò in piedi al suo passaggio, e quegli lo salutò levandosi il cappello e lo ricevette immediatamente. Il ricordo di Lanzo aperse la conversazione, che durò tre quarti d'ora. Il Beato gli parlò anzitutto delle Missioni, che il Ministro disse di voler proteggere. Appressatosi poi egli all'argomento scottante con un accenno vago a difficoltà che gli attraversavano il passo, il Ministro gli osservò che, essendosi ormai formata un'opinione pubblica favorevole, non aveva nulla da temere. Al che il Servo di Dio replicò rammentando il mobile vulgus di Sallustio ed entrò a gonfie vele in materia. Il Depretis ascoltò con benevolenza e gli promise di raccomandare al Ministro della Pubblica Istruzione le sue scuole. Si navigava col vento in poppa. Allora Don Bosco fece un'ultima mossa. Con l'aiuto di, un suo amico, signor Ferdinando Fiore, impiegato al Ministero, aveva steso un promemoria da presentare al Capo del Governo, affinchè avesse sotto mano gli elementi, sui quali appoggiarsi per accordargli la chiesta facoltà di mettere nelle classi dell'Oratorio docenti senza diploma. Don Bosco gli rappresentava la cosa in questo modo.

 

Promemoria.

 

Col fine di beneficare una istituzione che tende a migliorare la classe più bisognosa della civile società, come appunto è la gioventù pericolante, e ritenuto che l'ospizio detto Oratorio di San Francesco di Sales in Torino:

I° Fu costantemente giudicato quale opera di carità dalle autorità civili e municipali e come tale proclamato dal Senato del Regno e dalla Camera dei deputati;

2° Che venne spesse fiate in aiuto alla autorità pubblica col dare ricovero a fanciulli abbandonati, e che perciò dalle prelodate autorità fu ognora favorito, commendato e sussidiato;

3° Le autorità scolastiche per oltre a 36 anni l'hanno lasciato prosciolto dall'obbligo di porre insegnanti legali nelle classi secondarie;

4° Che la spesa di legali insegnanti sarebbe di gravissimo danno all'Istituto, il quale è destituito di ogni sorta di mezzi pecuniarii, anzi tale spesa tornerebbe a danno degli stessi ricoverati, di cui dovrebbesi per necessità diminuire il numero;

5° Questo ministero da parte sua, volendo continuare l'appoggio che l'Oratorio di S. Francesco di Sales ha fruito sotto ai precedenti ministeri, come ospizio di carità o istituto paterno dove il Sac. Bosco per solo spirito di carità fa le veci di padre ai fanciulli ivi ricoverati;

6° Volendo benignamente applicare la legge sulla pubblica istruzione in modo che tomi utile e non dannosa alla, classe più bisognosa della società;

7° Desiderando in fine cooperare a diffondere l'Istruzione divenuta obbligatoria tra le classi povere e meno agiate;

Autorizza

Il Sac. Giovanni Bosco a dare o far dare l'Istruzione secondaria ai poveri fanciulli del suo pio istituto, senza obbligo di mettere nelle rispettive classi insegnanti legalmente riconosciuti.

 

Il foglio doveva essere accompagnato da una lettera, che servisse di presentazione e all'occorrenza anche di richiamo

 

Eccellenza,

 

Mi trovo nel bisogno di raccomandare alla E. V. la condizione dei poveri giovanetti raccolti nell'Ospizio di S. Francesco di Sales in Torino. Pel passato questo istituto, come opera di beneficenza destinato a poveri ragazzi, non fu tenuto a rigore di legge nell'insegnamento. Il governo tenendo conto che la maggior parte dei nostri allievi sono indirizzati dalle varie Autorità dello Stato, non fece mai difficoltà intorno ai Maestri che prestavano gratuitamente l'opera loro. Adesso vuole elle gli stessi superiori che rappresenterebbero la classe siano stabilmente al loro uffizio, senza elle possano da altri farsi rappresentare. Io pertanto supplico umilmente la E. V. di voler dire una parola al Ministro della Pub. Istruzione affinchè voglia considerare i nostri ragazzi come sotto all'Autorità Patema e permettere che gli attuali insegnanti possano continuare nel loro caritatevole ammaestramento degli allievi, oppure siano ammessi ai relativi esami, sebbene non abbiano ancora compiuta l'età prescritta per essere legalmente abilitati.

Raccomando umilmente alla carità della Eccellenza V. questi poveri figli del popolo a cui mi sono totalmente dedicato e pieno di fiducia di una patema sua raccomandazione presso al Sig. Ministro della Pubb. Istruzione.

Ho l'alto onore di potermi professare della Eccellenza Vostra.

Roma, 15 Marzo 1879.

 

Umile Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

Il Ministro, per altro noli credette opportuno ricevere queste carte, perchè gli sembrava miglior partito non andare per via ufficiale e aggiunse coli effusione: - Quando vuole parlarmi, non occorre che domandi udienza; venga pure e si faccia solamente annunziare; voglio che ci trattiamo da amici. Alla prima spedizione di Missionari che farà, me lo dica e sarà aiutato dal Governo; almeno i passaggi glieli accorderemo. - Infine gli disse alcune cose da riferire al Papa; il che Don Bosco promise di fare. Uscendo dal palazzo Braschi, sede allora del Ministero degl'Interni, Don Bosco passò accanto a un crocchio di deputati, dai quali partì un saluto a lui rivolto in dialetto piemontese. Poco prima Don Berto aveva udito dire ad alta voce in una delle sale: - Pare un santo.

Quel tale signor Fiore aveva indicato a Don Bosco un “ arcigno commendator Barberis ” come colui che poteva moltissimo al Ministero, dov'era Direttore Generale delle scuole secondarie. Lo consideravano tutti come uomo inaccessibile a raccomandazioni e passava anche per grande autocrate; ma Don Bosco, che l'aveva avuto a, compagno di scuola, andò a trovarlo, fidando nell'antica amicizia. Fu ricevuto subito e trattenuto circa due ore. Giacchè noi scriviamo principalmente per i nostri Confratelli, che sanno lo stile di Don Bosco nel descrivere incontri di qualsiasi genere, non rifuggiremo neanche qui dal riprodurre il punto culminante del colloquio nella forma dialogica di botte e risposte, in cui lo udirono Don Berto e altri dalle labbra di lui stesso, e ne presero memoria.

Da principio Don Bosco al Commendatore dava del lei, come pure il Commendatore a Don Bosco; ma, una volta rotto il ghiaccio, quegli scappò a dire: - Lasciamo un po' da parte le cerimonie! Ti ricordi bene che fummo compagni di scuola. Diamoci del tu; così ci parleremo con un po' più di confidenza... A questo posto, m'intendi bene, io non guardo a nessuno.

- Ma tu potresti aiutarmi, l'interruppe Don Bosco.

- C'è la legge, mio caro. Io non debbo guardare ad altro.

- Ma vedi che la ragione...

- Il Consiglio scolastico ha deciso ed è lui quindi che ha ragione.

- Ma fammi il favore... Vedi tu se potessi piegare il Ministro a sensi pi√π benevoli...

- Non posso.

- Ma intendi bene: io non vengo a te con pretensioni. Mi raccomando; intercedi, dammi qualche consiglio.

- Sottomettiti: ecco ciò che so dirti.

- Ma guarda, io ho una penna, gli disse Don Bosco in tono quasi faceto, e la storia dirà come sia stato trattato un povero uomo, che non aveva altra intenzione che fare del bene alla povera gioventù abbandonata.

- Scrivi quello che vuoi. Quando io non ci sarò più poco m'importa di ciò che gli altri diranno di me.

- Guarda, caro Commendatore: adesso, è vero che hai questo posto, ma non ci starai sempre... e l'interpretare così le leggi ti procaccia molta odiosità... e quando non sarai più a questo posto, sarai esecrato.

A tali parole il signor Barberis stette un po' pensieroso e poi disse: -Ma bisogna che ci atteniamo alla legge.

- Va bene; ma le leggi sono suscettibili anche d'interpretazione benigna, e non solamente odiosa.

- Basta, da me non avrai mai nulla a temere. E' da Torino che strillano... è dal Consiglio scolastico... di là scrivono giù... Procura di metterti in relazione coi capi di quel Consiglio. - Poi passò a indicargli il modo di mettersi in regola. Infine concluse: Guarda in seguito se puoi anche parlare col ministro Coppino o almeno col Segretario Generale il commendator Bosio.

Da certe mezze parole del suo interlocutore Don Bosco attinse la certezza della cosa, della quale nutriva già forte dubbio. Tutti gli anni una trentina di alunni dell'Oratorio si presentavano agli esami di licenza ginnasiale, gareggiando con i candidati delle scuole governative e non di rado superandoli. Questa riuscita che dava sui nervi a certi pezzi grossi, destò invidie, fece nascere gelosie e creò nemici ira coloro, i quali non potevano tollerare che gl'istituti pubblici sfigurassero a quel modo di fronte alle scuole di Don Bosco. Una causa della guerra stava lì.

Don Bosco, appigliandosi al consiglio del Barberis, andò dal commendator Bosio, Segretario Generale al Ministero della Pubblica Istruzione: ogni tentativo presso il ministro Coppino sarebbe stato come fare un buco nell'acqua: l'esperienza del passato ne dimostrava l'inutilità. Il Commendatore fu lietissimo di ricevere nel suo ufficio Don Bosco, che aveva gran desiderio di conoscere; lo trattenne due ore e gli diede utili suggerimenti sul modo di regolarsi riguardo ai professori.

Mentre a Roma Don Bosco saliva e scendeva per tante scale, a Torino il Provveditore addì 25 marzo presentò al Consiglio scolastico la relazione ufficiale stilla seconda visita da lui fatta alle scuole dell'Oratorio. “Ho trovato, diceva, gli alunni raccolti ed in perfetto ordine nelle scuole, ma, come si prevedeva, tutte le classi, ad eccezione della Ia erano dirette dai giovani chierici e sacerdoti Salesiani, che nella visita fatta precedentemente erano stati qualificati per supplenti dei Professori compresi nell'Elenco del personale insegnante dell'Istituto stesso. Era bensì nell'Istituto anche il Professore titolare della 4a classe, ma egli non comparve nella stia classe se non quando seppe che io passava da una classe all'altra per accertare chi desse realmente l'insegnamento. Un terzo insegnante fatto avvertire, a quanto pare, della visita che si stava facendo, vi giunse tutto ansante, quando io aveva già adempiuto al commessomi incarico ed era ormai trascorso il tempo della lezione ”.

Il professore che “ giunse tutto ansante ” era Don Marco Pechenino, l'autore dei dizionari greci e delle ancora ricercate Forme verbali. Egli nell'uscire dall'Oratorio dopo quella visita commise l'imprudenza di dire a un tale, ch'ei credeva suo amico: - L'abbiamo fatta noi al Provveditore! - Piccola vanteria, che quel zelante volò a riferire, facendo andare in bestia il burbero funzionario.

Preso atto della relazione provveditoriale, il Consiglio scolastico deliberò di proporre al Ministero la chiusura del ginnasio annesso all'Oratorio di San Francesco di Sales. Don Bosco, assicuratosi che a Roma non c'era astio di sorta contro le sue scuole, prese il partito di Fabio Massimo: tener viva la questione temporeggiando. In questo modo si terminava l'anno scolastico, si chiudevano, se mai, le scuole, e poi si ricorreva a nuovi espedienti per il nuovo anno.

Non passeremo sotto silenzio che qualche voce onesta durante quei prodromi di temporale si levò a Torino in difesa di Don Bosco anche dal campo liberalesco. L'avvocato Giustina, che nel giornalismo si firmava con lo pseudonimo di Ausonio Liberi, direttore della Cronaca dei Tribunali  pubblicò un articolo intitolato “ Un po' di pietà... e di giustizia ”, vibrante di ammirazione per Don Bosco. Lo chiamava “ probo cittadino ”, onore della città torinese, innanzi al quale egli s'inchinava rispettando nella sua persona “ non il sacerdote, ma l'angelo della pubblica beneficenza, l'apostolo di Cristo ”; facendo poi appello ai giornalisti, soggiungeva: “ Non facciamo questioni di partito. Innanzi alla pubblica beneficenza scompaiono le fazioni, resta l'umanità compatta di volenterosi che intendono l'opere loro al pubblico interesse, alla pubblica moralità ”. Si fosse mostrato poi sempre così equanime questo signor Giustina!

Nel bel mezzo di tali preoccupazioni, aggiuntesi ad altre che gli davano da fare a Roma, egli diceva tranquillamente ai suoi che anche questo in qualche maniera si sarebbe aggiustato. “ Che calma da santo! ”, commentava Don Bonetti,

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