Capitolo 37

L'onomastico del professor Banaudi ed una disgrazia - Con uno splendido esame Giovanni finisce il corso di umanità - Suo incontro col Teol. Antonio Cinzano - Paterna affezione del nuovo prevosto di Castelnuovo per Giovanni.

Capitolo 37

da Memorie Biografiche

del 11 ottobre 2006

Grandi erano i progressi che Giovanni andava facendo nella lingua italiana, latina e greca, sotto la guida del professore Sac. Pietro Banaudi, vero modello di insegnante. Senza mai infliggere alcun castigo, questi era riuscito a farsi temere ed amare da tutti i suoi allievi. È li amava tutti quei figli, ed essi d'altrettanto amore lo ricambiavano qual tenero padre. Per dargli un segno d'affezione, fu deliberato fra tutti di solennizzare il suo giorno onomastico con una opportuna accademiola, in cui si declamarono prose e poesie e gli si presentarono alcuni doni di suo speciale gradimento. La festa riuscì splendida, ed il maestro ne fu arcicontento, tanto che per manifestare la sua piena soddisfazione volle condurre tutti i suoi discepoli a fare un pranzo in campagna. Amenissima fu la giornata; fra professore ed allievi eravi un cuor solo ed un'anima sola, ed ognuno studiava modi per esprimere la gioia che provava. Prima di rientrare nella città di Chieri il professore incontrò un forestiere, con cui si dovette accompagnare, lasciando soli gli allievi per un breve tratto di via. In quel momento si avvicinarono a costoro alcuni compagni di classi superiori per invitarli ad un bagno nel sito detto la fontana rossa, canale largo e profondo che allora conduceva le acque ad un mulino, distante circa un miglio da Chieri. Giovanni con alcuni discepoli si oppose, ma inutilmente; parecchi con Giovanni vennero in città, altri vollero andare a nuotare. Triste deliberazione. Poche ore dopo l'arrivo a casa dei più giudiziosi, giunge un compagno, poi un altro, spaventati ed ansanti, dicendo: - Oh se sapeste mai! se sapeste mai! Filippo N., quello che insistette tanto perchè andassimo a nuotare, è rimasto morto. - Come! - tutti domandarono - egli era così famoso a nuotare!! - Che volete mai? - continuò l'altro - per incoraggiarci a sommergerci nell'acqua, confidando nella sua perizia e non conoscendo i vortici della pericolosa fontana rossa, si gettò per primo. Noi aspettavamo che ritornasse a galla, ma fummo delusi. Ci siamo messi a gridare, venne gente, si usarono molti mezzi, e non fu senza pericolo altrui che dopo un'ora e mezzo si riuscì a trarne fuori il cadavere. L'infortunio cagionò in tutti tristezza profonda, nè per quell'anno, nè per l'anno seguente si è mai più udito a dire che alcuno abbia anche solo espresso il pensiero di andare a nuoto.

Frattanto l'anno di umanità volgeva al suo termine e nell'agosto 1834 il prof. Lanteri venne da Torino a Chieri per dare l'esame finale. Il nostro Giovanni fu subito a visitarlo. Che cosa volete, mio caro? gli chiese Lanteri. Una cosa sola: che mi dia buoni voti. Guarda un po' con quale franchezza parla costui! esclamò Lanteri sorridendo. Certamente, perchè io sono molto amico del professore Gozzani. Davvero? Allora saremo anche noi amici! Ben volentieri! Ma sappia che Gozzani mi ha dati buoni voti. Venuto il giorno dell'esame, Giovanni fu trovato preparatissimo. Interrogato su Tucidide, rispose a meraviglia. Allora Lanteri prese in mano un volume di Cicerone:

 - Che cosa vuoi che prendiamo a spiegare di Cicerone?

 - Ciò che crede. - Lanteri apre il libro e gli cadono sott'occhi i Paradossi. - Vuoi tradurre? - Come desidera, e se permette sono pronto a recitarli a memoria. - Possibile? - Giovanni senz'altro incominciò a recitare il titolo in greco e quindi proseguiva. - Basta! esclamò stupito ad un certo punto il professor Lanteri, dammi la mano; voglio che siamo amici davvero. - E prese a parlare famigliarmente di cose estranee alla scuola.

I suoi professori, specialmente il dottor Banaudi, lo avevano consigliato di chiedere l'esame per la filosofia, cui venne difatti promosso. Ma siccome amava lo studio delle lettere, dopo aver riflettuto, giudicò bene di continuare regolarmente le classi e fare retorica, ossia quinta ginnasiale. Alcuni professori suoi amici, ai quali aveva chiesto consiglio, approvarono la sua deliberazione, specialmente perchè avrebbe potuto perfezionarsi nello scrivere, acquistando purità e proprietà di lingua. Non prevedeva ancora Giovanni che il Signore voleva essere da lui servito eziandio colla penna e che i suoi scritti, così gradevoli al popolo, avrebbero procurata la salvezza di migliaia di anime!

Ringraziando Iddio per l'esito felice degli esami, Giovanni era tornato presso la madre, e secondo la sua abitudine costante prestava aiuto in quel che poteva al fratello Giuseppe nella cascina del Susambrino, continuando però lo studio de' suoi libri prediletti e le radunanze de' suoi giovani amici. In uno di quei primi giorni di vacanza, mentre con un libro in mano conduceva una vacca al pascolo, incontrò nella via che attraversava la valle D. Cinzano, l'economo spirituale di Castelnuovo, che andava a visitare ammalati. Ammirato dal contegno di quel giovane, che vedeva per la prima volta, D. Cinzano gli dimandò chi fosse, a che cosa aspirasse; e udito essere quel Giovanni Bosco, del quale aveagli parlato Evasio Savio, s'intrattenne alquanto con lui, interrogandolo sugli studi fatti e sul desiderio che nutriva di essere un giorno sacerdote. Fu così soddisfatto dalle risposte di Giovanni che, ritornando poco dopo in quei dintorni, lo fece chiamare a sè, e dopo brevi interrogazioni, meravigliando del suo spirito pronto e profondamente cristiano, concepì le più liete speranze. Quindi gli disse: - Io non tengo ancora casa aperta in Castelnuovo, dovendo sovente assentarmi Se tu vuoi venire in canonica per custodirla, quasi in qualità di portinaio, io ti concedo l'alloggio in essa. Ti somministrerò il pane e Maria Febraro ti preparerà un po' di minestra. Quivi avrai tutta la comodità di studiare. Chiedi licenza a tua madre e vieni presto. - Giovanni accettò colla massima contentezza la proposta e fu puntuale al suo nuovo ufficio.

Questo incontro provvidenziale troncò un nuovo ordine di idee, che Giovanni andavasi formando nella sua mente. Benchè fosse ossequente al consiglio di D. Cafasso, tuttavia vagheggiava il disegno di consacrarsi alle missioni straniere, tanto più che allora in Piemonte, benchè appena incominciata, già giganteggiava l'Opera della Propagazione della Fede, fondata in Lione. Le Lettere edificanti dell'Opera, che descrivevano le fatiche e i martiri dei Missionari, erano lette con avidità. Senza la sicurezza che il Teol. Cinzano ed altri benefattori lo avrebbero aiutato, egli si sarebbe fatto missionario. Così egli stesso confidava al prof. D. Giovanni Turchi. Tuttavia non è a credersi che fossero velleità. Dio benedetto servivasi delle umane contrarietà per fargli concepire ed aumentare in cuore un desiderio che conserverà perennemente, finchè non l'abbia mandato in esecuzione. Egli è destinato non solo ad essere religioso e missionario, ma fondatore di Congregazioni religiose e di estese Missioni nei paesi stranieri ed infedeli.

D. Cinzano, ottenuta la parrocchia di Castelnuovo per concorso, nel mese di agosto ne prese solennemente possesso. E Giovanni in tutto il tempo delle vacanze continuò a frequentare la canonica, prestando tutti quei servigi che poteva. Il prevosto ammirava la pietà del suo protetto, ed essendo uomo di lettere, si intratteneva spesse volte con lui sulle materie studiate, sulla bellezza della lingua e dello stile degli autori spiegati, sul modo d'interpretarli e aperse a Giovanni, direi quasi, nuovi orizzonti. Più tardi, D. Cinzano, rammentando con entusiasmo i primi mesi, nei quali ebbe con sè Giovanni, fra le altre cose narrava, alla presenza di venti e più persone da lui convitate, tra le quali Giuseppe Buzzetti e molti giovani dell'Oratorio, come nel 1834 gli fosse stato detto dai terrazzani che il giovanetto Bosco era dotato di memoria così pronta e tenace, da facilmente ritenere e ripetere a' suoi compagni le prediche e le istruzioni ascoltate in chiesa; che egli perciò una domenica, discendendo dal pulpito, lo volle intrattenere per interrogarlo e accertarsi della verità di quanto si diceva, e che Giovanni gli ripetè, con sua meraviglia, tutta intiera la predica da lui fatta, senza esitare un solo istante. E lo descriveva come fornito di grande ingegno, di straordinaria costanza nello studiare, pieno di virtù e zelante del bene morale e religioso de' suoi compagni, rappresentandolo quale un piccolo missionario. Soggiungeva come più volte gli manifestasse vivo desiderio di farsi prete, per occuparsi in modo speciale della gioventù, verso la quale sentiva un'irresistibile inclinazione.

D'allora in poi tra D. Cinzano e Giovanni Bosco fu stretta una relazione vivissima, quale tra padre e figlio. Più volte lo presentò a D. Cafasso, pregandolo ad interessarsi di lui. Non era necessaria, ma però sempre utilissima la raccomandazione di questo buon pastore.

Dopo tanti anni di contraddizioni, la Provvidenza dava tregua alle prove. Giovanni, colla sua eroica costanza e fiducia, erasi mostrato degno della missione, che gli aveva preparato. L'opera sua però non è ancora compiuta: la statua ha bisogno ancora di qualche colpo di martello: la pianta, già cresciuta e che si apparecchia a produrre abbondantissimi frutti, ha qualche ramo, che tolto le darà più bellezza e vigore. Ma questo lavoro non è più un dolore, è un premio. L'amicizia cristiana avrà per compito questo perfezionamento.”L'amico fedele è balsamo di vita e d'immortalità, e quelli che temono il Signore lo troveranno. Chi teme Iddio avrà una buona amicizia, perchè il suo amico sarà simile a lui”. Finite le vacanze e andando Giovanni a Chieri pel corso, di retorica, il vicario stesso lo collocò a dozzina presso un tal Cumino sarto, a lire 8 al mese, che egli si industriava di pagare coll'aiuto pure di persone benefiche e specialmente dei signori Pescarmona e Sartoris. I coniugi Cumino, presso i quali era pur stato in pensione per quattro anni lo studente, Cafasso, avevano la loro abitazione vicino alla spaziosa piazza di S. Bernardino, accanto alla quale sorge la chiesa di S. Antonio. Una stanza a pianterreno, che serviva di rimessa ad una carrozzella o di stalla, fu destinata per dormitorio Giovanni, il quale vi pernottò vari mesi, come ci affermavano il signor Pianta ed altri anziani della città. Ma la mano benefica di D. Cafasso, che largheggiava in sovvenzioni col suo antico albergatore, gli ottenne alloggio più conveniente ed altri non disprezzabili vantaggi.

La notizia dell'incontro di Giovanni col teol. Cinzano e delle prime beneficenze di questo buon sacerdote verso il povero studente l'ebbimo in iscritto e a voce da D. Febraro. Castelnovese, parroco in Orbassano, il quale l'apprese dalla bocca stessa del vicario di Castelnuovo, presso cui stette vicecurato per parecchio tempo.

Giovanni a Chieri trovò che il prof. Banaudi, stanco dai molti anni d'insegnamento, erasi ritirato dalla scuola e gli era succeduto il giovanissimo teol. Giovanni Bosco, che incominciava allora la sua carriera d'insegnamento.

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