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Capitolo 31

Nuovi fastidii - Piano di guerra degli avversarii per far chiudere il ginnasio dell'Oratorio - Il Cav. Gatti capo de' malevoli: maligna cortesia - Domanda inascoltata di D. Bosco al Ministero, perchè siano ammessi gl'insegnanti dell'Oratorio ad un, esame di idoneità - Udienza non ottenuta dal Ministro dell'Istruzione Pubblica - Bastonate e vita dell'Oratorio - Massime umili e confortanti di Don Bosco - Il Comm. Selmi nuovo Provveditore agli studii: suppliche e dinieghi - D. Bosco alla presenza di Selmi - Dialogo: biografia di Savio Domenico: storia d'Italia: Duca di Parma - Domanda, visita ufficiale, approvazione degli insegnanti.


Capitolo 31

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

   Don Bosco, da chiari indizi e da segreti avvisi informato, prevedeva una tempesta che stava per cadere sull'Oratorio. Il Ministero Rattazzi per le continue invettive, le accuse e le minacce de' suoi avversari e rivali politici, non poteva più avere lunga esistenza, anzi da un giorno all'altro aspettavasi che lasciasse il potere. Perciò il suo, qualunque fosse, appoggio veniva mancando a D. Bosco.

Abbiamo già narrato il grave pericolo al quale D. Bosco andò incontro per le calunnie di alcuni malevoli, che, lo accusarono di professare una politica contraria al Governo; ed abbiamo esposto in pari tempo, come avendo egli potuto fare udire personalmente le proprie difese, alla presenza degli stessi Ministri, salvasse dalla minacciata violenza se medesimo e tutti i suoi alunni con grande confusione e dispetto di coloro i quali eransi confederati alla rovina dell'Oratorio.

Ma costoro che parte lo combattevano per massima e per servire alla rivoluzione e parte per farsi un nome e progredire in carriera, non si diedero per vinti; perciò, dopo due anni di tregua, ritornarono contro D. Bosco alla riscossa e sulla fine del 1862 ricominciarono a dargli nuovi fastidii e nuove angustie. E qui confessiamo di essere dolenti in dover segnalare al pubblico alcuni atti poco onorevoli per taluni di essi, ma lo facciamo senza mal'animo e solo per servire alla storia. Anzi ci consola il pensiero di poterli almeno in parte scusare dicendo che non sapevano quello che si facessero. Per verità alcuni di loro, non appena conobbero meglio le cose, da nemici si fecero amici, e taluno persino avvocato di D. Bosco e de' suoi fanciulli. Ma tiriamo innanzi.

Alla testa dei malevoli stava il Cav. Stefano Gatti, Capo di Divisione al Ministero della Pubblica Istruzione, già nota abbastanza ai nostri lettori.

Questa volta gli avversarii non presero più a pretesto la politica, ma la legalità dell'insegnamento che si dava nelle scuole dell'Oratorio. Nel loro piano di battaglia essi ragionavano così: - Don Bosco per tenere le sue scuole aperte si giova di professori sforniti di legale diploma; in questo momento pagarne e sopratutto trovarne dei patentati non può, perchè il suo Istituto vive di carità e l'anno scolastico è già incominciato; dunque obblighiamolo a provvedersi di tali professori, e così riusciremo a fargli chiudere le scuole. - Stabilito il loro piano, quei signori, avendone in mano il potere, aspettarono il momento per cominciarne la facile esecuzione.

Ma D. Bosco conoscendo le loro intenzioni e vistosi a sì mala parata, senz'altro pensò di andare a parlare col cav. Gatti per cercare di abbonirlo. Questi lo accolse fingendo, affabilità e cortesia e suggerì che presentasse i suoi maestri all'esame d'idoneità all'insegnamento cui attendevano. Co­stui così rispose, perchè credeva che i maestri dell'Oratorio fossero lontani le mille miglia dall'essere preparati a subire, quasi su due piedi, esami difficilissimi; e quando seppe che eglino erano pronti alla prova e domandavano di sottoporvisi, ne fece a D. Bosco calde congratulazioni. Ma da quel punto torturò il cervello in cercare appigli, perchè non fossero ammessi a quelli esami, come vedremo tra poco.

D. Bosco non si era lasciato illudere da quelle lustre, ma aveva inteso benissimo quale unica via gli fosse aperta, per giungere al conseguimento del suo scopo. L'aveva già preveduta scrivendo al Can. Vogliotti, ed ora indirizzava una supplica al Ministero, perchè autorizzasse i suoi insegnanti a presentarsi ad un esame, che giudicasse della loro idoneità.

 

Eccellenza,

 

Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma, come nel vivo desiderio di promuovere l'istruzione secondaria nella classe meno agiata del popolo, da alcuni anni, oltre alle classi elementari che hanno luogo pei poveri giovanetti, ho aperto anche una piccola scuola col corso Ginnasiale.

Privo di redditi fissi, ed i giovani accogliendosi per lo pi√π gratuitamente, o ad una assai modica pensione, non avrei potuto proseguire in questa opera senza l'altrui materiale e personale aiuto.

Quattro giovani abbastanza istruiti mi vennero in soccorso e accettarono gratuitamente la carica di insegnanti nelle varie classi.

I loro nomi sono.

Sac. Francesia Gio. Batta. di Giacomo di San Giorgio per la quinta Ginnasiale.

Il Chierico Cerruti Francesco fu Luigi da Saluggia, studente del 2° anno di Teologia per la quarta Ginnasiale.

Il Chierico Durando Celestino di Francesco da Farigliano, studente del 4° anno di Teologia sostituito della quinta ed insegnante nella terza.

Il Chierico Anfossi Gio. Battista fu Luigi da Vigone, studente del 4° anno di Teologia sostituito della quarta Ginnasiale, ed insegnante nella seconda.

I risultati ottenuti riuscirono quanto mai si può desiderare soddisfacenti. La loro sollecitudine, il loro zelo fu sempre per ogni riguardo commendevole. Questi benemeriti reggenti mentre compivano i doveri di insegnanti, trovarono modo di frequentate le lezioni di Lettere Greche, Latine ed Italiane nella nostra Regia Università.

La disciplina osservata nelle nostre scuole è sempre stata secondo le disposizioni governative, e furono sempre mai seguiti i Programmi pubblicati dal Ministero per le classi Ginnasiali. I regii Provveditori agli studii, gli Ispettori ed altri insigni Professori si compiacquero di visitare più volte le nostre classi e, se ne dimostrarono sempre soddisfatti.

Sua Eccellenza il Ministro di Pubblica Istruzione ha eziandio veduto ognor con bontà questo sforzo di diffondere l'istruzione secondaria fra i giovanetti meno agiati, ma commendevoli per ingegno e per virtù; ha più volte detto parole d'incoraggiamento a me ed ai maestri delle classi, largì anche sussidii pecuniari, e talvolta scrisse lettere benevole con cui assicurava essere disposto a favorire queste scuole con tutti quei mezzi che erano in suo potere. Ma il medesimo sig. Ministro mi ha più volte animato a studiare il mezzo per mettere nelle rispettive classi i maestri approvati, affinchè, egli diceva, questo Ministero con più regolarità si possa prestare con mezzi materiali e morali.

Per secondare il mentovato desiderio del Signor Ministro, cioè di aver maestri titolati nello insegnamento, fu già provveduto a tutte le classi elementari, mercè gli esami sostenuti da alcuni giovani di questa casa medesima, i quali in parte sono maestri in altri paesi, e gli altri continuano come maestri patentati a prestar gratuitamente l'opera loro ai poveri giovani che intervengono a queste scuole. Rimane ancora a compiere il suggerimento del Sig. Ministro riguardo alle classi Ginnasiali: ed appunto per questo fo umile preghiera onde i suddetti benemeriti maestri, approvati indirettamente dal Ministero, siano considerati come Reggenti, e sia loro fatta facoltà di presentarsi all'esame di Belle Lettere in questa Regia Università.

Eglino hanno fatto regolarmente i loro studii Ginnasiali ed Universitarii, ed a giudizio dei loro Professori sarebbero idonei a subire l'esame, cui domandano di essere ammessi.

Questo è il favore che domando a Vostra Eccellenza, favore che sarà un vero incoraggiamento ed in certo modo un compenso a questi benemeriti insegnanti, e nel tempo stesso sarà un novello benefizio, che con gratitudine ricorderà questa casa, che si sostiene con sola privata e pubblica beneficenza.

Dio spanda copiose benedizioni, sopra l'Eccellenza Vostra e sopra tutti quelli che si occupano per educare ed istruire la giovent√π, mentre reputo al pi√π alto onore di potermi colla pi√π sentita gratitudine professare

Di Vostra Eccellenza

 

Torino, II Novembre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

La sua lettera non ebbe risposta. Allora tentò di avere un udienza dal Ministro della Pubblica Istruzione, Matteucci Prof. Carlo, Senatore del regno e non potè riuscire ad averla.

D. Bosco in uno di que' giorni fu udito a fare questa veridica osservazione: - L'Oratorio di S. Francesco di Sales nacque dalle bastonate, crebbe sotto le bastonate, e in mezzo alle bastonate continua la sua vita. - Infatti dai maltrattamenti e dalle percosse del sagrestano di S. Francesco d'Assisi in Torino ad un povero giovanetto, colse D. Bosco occasione di cominciare l'opera degli Oratorii a vantaggio della gioventù abbandonata e pericolante. Mentre quest'opera medesima, mediante la sollecitudine di lui e la carità dei benefattori, andava sviluppandosi, venne or dalle private, or dalle pubbliche persone osteggiata e combattuta sino al punto che, come abbiamo detto, fu ad un pelo di cadere estinta; e d'allora in poi e ad intervalli, più o meno brevi, non mancarono contro di essa assalti di altri nemici non meno audaci e potenti.

D. Bosco però soleva, dire ad alcuni de' suoi, sfiduciati da tante difficoltà e persecuzioni: - Non dubitiamo di nulla; io ho esperimentato che quanto più mancano gli appoggi umani, tanto più Dio vi mette del suo. - Altre volte diceva: - In mezzo alle prove più dure ci vuole una gran fede in Dio. - Spessissimo usciva in questa invocazione: - Se l'Opera è vostra, o Signore, voi la sosterrete; se l'opera è mia sono contento che cada.

Intanto il I° dicembre Rattazzi annunziava alla Camera aver dato con tutto il Ministero le sue dimissioni ed averle il Re accettate. Questi chiamava a comporre il nuovo Ministero Carlo Farini e Giuseppe Pasolini e l'8 dicembre era composto. Farini ne fu il Presidente, ma senza portafoglio. Il Senatore Professore Micheli Amari ebbe quello della Pubblica Istruzione. Al Professore Muratori, Provveditore agli studi per la Provincia di Torino, era successo il Comm. Francesco Selmi, farmacista modenese, donde era stato condotto da Carlo Farini, già dittatore a Modena.

Il nuovo regio Provveditore, che pur egli col Cav. Stefano Gatti, aveva concepita trista idea delle cose di D. Bosco, entrò subito in campo contro l'Oratorio domandando a Don Bosco i titoli legali dei suoi maestri. Questi mandò il loro nome e cognome, e in quanto al titolo osservò che erano in via di provvederselo, perchè frequentavano già le lezioni di lettere italiane, latine e greche alla regia Università di Torino. In pari tempo faceva notare, che essendo scuole di carità e di beneficenza a vantaggio dei poveri giovanetti, erano state pel corso di più anni raccomandate e incoraggiate dall'Autorità scolastica, dai regi Provveditori e dallo stesso Ministro della Pubblica Istruzione, col lasciare piena libertà ai maestri d'insegnare, senza esigere che fossero patentati; citava poi - una lettera del Ministro Giovanni Lanza, in data del 20 aprile 1857, nella quale si diceva che - quel Ministero desiderava di concorrere con tutti i mezzi che erano in suo potere, affinchè coteste scuole avessero il maggiore sviluppo. - Addotti questi motivi, Don Bosco domandava quindi al Provveditore che volesse approvare per l'insegnamento quegli stessi professori, almeno sino a che avessero subìto gli esami a cui aspiravano. Ma il Selmi non ascoltò ragioni, si mostrò inflessibile alle suppliche, respinse con disdegno chi voleva fare da mediatore, ed insistette che D. Bosco o si provvedesse fin di quell'anno di maestri patentati, o chiudesse le scuole.

Ma questi risolse di ritentare la prova presso di Selmi. Aveva pensato: - Se possiamo ripararci dal colpo mortale per un anno, il tempo e il bisogno ci suggeriranno il modo di schermircene in appresso.

Egli pertanto non scrisse più, nè mandò intermediarii, ma recitata la solita Ave Maria, si presentò in persona al Regio Provveditore. Era uno dei primi giorni del mese di dicembre. Dopo più ore di anticamera, finalmente D. Bosco venne introdotto alla sua presenza. In seguito a pazienti ricerche e da persona che si trovò a parte del fatto, abbiamo saputo circostanze, che ci mettono in grado di esporre la sostanza dell'intrattenimento.

Pomposamente seduto sopra un seggiolone, il Provveditore ordinò al povero prete di porsi di fronte a lui in piedi; poscia cominciò così:

 - Dunque... Dunque ho l'onore di avere innanzi a me un famoso Gesuita, anzi il maestro dei Gesuiti. - E con ciò intendeva dire che D. Bosco era un nemico delle moderne istituzioni.

Dopo questo preambolo continuò a discorrere per buona pezza contro dei preti, dei frati, del Papa, di D. Bosco, delle sue scuole e dei suoi libri, e parlava con tanta acrimonia e adoperava termini tali, che avrebbero fatto perdere la pazienza a Giobbe. D. Bosco, ricordando forse le parole di Gesù Cristo, colle quali esorta i fedeli a godere agli insulti che si riceverebbero per amor suo, raccoglieva tutta quella tempesta d'improperii con animo calmo e con un dolce sorriso sulle labbra. Questo dignitoso contegno di D. Bosco, così opposto al suo, diede fortemente sui nervi al Selmi, che, fissandogli in volto due occhi di bragia, gli disse quasi furioso:

 - Come? io sono delirante di rabbia e lei si ride di me?

 - Signor Commendatore, rispose D. Bosco, io non rido in disprezzo di lei, ma perchè ella parla di cose che non mi riguardano.

 - Ecchè? Non è lei D. Bosco?

 - Sì, lo sono.

 - Non è lei il direttore delle scuole di Valdocco?

 - Lo sono altresì.

 - Non è lei D. Bosco, famoso Gesuita e gesuitante?

 - Non capisco.

 - Ma è forse lei un imbecille?

 - Lascio alla Signoria Vostra il farne giudizio. Se ancor io volessi usare consimili termini avrei materia e ragioni sufficienti a cui ispirarmi, ma la qualità di onesto cittadino, il rispetto dovuto a tutte le Autorità, il bisogno di provvedere a più centinaia di poveri orfanelli, mi consigliano di tacere, anzi di prendere tutto con indifferenza e di pregare la S. V. che mi usi la bontà di ascoltarmi.

Queste parole, spiranti profumo di una pazienza e di una carità ammirabile, portarono un po' di calma nell'animo esaltato del Provveditore, che, ritornato a migliori sentimenti, prese a dire:

 - Che cosa sono adunque queste sue scuole per cui domanda favori?

 - Sono la riunione di poveri fanciulli, raccolti da varie parti d'Italia e di altre nazioni, avviati gli uni allo studio, gli altri ad un'arte o mestiere, con cui potersi un giorno guadagnare onestamente il pane della vita.

 - Ne ha molti?

 - Contando gli esterni ne ho oltre ad un migliaio.

................  - Oh che diavolo! oltre ad un migliaio! E chi sti­pendia lei per ricoverare tanti giovani?

 - Io non sono stipendiato da alcuno; la mia mercede l'attendo da Dio solo, giusto rimuneratore delle opere buone. Neppure ho reddito per mantenere questi fanciulli e perciò fatico da mane a sera per provvedere loro vitto e vestito.

A queste parole il Provveditore, divenendo non solo sempre più calmo, ma anche cortese, fece sedere D. Bosco e proseguì:

 - Ascolti, signor D. Bosco; io la credeva un imbecille, ma mi accorgo che ho preso un abbaglio, perchè un imbecille non è capace di dirigere tale impresa. Ma perchè mai ella si mostra così avversa al Governo e alle sue Autorità?

 - Io mi trovo, signor Commendatore, in dovere di protestare contro a quest'ultima sua asserzione. Sono oltre a vent'anni che dimoro in questa città, ed ho sempre goduto la benevolenza dei miei compatriotti e di tutte le classi di cittadini, nè mai mi venne fatto rimprovero d'insubordinazione alle pubbliche Autorità. Di ciò chiamo in testimonio la mia vita, le mie parole, le mie prediche, i miei libri. Fino a tanto che la rivoluzione non si impadronì dei miei compatriotti e le pubbliche cariche stettero in mano loro, l'opera mia fu sempre stimata da tutti; soltanto dacchè molti impieghi sono caduti in mani straniere (non intendo parlare di lei), io divenni il bersaglio dei tristi. Costoro, incapaci di provvedere essi medesimi alla sventura dei figli del popolo, osteggiano e vilipendono quelli che vi provvedono, anzi congiurano alla rovina di opere che ci costarono sostanze, fatiche e sudori. - A queste parole troppo chiare per non essere intese, il Provveditore, che era appunto uno straniero, interruppe Don Bosco e - Aspetti un momento, disse: pensa ella forse che come forestiere io sia un suo nemico?

 - No, signor Commendatore, ed appunto per questo io l'ho eccettuata. Io intendo parlare di certi uomini, che sacrificano il benessere dei loro concittadini in deferire menzogne allo scopo di fare un passo innanzi nell'impiego, o per guadagnare danaro. Questi uomini indegni sono la rovina della civile società.

Qui il Selmi si accorse che D. Bosco andava toccando certi tasti, che mandavano un suono poco grato alle sue orecchie; onde cercò di volgere altrove il discorso, e facendo una destra evoluzione, disse:

 Lei parla bene; in ciò le sono perfettamente d'accordo; ma debbo dirle che mi piacciono assai poco i suoi libri. -

Come vede il lettore qui i libri di D. Bosco non avevano nulla a che fare, ed entravano, per così dire, come il cavolo a merenda, tuttavia nella fiducia di portare un po' di luce nelle tenebre e trarre il suo interlocutore sopra un buon terreno, egli assecondò il deviamento della conversazione, e rispose:

 - Mi rincresce che i miei poveri scritti non abbiano la fortuna di tornarle graditi, ma se la S. V. si degnasse di notarmene i difetti ne terrei conto nelle future edizioni.

- È  ben lei l'autore della biografia del giovanetto Domenico Savio?

 - Per l'appunto.

 - Ebbene quel libro è pieno di fanatismo; lo lesse mio figlio e ne fu talmente preso, che ad ogni ora domanda di essere condotto da D. Bosco, e temo quasi che gli dia volta il cervello.

 - Ciò vorrebbe dire che i fatti ivi contenuti sono chiaramente esposti ed ameni, da essere con facilità intesi dai giovanetti e da incontrare il loro gusto; questo appunto era il mio divisamento. Ma intorno alla lingua e allo stile vi ha ella trovato qualche difetto a correggere?

 - Di questo no: anzi vi ho scorto purezza e proprietà di lingua ed uno stile facile e popolare. Ma lasciando a parte il libretto accennato perchè di poca mole, non posso passarle per buona la sua Storia d'Italia, che va tra le mani di tutti. Per far disapprovare quest'opera sua basterebbe quanto ella scrisse di Ferdinando Carlo III, Duca di Parma. Di quello scellerato, che ne ha commesse di ogni colore, lei ne ha fatto un eroe, un martire. Le so dire che erano due mila, i quali eransi offerti e legati con giuramento per assassinarlo l'uno in mancanza dell'altro.

 - Io non sapeva quest'ultima particolarità; ma ancorchè l'avessi conosciuta, non potrei assicurare se l'avrei accennata, perocchè io ho scritto un compendio di storia e ad uso della gioventù, e perciò dovea restringermi in certi limiti, e scegliere quei fatti soltanto, che potessero tornare di qualche morale utilità ai miei lettori. Del resto di quel principe non ho tessuto una biografia, ma narrato solamente la tragica morte, che dissi morte di un buon cristiano, perchè egli morì di fatto rassegnato ai divini voleri, munito dei conforti religiosi, e perdonando al suo assassino.

 - Basta, io la consiglierei a correggere questa Storia prima di ristamparla.

 - Se lei, sig. Commendatore, volesse essermi tanto cortese di notarmi o farmi notare le modificazioni o le correzioni da introdursi, l'assicuro che ne farei tesoro per la nuova ristampa.

 - Mi piace questa sua condiscendenza; lei non si mostra ostinata nelle sue idee; questo mi piace. Ma ora passiamo ad altro, e mi dica che imbarazzo incontri per le sue scuole, e quale difficoltà trovi nel sottomettersi all'Autorità scolastica.

 - In ciò io non trovo alcuna difficoltà; dimando solo che la S. V. voglia concedere che gli attuali maestri possano continuare il loro insegnamento nella rispettiva classe, cui sono presentemente addetti.

 - Quali sono questi maestri?

- Sono Francesia, Durando, Cerruti ed Anfossi.

 - Da chi sono pagati?

 - Non sono pagati da alcuno. Furono anch'essi allievi dell'Istituto, ed ora godono d'impiegare le proprie fatiche a benefizio altrui, come altri un tempo le impiegò per loro.

 - Io non vedo in ciò nessuna difficoltà. Se la cosa sta così, io li approvo senz'altro. Ella mi faccia soltanto una formale domanda, indicando il nome dei maestri e la classe in cui insegnano, ed io le spedirò tantosto apposito decreto di approvazione.

 - Io la ringrazio di cuore, signor Commendatore, e di tale benefizio le serberò profonda gratitudine. Prima però di congedarmi vorrei ancora pregarla di un favore, ed è ch'ella si degni di prendere i miei fanciulli sotto la sua protezione, e che un giorno o l'altro venga ad onorarci di sua presenza. Sono persuaso che la S. V., amante qual è del povero popolo, proverà grande soddisfazione al vedere colà raccolto un migliaio dei più bisognosi suoi figli. -

A queste parole di D. Bosco, il Selmi fu tocco nel pi√π profondo dell'animo; onde guardandolo con occhio di compiacenza,

 - Caro D. Bosco, disse: lei è un angiolo della terra. L'assicuro che d'ora innanzi farò tutto ciò che è in mio potere a pro dei suoi giovanetti, e quanto prima insieme colla mia famiglia renderò al suo Istituto una visita amichevole. Spero poi che in avvenire le nostre conversazioni avranno altro condimento che non ebbe da principio questa prima. Sono nondimeno contento di averla veduta e conosciuta. Dunque siamo intesi e a bel rivederci.

Questo, la Dio mercè, fu il termine della esposta visita, che da prima minacciava una dolorosa conclusione. D'allora in poi il Provveditore Selmi, convinto del bene che l'Oratorio faceva alla povera gente, lo trattò sempre con molta benevolenza e lo favorì nei limiti di sua autorità.

Giunto a casa D. BOSCO gli inviò tosto domanda formale per l'approvazione degli insegnanti, secondo le anteriori intelligenze.

 

Ill.mo Sig. Provveditore,

 

Espongo rispettosamente a V. S. Ill.ma come nel desiderio di promuovere l'istruzione secondaria nella classe meno agiata del popolo, ho iniziati i corsi ginnasiali per li poveri giovani accolti in questa casa, a fine di provvedere a chi colle arti o mestieri, a chi collo studio, un mezzo di guadagnarsi onestamente il pane della vita. Pel passato gli insegnamenti si uniformarono mai sempre ai Programmi ed alle discipline governative. Ma ora desiderando di ottenere una regolare approvazione di queste scuole, fo a Lei, Ill.mo Signor Provveditore, rispettosa preghiera affinchè le medesime vengano approvate come Istituto privato a norma dell'Articolo 246 della Legge sulla Pubblica Istruzione.

L'insegnamento sarà secondo i Programmi, e secondo le discipline governative in conformità all'art. sopracitato, siccome si è già sinora praticato.

Riguardo agl'Insegnanti per la Ia Ginnasiale proporrei il Sac. Alasonatti Vittorio, patentato per la 4a Latina secondo l'altra Nomenclatura.

Per l'Aritmetica il Sac. Savio Angelo Maestro patentato per la 4a Elementare.

Per la seconda Ginnasiale il Ch. Anfossi Giovanni.

Per la terza Ginnasiale il Chierico Durando Celestino.

Per la quarta Ginnasiale il Chierico Cerruti Francesco.

Per la quinta Ginnasiale il Sac. Francesia Giovanni.

Per questi quattro ultimi non ho altri titoli che la dichiarazione de' loro professori, perocchè oltre la scuola che da sei anni fanno nella rispettiva classe, frequentano eziandio le lezioni di lettere Greche e Latine nella Regia nostra Università. I giovani loro allievi ne riportarono vistoso vantaggio. Niuno è stipendiato e tutti questi insegnanti impiegano caritatevolmente le loro fatiche. Per questi quattro ultimi dimando un'approvazione provvisoria riservandomi, pel tempo che lui sarà fissato, di presentare gli stessi oppure altri, ma con tutti i titoli voluti dalla Legge.

Gli studii poi sarebbero sotto la direzione del benemerito Sig. Prof. di rettorica D. Matteo Picco, come sono sempre stati finora.

Noto qui di passaggio che lo scopo di questa Casa si è che queste scuole Ginnasiali siano una specie di piccolo Seminario, ove possano trovare un mezzo per fare i loro studii quei giovanetti, che hanno il merito dell'ingegno e della virtù, ma che sono privi o scarsi di mezzi di fortuna.

Pieno di fiducia che l'umile mia domanda sia presa in benigna considerazione, reputo ad onore di potermi dichiarare

Di V. S. Ill.ma

 

Torino, 4 Dicembre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Il Provveditore però prima di accordare la chiesta approvazione, forse per regolarsi con piena cognizione di causa e per far conoscere che egli non si lasciava condurre alla cieca, scriveva a D. Bosco.

 

 Torino addì II dicembre 1862.

 

                   Il sottoscritto avendo delegato al Segretario di questo ufficio Si­gnor Dottore Camillo Vigna la facoltà di visitare il locale di cotesto suo Istituto di cui Ella chiede l'approvazione, ne dà avviso alla S. V. Ill.ma onde le piaccia disporre, affinchè, qualora egli vi si recasse in un giorno in M. V. S. fosse assente, non abbia ad incontrare ostacoli nell'adempimento dell'ufficio commessogli.

 

Il R. Provveditore

F. SELMI.

 

Venne il Dottore Camillo Vigna; fu soddisfatto dei locali e del contegno dei giovani e dopo ciò il Provveditore, in data del 21 dicembre, emanò il promesso decreto, pel quale le scuole dell'Oratorio furono per quell'anno al sicuro da ogni attentato.

Il R. Provveditore poco dopo chiedeva una statistica del ginnasio dell'Oratorio, nell'anno scolastico 1861 - 62, che Don Bosco non tardava a rimettergli.

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