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Capitolo 30

L'Oratorio si ripopola - Alcune notevoli accettazioni di giovani - Sono molti, ma il Signore li manterrà - D. Bosco li prova e fa la scelta: ripete che uno di essi sarà Vescovo Luigi Lasagna - Un giovane che non la per l'Oratorio Si aprono le scuole: insegnanti senza diploma - Tolleranza dell'Autorità scolastica nell'anno passato - D. Bosco fa preparare i chierici pel conseguimento dei titoli legali - Scrive a questo fine al provicario, perchè dispensi in quest'anno i suoi insegnanti dagli esami di Teologia - Procura il - patrimonio ecclesiastico agli ordinandi - A D. Cagliero Giovanni è affidata la predicazione della Domenica sera - L'uso del dialetto sul pulpito - D. Bosco dalle parti di Alba per una predica: ospitalità sulle prime gretta e poi graziosa - La Contessa vecchia - Il Galantuomo: cessa dal far profezie.


Capitolo 30

da Memorie Biografiche

del 01 dicembre 2006

 Al  ritorno di D. Bosco l'Oratorio si riempiva di alunni, il cui numero oltrepassava i seicento. Fra questi era il giovanetto Berto Gioachino di Villar Almese, che già conosceva D. Bosco per fama fin dalla sua prima puerizia, e che poi Salesiano e prete destinavalo la Divina Provvidenza ad essere segretario e famigliare di D. Bosco, quale persona di intima fiducia, dal 1866 al 1886. A lui la Congregazione andrà debitrice di molte memorie raccolte intorno alla vita del Venerabile Servo di Dio. Entravano anche quelli accettati da D. Bosco personalmente a Montemagno, a Vignale e in altri paesi, che egli aveva percorsi nella passeggiata autunnale. Ed ora egli ricordavasi di qualche povero giovane di Torino, al quale aveva promesso d'aiutarlo.

Bernocco Secondo era garzone in un caffè di piazza Carlina, e D. Bosco una sera mandò Belmonte Domenico, che allora faceva rettorica, a dirgli che venisse nell'Oratorio. Belmonte andò; e chiesto del giovane, gli disse: - Prendi il tuo fagotto e vieni con me all'Oratorio.

 - Ti manda D. Bosco?

 - Sì. - E senz'altro il giovane venne all'Oratorio, studiò e laureato in belle lettere ebbe una cattedra a Roma. Morì sul fine del 1889.

Nel vedere quella moltitudine di giovani qualcuno della casa domandò a D. Bosco: - Ma come farà a mantenerli.

D. Bosco disse sorridendo: - Eh! Il Signore che me li ha mandati me li mantenga! - E si compiaceva di scendere nel cortile in mezzo a loro e di intrattenerli colle sue mirabili industrie; mentre studiava attentamente la loro indole, le inclinazioni, le deficienze, i progressi e regressi nel bene, qual vocazione appariva in ciascuno; studio che noi diremmo essere come il primo grado di quella grazia, che dona il Signore ad un suo servo per la discrezione degli spiriti. E questa si ottiene colla prudenza, preghiera e paziente carità. Perciò D. Bosco faceva suo quel motto di S. Paolo ai Tessalonicensi, che risuonava sovente sulle sue labbra, come un monito in ogni circostanza e affare, ai suoi coadiutori: Omnia probate, quod bonum est tenete.

Egli però aveva sempre qualche episodio o qualche parola che interessava e distraeva i suoi piccoli amici.

Di una parola detta da lui ci scrisse Suttil Gerolamo il 21 novembre 1884. “ Verso il finir dell'autunno dell'anno 1862 un dopo pranzo, prima delle ore due, D. Bosco era appoggiato al pilastro, che sta tra la scala e l'atrio, proprio sotto il becco del gaz. Eravamo diversi giovanotti e ragazzi intorno a lui in semicircolo. Non potrei precisare chi ci fosse con me; parmi però di poter dire con sicurezza che vi fossero D. Cagliero, i chierici Durando, Jarac, il ragazzo Lasagna ed altri. D. Bosco (mi pare ancor di vederlo) girò il dito indice attorno, senza fermarsi davanti a nessuno, e disse queste precise parole: - Uno di voi un giorno sarà Vescovo. Tali parole mi restarono sempre impresse, come tutte le altre di D. Bosco, e quando D. Rua mi scrisse a Parigi annunziandomi la partenza di D. Cagliero per l'America, ricordandomi subito della profezia, esclamai: - Ecco il Vescovo profetato da Don Bosco, tanto la profezia fatta quel giorno mi colpì! Ma siccome io non posso sapere la spiegazione delle profezie di D. Bosco, e non potrei giurare che D. Cagliero fosse presente, così quella profezia potrebbe riguardare altri, forse anche qualche ragazzo, forse Lasagna stesso. Chi sa! ”

Era presente Luigi Lasagna, giovanetto di 12 anni, il quale tutte le volte che il buon padre compariva in mezzo ai suoi figli, sentivasi subito attirato verso di lui, riputando a gran ventura se gli rivolgeva la parola o almeno uno sguardo benigno. Nei primi giorni però, essendo di un indole vivacissima e quasi indomabile, nelle ricreazioni voleva esser padrone del campo in mezzo a quel mondo di vispi giovanetti, sicchè non erano state rare le risse clamorose che aveva fatte nascere per sostenere sue ragioni. Assuefatto alla vita libera dei campi, eragli parso pesante il giogo della regola, che fissavagli il tempo pe' suoi doveri e talvolta aveva dato prova ai compagni di questa sua ripugnanza. Di fibra sensibilissima e di viva immaginazione, preso dalla nostalgia del paese nativo, aveva trovato modo di fuggire dall'Oratorio e ritornare a Montemagno; ma ricondotto immediatamente dai parenti in Valdocco, D. Bosco lo aveva accolto senza fargli rimproveri per quella scappata; lo trattò con tanta amorevolezza di incoraggiamenti e ammonizioni paterne, che fu guadagnato a Dio ed alla salute de' suoi fratelli.

D. Bosco aveva intraviste subito le sue rare doti. Egli era franco, ingenuo, generoso, di una forza di volontà straordinaria, di un cuore affettuosissimo, di grande memoria ed ingegno: e sovente D. Bosco fu udito ripetere fin d'allora: In lui c'è buona stoffa; vedrete. - C'era la stoffa della quale si fanno i vescovi.

Era anche mirabile l'intuito col quale D. Bosco sapeva discernere e giudicare quali giovani facessero o meno perla sua casa. Ci lasciò scritto D. Provera Francesco.

“ Un cotale voleva mettere suo figlio all'Oratorio, ma Don Bosco non lo voleva accettare per nessun costo. Tuttavia le istanze furono così vive che fu quasi costretto a dire di sì. Il padre condusse il ragazzo che all'aspetto sembrava un buon figliuolo, e D. Bosco lo chiamò a sè, dicendogli: - Ti piacerà stare qui con me?

” - Sì sì; rispose il giovane: l'ho tanto desiderato.

” - Ebbene ascolta; e chinandosi continuò a dirgli in un orecchio: per stare qui, bisogna che tu non faccia questa e quell'altra cosa. - Il giovane allora alzò il capo come spaventato: - Ma! e chi le ha detto queste cose?

” - Chi me le ha dette? Io le so!

” - Ah! io non voglio star qui: no, no!

” - Ma e perchè?

” - Perchè se ella sa già tali cose, io non voglio più stare. E corse da suo padre e non ci fu mezzo per farlo rimanere ”.

Nel giorno stabilito si era dato principio alle scuole e a Don Michele Rua D. Bosco affidava la direzione degli studi. Gli insegnanti però non erano forniti di titoli legali. Nel tempo passato le autorità scolastiche non recavano disturbi a Don Bosco, ma nell'anno scolastico 1861 - 62 avevano incominciato a farsi vive. Egli era stato messo sull'avviso dalla seguente lettera del Provveditore agli studii, Giovanni Francesco Muratori.

 

 

R. PROVV. AGLI STUDI DELLA PROVINCIA DI TORINO.

N. 613. - Oggetto - Statistica - Circolare N. 19. Serie 2°.

 

Torino, addì 28 Marzo 1862.

 

Nei due quadri uniti alla presente circolare sono indicati particolari, che al Ministro della Pubblica Istruzione preme di avere sia intorno al personale direttivo insegnante ed inserviente di cotesto ginnasio, sia intorno al numero degli alunni ed uditori per ogni classe, alla spesa e alla provenienza dei fondi nel medesimo.

Lo scrivente prega pertanto V. S. di voler porgere siffatte indicazioni, con riempiere e rinviare dentro un termine non maggiore di giorni cinque a questo ufficio i moduli qui compiegati.

Laddove poi non possano in essi capire tutti i riscontri e riflessi cui Ella stimi opportuno di comunicare, sarà sua cura di farne argomento, di uno speciale rapporto.

 

Il R. Provveditore agli studi

Muratori.

 

D. Bosco dunque mandò al Regio Provveditore un dettagliato resoconto delle sue scuole private, dal quale risultò che i maestri non erano forniti di titolo legale per insegnare. Ma fu lasciato per qualche tempo tranquillo dietro sua dichiarazione di essere disposto a ricevere maestri che gli venissero assegnati dal Ministero: facendo però osservare che non avrebbe potuto loro assegnare altro stipendio, che un posto in paradiso, se avessero lavorato per la gloria di Dio.

Il Provveditore si contentò della promessa che D. Bosco avrebbe procurato di mettersi in regola colle leggi. Non appare che i due Ministri dell'Istruzione Pubblica che nell'anno tennero il portafoglio, prima Mancini poi Matteucci, pensassero a misure odiose contro l'Oratorio. Fors'anco Urbano, Rattazzi, Presidente del Ministero dal 4 marzo col portafoglio degli affari Esteri e degli Interni, aveva fatto valere in Consiglio la sua opinione favorevole all'opera di D. Bosco.

Questi intanto per l'anno scolastico 1861 - 62 non ebbe a soffrire altra molestia. Prevedendo egli però che le leggi sulla pubblica istruzione lo avrebbero da un momento all'altro messo in gravissimi imbarazzi, aveva già disposto che alcuni chierici studiassero le materie necessarie per l'insegnamento nel ginnasio, onde conseguirne il regolare diploma.

Già aveva mandato a subire gli esami di licenza ginnasiale i chierici Durando Celestino e Anfossi Giov. Batt. nel luglio 1857 C il Ch. Francesco Cerruti nel 1859, che in appresso presentava alla Regia Università di Torino come uditori. Don Francesia Giov. Batt. già da qualche tempo la frequentava. Erano insegnanti per la letteratura latina il prof. Tommaso Vallauri, per l'Italiana Michele Coppino, perla greca Bartolomeo Prieri. I chierici di D. Bosco, interrogati pubblicamente su varii punti delle cose insegnate, avevano dato buon saggio del loro profitto. I professori avevano rilasciato loro ben volentieri gli attestati di frequenza.

Pel 1862 - 63 era deciso che avrebbero continuato a frequentare l'Università come uditori e, diciamolo subito, anche quest'anno accademico doveva procurar loro gran profitto negli studii e grande stima da parte degli insegnanti. Ma Don Bosco aveva bisogno che questi suoi collaboratori avessero maggior tempo per occuparsi dei classici delle tre letterature, quindi ne scriveva al Cali. Vogliotti, Rettore del Seminario e Provicario. Nello stesso tempo chiedeva varie licenze e favori per i chierici e per altri giovani aspiranti allo stato ecclesiastico.

 

III.mo e M. R. Signore,

 

Volevo andarle a parlare personalmente perchè ho millanta cose da esporle, ma in questi giorni non mi fu possibile. Dirò qui tutto in breve. Ella poi dica sì o no siccome Le sembrerà di maggior gloria di Dio.

I°) I chierici Durando, Anfossi e Cerruti (con D. Francesia) hanno in vista di prendere l'esame di belle lettere in quest'anno, cominciando nel p. Novembre. A tale scopo dimanderebbero di essere dispensati dagli esami, concedendo loro di studiare gli opportuni trattati nelle future vacanze del 1863.

2°) Ghivarello essendo già in età di anni ventotto supplica di poter aggiungere pel prossimo esame i trattati del 5° anno di teologia, nella speranza di essere ammesso alle sacre Ordinazioni nell'anno corrente che sarebbe solo il 4° di Teologia.

3°) Il chierico Lazzero dimanderebbe di poter aggiungere qualche trattato ai prescritti pel p. esame col medesimo scopo, essendo già in età di 26 anni. Sono ambedue di lodevole ed esemplare condotta morale e preparati sopra la materia dell'esame.

4°) Il chierico Racca, essendo in età di 20 anni, supplicherebbe pure di poter unire al pr. esame i trattati di fisica, che egli ha studiato nel corso delle spiranti vacanze, quindi cominciare il corso di teol. nell'entrante anno scolastico.

5°) Rimarebbero qui nell'Oratorio fra i novelli chierici Baracco, Cagliero, Do, Ferrero Antonio d'Airasca, Peracchio, diocesi di Casale, Giuganino e Pignolo già seminaristi di Chieri.

6°) Domandano di andare a scuola in Seminario vestiti in borghese, perchè non possono comprarsi l'abito clericale, Chicco, Cinzano, Croserio De Paoli, Righetti, Rebuffo. Forse alcuni di essi saranno vestiti nei primi mesi dell'anno scolastico.

7°) Fra i Fisici avvi anche Bourlot che, per impotenza di pagarsi la pensione, chiede di rimaner (lui nell'Oratorio.

8°) Non so se Sona abbia chiesto di andare in Seminario, oppure intenda di far dimanda per venir qui. Se ne parlò, ma non si è fatta conclusione.

9°) Il portatore di questa lettera è il Chierico Rolle commendevolissimo per pietà e studio. A costui bisogna o che conceda la pensione in Seminario totalmente gratis, o che mi aiuti anche in piccola quota Ella medesima, onde possa ritenerlo qui nella casa. Egli può pagare nulla.

La mia parte è fatta; ora Ella metta in opera la sua pazienza ed io in compenso del disturbo Le farò dire un'Ave Maria, augurandole dal cielo copiose benedizioni e professandomi

Di V. S. Ill.ma e R.ma

         Torino, 30 ottobre 1862.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Giovanni Bosco.

 

 

A mano a mano che questi chierici dovevano ricevere gli ordini maggiori, D. Bosco non avea mancato di provvedere il patrimonio ecclesiastico a coloro le, cui famiglie, ed erano la maggior parte, si trovavano in povertà. Finchè potè non cessò di aprire le pratiche presso il Ministero di Grazia Giustizia e Culti. Il Chierico Ruffino perciò, consigliato da D. Bosco porse una supplica al Ministro Conforti per ottenere il titolo o beneficio ecclesiastico, o sopra la Cassa dell'Economato o in qualunque altro modo fosse beneviso alla bontà di Sua Eccellenza.

D. Bosco accompagnava la supplica del Chierico col seguente attestato.

 

Il sottoscritto dichiara che il Chierico Ruffino Domenico di Giaveno, da sette anni in questa casa, tenne sempre lodevole condotta. Egli si prestò ognora con zelo a fare catechismo e scuola ai poveri ragazzi che intervengono a questo Oratorio; si rese utile alla casa coll'assistenza prestata e che tutt'ora presta ai giovani ricoverati ed applicati ne' varii laboratorii di questo stabilimento e sempre con vantaggio morale e materiale degli allievi. In mezzo alle non leggere sue occupazioni, trovò tempo per distinguersi tra i suoi colleghi nello studio e riportò sempre voto d'encomio ne' suoi esami.

Per questi motivi caldamente si raccomanda alla clemenza Sovrana, onde sia favorito nella sua domanda, tanto pi√π che il beneficio fatto al supplicante tornerebbe eziandio utile a tutti i poveri giovani di questa casa.

Torino, 29 Ottobre 1862.

 

Sac. Bosco Giovanni, Direttore

 

Queste sue premure riuscivano anche in favore della Diocesi Torinese. D. Rocchietti dopo l'ordinazione sacerdotale erasi fermato per un anno nell'Oratorio, ma aveva dovuto uscirne per le continue sofferenze corporali. Ciò non ostante vi ritornava per l'amore che portava a D. Bosco, anzi ascrivevasi alla Pia Società; e vi stette finchè vi fu bisogno dell'opera sua. Confessava i giovanetti e teneva la conferenza domenicale alla sera. Era mirabile la semplicità e l'ordine delle sue prediche. Ma non potendo adattarsi alla vita comune, per l'accresciuta acerbità de' suoi mali, fu costretto di bel nuovo a ritirarsi con licenza di D. Bosco e ad aggregarsi al clero della diocesi. La Curia lo mandò nel dicembre del 1862 nel piccolo Seminario di Giaveno come Direttore spirituale. L'Oratorio aveva dato un apostolo alla diocesi. Destinato alla piccola parrocchia di San Gilio fu per molti anni parroco zelantissimo anche nel promuovere le vocazioni allo stato ecclesiastico; e finiva santamente i suoi giorni pochi mesi dopo che era entrato come novizio nei Lazzaristi di Chieri.

Nell'Oratorio mancato D. Rocchietti, D. Bosco affidava la predica domenicale della sera a D. Cagliero Giovanni, il quale incominciò le sue prediche nella solennità di Tutti i Santi e colla commemorazione di tutti i fedeli defunti, con un brillante esito, che svelò un valente oratore. E così continuò tutte le sere nelle domeniche, finchè non ebbe da partire per le missioni della Repubblica Argentina. Nei primi tre anni, seguendo la consuetudine generale in Piemonte, predicò in dialetto; ma poi usò la lingua italiana, quando D. Bosco prescrisse che nell'Oratorio fosse escluso il dialetto. Ormai le scuole, sia per gli studenti, come per gli artigiani, davano alla casa aspetto di vero collegio. Anche D. Bosco in quello stesso anno, 1865, che fino allora aveva predicato in piemontese, prese a parlare italiano esponendo la vita dei Papi.

D. Bosco, il 2 novembre, Domenica, faceva una breve escursione, della quale a noi ricordò le vicende D. Savio Angelo, che gli fu compagno. Era andato a predicare in lui paese della diocesi d'Alba, distante dalla ferrovia Torino - Cuneo. Nel ritorno scendeva col suo prete da quelle colline per andare alla stazione di Bra; ma avevano smarrita la via, l'ora si faceva tarda e incominciò a piovere. Accortosi D. Bosco che non sarebbero giunti in tempo al treno, pensò di chiedere ospitalità ad un cappellano, la chiesa del quale sorgeva sopra un poggio a fianco della strada. Andò pertanto a bussare a quella porta, ma ci volle tempo prima che si aprisse. La pioggia veniva giù a furia. Fu accolto con un' po' di malumore. Egli fece sue scuse, dimostrò il dispiacere di essere venuto a dare incomodo ed espose l'urgente necessità che avealo spinto col suo compagno a chiedere ricovero. Quel signore lo fece sedere e quindi domandò chi fossero.

 - Due poveri preti di Torino.

 - E quale uffizio esercitano?

   - Io sono sagrestano in una chiesa dalle parti di Valdocco.

   - E avranno ancora da cenare?

   - Se nella sua carità vorrà darci qualche cosa, la prenderemo volentieri.

 - Mi rincresce che mi trovo senza niente in casa; loro darà qualche po' di formaggio, del pane...

 - Ma sì: anche troppo: tutto va bene; gliene sarò riconoscentissimo.

Il cappellano diede ordine alla fantesca, la quale portò quanto gli era stato comandato. Assisi a tavola incominciarono la magra cena, mentre il padrone continuava:

 - E stasera farebbero assegnamento di fermarsi qui a dormire?

 - Vede bene, rispose D. Bosco, con questo tempo indiavolato non saprei dove andare in cerca di altro alloggio.

   - Già!     L'è che io non ho letti disponibili, non saprei dove metterli a dormire.

 - In quanto a questo si rimedia subito: due sedie bastano, tanto più che domani facciamo conto di partire per tempo.

 - Se è così, si accomodino; mi dispiace, doverli trattare a questo modo! - Quindi proseguì: - Essi dunque vengono da Torino!

 - Sissignore.

 - Conoscono per caso un certo D. Giovanni Bosco ?

 - Sì, un poco, rispose D. Bosco, mentre D. Savio che era alquanto stizzito per così gretta accoglienza, incominciava a rider a fior di labbra, dando un'occhiata al Servo di Dio.

Quel sacerdote che di nulla si era accorto perchè il cappello del lume proiettava la sua ombra sul viso di D.Savio, proseguì: - Io non mi son mai incontrato con D. Bosco; ma ora mi trovo in circostanze di doverlo pregare di un favore. È facile a prestar servizio a chi si rivolge a lui?

     - Quando egli possa, rispose D. Bosco, si fa un piacere di esser utile agli altri.

 - Io aveva designato di scrivergli domani una lettera.

 - In quanto alla lettera, scappò a dire D. Savio, può risparmiarsi la pena di scrivere. Dica a questo sacerdote ciò che desidera chiedere a D. Bosco.

 - Lei adunque è molto amico con D. Bosco?

 - Abbastanza, rispose D. Bosco sorridendo.

 - Ma è qui D. Bosco stesso in persona! replicò D. Savio, che non poteva più frenar le risa.

Lei D. Bosco? - esclamò quel cappellano meravigliato, arrossendo, confuso: - D. Bosco! Se me lo avesse detto subito appena entrato in casa.... Mi perdoni se non l'ho trattato bene... il suo arrivo mi fu così improvviso, inaspettato.... Lasci stare quel formaggio. Mi ricordo ora di aver posto in serbo qualche cosa a pranzo.... Lasci fare a me. - E corse ad un armadio, trasse fuori un mezzo pollo arrosto, comandò alla fantesca di far cuocere alcune uova al tegame, e stese una tovaglia sulla mensa.

D. Bosco sorrideva graziosamente e D. Savio godeva dell'affannarsi dell'ospite in quell'apparecchio.

Si finì la cena venne l'ora di dormire e il cappellano trovò un materasso da mettere sopra alcune sedie ed un sofà fu mutato in letto.

D. Bosco colla sua amorevolezza aveva sgombrata dall'animo di quel reverendo ogni confusione e chiestolo di ciò che desiderasse da lui, si mostrò dispostissimo a favorirlo. Si trattava di ricoverare un giovanetto nell'Oratorio, e fu accettato. Egli però non lasciava mai di dare un avviso quando lo credeva necessario pel bene degli altri. Nel congedarsi al mattino lo prese per mano e ringraziandolo affettuosamente, mentre l'altro rinnovava le sue scuse! - Veda, gli disse, con D. Bosco non è il caso di chiedere scuse, però prendiamo lezioni da tutto ciò che ci accade. Se abbiamo nulla diamo nulla, se poco diamo poco, se molto diamo ciò che si crede conveniente. Ma lasciamoci sempre guidare dalla carità, la quale in fine dei conti tornerà sempre a nostro vantaggio.

D. Bosco giunto a Bra salì con D. Savio in ferrovia per ritornare in Torino e dopo aver pregato e letta qualche lettera, volle raccontare al suo compagno un fatto ameno, che gli era occorso qualche tempo prima su quella stessa linea. Più volte egli aveva udito parlare di una contessa, persona molto ricca e molto religiosa e desiderava trarla ad aiutarlo nelle sue opere, ma le circostanze avevano impedito che stringesse relazioni. Ora costei aveva una compatibile debolezza donnesca. Si offendeva acerbamente solo che qualcuno accennasse alla sua età avanzata: e siccome aveva una figlia che oltrepassava i trent'anni, era per lei cosa insopportabile l'udirsi indicare coll'appellativo di Contessa vecchia.

Ora accadde che un giorno essendo D. Bosco salito in ferrovia, s'imbattè nello stesso compartimento con questa contessa. Raccolto ne' suoi pensieri si assise senza avvedersi di lei, la quale però appena il treno fu in moto gli volse la parola: - Scusi sarebbe forse D. Bosco?

 - Per obbedirla, signora! E da chi ho l'onore di essere interrogato?

 - Sono la Contessa X...

D. Bosco allora: - Son proprio felice di questo incontro. E la la signora Contessa sua madre come sta?

 - Mia madre! È un pezzo che il Signore l'ha presa con sè.

 - Ma come? Poche settimane sono, venne a mia cognizione che stava benissimo.

 - Ma lei ha preso errore, sa. Mi ha forse scambiata con mia figlia. Io sono la Contessa madre!

D. Bosco replicò, - Davvero? Ma lei è così prosperosa e ben portante, che uno è scusabile se prende abbaglio.

 - Cosa vuole! soggiunse la Contessa, sorridendo con visibile compiacenza, mi mantengo come meglio posso; non ho mai fatto disordini in vita mia, e quindi godo di tutta la mia sanità.

 - Ed io prego il Signore, concluse D, Bosco, che la conservi ancora per molti anni.

Il dialogo si prolungò fino ad una vicina stazione alla quale D. Bosco discese. Da quel momento la Contessa X... fu tutta per D. Bosco e finchè visse continuò a beneficarlo.

Verso i primi di novembre D. Bosco pubblicava l'Almanacco pel 1863 intitolato: Il Galantuomo e le sue novelle (I). Del Ch. Celestino Durando sono le brevi notizie de' ventisei martiri Giapponesi canonizzati il giorno 8 giugno 1862, colla descrizione di questa solennità. Tre bei racconti, due stupende canzoni del Sac. G. Peragallo, la romanza l'Orfanello che aveva musicata D. Cagliero, brevi cenni sul nuovo servizio postale compievano il libretto.

Dopo l'indice vi si leggeva una nota: “ Quest'anno il Galantuomo per gravi motivi non dà l'interpretazione delle sue profezie, nè espone quelle che gli potrebbe dettare il suo strano cervello ”.

Motivi di prudenza avevano dettata questa nota. Se i vaticinii degli anni antecedenti avevano destato rumore in Torino e nelle altre città del Piemonte, quelli del 1861 avevano dato eziandio causa a molte dicerie, messo addosso il malumore a certi crocchi di liberali e accresciuti i sospetti che in certi Ministeri vi fossero impiegati infedeli o imprudenti. Si vedeva che D. Bosco sapeva più di quello che si sarebbe voluto e non si poteva conoscere con quale mezzo penetrasse i segreti governativi e settarii. Noi sappiamo come da varii sogni egli apprendesse, almeno in gran parte le sue previsioni; prima ancora di stamparle ne aveva palesate alcune a' suoi giovani, dandone spiegazioni chiare e precise e gli avvenimenti non smentirono i suoi annunzi. Di ciò abbiamo testimoni ancora viventi.

Il Governo impensierito sulla fine 1859 avealo fatto avvertire di non compromettersi con certe rivelazioni e D. Bosco prometteva di usar prudenza. Tuttavia aveva continuato nel 1860 e nel 1861, ma con certi riguardi, come appare da alcune predizioni abbastanza oscure, e da certe applicazioni dei fatti avvenuti alle profezie, che sono un po' stentate. Per es. dove nel Galantuomo aveva predetto pel 1860: Vedrete il vino a miglior prezzo, ma il pane più caro sembra che la spiegazione più naturale dovrebbe dire: Che per guerre micidiali la scarsità o mancanza di bevitori avrebbe fatto vendere il vino a miglior prezzo; e i campi incolti o devastati non avrebbero prodotto il grano necessario. Ma D. Bosco sapeva quel che diceva e aveva i suoi perchè nel dire.

Nel Galantuomo poi del 1861 dice chiaramente: Motivi di prudenza e di rispetto mi persuadono a differire i miei racconti ad un tempo più sereno in cui non vi sia più pericolo di temporali, di grandine, di turbini e di uragani. Ma non ostante questa dichiarazione aveva detto anche troppo, perciò il Governo, prima che finisse quell'anno, volle assicurarsi che il Galantuomo non gli avrebbe più dato alcun disturbo. Perciò il Cav. A. Buglione di Monale aveva mandato a chiamare D. Bosco a nome del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli diceva:

 - Senta D. Bosco: tutti le vogliamo bene, ma il suo Galantuomo ci mette negli impicci. Da ogni parte ci vien domandato: come fa D. Bosco a sapere certe cose? Si fanno castelli in aria, si deducono conseguenze strane; si vuol sapere, si vuol interrogare l'uno l'altro, insomma è un putiferio insopportabile. Per conseguenza prenda in buona parte il mio consiglio: è meglio cessare dallo scrivere certe cose nel suo almanacco.

D. Bosco intese come fosse quella una proibizione in piena forma, benchè cortese nei modi, e da quel punto cessò dallo stampare le sue previsioni.

 

 

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