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Capitolo 23

1866 - Il Personale della Pia Società: - Sogno: l'inondazione: il molino: la zattera salvatrice: navigazione e pericoli: l'isola insidiosa: i beffardi puniti - I pescatori - Naufragio di chi abbandona la zattera - Uno stretto di mare: gli avanzi di un naufragio: ritrovamento dei giovani perduti: la fornace: la fontana ferruginosa - La zattera esce dallo stretto: le onde tranquille: l'arco baleno - Approdo felice: la vigna: il giardino: il tempio: la promessa di Maria SS. - Spiegazione del sogno: il Rosario sotto i portici - Un consiglio.


Capitolo 23

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Sul principio del 1866 D. Bosco aveva dodici sacerdoti. Il numero totale dei confratelli della Pia Società era di circa 90. Diciannove avevano emesso i voti perpetui, ventinove i triennali. Gli altri erano semplicemente ascritti.

Lieto di questa bella corona di affezionati collaboratori, il dolce amico delle anime dei giovani aveva loro promesso che il primo giorno dell'anno avrebbe raccontato un sogno e con questo donata la solita strenna. Egli aveva contemplato, come in visione, così allora ci sembrò; l'avvenire della Pia Società, quello fors'anche di altre Congregazioni religiose, e ciò che riguardava i suoi alunni, presenti e futuri. Ma quanto voleva esporre ai giovani era principalmente il loro stato al cospetto di Dio, poichè tutte le sue parole, come abbiamo visto le cento volte, avevano per iscopo di combattere il peccato con una franchezza scevra di rispetti umani. Obbediva al precetto dato dallo Spirito Santo nell'Ecclesiastico (Capo IV, v. 27, 28): Ne verearis proximum in casu suo; ne retineas verbum in tempore salutis. Cioè: come spiega Mons. Martini: “ Non dissimulare, per cattivo rossore, i falli del tuo prossimo; nol risparmiare, non tacere quando colla tua correzione tu puoi salvarlo: fa' uso allora della sapienza che Dio ti ha dato e non la tener nascosta quand'ella dee farsi onore, dando gloria a Dio col procurare la emendazione e conversione del fratello che peccò. ”

D. Bosco adunque, innanzi alla moltitudine de' suoi giovani, così parlò il lunedì a sera, primo giorno del 1866.

Parvemi di trovarmi poco distante da un paese che all'aspetto pareami Castelnuovo d'Asti, ma non lo era. I giovani tutti dell'Oratorio allegramente si ricreavano in un'immensa prateria; quand'ecco all'improvviso si vedono le acque comparire sui margini di quella pianura, e ci vedemmo da ogni parte circondati da una inondazione, la quale cresceva a misura che si avanzava verso noi. Il Po era straripato e immensi e desolanti torrenti traboccano dalle sue sponde.

” Noi, soprafatti da terrore, la demmo a gambe alla volta di un grande molino isolato, distante da altre abitazioni colle mura grosse come quelle di una fortezza; ed io feci sosta nel suo cortile in mezzo ai miei cari giovani costernati. Ma le acque incominciando a penetrare anche in quell'area, fummo costretti a ritirarci tutti in casa e poi a salire nelle stanze superiori. Dalle finestre si vedeva l'estensione del disastro. Dai colli di Superga alle Alpi, invece di prati, campi coltivati, orti, boschi, cascine, villaggi, città, non scorgeasi più altro che la superficie di un lago immenso. A misura che l'acqua cresceva, noi montavamo da un piano all'altro. Perduta ogni umana speranza di salvarci, presi ad incoraggiare i miei cari, dicendo che si mettessero tutti con piena fiducia nelle mani di Dio e nelle braccia della nostra cara madre Maria.

Ma l'acqua già era quasi al livello dell'ultimo piano. Allora lo spavento fu universale ed altro scampo non vedemmo che ritirarci in una grandissima zattera, in forma di nave, apparsa in quell'istante, che galleggiava vicino a noi. Ognuno respirando affannosamente voleva essere il primo a rifugiarvisi, ma nessuno osava, perchè non poteasi avvicinare il barcone alla casa a cagione di un muro che emergeva un po' più alto dei livello delle acque. Poteva però prestare un sol mezzo al tragitto un lungo e stretto tronco di albero: ma era tanto più difficile il passaggio in quanto che quel tronco poggiando per l'una estremità sulla barca, moveasi seguendo il beccheggio della barca stessa, agitata dalle onde.

Fattomi coraggio vi passai per il primo e, per facilitare il trasbordo ai giovani e tranquillarli, stabilii chierici e preti che dal molino sorreggessero alquanto chi partiva, e dal barcone dessero mano a chi arrivava. Ma caso singolare! Dopo un po' di quel lavoro, i chierici e i preti si trovavano così stanchi che chi qua, chi là cadevano di sfinimento; e quelli che li surrogavano correvano la medesima sorte. Meravigliato anche io volli pormi alla prova ed io pure mi sentii così spossato da non potermi più reggere.

Intanto molti giovani impazienti, sia per timore della morte, sia per mostrarsi coraggiosi, trovato un pezzo di asse lungo abbastanza e un po' pi√π largo del tronco d'albero, ne fecero un secondo ponte e, senza aspettare l'aiuto dei chierici e dei preti, precipitosi stavano per slanciarvisi non dando ascolto alle mie grida.

 - Cessate, cessate, se no cadrete! - io gridava; ed avvenne che molti, o urtati, o perdendo l'equilibrio, prima di arrivare alla barca, caddero e ingoiati da quelle torbide e putride acque più non si videro. Anche il fragile ponte si era sprofondato con quanti gli stavano sopra. E sì grande fu il numero di que' disgraziati che un quarto de' nostri giovani restò vittima del loro capriccio.

Io che fino allora aveva tenuto ferma l'estremità del tronco d'albero mentre i giovani vi montavano sopra, accortomi che l'inondazione aveva superato l'ostacolo di quella muraglia, trovai modo di spingere la zattera presso il molino. Qui stava D. Cagliero il quale, con un piede sulla finestra e coll'altro sull'orlo della barca, vi fece saltare i giovani rimasti in quelle camere, dando loro la mano e mettendoli in sicuro sulla zattera.

Ma non tutti i giovani erano ancora salvati. Un certo numero erano ascesi nelle soffitte e di qui sul tetto, ove si erano aggruppati sul colmo stretti gli uni agli altri, mentre l'inondazione, crescendo sempre senza fermarsi un istante, copriva già le grondaie ed una parte delle sponde del tetto. Ma coll'acqua era pur salita la barca ed io vedendo quei poveretti in così orribile frangente, gridai loro che pregassero di cuore, che stessero zitti, che scendessero uniti, legati insieme colle braccia per non scivolare. Obbedirono, e siccome il fianco della nave era aderente alla grondaia, aiutati dai compagni vennero essi pure a bordo. Qui vedevasi una grande quantità di pani, custoditi in molti canestri.

Quando furono tutti sulla barca, incerti ancora di uscire da quel pericolo, presi il comando di capitano e dissi ai giovani:

- Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida:

mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai perigli e ci guiderà a porto tranquillo.

Quindi abbandonammo ai flutti la nave, che galleggiava ottimamente e si muoveva, allontanandosi da quel luogo. (Facta est quasi navis institoris, de longe portans panem suum). L'impeto delle onde agitate dal vento la spingeva con tale velocità, che noi abbracciati l'un l'altro facemmo un sol corpo per non cadere.

Percorso molto spazio in brevissimo tempo, tutt'a un tratto la barca si fermò e si mise a girare attorno a se stessa con straordinaria rapidità, sicchè pareva dovesse affondarsi. Ma un soffio violentissimo la spinse fuori del vortice. Prese quindi un corso più regolare e ripetendosi ogni tanto qualche mulinello e il soffio dei vento salvatore, andò a fermarsi vicino ad una ripa asciutta, bella e vasta che sembrava ergersi come una collina in mezzo a quel mare.

Molti giovani se ne invaghirono e dicendo che il Signore aveva posto l'uomo sulla terra e non sulle acque, senza domandarne il permesso, uscirono dalla barca giubilando, e, invitando ancor altri a seguirli, ascesero su quella ripa. Breve fu il loro contento, perchè gonfiandosi di nuovo le acque, per un subito infuriare della tempesta invasero le falde di quella bella ripa, e in breve gettando grida disperate quegli infelici si trovarono nell'acqua fino ai fianchi; e poi capovolti dalle onde scomparvero. Io esclamai:

- È proprio vero che chi fa di sua testa, paga di borsa.

La nave intanto in balia di quel turbine minacciava di nuovo di andare a fondo. Vidi allora i miei giovani pallidi in volto e ansanti e: - Fatevi coraggio, gridai loro; Maria non ci abbandonerà. - E unanimi e di cuore recitammo gli atti di fede, di speranza, di carità e di contrizione, alcuni Pater ed Ave e la Salve Regina; quindi, ginocchioni, tenendoci per mano gli uni cogli altri recitavamo ciascuno particolari preghiere. Però parecchi insensati, indifferenti a quel pericolo, quasi nulla fosse avvenuto, alzatisi in piedi e dimenandosi, si aggiravano or qua or là, sghignazzando fra di loro e burlandosi quasi degli atteggiamenti supplichevoli dei loro compagni. Ed ecco che si arresta all'improvviso la nave, e gira con rapidità su se stessa, e un vento furioso sbatte nelle onde quei sciagurati. Erano trenta, ed essendo l'acqua profonda e melmosa appena vi furono dentro, più nulla si vide di loro. Noi intonammo la Salve Regina e più che mai invocammo di cuore la protezione della Stella del mare.

Sopravvenne la calma. Ma la nave, a guisa di un pesce, continuava ad avanzare senza che sapessimo ove ci avrebbe condotti. A bordo ferveva continuamente e in varie guise un'opera di salvazione. Si faceva di tutto per impedire ai giovani di cadere nelle acque e per salvarne i caduti. Poichè vi erano di quelli che sporgendosi incautamente dalle basse sponde della zattera cadevano nel lago; e ve ne erano altri sfacciati e crudeli che, chiamando alcuni compagni vicino alle sponde, con un urtone li gettavano giù. Perciò varii preti preparavano canne robuste, grosse lenze, ed ami di varie specie. Altri attaccavano gli ami alle canne e li distribuivano a questi e a quelli: altri già si trovavano al loro posto colle canne alzate, collo sguardo fisso sulle onde, e attenti al grido di soccorso. Appena cadeva un giovane le canne si abbassavano e il naufrago si afferrava alla lenza, oppure coll'amo restava uncinato nella cintura o nelle vesti e così veniva tratto in salvo. Ma anche fra i deputati alla pesca alcuni disturbavano e impedivano i pescatori e coloro che preparavano e distribuivano gli ami. I chierici poi vigilavano tutt'intorno per tenere indietro i giovanetti che erano ancora una moltitudine.

Io stava ai piedi di un alto pennone piantato nel centro, circondato da moltissimi giovani e da preti e chierici che eseguivano gli ordini miei. Fintantochè furono docili ed obbedienti alle mie parole, tutto andava bene: eravamo tranquilli, contenti, sicuri. Ma non pochi incominciarono a trovar incommoda quella zattera, a temere il viaggio troppo lungo, a lamentarsi de' disagi e pericoli di quella traversata, a disputare sul luogo ove avremmo approdato, a pensare al modo di trovare altro rifugio, ad illudersi colla speranza che poco lungi vi fosse terra nella quale troverebbero sicuro ricovero, a dubitare che presto sarebbero mancate le vettovaglie, a questionare fra di loro, a rifiutarmi obbedienza. Invano io cercava di persuaderli colle ragioni.

Ed ecco in vista altre zattere le quali avvicinandosi sembrava tenessero un corso diverso dal nostro, e quegli imprudenti deliberarono di secondare i loro capricci, di allontanarsi da me e di fare a loro modo. Gettarono nelle acque alcune tavole che erano nella nostra zattera e scopertene altre abbastanza larghe che galleggiavano non molto discosto, vi saltarono sopra e si allontanarono alla volta delle zattere apparse. Fu una scena indescrivibile e dolorosa per me: vedeva quegli infelici che andavano incontro alla rovina. Soffiava il vento, i flutti erano agitati: ed ecco alcuni si sprofondarono sotto di questi che si sollevavano e abbassavano furiosamente: altri furono involti tra le spire dei vortici e trascinati negli abissi: altri urtarono in ostacoli a fior d'acqua e capovolti sparirono: parecchi riuscirono a salir sulle zattere le quali però non tardarono a sommergersi. La notte si fece oscura e buia: e in lontananza udivansi le grida strazianti di coloro che perivano. Naufragarono tutti. In mare mundi submergentur omnes illi quos non suscipit navis ista, cioè la nave di Maria SS.ma.

Il numero dei miei cari figliuoli era diminuito di molto; ciò non ostante continuando a confidare nella Madonna, dopo un intiera notte tenebrosa la nave entrò finalmente come in una specie di stretto angustissimo, tra due sponde limacciose, coperte da cespugli, e grosse scheggie, ciottoli, pali, fascine, assi spezzate, antenne, remi. Tutto intorno alla barca si vedevano tarantole rospi, serpenti, dragoni, coccodrilli, squali, vipere e mille altri animali schifosi. Sopra salici piangenti, i cui rami pendevano sopra la nostra barca, stavano gattoni di forma singolare che sbranavano pezzi di membra umane; e molti scimmioni che penzolando dai rami si sforzavano di toccare e arroncigliare i giovani; ma questi curvandosi impauriti schivavano quelle insidie.

Fu colà, in quel greto, che rivedemmo con grande sorpresa ed orrore i poveri compagni perduti, o che avevano disertato da noi. Dopo il naufragio, erano stati gettati dalle onde su quella spiaggia. Le membra di alcuni erano state fatte a pezzi per l'urto violentissimo contro gli scogli. Altri era sotterrato nel palude e non se ne vedevano che i capelli e la metà di un braccio. Qui sporgeva dal fango un dorso, più in là una testa: altrove galleggiava interamente visibile qualche cadavere.

A un tratto si ode la voce di un giovane della barca, il quale grida:

- Qui è un mostro che divora le carni del tale dei tali!

E chiama ripetutamente per nome quel disgraziato, additandolo ai compagni esterefatti.

Ma ben altro spettacolo presentavasi ai nostri occhi. A poca distanza innalzavasi una gigantesca fornace nella quale divampava un fuoco grande e ardentissimo. In questo apparivano forme umane e si vedevano piedi, gambe, braccia, mani, teste, ora salire ora discendere tra quelle fiamme, confusamente, nella stessa maniera delle civaie nella pentola quando questa bolle. Osservando attentamente, vi scorgemmo tanti nostri allievi e rimanemmo spaventati. Sopra quel fuoco eravi come un gran coperchio, sul quale stavano scritte a grossi caratteri queste parole - -IL SESTO E IL SETTIMO CONDUCONO QUI.

Là vicino v'era pure una vasta e alta prominenza di terra con numerosi alberi silvestri disordinatamente disposti ove si muoveva ancora una moltitudine dei nostri giovani, o caduti nelle onde o allontanatisi nel corso del viaggio. Io scesi a terra, non badando al pericolo, mi avvicinai e vidi che avevano gli occhi, le orecchie, i capelli o persino il cuore pieno d'insetti e vermi schifosi che li rosicchiavano, e cagionavano loro grandissimo dolore. Uno di questi soffriva più degli altri; voleva accostarmi a lui, ma egli mi fuggiva nascondendosi dietro gli alberi. Altri ne vidi che aprendo pel dolore gli abiti, mostravano la persona cinta di serpenti: altri avevano in seno delle vipere.

Additai a tutti una fonte che gettava in gran copia acqua fresca e ferruginosa; chiunque andava a lavarsi in quella guariva all'istante e poteva ritornare alla barca. La maggior parte di quegli infelici ubbidì al mio invito; ma alcuni si rifiutarono. Allora io troncando gli indugi, mi rivolsi a quelli che erano risanati, i quali alle mie istanze mi seguirono con sicurezza, essendosi ritirati i mostri. Appena fummo sulla zattera, questa, spinta dal vento, uscì da quello stretto dalla parte opposta a quella per la quale era entrata e si slanciò di nuovo in un oceano senza confini.

Noi, compiangendo la triste sorte e il fine lagrimevole dei nostri compagni abbandonati in quel luogo, ci mettemmo a cantare: Lodate Maria, o lingue fedeli, in ringraziamento alla gran Madre celeste, di averci sino allora protetti; e sull'istante, quasi al comando di Maria, cessò l'infuriare del vento e la nave prese a scorrere rapida sulle placide onde con una facilità che non si può descrivere. Sembrava che si avanzasse al solo impulso che le davano scherzando i giovani spingendo indietro l'acqua colla palma della mano.

Ed ecco comparire in cielo un'iride, più meravigliosa e varia di un'aurora boreale, ove passando leggemmo scritta a grossi caratteri di luce la parola MEDOUM, senza intenderne il significato. A me parve però che ogni lettera fosse l'iniziale di queste parole: Mater Et Domina Omnis Universi Maria.

Dopo un lungo tratto di viaggio, ecco spuntar terra in fondo all'orizzonte, alla quale a poco a poco avvicinandoci sentivamo destarcisi in cuore una gioia inesprimibile. Quella terra, amenissima per boschetti con ogni specie di alberi presentava il panorama più incantevole, perchè illuminata come dalla luce del sole nascente alle spalle delle sue colline. Era una luce che brillava ineffabilmente quieta, simile a quella di una splendida sera d'estate, che infondeva un senso di riposo e di pace.

E finalmente urtando contro le sabbie del lido e strisciando su di esse la zattera si fermò all'asciutto ai piedi di una bellissima vigna. Si può ben dire di questa zattera: Eam tu Deus pontem fecisti, quo a mundi fluctibus trajicientes ad tranquillum portum tuum deveniamus.

I giovani erano desiderosi di entrare in quella vigna ed alcuni curiosi pi√π degli altri con un salto furono sul lido. Ma fatti appena alcuni passi ricordandosi della sorte disgraziata toccata a quei primi che s'invaghirono della ripa posta in mezzo al mare burrascoso, frettolosi ritornarono alla barca.

Gli occhi di tutti erano a me rivolti e sulla fronte di ognuno leggevasi la domanda:

- D. Bosco, è tempo di discendere e fermarci?

lo prima riflettei alquanto e poi dissi loro: - Discendiamo: è giunto il tempo: ora siamo in sicuro!

Fu un grido generale di gioia! ed ognuno stropicciandosi le mani per la contentezza, entrò in quella vigna disposta col massimo ordine. Dalle viti pendevano grappoli di uva simili a quelli della terra promessa e sugli alberi era ogni sorta di frutti che possono desiderarsi nella bella stagione, di un gusto mai più sentito. In mezzo a quella vastissima vigna sorgeva un gran castello attorniato da un delizioso e regale giardino e da forti mura.

Volgemmo il passo a quella volta per visitarlo, e ci fu concessa libera entrata. Eravamo stanchi ed affamati ed in un'ampia sala tutta guernita d'oro stava apparecchiata per noi una gran tavola con ogni sorta di cibi i più squisiti, di cui ognuno potè servirsi a piacimento. Mentre finivamo di rifocillarci entrò nella sala un nobile garzone, riccamente vestito, di un'avvenenza indescrivibile, il quale con affettuosa e familiare cortesia ci salutò chiamandoci tutti per nome. Vedendoci stupiti e meravigliati per la sua bellezza e per quella di tante cose già osservate, ci disse: - Questo è niente; venite e vedrete.

Noi tutti gli tenemmo dietro e dai parapetti delle logge ci fece contemplare i giardini, dicendoci che di quelli eravamo padroni noi per le nostre ricreazioni. E ci condusse di sala in sala, una più magnifica dell'altra per architettura, colonnati e ornamenti di ogni specie. Aperta poscia una porta che metteva in una cappella, ci invitò ad entrare. Di fuori la cappella sembrava piccola, ma appena ne valicammo la soglia, la scorgemmo sì ampia che da un'estremità all'altra appena ci potevamo vedere. Il pavimento, le mura, le volte erano guernite e ricche con mirabile artificio di marmi, di argento, di oro, e di pietre preziose, che io estatico di meraviglia esclamai: -Ma questa è una bellezza di paradiso: faccio patto di rimaner qui per sempre!

In mezzo a questo gran tempio s'innalzava sovra ricca base una grande, magnifica statua rappresentante Maria Ausiliatrice. Chiamati molti giovani che si erano sparsi qua e là per esaminare la bellezza di quel sacro edificio, tutta la moltitudine si recò innanzi a quella statua per ringraziare la Vergine Celeste dei tanti favori prestatici. Qui mi accorsi dell'immensità di quella chiesa, poichè tutte quelle migliaia di giovani sembravano un piccolo gruppo che occupasse il centro di quella.

Mentre i giovani stavano mirando quella statua che aveva una vaghezza di fisonomia veramente celeste, ad un tratto essa parve animarsi e sorridere. Ed ecco un mormorio, una commozione tra la folla. - La Madonna muove gli occhi! -esclamarono alcuni. E infatti Maria SS. girava con ineffabile bontà i suoi occhi materni su quei giovanetti. Poco dopo un secondo grido generale: - La Madonna muove le mani. - E infatti lentamente aprendo le braccia essa sollevava il manto come per accoglierci tutti sotto di quello. Le lagrime scorreano per forza di commozione sulle nostre guance. - La Madonna muove le labbra! - dissero alcuni. Si fe' un silenzio profondo; e la Madonna aperse la bocca e con una voce argentina, soavissima ci diceva:

- SE VOI SARETE PER ME FIGLIUOLI DEVOTI, IO SARÒ PER VOI MADRE PIETOSA!

A queste parole cademmo tutti in ginocchio ed intonammo il canto: Lodate Maria, o lingue fedeli.

Questa armonia era così forte, così soave, che sopraffatto da essa io mi svegliai e così terminò la visione.

Don Bosco conchiudeva:

Vedete, miei cari figliuoli? In questo sogno possiamo riconoscere il mare burrascoso di questo mondo. Se voi sarete docili ed obbedienti alle mie parole e non darete retta ai cattivi consiglieri, dopo esserci affaticati a fare il bene e fuggire il male, vinte tutte le nostre cattive tendenze, arriveremo finalmente sul termine di nostra vita, ad una spiaggia sicura. Allora ci verrà incontro, mandato dalla Madonna SS. chi, a nome del nostro buon Dio, c'introdurrà, per ristorarci delle nostre fatiche, nel suo reale giardino, cioè nel Paradiso, alla amabilissima sua divina presenza. Ma se facendo il contrario di ciò che io vi predico, vorrete scapricciarvi a vostro modo e non dar retta ai miei consigli, farete miserando naufragio.

Don Bosco dava in circostanze diverse e in privato qualche spiegazione specificata di questo sogno, riguardante non solo l'Oratorio, ma eziandio, come sembra, la Pia Società.

“ Il prato è il mondo; l'acqua che minacciava di affogarci, i pericoli del mondo. L'inondazione così terribilmente estesa, i vizii e le massime irreligiose, e le persecuzioni contro i buoni. - Il molino, cioè un posto isolato e tranquillo, ma pur minacciato, la casa del pane, la Chiesa Cattolica. - I canestri di pane, la SS. Eucaristia che serve di viatico ai naviganti. La zattera, l'Oratorio. - Il tronco d'albero che forma il passaggio dal molino alla barca è la Croce, ossia il sacrificio di se stesso a Dio colla mortificazione cristiana. - L'asse messo dai giovani, come ponte più agevole per entrare nella barca, è la regola trasgredita. Molti vi entrano con fini strani e bassi: di far carriera, di lucro, di onori, di comodità, di mutar condizione e stato; costoro sono quelli che poi non pregano e che si burlano della pietà altrui. - I Sacerdoti e i chierici simboleggiano l'obbedienza e indicano i portenti di salvezza che con questa riescono ad operare. - I vortici, le varie e tremende persecuzioni che sorsero e sorgeranno. - L'isola che è sommersa, i disobbedienti che non vogliono star sulla barca e rientrano nel mondo sprezzando la vocazione. - Lo stesso si dica di quelli che cercano di rifugiarsi in altre zattere. Molti caduti nell'acqua porgevano la mano a coloro che stavano sulla barca ed aiutati dai compagni si rimettevano sopra. Erano quelli di buona volontà, che caduti disgraziatamente in peccato si rimettono in grazia di Dio per mezzo della penitenza. - Lo stretto, i gattoni, i scimioni e gli altri mostri sono le rivoluzioni, le occasioni e gli allettamenti alla colpa, ecc. - Gli insetti negli occhi, sulla lingua, nel cuore, gli sguardi cattivi, i discorsi osceni, gli affetti disordinati. - La fontana di acqua ferruginosa, che aveva la virtù di far morire tutti gli insetti e di guarire all'istante, sono i Sacramenti della Confessione e della Comunione. - La fanghiglia e il fuoco sono luogo di peccati e di dannazione. È però da osservarsi che ciò non vuol dire che tutti quelli che caddero nella fanghiglia e più non si videro, e tutti quelli che bruciavano tra le fiamme debbano andar perduti nell'inferno; no! ci liberi Iddio dal dir questo. Ma vuol dire che quelli si trovavano allora in disgrazia di Dio, e se fossero morti in quel momento sarebbero andati eternamente perduti - L'isola felice, il tempio, è la Società Salesiana, stabilita e trionfante. E lo splendido garzone che accoglie i giovani e conduce a visitare il palazzo e il tempio sembra essere un alunno defunto in possesso del paradiso, forse Domenico Savio.

Da questa ultima frase apparisce che in questo, come in altri sogni di D. Bosco, vi è in generale un senso nascosto che si riferisce principalmente alla Pia Società Salesiana. Anzi dobbiamo notare che contemporaneamente ad ogni fase di un sogno, corrispondevano altre apparizioni diremmo parallele e integranti delle cose descritte. Di queste D. Bosco non credette opportuno parlare. Ciò argomentiamo eziandio dall'aver egli ricordato a D. Giulio Barberis nel 1879, come in questo sogno avesse visto D. Cagliero attraversare delle grandi acque ed aiutare altri a valicarle e che esso e i suoi compagni

avevano fatte dieci stazioni. Ei prevedeva i loro viaggi in America. Così pure nel 1885 disse aver inteso come questo sogno avesse relazione con quello fatto nel 1854, che cioè D. Cagliero sarebbe stato Vescovo.

Al mattino del 2 gennaio i giovani, desiderosi di saper lo stato della loro coscienza, corsero a confessarsi da lui in sagrestia. Ad uno, il quale dopo la confessione domandavagli come e dove lo avesse visto in quel sogno misterioso, rispose:

- Eri nella barca, e andavi avanti pescando e sei caduto pi√π volte nell'acqua, ma io ti ho tirato fuori e rimesso nella barca.

- E giunto nel tempio si ricorda ancora d'avermi veduto?

- Sì, sì, gli rispose sorridente.

Ad un chierico vercellese che gli domandò in cortile il fatto suo: -Tu disturbavi gli altri e così impedivi la pesca.

Ad un sacerdote che lo richiedeva della parte che rappresentava in quella scena: - Ti ho visto segregato dagli altri, soletto, serio, in un angolo della nave, tutto occupato a preparare ami colle lenze, che gli altri poi venivano a prendere per pescare. - E aggiunse varie altre cose che venti anni dopo si avverarono in modo meraviglioso, e che qui non fa d'uopo esporre.

Gli alunni non dimenticarono questo sogno che loro aveva fatto tanta impressione e il giovane Agostino Semeria da Moltedo Superiore ce lo ricordava per lettera il 24 settembre 1883, confermando colla sua descrizione quanto noi abbiamo sopra esposto ed aggiungendo:

“ Mi ricordo eziandio che in una delle sere seguenti, cosa insolita, D. Bosco, ci fece recitare sotto i portici una terza parte del Rosario per i bisogni di Santa Madre Chiesa. Terminata la preghiera, mentre egli inoltravasi in mezzo a noi, accolto con grande festa ed evviva, ci permetteva che lo sollevassimo di peso e lo deponessimo sulla cattedra. Ciò accadeva spesse volte. Lasciati cessare gli applausi, accennò alla gioia che proveranno i giusti nell'approdare alle spiagge dell'eterna felicità, alla pace che gode un cristiano vivendo sempre in grazia di Dio e augurandoci la buona notte ci diceva: - Quando vi spoglierete per mettervi a letto, fatelo con tutta modestia, pensando che Dio vi vede: poscia coricatevi; incrociate le mani sul petto e abbandonandovi nel cuore di Gesù e di Maria prendete riposo.

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