Nuovo passo per i privilegi.
del 06 dicembre 2006
La questione dei privilegi era per il Beato cosa di vitale interesse, come conditio sine qua non al pieno esercizio della personalità giuridica ormai accordata alla sua Congregazione; ottenuti poi che li avesse, sarebbe finita una buona volta coi tanti incagli che gli si frapponevano per il conferimento degli ordini sacri ai suoi chierici. Perciò, andatogli a vuoto il primo tentativo, non si perdette d'animo, ma si diede a escogitar la maniera di rimettere l'affare sul tappeto, ben sapendo che a questo mondo spesso l'importuno vince l'avaro.
La possibilità di un reingresso alla discussione della causa dopo la sentenza pronunziata dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari sembrava riposare in un inciso che l'accompagnava; dicevasi infatti nel rescritto communicationem, prout petitur, non convenire. Quel prout petitur indicava che, reformata l'istanza, era legittimo sperare, che la causa fosse ripresa in esame.
Se non che per mantenere la causa nei medesimi termini e dare insieme all'istanza una forma diversa, occorreva che variassero le circostanze; altrimenti sarebbe stata follia pretendere che si variasse il diritto reso in quella sentenza. Bisognava cioè che sorgessero fatti nuovi, i quali mutassero aspetto alla specie della causa e con ciò producessero la revoca o la riforma della prima sentenza. Da parte dei Missionari, per esempio, o da qualsiasi altro lato potevano manifestarsi nuove necessità, che offrissero elementi favorevoli a far rientrare nel merito.
Ma per riaffrontare così la questione in pieno ci voleva tempo, si doveva aspettare il momento opportuno, conveniva guardarsi dalla fretta, che avrebbe compromesso un affare tanto delicato. D'altra parte, il cardinal Prefetto, oltrechè niente propenso alla concessione dei privilegi, pativa gravi incomodi fisici, che obbligavano a usare con lui speciali riguardi. L'andargli innanzi e così presto con nuove ragioni per rimettere in piedi una causa, sulla quale si era già pronunziato, sarebbe stato un dargli pena, un aggravargli il male che soffriva, e un esporre a rischio sicuro ogni cosa. Il Segretario poi della Sacra Congregazione succeduto al Vitelleschi non aveva ancora bene, come si dice, le mani in pasta; lo dipingevano anzi come imbarazzato. A tutto questo si aggiungeva una particolarità, ignorata dal Servo di Dio e comunicatagli dal cardinal Berardi. Il Cardinal Prefetto, il cardinal Patrizi e qualcun altro, “ basati, scriveva Sua Eminenza, su non so quali ragioni ”, opinavano che Don Bosco domandasse troppo e quindi le sue richieste venivano sottoposte ad un esame più lungo, e più accurato del consueto.
Il Servo di Dio fu pertanto ben avvisato a girare la posizione. Quantunque occupatissimo negli estremi preparativi per la imminente partenza dei Missionari, non volle soprassedere, ma ai primi di novembre, mutata la sua domanda, chiese solo un determinato numero di favori, tredici in tutto, comprendendovi i più indispensabili, e cioè quelli riferentisi alle sacre Ordinazioni. Il motivo nuovo che corroborava e giustificava la presentazione dell'istanza a si breve scadenza, era che quelle grazie dovevano tornare specialmente a benefizio dei Salesiani prossimi a partire per Missioni estere. Avendo avuto la buona ventura di rinvenire il testo della supplica, la diamo qui per intero.
 
Beatissimo Padre,
 
Il Sac. Giovanni Bosco pieno di gratitudine verso di Vostra Santità che con tratto grande di bontà degnavasi approvare definitivamente la Congregazione Salesiana, si prostra ora umilmente ai Vostri Piedi., Beatissimo Padre, supplicandola di novelle grazie specialmente a benefizio dei Salesiani che devono quanto prima partire per Missioni estere.
Le cose pi√π necessarie sono che:
1° I Sacerdoti Salesiani approvati per ascoltare le confessioni in una Diocesi possano confessare i Soci della stessa Congregazione anche fuori di questa Diocesi; e nei casi di viaggi specialmente sul mare possano indistintamente confessare, gli altri fedeli parimenti viaggiatori osservando in ogni cosa le prescrizioni ed i riti di Santa Chiesa.
2° In tutte le Chiese della Congregazione possano celebrare la S. Messa, amministrare la Sacra Eucaristia, esporla alla venerazione dei Fedeli, fare Catechismo ai fanciulli, ed esporre la parola di Dio.
3° Erigere Oratori nelle case urbane e suburbane della Congregazione sopratutto nelle infermerie ad utilità degli ammalati, ivi celebrare la Santa Messa, ed amministrare la Santa Comunione.
4° Servirsi dell'Altare Viatico ossia portatile in tempo di navigazione, e nei casi di lunghi viaggi per le Missioni estere.
5° Che il Superiore Generale possa concedere l'Extra tempus e presentare agli Ordini Minori, Maggiori ed al Presbiterato i suoi Soci nei giorni in cui Santa Chiesa suole permettere tali ordinazioni.
6° Commutare le ore Canoniche in altre preci o pie opere quando i Soci fossero ammalati, oppure per la stanchezza non potessero recitarle senza grave incomodo.
7° Dare la facoltà di leggere e ritenere libri proibiti a quei della Congregazione; e di impartire Indulgenza Plenaria in articolo di morte.
8° Benedire abitini, corone, medaglie, Crocifissi colle Indulgenze di S. Brigida e di S. Domenico. Questi ultimi lavori furono già concessi al medesimo Superiore ad tempus.
Indulgenze particolari.
9° Che i Salesiani possano lucrare Indulgenza Plenaria nel giorno in cui comincieranno il Noviziato; della emissione e della rinovazione dei Voti religiosi; in fine degli Esercizi Spirituali, ed in articulo mortis; e nel giorno che i Salesiani partono per le Missioni Estere. Nel giorno del mese che verrà scelto per fare l'Esercizio della buona morte, secondo il prescritto delle Costituzioni Salesiane.
10° Indulgenza di giorni 300, ogni volta che si dirà: MARIA AUXILIUM CHRISTIANORUM, ORA PRO NOBIS; già concessa vivae vocis oraculo die 12 Febr. 1869.
Indulgenze comuni.
11° In ogni Chiesa della Congregazione tutti i fedeli, premessa la Sacramentale Confessione e Comunione, possano, visitando tale Chiesa, lucrare Indulgenza Plenaria nella festa titolare di ciascuna Chiesa della Congregazione. La stessa Indulgenza nel giorno di San Francesco di Sales si possa lucrare in tutte le Chiese dell'Istituto.
12° In tutte le Solennità di N. S. G. C., nelle Feste della B. V. Maria, dei Santi Apostoli, di S. Giuseppe, e dei suo Patrocinio, di S. Anna, S. Gioachino, di S. Francesco Saverio, S. Luigi Gonzaga, del S. Angelo Custode, di tutti i Santi, nella Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, e nel giorno dopo la festa di S. Francesco di Sales, quando si fa un servizio religioso per tutti i Salesiani defunti e per tutti i Benefattori della Salesiana Società.
13° Che nei giorni e nelle circostanze sopra descritte possano i Salesiani lucrare tali indulgenze sebbene non potessero visitare dette Chiese, purchè si accostino ai Sacramenti della Confessione e Comunione.
Molte di queste Indulgenze furono già concesse alla Chiesa Principale della Congregazione; ora si supplica umilmente V. S. che con un atto speciale di Alta Clemenza si degni confermarle, estenderle ed accordarle nel modo umilmente richiesto.
Andò egli per via ufficiale e per via ufficiosa. Ufficialmente si rivolse a monsignor Sbarretti, Segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; ufficiosamente, e prima che a lui, al cardinal Berardi, affinchè preparasse il terreno e soprattutto facesse da valido intermediario presso il Sommo Pontefice.
Monsignor Sbarretti, che stentava a decifrare gl'irregolari caratteri del Beato, chiamò in aiuto l'avv. Menghini, che così fu messo a giorno della pratica e ne informò l'indivisibile monsignor Fratejacci, suo collega di coro nel Capitolo di Sant'Eustachio. “ Se Ella udisse qualche volta che belle arie a due voci! ” gli scriveva quest'ultimo a proposito del gran discorrere che facevano insieme delle cose di Don Bosco. Uno dei punti su cui si accordavano, era che il passo di Don Bosco fosse intempestivo, ma che però giovasse “ come un atto di appello dalla sentenza già resa o come una dimostrazione di non acquiescenza alla data sentenza ” .
Disgraziatamente un contrattempo ritardò l'opera del cardinal Berardi. Trovandosi egli fuori di Roma, la “ carissima ” lettera di Don Bosco gli giunse con più d'una settimana di ritardo, quando con immenso suo dispiacere “ non si era più in tempo per fare i passi occorrenti ”; poichè i Missionari, in nome dei quali si perorava, erano oramai partiti. Tuttavia umiliò le preghiere di Don Bosco al Santo Padre e questi, ricordandosi di avergli concessi taluni privilegi a mezzo della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari e non volendosi mettere in opposizione col rescritto antecedente, che più non ricordava, ordinò al Cardinale di mandare le suppliche alla Congregazione suddetta. “ Checchè ne sia, conchiudeva l'Eminentissimo, nondimeno attenderemo il risultato, e come mi sarà dato di conoscerlo, mi recherò a premura di parteciparglielo ”.
Il benevolo Cardinale si adoperò a tutt'uomo, affine di vedere benignamente accolta la preghiera del Beato a mezzo della Segreteria della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari; ma ai 17 di dicembre non vi era ancora riuscito, e ciò per le seguenti ragioni da lui così enumerate e commentate: “ 1° Per la tuttora persistente indisposizione sanitaria dell'Emin.mo Prefetto Sig. Card. Bizzarri. 2° Pel cambiamento del Segretario della Congregazione suindicata. 3° Per una lettera scritta di recente a carico del suo pio Istituto da cotesto Monsignor Arcivescovo, la quale ha fatto molta impressione nell'animo del prelodato Monsignor Segretario, ignaro affatto dei precedenti. Venuto ciò in mia cognizione, ho procurato subito di abboccarmi col Segretario stesso e datigli tutti gli schiarimenti di cui abbisognava, ho fiducia che quanto prima si farà qualche cosa in proposito, e come avrà ciò avuto luogo, mi recherò a premura di darlene contezza. Conviene intanto armarsi di santa pazienza, e non dimenticarsi che il diavolo si studia sempre di attraversare qualsiasi opera buona. Iddio però è più potente del demonio, e v'ha perciò a sperare che col divino aiuto si otterrà al fine la bramata vittoria ”.
Monsignor Fratejacci senza tanti complimenti ci spiattella queste altre notizie sul terzo ostacolo, avute da buona fonte: “ Quel tale Prelato Arcivescovo che Ella ben sa, ogni giorno continuamente scrive contro i Salesiani alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. È una mania furiosa in quell'uomo, che temesi riesca matto. In questi giorni a proposito d'un ricorso dato circa all'ascoltare le confessioni degli estranei dei Salesiani, la Santa Congregazione, ossia mons. Sbarretti, già persuaso che qui trattasi d'una vera persecuzione, e tutta gratuita, ha scritto a nome della stessa Sacra Congregazione a quel tale Prelato una lettera, che dice e non dice nulla, è un ibis redibis non, è una sonata di violino, e niente più. Ciò siale a notizia; e Le farà piacere, perchè invece di provocare contro di V. S. gli animi, come vorrebbe quel tale Arcivescovo, serve anzi a rivelar meglio la persecuzione, da cui tutti in ultimo concorreranno a liberarla una volta, e per sempre ”.
Il Beato certamente non teneva bordone a queste tirate. Il buon Monsignore nella presente si lagna che Don Bosco non risponde da ventitrè giorni a una sua assicurata, nonostante che nel frattempo abbia sollecitata già altra volta una risposta, non senza requisitorie in entrambe le lettere sul conto di persone altolocate. Egli lo faceva per affetto a Don Bosco; ma in quattro mesi Don Bosco gli scrisse solo un paio di volte, unicamente sopra inserzioni da farsi nell'Annuario della Gerarchia Ecclesiastica, e su cose dell'Arcadia, e per mandargli una fotografia dei Missionari. Così senza riscontro sono rimaste le due concitate lettere, che noi abbiamo pubblicate fra i documenti. Coloro che conoscono Don Bosco, indovinano facilmente per quali ragioni questo suo silenzio fosse d'oro.
La seconda domanda del Beato, trasmessa dal Papa alla Sacra Congregazione, fu riproposta alla speciale Commissione dei quattro Eminentissimi, che avevano già avuto l'incarico di esaminare la prima. L'articolo sulle dimissorie premeva più di tutti gli altri al Beato, per distrigarsi da tanti pensieri e liberarsi da tante spese, ogni volta che avesse da far ordinare i suoi. Quell'articolo, data la sua maggior gravità, fu distaccato e subito esaminato e giudicato. La questione purtroppo non avanzò di un passo. Il cardinal Berardi ne scrisse così al Beato il 28 dicembre: “ Mi duole il parteciparle, che quegli Em.mi i quali sono stati interpellati sulla sua ultima domanda, non han creduto di annuire a quella relativa alle dimissorie, perchè han detto, che Ella gode già l'Indulto decennale accordatole il 3 aprile 1874. Conviene adunque aver pazienza anche in ciò, e quando Ella potrà dare una nuova corsa qua, vedremo insieme il da farsi sull'oggetto ”. È l'identica motivazione addotta per il negative di ottobre. In questi negozi il timore di recar pregiudizio all'autorità vescovile ha sempre gran peso sulla bilancia.
Furono distaccati pure alcuni articoli, sui quali poteva pi√π speditamente pronunziarsi la Sacra Congregazione dei Riti e il settimo che spettava alla Sacra Congregazione dell'Indice.
Le cose erano arrivate a questo punto, quando la notizia che Don Bosco chiedeva privilegi a Roma, conturbò l'Ordinario torinese, il quale sotto l'impressione del momento e fors'anche istigato da chi aveva interesse a pescar nel torbido, confidò, sfogandosi, i suoi timori al cardinal Bizzarri.
 
Eminenza Rev.ma,
 
Il Signor Don Giovanni Bosco, fondatore e rettore della Congregazione Salesiana, è ricorso di nuovo a questa Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari per ottenere privilegi, non conformi ai diritti dell'Autorità vescovile; e ciò quantunque nell'ultimo scorso anno tali privilegi non gli fossero stati concessi, appunto per non recare disturbi alla giurisdizione dei Vescovi. Io spero che la S. Congregazione, prima di concedere al Sig. D. Bosco quanto esso domanda in pregiudizio dei Vescovi, avrà la bontà di farmi conoscere le sue domande, affinchè se mai taluna di esse fosse per disturbarmi, io possa presentare le mie osservazioni; tanto più che io temo, esso per dimostrare la ragionevolezza di quanto chiede, abbia forse presentato richiami contro la mia amministrazione, come Arcivescovo, siccome pur troppo egli ha fatto con lettere dirette al S. Padre.
Io sono stato e sempre sarò il difensore degli Ordini religiosi, e riconosco che essi abbisognano di qualche privilegio ed esenzione; ma se egli sono necessarie le esenzioni che ne riguardano la dipendenza e traslocazione e destinazione dei loro soggetti; e se possono essere loro necessari certi privilegi in certi luoghi dove sono le circostanze anormali, per es. nelle Missioni estere; la mia opinione, corroborata da lunghi studi e da ripetute osservazioni pratiche in diverse nazioni, è che i privilegi loro accordati in derogazione dell'Autorità dei Vescovi, servono solo a menomare questa autorità; la quale d'altronde ha ora più che mai bisogno di essere sostenuta e circondata di splendore e forza dalla S. Sede Apostolica, chè ad essa vien meno la forza civile. Lo spirito, di indipendenza, e quasi direi, di superiorità, che il Sig. D. Bosco venne dispiegando da alcuni anni in qua verso l'Arcivescovo di Torino, e che si trasfonde nei suoi discepoli, e dei quale la S. C. dei VV. RR. ha veduto una prova nella lettera del D. Bosco diretta a me li 29 Aprile 187, 5 e da me comunicata ad essa S. C. li 17 Ottobre stesso anno, per cui la stessa S. C. ebbe la degnazione di farmi scrivere li 30 Novembre 1875, che si era provato vero dispiacere per i fatti da me esposti in quella lettera; quando fosse corroborato da nuovi privilegi contrari alla mia giurisdizione, mi cagionerebbe certissimamente un aumento ai dispiaceri ed alle tribolazioni che in questa vastissima Archidiocesi mi assediano tutti i giorni. Se il Sig. D. Bosco ha meritato e merita bene dalla Chiesa, io penso di non avere demeritato nè di demeritare, e quindi non veggo il perchè si debbano ad esso conferire dei privilegi, i quali divengano punizioni per me.
L'autorità Arcivescovile in Torino, spogliata affatto di ogni lustro civile, privata dei quattro quinti delle sue rendite, svillaneggiata, derisa, schernita insultata ogni dì in quasi tutti i giornali di Torino, e ciò perchè l'Arcivescovo tien fermo nel mantenersi affezionato alla S. Sede e nel richiedere la osservanza della legge di Dio e della Chiesa, non deve ricevere ulteriori diminuzioni per parte di D. Bosco; il quale colle sue lettere e le sue parole ed i suoi fatti le si mostrò opposto così, che in un giornale peggiore di Torino si manifestò allegrezza, perchè D. Bosco sapesse essere l'unico Sacerdote capace di resistere all'Arcivescovo. Che se si hanno da conferire nuovi privilegi alla Congregazione Salesiana in Torino in danno della mia giurisdizione, si aspetti almeno il mio decesso, il quale non può essere lontano che tutto al più di pochi anni; o mi si dia tempo di ritirarmi da questo posto, ove per lo accumularsi di nuove difficoltà io non potrò più rimanere a lungo.
Prego V. Eminenza di comunicare questa mia alla S. Congregazione, nella cui sapienza e giustizia io ripongo la mia fiducia.
Baciandole la sacra porpora, sono colla massima osservanza di V. Eminenza Rev.ma
Torino, 24 Marzo 1876.
 
Umil.mo e Osseq.mo servitore
LORENZO Arcivescovo di Torino.
 
Di questa lettera si dia cognizione al Sig. Avv. Sommista e mi si prepari per altra udienza da Sua Santità.
 
E. SBARRETTI Segr.°
 
A commento di questa lettera non abbiamo nulla di meglio che alcune parole dette dal Beato ai Superiori del Capitolo il 27 gennaio 1876 e raccolte da Don Barberis: “ L'Arcivescovo di Torino mette sossopra ogni cosa a Roma per riguardo nostro. Esso cerca tutte le occasioni opportune e importune, fondate e non fondate, purchè possa mandare relazioni sul conto nostro, in nostro disfavore. Io non ho mai voluto rispondere nulla in discolpa, ad eccezione di quelle volte che Roma domandava schiarimenti. Ciò che mi servì di discolpa furono alcune lettere che io confidenzialmente mandava all'Arcivescovo, per pregarlo che cessasse da queste sue vessazioni. Egli, immaginandosi che quelle lettere costituissero il corpo del delitto, le mandava a Roma come nuovo capo d'accusa; ma invece quelle servivano a giustificarmi. Quando mi trovava a Roma, io parlava delle cose nostre, dava schiarimenti; ma rispondere [alle accuse dell'Arcivescovo scrivendo o parlando] direttamente a Roma in nostra discolpa non l'ho mai fatto ”.
Quanto all'aspettare il suo decesso o la sua rinunzia prima che si concedessero nuovi privilegi, il Beato osserverà nel '81: “ Qui si potrebbe fare questo dilemma: Se il conferimento di nuovi privilegi alla Congregazione Salesiana è una cosa buona, perchè non vuole egli che sia fatto fin d'ora? Se è cosa cattiva, perchè domanda egli che sia fatto dopo il suo ritiro o dopo il suo decesso? ”.
Il sommista, a cui si accenna nella nota del Segretario, opinò che fosse prudente ascoltare l'Arcivescovo, tanto più perchè questi nella sua lettera ammetteva essere necessaria la concessione di qualche privilegio, pur lamentandosi che la soverchia indulgenza potesse suscitare nuovi dissidi, si ascoltasse dunque l'Ordinario, perchè quand'anche fosse ritenuto poco benevolo verso la novella Società Salesiana, avrebbe nondimeno spiegato le sue ragioni di dubitare che non venisse tutelata la giurisdizione vescovile.
Ma l'Ordinario non era stato pago di scrivere la lettera del 20 marzo; il 21 spedì alla Sacra Congregazione un Postulatum, nel quale, ripetuta la dichiarazione del non constare a lui ufficialmente che la Società Salesiana fosse stata approvata modo definitivo, ne lamentava la tendenza a ingerirsi nella disciplina del clero diocesano e di questo adduceva a prova che vi si accettavano individui dall'Arcivescovo dimessi come inabili al sacro ministero; la qual cosa esponeva l'autorità dell'Ordinario al disprezzo de' suoi seminaristi; la Sacra Congregazione vi mettesse dunque una buona volta efficace rimedio.
La questione dei seminaristi licenziati dall'Arcivescovo e accolti da Don Bosco si riduceva a quest'unico caso, esposto limpidamente da Don Rua in una lettera a Sua Eccellenza: “ Tornato ieri sera a casa, ho cercato chi potesse essere quell'allievo, di cui l'E. V. mi diceva che era stato accettato dal Sig. Don Bosco a suo dispetto. Trovai che veramente avrei un allievo di Vinovo accettato nell'ultime autunnali vacanze. Mi trovo però in dovere di far notare che il Sig. Don Bosco noti si è per niente immischiato nell'accettazione di lui. Chi lo accettò è lo scrivente, il quale, vedendolo secolare e non sapendo che cosa fosse avvenuto precedentemente di lui, anzi avendone buone informazioni da persona conosciuta per degna di fede, credette conveniente l'accoglierlo e lasciargli continuare la carriera a cui diceva di aspirare, senza neppure sospettare che ciò potesse in qualche modo recar dispiacere all'E. V. Car.ma, a cui vorremmo poter rendere ogni servizio, e mai far la memoria offesa ”.
Impaziente di aver risposta tanto alla lettera che al ricorso, il 2 aprile interessò della cosa il sommista Menghini. “ Mi piacerebbe averla, scriveva, per sapere come regolarmi; chè vorrei scrivere in proposito al Santo Padre. Domani Don Bosco si reca a Roma per questo affare ”. Don Bosco veramente andava a Roma per altri motivi, come vedremo a suo tempo. Comunque sia, il Segretario della Sacra Congregazione diede ordine per iscritto il 10 aprile che dall'istanza del Sig. Don Bosco si estraesse la posizione di spettanza della sola Congregazione dei Vescovi e Regolari, e si scrivesse a monsignor Arcivescovo di Torino la nota dei privilegi e facoltà richieste dal Sig. Don Bosco essere quella che si comunicava, e quindi s'invitasse a farvi le osservazioni che credesse opportune. Altro non ci risulta intorno a questa incresciosissima vertenza, se non che ai 5 di maggio ancora non erano pervenute all'Arcivescovo comunicazioni in proposito, tanto che con quella data indirizzò al Sommista una geremiade, non inutile a leggersi per conoscere sempre meglio il suo pensiero e il suo stato d'animo. Il Beato, quanto a sè, profittò dell'occasione che lo chiamava a Roma per regolare possibilmente le sue faccende.
Prima di far punto, noi torremo a imprestito da monsignor Fratejacci le parole di conforto, che seppe scrivere allora al Servo di Dio e per le quali saremo ognora grati alla sua memoria. “ Le amarezze fin qui sofferte dalla S. V., gli diceva, non potranno molto a lungo durare. Dabit Deus his quoque finem. Altronde furono necessarie, come ci si rivela in tutte le grandi opere de' Servi di Dio, affinchè l'Istituto di Don Bosco, che sotto il peso e l'urto di tante umane contraddizioni avrebbe dovuto e dovrebbe spegnersi nel principio stesso della sua vita, sorga ed abbia incremento e dia copiosi frutti di virtù e di onore alla Chiesa e alla patria, e apparisca chiaro nel fatto stesso che ciò non è opera dell'uomo, ma di Dio; non è frutto della terra, ma del cielo, e così siane glorificato il Signore, cui soli honor et gloria. Quelle ostilità, quell'odio, proprio gratuito, di cui parla il Salmista, hodio habuerunt me gratis, sono nientemeno che il segno caratteristico di tutte le opere care a Dio... Temano, e forte, i nemici di V. S.; Ella siane certa, non ha nulla, affatto nulla a temere. Ciò che sembra ora male e ruina, frutterà fra poco vita e gloria! ”.
 
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