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Capitolo 2

Giovani ricoverati nel vizio di Valdocco - Padre, salvatemi - Un garzone caffettiere insidiato - D. Bosco alla cerca per i suoi merlotti - La Provvidenza non manca mai - Contravveleni - Il sermoncino serale ed i quesiti - Le Quarant'ore e le scuole di canto - Una strana comparsa sul teatrino - Amore, umiltà e vigilanza


Capitolo 2

da Memorie Biografiche

del 17 novembre 2006

 Proseguiamo nei nostri racconti. Mentre D. Bosco attendeva alla cultura religiosa e morale dei 700 e più giovani dell'Oratorio festivo di S. Francesco di Sales ed vigilava sui 1000 che frequentavano quelli di S. Luigi Gonzaga e dell'Angelo Custode, non perdeva di vista i poveri giovanetti del suo nascente ospizio. Anzi questi ei riguardava come la pupilla degli occhi suoi, e ne aveva quella cura, che maggiore non ne avrebbe avuta il più sollecito ed affettuoso dei padri. In quest'anno i suoi alunni erano quaranta all'incirca. Quasi di continuo scrivevano a lui parroci, parenti, o altre persone per raccomandargli qualche fanciullo. D. Bosco ascoltando tante miserie se ne sentiva commosso e temendo che per un suo rifiuto quel ragazzo andasse poi a finir male, sovente lo ospitava. Alle preghiere degli stessi giovani non poteva far resistenza.

L'Ispettore scolastico della Spezia, Sig. Bonino Alvaro, nel 1884 ci narrava il seguente grazioso fatto, del quale egli fu testimone quando frequentava l'Oratorio come catechista, essendo maestro elementare municipale nel 1850.

Un padre si era fatto protestante in Torino, per riceverei 30 danari, coi quali i nemici di Dio pagavano le apostasie. Il disgraziato pretendeva che la moglie ed il figlio facessero altrettanto, ma non ci poteva riuscire, poichè la buona donna era ferma nella religione e teneva fermo il suo piccolino. Erano Savoiardi. La povera madre piangeva e pregava. Quand'ecco, una notte il figlio ebbe un sogno. Gli sembrava di essere trascinato al tempio dei Protestanti e invano dibattersi per resistere a quella violenza. Mentre però così lottava, ecco comparire un prete, liberarlo dalle male branche e condurlo con sè. Svegliatosi al mattino narrava il sogno alla mamma, la quale cercava ogni strada per allogare il figlio in qualche istituto, poichè il padre non voleva desistere dal suo perfido divisamento. Lungo la settimana si imbattè in persona che la consigliò a presentarsi a D. Bosco in Valdocco e a vedere se nell'Oratorio avesse potuto trovare un rifugio al figlio. Essa vi andò col suo ragazzo la domenica mattina e, saputo che era tempo di funzione, entrò in chiesa. Ed ecco uscire D. Bosco per celebrare. Il signor Bonino Alvaro era inginocchiato a fianco di questo fanciullo, il quale appena vide D. Bosco gridò ripetutamente quasi fuori di sè: - C'est lui, maman! c'est lui même! c'est lui même! cioè il prete apparsogli in sogno. Il piccolo gridava, la mamma piangeva, e il Sig. Bonino dopo aver dato avviso che in chiesa non era luogo da gridare così, vedendo che non riusciva a quietarlo, condusse la madre e il figlio in sagrestia, ove udì la narrazione del sogno e come in D. Bosco avesse il figlio riconosciuto il prete liberatore. Intanto D. Bosco ritornava in sagrestia e non era ancora ben svestito degli abiti sacri che il fanciullo corre a stringersi alle sue ginocchia, dicendogli: - Padre mio, salvatemi! - D. Bosco lo accettò in casa e il piccolo Savoiardo stette più anni all'Oratorio.

Quanti altri giovani pericolanti furono salvati da Don Bosco per averli incontrati egli stesso e accolti in casa sua! Un giorno entrava in un certo caffè di Torino e venne a servirlo un giovane di grazioso aspetto. Mentre il garzone versava il caffè, D. Bosco incominciò a chiedergli amorevolmente di sue notizie, e poi di interrogazione in interrogazione passò a scandagliare il suo cuore. Il giovane, vinto dalle sue maniere paterne, non ebbe segreti con lui e gli palesò interamente lo stato dell'anima sua, che era ben deplorevole. Il dialogo però era interrotto poichè il giovane di quando in quando andava a servire nuovi avventori, ma ritornava sempre a fianco di D. Bosco, ora con un pretesto, ora con un altro. D. Bosco parlava sottovoce e nessuno, neppure il padrone, si accorse di un dialogo così interessante.

D. Bosco finì con dirgli: - Chiedi licenza al tuo padrone di venire all'Oratorio e poi qualche cosa decideremo.

- Il padrone non darà mai questa licenza.

- Ma tu in questo luogo non devi pi√π rimanere.

- Lo vedo, lo capisco; ma come fare?

- Fuggi.

- Ma dove?

- Presso i tuoi parenti.

- Non ne ho pi√π: sono morti; io sono solo.

- Allora vieni con me.

- E dove?

- In Valdocco, numero tale.

- E quando sarò là?

- Prendi le tue robe e più presto che puoi corri presso di me. Fa' in modo che nessuno possa accorgersi della tua intenzione; e vieni; non ti mancherà ne pane, nè tetto, né un'educazione che ti provveda un lieto avvenire. Io ti farò da padre.

D. Bosco uscì dalla bottega. L'indomani il giovanetto era fuggito e giungeva all'Oratorio colle sue povere robe sotto il braccio. Divenne un eccellente cristiano e per vari anni fu il modello degli alunni dell'Oratorio.

Ma a questi ed agli altri D. Bosco doveva pensare per mantenerli, calzarli, vestirli. Non si poteva per la condizione dei raccomandanti e dei raccomandati fare calcolo sopra l'aiuto di una pensione; e la maggior parte dei suoi ricoverati nulla o ben poco guadagnavano. Egli non aveva stipendi, e mancava di ogni altro provento. Perciò i debiti, causa eziandio gli Oratorii festivi, aumentavano a dismisura e ben sovente non avendo egli onde soddisfarli, nel tempo e nella misura che esigevano i creditori, era minacciato dal pericolo o di lasciar soffrire i suoi figliuoli o di ricondurli a chi glieli aveva affidati. Ma nè all'una nè all'altra delle due alternative il suo cuore caritatevole si poteva acconciare.

Per la qual cosa, collocando la più grande fiducia in Dio, nelle promesse della Madonna, nella certezza della propria missione, voi lo avreste veduto uscire di quando in quando lungo la settimana, portarsi ora presso questa, ora presso quell'altra persona della città, e colle maniere più umili, e col più bel garbo del mondo domandare qualche soccorso per essi. Se incontrato per via gli veniva chiesto dove andasse: - Vo alla cerca per i miei merlotti! rispondeva; e tirava innanzi.

Era questo un eroico sacrificio, del quale solo Iddio può apprezzare il valore. “Per sua stessa confessione, ci scrive Mons. Cagliero, il suo naturale era focoso ed altero, per cui non poteva soffrire resistenza, e provava in sè una lotta inesprimibile, quando doveva presentarsi a qualcuno per chiedere l'elemosina. Eppure con frequentissimi atti contrari seppe vincersi in modo, da accostarsi e di buonissimo animo, non solo a chi sapeva esser disposto a dargli soccorso, ma eziandio a quei medesimi i quali conosceva esser più o meno alieni od avversi. E non ottenendo la prima volta ciò che desiderava, più e più volte si presentava con una piacevolezza che soggiogava gli animi. E questo lo posso attestare sia perchè più tardi moltissime volte lo accompagnava in queste visite, sia per le confidenze che a mia istruzione talvolta mi faceva.

“Per i suoi giovani non risparmiava nè fatiche, nè umiliazioni. Talora non trovava che buone parole; sovente incontrava mortificazioni, insulti e amare ripulse, ma tutto soffriva con gaudio senza offendersi, nè mai diminuire l'ardore della sua carità. Moltiplicava le sue lettere alle persone facoltose supplicandole per aver soccorsi, e un giorno a chi gli aveva mandato un biglietto insultante, rispondeva incaricando uno dei suoi a scrivergli, e indicandogli le parole che doveva usare: - Scrivigli, disse, che se egli non vuole o non può aiutare i miei orfanelli, è padrone di farlo; ma che però l'ingiuriarmi perchè mi occupo di essi, non è cosa gradita al Signore; tuttavia presentandogli i miei rispetti, assicuralo che non conservo per ciò nessun risentimento. -Quel signore nel ricevere tal lettera si indusse a più miti consigli e da quel punto divenne amico ed ammiratore di D. Bosco”.

D. Bosco però non era importuno o molesto. Si contentava di esporre i bisogni che avevano i suoi giovani senza precisare la somma necessaria; e lasciava che coloro i quali lo ascoltavano, tirassero essi stessi la conseguenza caritatevole e logica dal suo ragionamento. Tante volte fu chiesto della somma che gli occorreva ed egli ripeteva semplicemente il racconto già esposto, senza far caso della domanda. Questo suo metodo gli fruttava elemosine ancor maggiori di quello che potesse sperare dai più generosi.

Tuttavia non sempre si presentava supplicante a qualche ricco signore; ma in casi straordinari gli imponeva amorevolmente, come uno che ha autorità di così fare, il versamento di somma cospicua, e otteneva quanto chiedeva. E anche questa fu una delle meraviglie di D. Bosco, che appariva come rappresentante di una volontà soprannaturale. A suo tempo i fatti.

Non riteneva per sè un soldo, e spesso dovette egli stesso privarsi del necessario per darlo a' suoi ricoverati. Quanto gli era dato in elemosina, tutto destinava di gran cuore per essi. L'uso che faceva dei danari era quello che si conveniva ad un abile amministratore; e quando era necessario fare delle spese, le sapeva far bene e a tempo debito. Questa era l'opinione che avevano di lui quanti lo conoscevano. “Un giorno, narrava Brosio Giuseppe, per affari di negozio mi trovava, anni dopo, in un circolo di grossi commercianti, banchieri, giornalisti, fra i quali mi parve eziandio riconoscere gli scrittori della Gazzetta del Popolo, Govean e Bottero.

Benchè avversi alla Religione e quindi nemici di D. Bosco e dell'Oratorio, udii che non si vergognavano di ripetere, che se D. Bosco fosse stato ministro, il regno sarebbe senza debiti. - Tale stima era la causa della fiducia che in lui riponevano i cittadini nel dargli le loro offerte”.

Molte volte però sembrava che i soccorsi fossero per mancare. Nel 1850, per le conseguenze della guerra e in appresso per altre sinistre vicende, quella cara famigliuola si trovò sovente nelle strettezze. Sapevasi talora che pel domani in dispensa non c'era un pane nè in casa un centesimo, ma Don Bosco non mostrò mai il menomo dubbio di restar privo di mezzi, e sempre tranquillo e sempre allegro: - Mangiate, o figliuoli, diceva loro, che ce ne sarà! - Infatti la Provvidenza Divina non lo abbandonò mai: e mentre il numero dei giovani ricoverati cresceva ogni giorno più, e le condizioni dei tempi si facevano gravissime, non dovette mai allontanare dall'Oratorio neppure un ricoverato per mancanza del necessario. Fu questo un premio della sua intiera vita, che ben, si può dire non sia stata altro che un complesso di carità eroica verso il prossimo, adoperandosi egli con ogni sorta di fatiche e di sante industrie.

Ma la sollecitudine più squisita egli la usava per gli interessi dell'anima. I mezzi di pervertimento si facevano ogni giorno più incalzanti e funesti. Per la libertà di stampa si andavano a larga mano spargendo nelle officine e nelle botteghe libri e gazzette perniciosissime. Era poi frequentissimo il caso di udire padroni e domestici, negozianti e commessi, sarti e ciabattini intavolare questioni di religione e di morale, e sputare sentenze, come se fossero altrettanti dottori della Sorbona. Perciò la fede ed il buon costume erano posti al più grande cimento. Or D. Bosco, costretto ad inviare i suoi giovanetti in città per impararvi un'arte o mestiere, prendeva anzitutto minute informazioni sull'onestà degli individui, presso cui voleva affidarli, ed, occorrendo, li toglieva pur anche da un posto per consegnarli ad un altro, che gli presentasse più sicure guarentigie. Oltre di ciò andava spesso a domandare notizie al padrone sui loro portamenti, dando così a dividere come gli stesse a cuore la loro fedeltà al lavoro, e nel tempo stesso come gli premesse che i suoi cari protetti non incontrassero pericoli nè per la moralità, nè per la religione. In casa poi egli si fermava con essi il più che gli fosse possibile; in bel modo andava spiando quello che avessero udito o veduto di male nella giornata; e poi come un esperto ed amoroso medico porgeva tosto il contravveleno, per espellere dalle loro menti le mal succhiate massime, e per cancellare dal loro cuore le cattive impressioni, che ne avevano ricevute.

Già fin dal primo anno egli soleva tenere una parlantina,dopo le orazioni della sera; ma se da principio questo egli faceva di rado, e solamente nella vigilia delle feste o in occasione di qualche solennità, in quest'anno invece prese a farlo molto di spesso e pressochè tutte le sere. Nel suo discorsetto, che durava da due a tre minuti, esponeva ora un punto di dottrina, ora una verità morale, e ciò col mezzo di qualche apologo, che i giovani ascoltavano col massimo piacere. Soprattutto ci mirava a premunirli contro le insane opinioni del giorno, e contro gli errori dei protestanti, che serpeggiavano per Torino. Talora, per meglio attirare la loro attenzione e per scolpire più profondamente nell'animo una buona massima, egli raccontava loro un fatto edificante, avvenuto nel giorno, o tolto dalla storia, o dalla vita di un santo. Altre volte, come aveva fatto e faceva eziandio cogli esterni dell'Oratorio festivo, proponeva un quesito da risolvere, od una domanda, a cui fare adeguata risposta; come per es., che cosa significassero le parole “Dio” e “Gesù Cristo”, che cosa importasse la denominazione di “Chiesa Cattolica”; che cosa significasse “ Concilio perchè il Signore punisce il peccatore impenitente con pene eterne, e via dì questo tenore. Per lo più egli lasciava alcuni giorni di tempo a rispondere. La risposta si faceva sopra un biglietto portante il nome e cognome dell'autore; ed un premiuccio toccava a chi dava nel segno. In questa guisa D. Bosco faceva pensare, e intanto apriva a se stesso la via a sviluppare le più utili verità, che non si dimenticavano più. Questa piccola parlata era sempre preceduta dalla consegna degli oggetti che i giovani rinvenissero smarriti nella casa e nel cortile. D. Bosco li annunziava, e quelli cui appartenevano si presentavano a ritirarli.

Intanto alle varie pratiche, di pietà e solennità religiose che egli aveva istituite confine di promuovere la frequenza alla confessione e comunione, aggiungeva ogni anno l'esposizione del SS. Sacramento, detta delle Quarant'ore; e nella piccola chiesa tettoia, messa graziosamente a festa, durava tre giorni con messa cantata, vespri e Tantum Ergo in musica e predica ogni giorno, come si usa nelle parrocchie. Era questa nuova occasione per esercitare le scuole di musica. Divideva i giovani in tre gruppi, in ognuno dei quali poneva a sostenere il canto uno de' suoi allievi già bene addestrato e conoscitore delle note. Fra questi Bellia Giacomo.

“D. Bosco, scrisse Tomatis Carlo, strimpellava sopra un meschinissimo piano per farci imparare le sue melodie e talora addestrava alquanto a suonare il violino un volonteroso di apprendere il maneggio di questo strumento, per accompagnare qualche a solo. Un giorno nel 1850 si ispirò ad un motivo che udì suonare dalle trombe dei soldati che venivano ad esercitarsi nei pressi dell'Oratorio, e scrisse un Tantum Ergo ad una voce sola, che io conservo e che molte volte cantai, andando con lui e con altri compagni musici alle funzioni sacre celebrate in Torino, nei paesi vicini e più sovente alla Crocetta. Anche Reviglio Felice aiutava D. Bosco nel canto dal 1830 al 1856.

“Un regalo D. Bosco preparava ai suoi musici qualche tempo dopo. Egli faceva acquisto di un piccolo organo a tastiera colle canne tutte di legno, costrutto forse un due secoli prima. Era sdrucito, poco armonico, ma pur serviva per esercitar le dita del novizio suonatore. Tutti ricordano come una canna colla valvola rotta mandasse certe urla sgarbate, che provocavano nei giovani le risa più saporite. Questo strumento era stato collocato nella camera vicina a quella di Don Bosco, e più d'uno dei primi che lo suonarono divenne valente organista.

” Musica e teatro sono in correlazione e D. Bosco continuava a dare ai giovani il divertimento di gradite rappresentazioni. Escludeva però ogni azione drammatica che potesse esigere spese di vestiari.

” Questa sua esigenza cagionò alcune lepide scene, che restarono memorabili anche molti anni dopo. Avendo gli attori preparato un dramma intitolato I tre Re Magi, tennero fra di loro una piccola segreta congiura, e col pretesto di vespri solenni che dicevano doversi cantare all'Oratorio, si presentarono al Rifugio e in alcune parrocchie chiedendo in prestito quattro piviali. Ci voleva anche un manto per Erode. Avutili facilmente, essendo andati a nome di D. Bosco, li nascosero con gelosa cura, e al momento di entrare in scena, eccoli trionfanti coi piviali sulle spalle. Superfluo descrivere le risa convulsive degli spettatori, e la ridicola, figura di que' giovani, ai quali D. Bosco faceva subito deporre quelle sacre vesti. Un'allegra ed ingenua spensieratezza era il carattere della maggior parte dei miei compagni, i quali però studiavano o lavoravano con amore. Intanto continuavano le scuole serali. D. Bosco c'insegnava l'aritmetica e la calligrafia, e la sua presenza infondeva in tutti un senso di gioia inesprimibile.

” Ciò che ammiravamo in lui, in queste e in altre mille circostanze, si era come alla fermezza unisse sempre la dolcezza dei modi, la pazienza e quella illimitata longanimità colla quale superava o non si creavano ostacoli, sia nelle cose piccole come nelle cose grandi, e tutto conducesse ad esito felice. Soprattutto ci attraeva la sua umiltà.

” Una sera, insegnando egli il sistema metrico e facendo calcoli sulla lavagna, per caso si sbagliò, ed in conseguenza non riusciva a condurre a termine lo scioglimento del problema. La numerosa scolaresca stava attenta e non intendeva.

Io, accortomi ove fosse l'errore, mi alzai e, nel modo che seppi migliore, lo corressi. Altri maestri non avrebbero gradita una simile osservazione in pubblico; ma D. Bosco accettò amorevolmente il mio avviso e da quel punto mi prese in maggior considerazione, sicchè io ne rimasi incantato.

“La sua vigilanza poi sulla nostra condotta era incessante, non soffrendo che il demonio gli rubasse le anime”.

Fin qui Carlo Tomatis. Per la disciplina in questi anni 1849, 1850 lo aiutava D. Grassini, esercitando l'ufficio di Prefetto, e venendo a dimorare all'Oratorio, allorchè D. Bosco era chiamato a predicare nelle varie parti del Piemonte.

 

 

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