Due sogni: le mormorazioni; tre morti.
del 06 dicembre 2006
Nella seconda metà di gennaio il Servo di Dio ebbe un sogno simbolico, del quale fece parola con alcuni Salesiani. Don Barberis lo pregò di raccontarlo in pubblico, perchè i suoi sogni piacevano molto ai giovani, facevano loro gran bene e li affezionavano all'Oratorio.
- Sì, questo è vero, rispose il Beato, fanno del bene e sono ascoltati con avidità; il solo che ne riceva nocumento sono io, perchè bisognerebbe che avessi polmoni di ferro. Si può ben dire, che nell'Oratorio non ci sia un solo, il quale non si senta scosso da tali narrazioni; poichè per lo più questi sogni toccano tutti, e ciascheduno vuol sapere in quale stato io l'abbia veduto, che cosa debba fare, quale significato abbia questo o quello; ed io sono tormentato giorno e notte. Se poi voglio svegliare il desiderio delle confessioni generali, non ho da far altro che raccontare un sogno... Senti, fa' una cosa. Domenica andrò a parlare ai giovani, e tu interrogami in pubblico. Io allora conterò il sogno.
Il 23 gennaio, dopo le orazioni della sera, egli montò in cattedra. Il suo volto raggiante di gioia manifestava, come sempre, la propria contentezza nel trovarsi tra i suoi figli. Fattosi un po' di silenzio, Don Barberis chiese di parlare e interrogò: - Scusi, signor Don Bosco, mi permette che io le faccia una domanda?
- Di' pure.
- Ho sentito a dire che in queste notti scorse ha fatto un sogno di semenza, di seminatore, di galline, e che l'ha già raccontato al chierico Calvi. Vorrebbe favorire di raccontarlo anche a noi? Questo ci farebbe assai piacere.
- Curioso!! - fece Don Bosco in tono di rimprovero. E qui scoppiò una risata generale.
- Non importa, sa, che mi dia del curioso; purchè ci racconti il sogno. E con questa mia domanda credo d'interpretare la volontà di tutti i giovani, i quali certamente lo ascolteranno tanto volentieri.
- Se è così ve lo racconto. Non voleva dir nulla, perchè ci sono cose che riguardano diversi di voi in particolare, e alcune anche per te, che fanno bruciare un po' le orecchie; ma poichè me ne richiedi, io racconterò.
-Ma eh! signor Don Bosco, se c'è qualche bastonata per me, me la risparmi qui in pubblico.
- Io racconterò le cose come le sognai; ciascuno prenda la parte sua. Ma prima di tutto bisogna che ciascuno tenga bene a mente, che i sogni si fanno dormendo, e dormendo non si ragiona; perciò se vi è qualche cosa di buono, qualche ammonimento da prendere, si prende. Del resto nessuno si metta in apprensione. Ho detto che io sognando di notte dormiva, perchè taluni sognano anche di giorno e alcune volte perfino essendo svegliati e con non leggiero disturbo dei professori, per i quali riescono scolari fastidiosi.
Mi pareva di essere lontano di qui e di trovarmi a Castelnuovo d'Asti, mia patria. Aveva avanti a me una grande estensione di terreno, situata in una vasta e bella pianura; ma quel terreno non era nostro e non sapeva di chi fosse.
In quel campo vidi molti che lavoravano colle zappe, colle vanghe, coi rastrelli ed altri strumenti. Chi arava, chi seminava il grano, chi spianava la terra, chi faceva altro. Vi erano qua e là i capi preposti a dirigere i lavori e fra costoro mi sembrava di esser anch'io. Cori di contadini stavano in altra parte cantando. Io osservava stupito e non sapeva darmi ragione di quel luogo. Meco stesso andava dicendo: - Ma a che fine costoro lavorano tanto? - E rispondeva a me stesso: - Per provvedere le pagnotte ai miei giovani. - Ed era veramente una meraviglia il vedere come quei buoni agricoltori non desistessero un istante dal lavoro e incessantemente continuassero nel loro uffizio con uno slancio costante e colla stessa solerzia. Solo alcuni stavano ridendo e scherzando fra di loro.
Mentre io contemplava così bel quadro, mi guardo attorno e vedo che mi circondavano alcuni preti e molti dei miei chierici, parte vicini, parte ad una certa distanza. Diceva tra me: - Ma io sogno; i miei chierici sono a Torino, qui invece siamo a Castelnuovo. E poi come ciò può essere? Io sono vestito da inverno da capo a piedi, solamente ieri io aveva tanto freddo, ed ora qui si semina il grano. - E mi toccava le mani e camminava e diceva: - Ma pure non sogno, questo è proprio un campo; questo chierico che è qui è il chierico A... in persona; quest'altro è il chierico B... E poi come potrei nel sogno vedere questa cosa e quest'altra?
Intanto vidi lì presso, ma a parte, un vecchio che all'aspetto sembrava molto benevolo ed assennato, intento ad osservare me e gli altri. Mi accostai a lui e gli domandai: - Dite, bravo uomo, ascoltate! Che cosa è ciò che io vedo e non ne capisco nulla? Qui dove siamo? Chi sono questi lavoratori? Di chi è questo campo?
- Oh! mi risponde quell'uomo; belle interrogazioni da farsi! Ella è prete e non sa queste cose?
- Ma dunque ditemi! Credete voi che io sogni o che sia desto? Poichè a me par di sognare e non mi sembrano possibili le cose che vedo.
- Possibilissime, anzi reali e a me pare che Lei sia desto affatto. Non se ne avvede? Parla, ride, scherza.
- Eppure vi son taluni, io soggiunsi, cui sembra nel sogno di parlare, ascoltare, operare, come se fossero desti.
- Ma no; lasci da parte tutto questo. Lei è qui in corpo ed anima.
- Ebbene, sia pure; e se son desto, ditemi allora di chi sia questo campo.
- Ella ha studiato il latino: qual è il primo nome della seconda declinazione che ha studiato nel Donato? lo sa ancora?
- Eh! sì che lo so; ma che cosa ha da far questo con ciò che vi domando?
- Ha da far moltissimo. Dica adunque quale è il primo nome che si studia nella seconda declinazione.
E’ Dominus.
E come fa al genitivo? Domini!
Bravo, bene, Domini; questo campo adunque è Domini, del Signore.
- Ah! ora comincio a capire qualche cosa! - esclamai.
Era meravigliato della conseguenza tratta da quel buon vecchio. Intanto vidi varie persone che venivano con sacchi di grano per seminare, e un gruppo di contadini cantava: Exit, qui seminat, seminare semen suum.
A me pareva un peccato gettar via quella semente e farla marcire sotterra. Era così bello quel grano! - Non sarebbe meglio, diceva fra me. macinarlo e fame del pane o delle paste? - Ma poi pensava: - Chi non semina, non raccoglie. Se non si getta via la semente e questa non marcisce, che cosa si raccoglierà poi?-
In quel mentre vedo da tutte le parti uscire una moltitudine di galline e andar pel seminato a beccarsi tutto il grano che altri spargeva per seme.
E quel gruppo di cantori proseguiva nel suo canto: Venerunt aves caeli, sustulerunt frumentum et reliquerunt zizaniam.
Io do uno sguardo attorno e osservo quei chierici che erano con me. Uno colle mani conserte stava guardando con fredda indifferenza; un altro chiacchierava coi compagni; alcuni si stringevano nelle spalle, altri guardavano il cielo, altri ridevano di quello spettacolo, altri tranquillamente proseguivano la loro ricreazione e i loro giuochi, altri sbrigavano alcuna loro occupazione; ma nessuno spaventava le galline per farle andar via. Io mi rivolgo loro tutto risentito e, chiamando ciascuno per nome, diceva: - Ma che cosa fate? Non vedete quelle galline che si mangiano tutto il grano? Non vedete che distruggono tutto il buon seme, fanno svanire le speranze di questi buoni contadini? Che cosa raccoglieremo poi? Perchè state così muti? perchè non gridate, perchè non le fate andar via?
Ma i chierici si stringevano nelle spalle, mi guardavano e non dicevano niente. Alcuni non si volsero neppure: non badavano prima a quel campo, nè ci badarono dopo che io ebbi gridato.
- Stolti che siete! io continuava. Le galline hanno già tutte il gozzo pieno. Non potreste battere le mani e fare così? - E intanto io batteva le mani, trovandomi in un vero imbroglio, poichè a nulla valevano le mie parole. Allora alcuni si misero a fugar le galline, ma io ripeteva tra me: - Eh sì! Ora che tutto il grano fu mangiato, si scacciano le galline
In quel mentre mi colpì l'orecchio il canto di quel gruppo di contadini, i quali così cantavano: Canes muti nescientes latrare.
 
Allora io mi rivolsi a quel buon vecchio e tra stupefatto e sdegnato gli dissi: - Orsù, datemi una spiegazione di quanto vedo; io ne capisco nulla. Che cosa è quel seme che si getta per terra?
- Oh bella! Semen est verbum Dei.
- Ma che cosa vuol dir questo, mentre vedo che là le galline se lo mangiano?-
Il vecchio, cambiando tono di voce, proseguì:
- Oh! se vuole una più compiuta spiegazione, io gliela do. Il campo è la vigna del Signore, di cui si parla nel Vangelo, e si può anche intendere del cuore dell'uomo. I coltivatori sono gli operai evangelici, che specialmente colla predicazione seminano la parola di
Dio. Questa parola produrrebbe molto frutto in quel cuore, terreno ben preparato. Ma che? Vengono gli uccelli del cielo e la portano via.
- Che cosa indicano questi uccelli?
- Vuole che le dica che cosa indicano? Indicano le mormorazioni. Sentita quella predica che porterebbe effetto, si va coi compagni. Uno fa la chiosa ad un gesto, alla voce, ad una parola del predicatore, ed ecco portato via tutto il frutto della predica. Un altro accusa il predicatore stesso di qualche difetto o fisico o intellettuale; un terzo ride sul suo italiano, e tutto il frutto della predica è portato via. Lo stesso deve dirsi di una buona lettura, della quale il bene resta tutto impedito da una mormorazione. Le mormorazioni sono tanto più cattive, in quanto che esse generalmente sono segrete, nascoste, e colà vivono e crescono, ove punto noi non ce lo aspettiamo. Il grano sebbene sia in un campo non molto coltivato, tuttavia nasce, cresce, viene su abbastanza alto e produce frutto. Quando in un campo di fresco seminato viene un temporale, allora il campo resta pestato e non porta più tanto frutto, ma pure ne porta. Se anche la semenza non sarà tanto bella, pure crescerà: porterà poco frutto, ma pure ne porterà. Invece quando le galline o gli uccelli si beccano la semente, non c'è più verso: il campo non rende nè punto nè poco; non porta più frutto di sorta. Così se alle prediche, alle esortazioni, ai buoni propositi terrà dietro qualche altra cosa come distrazione, tentazione, ecc. farà meno frutto; ma quando c'è la mormorazione, il parlar male o simili, qui non c'è poco che tenga, ma c'è subito il tutto che vien portato via. E a chi tocca battere le mani, insistere, gridare, sorvegliare, perchè queste mormorazioni, questi discorsi cattivi non si facciano? Lei lo sa!
- Ma che cosa facevano mai questi chierici? io gli chiesi. Non potevano essi impedire tanto male?
 
- Non impedirono nulla, egli proseguì. Taluni stavano ad osservare come statue mute, altri non ci badavano, non ci pensavano, non vedevano e se ne stavano colle braccia conserte, altri non avevano il coraggio d'impedire questo male; alcuni, pochi però, si univano anch'essi ai mormoratori, prendevano parte alle loro maldicenze, facevano il mestiere di distruggitori della parola di Dio. Tu che sei prete insisti su questo; predica, esorta, parla, non aver paura di dir mai troppo; e tutti sappiano che il fare le chiose a chi predica, a chi esorta, a chi dà buoni consigli è ciò che reca più del male. E lo star muti quando si vede qualche disordine e non impedirlo, specialmente chi potrebbe o dovrebbe, questo è al tutto rendersi complice del male degli altri.
Io tutto compreso da queste parole, voleva ancora guardare, osservare questa e quella cosa, rimproverare i chierici, infiammarli a compiere il proprio dovere. Ed essi già si movevano e cercavano di mettere in fuga le galline. Ma io, avendo fatti alcuni passi, inciampai in un rastrello, destinato a spianar la terra, lasciato in quel campo, e mi svegliai. Ora lasciamo da parte ogni cosa e veniamo alla morale. D. Barberis! Che cosa ne dici di questo sogno?
- Dico, rispose D. Barberis, che è una buona bastonata, e bazza a chi tocca.
- Eh certo, riprese D. Bosco, è una lezione la quale bisogna che ci faccia del bene; e tenetelo a mente, o miei cari giovani, di evitare fra voi in ogni modo la mormorazione, come un male straordinario, fuggendola come si fugge dalla peste, e non solo evitarla voi, ma a tutto potere cercare di farla evitare agli altri. Alcune volte santi consigli, opere ottime non fanno il bene, che reca l'impedire una mormorazione e qualunque parola che possa nuocere ad altri. Armiamoci di coraggio e combattiamola francamente. Non v'è peggior disgrazia di quella di far perdere la parola di Dio. E basta un motto, basta uno scherzo.
Vi ho contato un sogno avvenutomi già sono varie notti, ma in questa notte scorsa ne ho avuto un altro, che eziandio desidero narrarvi. L'ora non è ancora troppo tarda; sono appena le nove e posso esporvelo. Procurerò tuttavia di non andare per le lunghe.
Mi parve adunque di trovarmi in un luogo che ora non ricordo pi√π quale fosse: non era io pi√π a Castelnuovo, ma mi pare che neppure fossi all'Oratorio. Venne qualcuno con tutta premura a chiamarmi: - D. Bosco, venga! D. Bosco, venga!
- Ma e che cosa c'è di tanta premura? io risposi.
- E' in corrente delle cose avvenute?
- Io non intendo quello che tu vuoi dire; spiegati chiaramente, risposi ansioso.
- Non sa, D. Bosco, che il tal giovane così buono, così pieno di brio, è gravemente infermo, anzi moribondo?
- lo dubito che tu voglia prenderti gioco di me, gli dissi: perchè appunto stamane parlai e passeggiai con lo stesso giovane, che ora mi annunzi moribondo.
- Ah, D. Bosco, io non cerco d'ingannarla e mi credo in debito di narrarle la pura verità. Quel giovane ha sommamente bisogno di lei e desidera di vederla e di parlarle per l'ultima volta. Ma venga presto, perchè altrimenti non è più in tempo.-
Io senza sapere il dove, andai in tutta fretta dietro a quel tale. Arrivo in un luogo e vedo gente mesta e piangente che mi dice: Faccia pure presto, che è agli estremi.
- Ma che cosa è accaduto? - rispondo. Vengo introdotto in una camera, dove vedo un giovane coricato, tutto smorto nel viso, d'un colore quasi cadaverico, con una tosse e un rantolo che lo soffocava e appena a stento gli permetteva di parlare: - Ma non sei tu il tale dei tali? io gli dissi.
- Sì, sono il tale!
- Come stai?
- Sto male
- E come va che ora ti vedo in questo stato? Solamente ieri e stamattina non passeggiavi tranquillo sotto i portici?
- Sì, rispose il giovane, ieri e stamattina passeggiavo sotto i portici; ma ora faccia presto, che io ho bisogno di confessarmi; vedo che mi resta più poco tempo.
- Non affannarti, non affannarti; tu ti sei confessato da pochi giorni.
- E’ vero e mi pare di non avere nessuna grossa pena sul mio cuore; ma tuttavia desidero ricevere la santa assoluzione prima di presentarmi al Divin Giudice.
Io ascoltai la sua confessione. Ma intanto osservai che visibilmente peggiorava e un catarro era per soffocarlo. - Ma qui bisogna fare in fretta, dico fra me, se voglio che riceva ancora il santo viatico e l'olio santo. Anzi il viatico non potrà più riceverlo, sia perchè ci vuole più tempo per i preparativi, sia perchè la tosse potrebbe impedirgli d'inghiottire. Presto l'olio santo!
Così dicendo, esco dalla camera e mando subito un uomo a prendere la borsa degli olii santi. I giovani che erano in sala mi domandavano: - Ma è veramente in pericolo? è proprio moribondo, come si va dicendo?
- Purtroppo! io rispondeva. Non vedete che il respiro gli si fa ognor pi√π grave e il catarro lo soffoca?
- Ma sarà meglio portargli anche il viatico e così fortificato mandarlo nelle braccia di Maria!-
Ma mentre io mi affaccendava nel preparar l'occorrente, sento una voce: - è spirato!-
Rientro in camera e trovo l'infermo cogli occhi sbarrati; più non. respira; è morto.
- E’ morto? io domando a quei due che lo assistevano. morto, mi rispondono: è morto!
- Ma come va, tanto in fretta? Ditemi: non è desso il tale?
- Sì, è il tale.
- Non posso credere agli occhi miei! Solo ieri passeggiava con me sotto i portici.
- Ieri passeggiava ed ora è morto, mi replicarono.
- Per fortuna che era un giovane buono! esclamai. E diceva ai giovani che aveva attorno: - Vedete, vedete? Costui non ha nemanco più potuto ricevere il viatico e l'estrema unzione. Ringraziamo però il Signore, che gli diede tempo di confessarsi. Questo giovane era buono, frequentava abbastanza i Sacramenti e speriamo che sia andato ad una vita felice, o almeno in purgatorio. Ma se fosse un po' capitata ad altri la stessa sorte, che cosa ne sarebbe ora di certuni?
Ciò detto, ci mettemmo tutti in ginocchio e recitammo un De profundis per l'anima del povero defunto.
Intanto io andava in camera, quando mi vedo giungere Ferraris dalla libreria, il quale tutto affannato mi dice: - Sa, D. Bosco, che cosa è avvenuto?
- Eh! purtroppo lo so! E' morto il tale! rispondo.
- Non è questo che voglio dire; vi sono due altri morti.
- Come? chi?
- Il tale ed il tale altro.
- Ma quando? Non capisco.
- Sì, due altri, i quali morirono prima che ella giungesse.
- E perchè allora non mi avete chiamato?
- Mancò il tempo. Ma ella sa dirmi quando è morto questo qui?
- A morto adesso! io risposi.
- Sa ella in che giorno siamo e di qual mese? proseguì Ferraris.
- Sì che lo so; siamo ai 22 di gennaio, secondo giorno della novena di S. Francesco di Sales.
- No, disse Ferraris. Ella si sbaglia, signor Don Bosco; guardi bene. - Io alzo gli occhi al calendario e vedo: 26 di Maggio.
- Ma questa è maiuscola! esclamai. Siamo di gennaio, e ben me ne accorgo dal come sono vestito, non si va vestiti così di maggio; di maggio non vi sarebbe il calorifero acceso.
- Io non so che dirle, o che ragione darle, ma ora siamo ai 26 di maggio.
- Ma se ieri solamente è morto quel nostro compagno ed eravamo in gennaio.
- Si sbaglia, insistè Ferraris; eravamo in tempo pasquale.
- Un'altra ne aggiungi ancor pi√π grossa!
- Tempo pasquale, sicuro: eravamo in tempo pasquale, e fu ben pi√π fortunato di morire nella Pasqua, che gli altri due, i quali morirono nel mese di Maria.
- Tu mi burli, io gli dissi. Spiegati meglio, altrimenti io non t'intendo.
- Io non burlo niente affatto. La cosa è così. Se poi vuole saperne di più, e che io mi spieghi meglio, ecco! Stia attento! Aperse le braccia, poi battè le due mani una contro l'altra forte forte: ciac   Ed io mi sono svegliato. Allora esclamai: - Oh per fortuna! Non è una realtà, ma è un sogno. Quanto timore ho avuto!
Ecco il sogno che ho fatto la notte scorsa. Voi dategli quell'importanza che volete. Io stesso non voglio dargli interamente fede. Oggi però ho voluto vedere se coloro che mi parvero morti in sogno, fossero ancora vivi e li vidi sani e vigorosi. Certamente che non conviene ch'io dica, e non dirò, chi siano costoro. Tuttavia terrò d'occhio quei due: se sarà necessario qualche consiglio per vivere bene, lo darò loro, e li preparerò, facendo le volte larghe senza che se ne accorgano; perchè così, se accadesse loro di dover morire, la morte non li trovi impreparati. Ma nessuno vada dicendo: Sarà questi, sarà quegli. Ciascuno pensi a sè.
E non datevi nessuna apprensione di questo. L'effetto che deve fare in voi è semplicemente quello che ci suggerì il Divin Salvatore nel Vangelo: Estote parati, quia, qua hora non putatis, filius hominis veniet. E' questo un grande avvertimento, miei cari giovani, che ci dà il Signore. Stiamo apparecchiati sempre, perchè nell'ora in cui meno ce lo aspettiamo, può venire la morte e colui che non è preparato a morir bene, corre grave rischio di morir male. Io mi terrò preparato il meglio che posso e voi fate lo stesso, affinchè in qualunque ora piaccia al Signore di chiamarci, possiamo essere pronti a passare nella felice eternità. Buona notte.
Le parole di Don Bosco si ascoltavano sempre con religioso silenzio; ma quando egli `raccontava di queste cose straordinarie, fra le centinaia di ragazzi che gremivano il luogo, non si sentiva un colpo di tosse nè il più lieve fruscio di piedi. L'impressione viva durava settimane e mesi;. e con l'impressione avvenivano mutazioni radicali nella condotta di certi discoli. Si faceva poi ressa intorno al confessionale di Don Bosco. Di supporre che egli inventasse quei racconti per ispaventare e migliorare la vita dei giovani, non veniva in capo a nessuno, perchè gli annunzi di morti prossime si avveravano sempre e certi stati di coscienza veduti nei sogni rispondevano a realtà.
Ma il timore prodotto da sì lugubri predizioni non era un incubo opprimente? Non pare. Troppe si presentavano le possibilità e le supposizioni in una moltitudine di più che ottocento giovani, perchè i singoli ne potessero essere preoccupati. Inoltre la persuasione realmente diffusa, che chi moriva nell'Oratorio, andava di certo in paradiso, e che Don Bosco preparava i designati. senza spaventarli, contribuiva a scacciare dagli animi ogni timore. D'altra parte si sa bene quanto sia grande la volubilità giovanile: sul momento la fantasia dei giovani rimane colpita e scossa; ma poi quel ricordo si libera ben presto da qualsiasi paurosa apprensione. Tanto ci attestavano unanimi i superstiti di quei tempi.
Andati che furono i giovani a dormire, alcuni confratelli che attorniavano il Beato, lo tempestavano di domande, per sapere se alcuno di loro fosse fra quei che dovevano morire. Il Servo di Dio, sorridendo secondo il suo solito e scotendo il capo, ripeteva: - Già, già! Verrò a dirvi chi è, con pericolo di far morire qualcuno prima del tempo!
Visto che lì non si spillava nulla, lo interrogarono se nel primo sogno vi fossero anche dei chierici a far la parte delle galline, che, si abbandonassero cioè alla mormorazione. Don Bosco, che passeggiava, si fermò, girò gli occhi su gl'interlocutori e fece un risolino come per dire: - Eh! qualcuno sì; tuttavia pochi, e non aggiungo altro. - Allora gli chiesero che dicesse almeno se essi erano fra i cani muti; il Beato si tenne sulle generali, osservando che bisognava stare attenti a evitare e a far evitare le mormorazioni e in genere tutti i disordini, massime i cattivi discorsi. - Guai al prete e al chierico, disse, il quale, incaricato della vigilanza, vede i disordini e non li impedisce! Desidero si sappia e si ritenga che con la parola “mormorazioni ” io non intendo solamente il tagliarci i panni addosso, ma ogni discorso, ogni motto, ogni parola, che possa in un compagno sminuire il frutto della parola di Dio udita. In generale poi intendo di dire che è un gran male starsene quieti, allorchè si conosce qualche disordine, non impedendolo o non cercando che lo impedisca chi di ragione.
Uno più arditello mosse al Servo di Dio un'interrogazione alquanto azzardata. - E Don Barberis per che cosa entra nel sogno? Lei ha detto che ce n'era anche per lui, e Don Barberis stesso sembrava che si aspettasse una buona bastonata per sè. - Don Barberis era presente. Sulle prime Don Bosco accennava a non voler rispondere. Ma poi, essendo rimasti ai suoi fianchi solo alcuni preti e mostrandosi Don Barberis contento che egli palesasse il segreto, il Beato disse: - Eh! Don Barberis non predica abbastanza su questo punto; su quest'argomento non insiste quanto bisogna. Don Barberis confermò che nè l'anno innanzi nè durante l'anno in corso si era mai fermato di proposito: su quelle materie nelle sue conferenze agli ascritti; ebbe perciò molto piacere dell'osservazione e se la legò all'orecchio per l'avvenire.
Ciò detto, salirono le scale e tutti, baciata la mano a Don Bosco, si allontanarono e andarono a riposo. Tutti, meno Don Barberis, che secondo il consueto lo accompagnò fino all'uscio della sua stanza. Don Bosco, vedendo che era ancora presto e accorgendosi che non avrebbe potuto prender sonno, perchè fortemente impressionato dalle cose esposte, contro la sua costante abitudine fece entrare Don Barberis nella camera, dicendo: - Giacchè abbiamo ancora tempo, possiamo fare due passi su e giù per la stanza.
Così continuò a discorrere per una mezz'ora. Disse fra l'altro: - Io nel sogno ho veduto tutti ed ho veduto lo stato nel quale ognuno si trovava: se gallina, se cane muto, se nel numero di coloro che avvisati si misero all'opera o non si mossero. Di queste cognizioni io mi servo confessando, esortando in pubblico ed in privato, finchè vedo che producono del bene. Da principio non faceva gran caso di questi sogni; ma mi accorsi che per lo più valgono a produrre l'effetto  di più prediche, anzi per alcuni sono più efficaci che un corso di esercizi spirituali; perciò me ne servo. E perchè no? Si legge nella Sacra Scrittura: Probate spiritus; quod bonum est tenete. Vedo che giovano, vedo che piacciono, e perchè tenerli segreti? Anzi osservo che contribuiscono ad affezionare molti alla Congregazione.
- Ho provato io stesso, interruppe Don Barberis, di quanta utilità fossero questi sogni e quanto salutari. Anche narrati altrove, fanno del bene. Dove Don Bosco è conosciuto, si può dire che sono sogni fatti da lui; dove non è conosciuto, si possono presentare come similitudini. Oh, se sì potesse fame una raccolta, esponendoli in forma di similitudini! Sarebbero ricercati e letti da piccoli e da grandi, da giovani e da vecchi, con vantaggio delle anime loro.
- Già, già! Farebbero del bene, ne sono intimamente convinto.
- Ma forse, lamentò Don Barberis, nessuno li ha raccolti per iscritto.
- Io, riprese Don Bosco, non ho tempo, e di molti non mi ricordo pi√π.
- Quelli dei quali io mi ricordo, replicò Don Barberis, sono i sogni che si riferivano ai progressi della Congregazione, all'estendersi del manto della Madonna...
- Ah, sì! - esclamò il Beato. E accennò a parecchie visioni di questo genere. Presa quindi un'aria più grave e quasi conturbato proseguì: - Quando penso alla mia responsabilità nella posizione in cui io mi trovo, tremo tutto... Che conto tremendo avrò da rendere a Dio di tutte le grazie che ci fa per il buon andamento della nostra Congregazione!
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