Capitolo 19

Le pie persone o per voti fatti, o per grazie ricevute o per divozione, provvedono gli oggetti necessarii pel servizio religioso della nuova chiesa - Grandi provviste di cera: le candele del Marchese Uguccioni e un cereo di Pio IX - Offerte di danaro: Lettera del Conte Callori - I benefattori mandano a Don Bosco una quantità e varietà meravigliosa di commestibili per gli alunni, gli ospiti, e i personaggi invitati alle feste - Iscrizioni del Prof. Vallauri nella chiesa - Preparativi in casa: scuola di cerimonie: prove di canto e di suono; le bandiere per i cortili: le luminarie: i banchi della fiera; il buffet - Don Bosco scrive lettere d'invito a molti signori e al Duca d'Aosta - Immagini e medaglie di Maria Ausiliatrice - Signori della più alla nobiltà di Torino accettano di far la questua alla porta della chiesa. - Nota scordante fra le armonie: il Vescovo di Pinerolo scrive a Don Bosco esponendogli i motivi pei quali non può concedergli le commendatizie per l'approvazione della Pia Società; e con una sua lettera espone al Card. Quaglia le ragioni del rifiuto - Commendatizie del Vescovo di Saluzzo e dell'Arcivescovo di Pisa.

Capitolo 19

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

L'allestimento interno del sacro edifizio era finito, e a Don Bosco mancavano ancora quasi tutti gli oggetti necessari pel servizio religioso. Iddio però, che è padrone del cuore degli uomini, ispirava a più persone di fargli avere quanto occorreva senza che ne fossero richieste. Da Roma gli fu mandato un calice veramente elegante. La coppa era d'argento col gambo di bronzo dorato, di notabile altezza, con varii lavori di molto pregio. Era un dono del dott. Tancioni professore di medicina e chirurgia alla Università di Roma. Per grave malattia trovandosi all'estremo della vita, perduta ogni speranza ne' mezzi umani, venne dagli amici incoraggiato a fare una novena a Maria Ausiliatrice con promessa di fare qualche dono alla chiesa di Valdocco, se guariva. Dalla promessa all'esser fuori pericolo passò appena la metà della novena. Compiva fedelmente il suo voto e voleva che sopra il calice fosse ricordato il celeste favore da lui ricevuto con queste parole: Familiae Tancioni Romanae votum MDCCCLXVIII. Sopra il calice era un'elegante e ricca palla, ovvero animetta, coll'immagine del Redentore, lavoro delle monache del Bambino Gesù in Aix - la - Chapelle, città di Prussia, a spese della contessa Stolberg, moglie del celebre Luterano e poi fervoroso cattolico conte Stolberg Vernigerode, membro ereditario della camera dei Signori in Prussia.

Il sig. M. Luigi Borgognoni, guarito da un ostinatissimo male di stomaco dopo avere invocata Maria, per compiere il voto fatto mandava da Roma due calici di metallo dorato. Nel basamento di uno vi erano tre figure rappresentanti la fede, la speranza e la carità; nell'altro tre figure rappresentano Mosé, Aronne, Melchisedecco.

Pure da Roma la signora Francesca Giustiniani, per una importantissima grazia ricevuta, dalla quale era derivata la fortuna e la felicità di tutta la sua famiglia, spediva a Don Bosco un reliquario di metallo dorato che racchiudeva una particella del sacratissimo Legno della Croce del Salvatore colla rispettiva autentica.

In vero, sembrava che ci fosse chi andasse a significare a ciascuna delle benefiche persone, o per grazie ricevute, o per divozione, quanto occorreva per quella solennità. Una signora francese d'alto lignaggio, la Duchessa Laval di Montmorency, inviò a sufficienza camici, cotte, amitti, animette, corporali, tovaglie, tovaglini con alcune pianete. Una signora fiorentina offerse un elegante incensiere con navicella. Un signore torinese provvide i candelieri, le croci e le carte - gloria per tutti gli altari.

Piviali, tunicelle, pianete, messali, pissidi, lampade per le solennità, lampade ordinarie, olio per le medesime, campanelli per la sagrestia, campanelli per i singoli altari, ostensori, palliotti, quadri, tovaglie di varie genere, le ampolline e perfino le funi delle campane, tutto venne in breve tempo provveduto, ma in modo e misura che nemmeno un oggetto restò duplicato e senza che neppur uno di essi venisse a mancare al bisogno. Riguardo al campanello della sacrestia avvenne quanto segue.

Un signore torinese, travagliato da male di capo che si estendeva alla nuca con minaccia della stessa spina dorsale, portavasi in quei giorni alla novella chiesa per supplicare l'augusta Regina del Cielo a volerglisi dimostrare suo aiuto presso Dio. Giunto vicino alla sacrestia intese che fra le altre cose si difettava ancora d'un campanello per la porta della sagrestia. “ Se ottengo qualche sollievo nei miei mali, egli disse, provvederò immediatamente tale oggetto ”. Ciò detto entrò in chiesa, fece breve preghiera e con sua grande consolazione si trovò perfettamente guarito. Con trasporto di gioia compié sull'istante la promessa.

Mancavano le candele delle quali sarebbe stato grandissimo il consumo. Don Bosco aveva scritto tempo prima al sig. Gambone, ceraio, perchè facesse qualche offerta di cera alla chiesa di Maria Ausiliatrice, e ne aveva ricevuta la seguente risposta:

 

Torino, 16 aprile 1868.

 

Rev. Signore,

 

Come già ebbi ad osservarle, in queste disgraziate annate un padre di famiglia non può fare offerte alle chiese, come si fece nelli anni scorsi.

Molte chiese furono chiuse, le Corporazioni Religiose soppresse tolti i redditi ai Capitoli: tutto congiurò per rovinare li fabbricanti in cera; l'esazione poi è diventata una vera miseria, ed infatti mio figlio, giunto ieri, non portò dal suo viaggio io franchi e non so come finirà il viaggio della Lomellina.

In tale stato io sono nella dispiacenza di non poter fare per la sua Pia Società ciò che vorrei, ma non voglio rimanere estraneo dal concorrere in ciò che posso, e perciò resta stabilito che per cinque anni consecutivi ella avrà lo sconto del 10 % sulle mie parcelle a titolo di elemosina, tanto sulla cera che sulle candele milly da chiesa e ad uso famiglia.

Aggradisca, caro Don Bosco, li attestati della mia distinta stima.

 

Um.mo dev.mo Servo

GAMBONE.

 

Ma i donatori non mancarono. Il Cav. Oreglia riceveva da Firenze la seguente lettera:

 

Firenze, 29 maggio 1868

 

Amico pregiatissimo,

 

Aggiunsi ad una lettera di mia moglie un quesito a Don Bosco, al quale egli si compiacque replicare, è vero, con un consiglio che non appagava il mio desiderio, giacchè come fabbricante di cera per le chiese, amava che qualche face fabbricata nella mia fabbrica concorresse alla festa della nuova chiesa. Desideroso quindi che ciò avvenga la prevengo di avere oggi stesso spedito alla direzione di Don Bosco una discreta quantità di candele e candelotti che fra noi sarebbero usate ad ornamento degli altari e più particolarmente pei viticci che attorniano le immagini, le reliquie ed anche il SS. Sacramento. La prevengo adunque di questo invio pel caso che nella moltiplicità degli affari quel degno sacerdote dimenticasse di far ritiro della cassetta spedita alla di lui direzione.

Intanto sono a darle sempre discrete e soddisfacenti le nuove di Moma e assai migliori quelle della nipotina Montauto che accenna essere prossima alla convalescenza della migliare che l'affligge da 20 giorni, ed, ove questo, spero che effettueremo la nostra gita costà durante le feste con somma nostra reciproca soddisfazione.

Riceva i saluti di Moma, che meco conta sulle preghiere sue e di Don Bosco.

GHERARDO UGUCCIONI.

 

Un altro benefattore mandò candele per gli altari. Mancavano le candele piccole per le messe e una signora torinese le provvide. Furono pure un grazioso dono le torcie.

Lo stesso Sommo Pontefice aveva donato uno stupendo cereo lavorato con molta maestria, a Lui offerto dalla Basilica Lateranese, con queste parole scritte nel cereo stesso: S. Basilica Lateranensis caput et mater omnium Ecclesiarum, che è la medesima iscrizione che sta sopra la porta maggiore di quella veneranda Basilica. Così - commentava Don Bosco - i Salesiani e i loro giovani in certo modo avevano il Vicario di Gesù Cristo che teneva davanti all'altare maggiore una fiaccola accesa per ricordare che la loro fede per esser viva e fruttuosa deve sempre essere illuminata e guidata dal Vicario di Gesù Cristo.

Altri benefattori mandavano o promettevano offerte in danaro a favore della nuova chiesa.

 

Casale 3 giugno 1868.

 

M. R. e Ven.mo Sig. Don Bosco,

 

Fra pochi giorni sarà consecrata ed aperta al pubblico culto la nuova chiesa, che lo zelo e la pietà della S. V. M. R. ha saputo innalzare alla gran Madre di Dio, Maria Auxilium Christianorum.

In tale circostanza io raccomando alle preghiere di Lei la cara mia moglie, affinchè Dio, per intercessione della gloriosa sua Madre, la guarisca interamente dalle infermità che da parecchi anni la travagliano dolorosamente. Anche oggidì essa è inferma. Da otto giorni essa è costretta a tenere il letto, e trovasi assai prostrata di forze. La Vergine SS. non può negare a Lei l'invocata guarigione, a Lei che con tanto affetto e con tanta operosità ne promosse il culto e la venerazione.

Io spero tutto dalle preghiere di Lei, sempre però sottomettendomi alla volontà di Dio.

Dal canto mio io offro a benefizio della nuova chiesa, e pongo ai piedi della Madonna la somma di L. cinque mila (5000), che pagherò alla S. V. M. R. in cinque rate annuali, delle quali la prima entro il corrente anno, e le altre successivamente di anno in anno.

Degnisi Ella intanto di aggradire gli atti dell'ossequiosa mia stima e venerazione, e mi permetta di baciarle rispettosamente la mano, protestandomi,

Della S. V. M. R.,

Dev.mo Obbl.mo Servitore

FEDERICO CALLORI.

 

 

Le meraviglie della Madonna nel provvedere quanto occorreva pel divin culto non vennero meno neppure in tutto ciò che era necessario all'onesto sostentamento di que' giorni.

Molti personaggi, o perchè di rimoti paesi, o perchè impegnati nelle sacre funzioni, come i Vescovi e quelli che li assistevano nel servizio religioso, non potevano allontanarsi dall'Oratorio senza grave loro disturbo, ma la povera condizione rendeva Don Bosco incapace di provvedere quanto era necessario anche per tanti altri illustri invitati; ed ecco un agiato signore porre a sua disposizione posate, porcellane, cristalli e quanto faceva bisogno pel servizio di tavola.

Oltre a ciò bisognava preparare con larghezza pranzi per tutti, per il personale dell'Oratorio e per quello dei due collegi di Mirabello e di Lanzo, per i parrochi e gli altri sacerdoti che verrebbero numerosi dai loro paesi, per i musici esterni: non meno di 500 persone. Allo stesso modo conveniva trattare convenientemente i 1200 alunni presenti alle feste.

Come provvedere l'occorrente? Pii benefattori inviarono vino in botti e cassette di bottiglie del più prelibato, da paesi diversi e distanti, famosi per le vigne delle loro colline. Altri spedirono gran quantità di mortadelle da Bologna, e zamboni da Parma. Dalla Lombardia venne ogni specie di formaggio, e salami, frutti primaticci o confezionati, pollastri, uova, carne, caffè, cioccolato, zucchero, biscotti e pani di varia specie, che furono la provvidenza quotidiana per otto giorni. In un sol giorno giunsero da Milano, da Genova, da Torino tre eleganti e grosse focacce. Un confettiere della città volle somministrare gratuitamente per tutto l'ottavario confetti e dolci di ogni genere. Man mano che quelle offerte giungevano erano collocate ordinatamente in magazzini a ciò destinati. Quelli stessi che erano testimoni di tante provviste non sapevano darsene ragione, perchè non se n'era fatta domanda. Molti oblatori erano affatto sconosciuti e non ebbero mai alcuna relazione coll'Oratorio.

Un venerando prelato osservando la provenienza di tante svariate offerte ebbe ad esclamare commosso:

 - Chi dicesse che gli oblatori non siamo mossi dallo spirito del Signore, negherebbe la luce del sole in pieno mezzodì.

Mentre nelle sacrestie si benedicevano e si riponevano i paramenti ricevuti in dono, nella chiesa si collocavano al posto destinato le seguenti iscrizioni latine del prof. Tomaso Vallauri.

 

I.

Maria Augusta - cuius adumbratam imaginem - illustriores quaedam feminae apud hebraeos retulerunt - Mater christianorum indulgentissima divinae benignitatis thesaurum - in liberos suos effudit.

 

II.

Mariae patrocinio - saepe hostes christiani nominis sunt profligati - sed praesens eius auxilium - in navali certamine ad Naupactum maxime eluxit - quum per hispanos allobroges venetos - Turcarum copiis disiectis - Pius V Pont. Max. victoriae auspex - Mariam Auxilium Christianorum - iussit appellari.

 

III.

Ad delendam maculam - navali pugna susceptam - infesto exercitu Vindobonam Turcae obsident - an. MDCLXXXIII - christiani principes - auctore Innocentio XI Pont. Max. - socia arma iungunt - ceteris potior insperato adest Ioannes Sobieskius - Polonorum rex - commisso proelio barbari fugantur funduntur - magna pars vulneribus confecti procumbunt - ferociam in vultu adhuc retinentes.

 

IV.

Eius victoriae ergo - et Augustae Taurinorum et Monachi in Vindelicis - sodales creati Mariae Adiutricis - inter quos viri ex omni Ordine spectatissimi - certatim student referri.

 

V.

Pius VII Pont. Max. - ad propagandam memoriam diei VIII cal. junias - quo Virginis Matris Auxilio - ex Savonensi captivitate est liberatus - diem festum instituit nomini recolendo - Mariae Sanctae Adiutricis Christianorum.

 

VI.

In sacrario apud Spoletinos - iam inde ab ann. MDLXX - imago Mariae opiferae fuerat depicta - post diuturnam oblivionem - puer quinquennis visu admonitus - XIV cal. apriles an.MDCCCLXII - aediculani rimis fatiscentem - in hominum memoriam revocat - exinde

innumera prodigia - vim Mariae numenque declarant - maximum templum ab inchoato excitatum - ad quod magnus undique adorantium numerus - quotidie confluii.

 

VII.

Heic ubi martyrium fecerunt  seculo III christiano - Octavius et Adventor milites legionis Thebaeorum - Taurinenses divino tantum numine et auxilio confisi - templum difficillimis temporibus extruendum curavimus - in honorem Mariae Adiutricis Christianorum - quod iacto lapide auspicali - inchoatum V cal. maias an. MDCCCLXV - solemnibus caeremoniis rite consecratum est - VII idus iunias an. MDCCC LXVIII - XXII sacri principatus Pii IX Pont. Max.

 

 

Eccone la traduzione.

 

I.

Maria V. Augusta - la cui figura adombrarono - molte illustri donne ebree - madre provvidentissima de' cristiani - diffuse ne' suoi figli - i tesori della bontà divina.

 

II.

Col patrocinio di Maria - furono sbaragliati spesso i nemici della cristianità - ma il potente di lei aiuto - rifulse principalmente - nella navale battaglia di Lepanto - quando dagli Spagnuoli Savoiardi e Veneti - dispersa l'armata de' Turchi - Pio V Pontefice Massimo auspice della vittoria - chiamò Maria - Aiuto dei Cristiani.

 

III.

Per cancellare l'ignominia della sconfitta navale - i Turchi ferocemente assediano Vienna - l'anno MDCLXXXIII - I principi cristiani ad esortazione del Pontefice Innocenzo XI - s'uniscono i alleanza - e primo appare Giovanni Sobiescki - Re di Polonia - Nella pugna i barbari son vinti dispersi - molti per le ferite cadono in campo - ritenendo ancor sul volto la ferocia.

 

IV.

Per tal vittoria - e in Torino e in Monaco di Baviera - si formarono sodalizi di Maria Ausiliatrice - Ad essi - uomini di ogni ordine ragguardevolissimi - a gara cercano d'essere ascritti.

 

V.

Pio VII Pont. Mass. - per tramandare la memoria del XXIV maggio - in cui per l'aiuto di Maria - fu liberato dalla prigionia di Savona - istituì la festa - di Maria SS. Aiuto dei Cristiani.

VI.

In una cappella presso Spoleto - già fin dall'anno MDLXX era stata dipinta un'immagine di Maria - Dopo lunga dimenticanza - un fanciullo cinquenne per visione celeste - addì XIX marzo MDCCCLXII - richiama alla memoria degli uomini - la chiesuola in rovina - Quindi innumerevoli grazie - palesano la gran potenza di Maria - ed è innalzato un magnifico tempio - a cui gran numero di divoti - da tutto il mondo ogni dì concorrono.

 

VII.

Qui dove ebbero il martirio - nel terzo secolo di Cristo - Ottavio ed Avventore soldati della legione Tebea - noi Torinesi unicamente confidando - nella potenza ed aiuto di Dio - abbiamo in difficilissimi tempi eretto un tempio - a onore di Maria Aiuto dei Cristiani. - Messane la pietra fondamentale - addì XXVII aprile dell'anno MDCCCLXV - fu esso con tutta pompa solennemente consecrato nel giorno IX giugno MDCCCLXVIII - anno vigesimo secondo del pontificato di Pio IX.

E non si creda che Don Bosco guardasse solo ai preparativi materiali; egli adoperavasi soprattutto poichè le feste fossero celebrate col massimo splendore dei sacri riti, sicchè il popolo ne restasse edificato; e ne incaricò i cerimonieri che vari e valenti aveva l'Oratorio. Quindi la Compagnia del Piccolo Clero molto numerosa, i chierici ed anche i preti venivano esercitati nelle sacre cerimonie delle funzioni solenni, specialmente in quelle dei Pontificali. Queste cerimonie eran loro famigliari, perchè tutti i giovedì dell'anno si doveva tenere questa scuola, la quale aveva avuto da Don Bosco le sue regole pratiche:

“ 1° Ciascuno abbia il suo libro delle rubriche;

” 2° Sia avvisato otto giorni prima su quale uffizio deve prepararsi per le prove nella scuola.

” 3° Per questo fine dalle nove e mezzo alle dieci antimeridiane vi sia studio anche per i chierici.

” Pel servizio delle messe solenni :

” 1° ciascuno sia avvisato il giorno avanti su quale ufficio deve prepararsi.

” 2° Si stabilisca l'ora precisa di trovarsi in sacrestia. ”

Allo stesso scopo più di 400 cantori si esercitavano gran parte del giorno ad eseguire svariati pezzi di musica, insieme con molti maestri di canto e distinti dilettanti della città; e spontaneamente convenivano alle prove generali pure i più celebri musicanti di Torino. La musica della guardia nazionale, con generosità veramente degna di cuori disinteressati, offerse l'opera sua per la messa solenne del mercoledì 10 giugno e per altre funzioni. Perciò domandò al Municipio e ottenne benevolmente che fossero mutati il giorno e le ore del pubblico e ordinario servizio.

Anche nel cortile si preparavano le bandiere che dovevano sventolare alle finestre; i lumicini per la generale illuminazione; i banchi ornati per la fiera, nella quale si sarebbero posti in vendita libri, graziosi oggetti di chincaglieria e cartoleria, oggetti di divozione, e cravatte, colletti e via discorrendo, un vero bazar di tutto ciò che poteva tornar caro ai giovani compratori. Anche una sala per un buffet si stava ordinando, per la vendita di caffè, acque gazose e birra, per soddisfare gli alunni e i loro parenti.

Don Bosco aveva scritto lettere d'invito a Mons. Riccardi di Torino, Mons. Ghilardi di Mondovì, Mons. Formica di Cuneo, Mons. Rota di Guastalla, Mons. Galletti d'Alba, Mons. Jans d'Aosta, Mons. Gastaldi di Saluzzo, Mons. Ferré di Casale, Mons. Balma, Vescovo di Tolemaide i. p. i.; e a quanti aveva benefattori ed amici, e a personaggi eminenti nella città e nello stato. Scegliamo una sola lettera di risposta a questi inviti.

 

CASA DI S. A. R. IL DUCA D'AOSTA

Torino, 8 giugno 1868.

UFFICIO DEL GRAN MASTRO

 

M. R. Sig. Teologo,

 

L'annuncio della consacrazione della nuova chiesa erettasi in Valdocco, ponendo la prima pietra S. A. R. il Duca d'Aosta, fece: all'A. S. la pi√π gradita impressione.

L'Augusto Principe m'incarica di porgerne a Lei che con tanto zelo condusse a fine rapidamente un'opera così pietosa, i suoi più sinceri rallegramenti, e di ringraziarlo ad un tempo del gentile pensiero avuto nell'annunciarle tale consacrazione.

S. A. R. procurerà certamente di trovar modo di recarsi uno di questi giorni in forma affatto privata a visitare la sua chiesa e dove mi sia possibile non mancherò di renderne in tempo avvertita la S. V. M. R.

Gradisca intanto l'espressione dei sentimenti rispettosi coi quali mi dico,

Della S. V.,

Dev.mo Servo

R. MORRA

1° Aiutante di Campo di S. A. R.

 

Cogli inviti alla festa, il Servo di Dio continuava a distribuire litografie in nero e a colori del quadro del Lorenzone, come pure le medaglie, fatte coniare a Roma e da lui benedette, coll'effigie di Maria Ausiliatrice. Gli effetti meravigliosi di queste, si possono argomentare dalla domande che ne facevano i fedeli. Le prime distribuite furono più migliaia in poco tempo; e ben presto raggiunsero le centinaia di migliaia ogni anno; e dopo la morte di Don Bosco annualmente se ne distribuì un milione, delle quali, dopo che erano state benedette, faceva spedizione il capo del magazzeno, Giuseppe Rossi, come egli ci assicurava nel 1904, mentre continuavano incessanti tali richieste.

In fine il Venerabile aveva pregato i signori della prima nobiltà di Torino a volersi prestare per fare la questua alla porta della chiesa: ed essi avevano acconsentito volenterosamente. Scriveva al conte di Viancino:

 

Torino, 6 giugno 1868.

 

Car.mo sig. Conte,

 

Credo che avrà ricevuto il programma della consacrazione della chiesa. Dal 9 al 17 del corrente Ella sarà padrone di nostra casa con preghiera che si fermi con noi a pranzo quel maggior numero di giorni che potrà. Mi rincresce che la nostra posizione non ci incoraggisca ad invitare anche la signora Contessa di Lei moglie; ma spero che se non un pranzo almeno la refezione del mattino la vorrà gradire. Ella però avrà il suo da fare: il Barone Bianco conta sopra di Lei per essere qualche poco rimpiazzato a collettare alla porta della chiesa. Che ne dice? Più cose ci diremo di presenza.

Dio benedica Lei, caro sig. Conte, benedica la signora di Lei moglie, prosperi le sue campagne e li conservi costanti ambedue per la via del Cielo. Amen.

Preghi per la povera anima mia e mi creda nel Signore

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco Gio.

 

Fra tanti apparecchi di festa, mentre la gioia più soave inondava nell'Oratorio tutti i cuori e la Vergine SS. sorrideva con mille favori ai suoi divoti, veniva consegnata a D. Bosco una lettera di Mons. Lorenzo Renaldi, Vescovo di Pinerolo. Il Prelato diceva di non potergli fare la Commendatizia favorevole all'approvazione della Pia Società e mentre annunciava al Servo di Dio il suo rifiuto, nello stesso tempo trasmetteva un suo foglio al Card. Angelo Quaglia, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari.

 

Pinerolo, addì 6 giugno 1868.

 

Eminenza Rev.ma,

 

L'egregio sacerdote Don Giovanni Bosco, Rettore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, benefattore di poveri giovanetti in Torino, mi richiese di una commendatizia presso la S. Sede per ottenere l'approvazione della Società di S. Francesco di Sales giusta gli statuti presentati. Risposi di non essere in grado di assecondare il desiderio di lui, esprimendo i motivi del mio dissenso, che giudico opportuno svolgere eziandio in questa mia lettera che sottopongo all'Eminenza Vostra Rev.ma.

Mi associo a tutti che commendano la beneficenza dell'operoso ed infaticabile sacerdote Don Giovanni Bosco. L'accoglimento di tanti poveri abbandonati fanciulli, il nutrimento che loro porge, la cristiana educazione che procura dar loro sono meriti superiori ad ogni encomio, massimamente allora che la schiettezza e la ferma sincerità nella fede si associi all'utile insegnamento di quelle arti e mestieri in cui poscia quei giovani si eserciteranno per vantaggio proprio e delle loro famiglie, senza accrescere il numero di tanti sciagurati

esseri, che insofferenti della loro condizione, senza avere i pregi che si richiederebbero, si slanciano avidamente e con molte pretese tenaci, intolleranti, arditissimi, fuori del proprio stato. In ciò dunque l'opera del sacerdote Don Bosco merita ogni appoggio ed ogni encomio.

Riguardo però alla educazione ed istruzione dei chierici e a formare della sua casa, e dell'Oratorio intitolato a S. Francesco di Sales un seminario di sacerdoti per Torino e le altre diocesi, almeno per ora, dell'antico Piemonte: in massima io sono del parere affatto contrario e, rispettando quello dei miei colleghi che vi acconsentissero, non vi acconsentirei mai.

Non entro nelle condizioni speciali di tale educazione, quand'anche questi giovani da consecrarsi al sacerdozio potessero essere educati alle più schiette ed alle più belle virtù del sacerdozio, quand'anche potessero progredire debitamente negli studii; bensì io guardo all'obbligo che ha il Vescovo, giusta le sapientissime prescrizioni del Concilio Tridentino, di attendere egli e per mezzo di persone scelte da lui, e che può mutare ad ogni occorrenza, all'educazione del suo clero; e di prendere ad ogni uopo le necessarie informazioni, e di provvedere con esatta cognizione di causa così all'accettazione come all'allontanamento degli individui, all'indugiare o no la sacra Ordinazione, ed a emettere, giusta i Canoni e le circostanze, le necessarie provvidenze.

Una dolorosa esperienza prova costantemente che i sacerdoti non educati dal proprio Vescovo obbediscono ad un'altra autorità che non è la sua e si schermiscono in mille guise dalla dovuta soggezione; o se non si oppongono apertamente, lo fanno di soppiatto.

Non parlo di patrimoni ecclesiastici, non parlo della continua limitazione assegnata nelle Regole proposte di obbedire al Vescovo, prout Regulae Societatis patientur; non parlo di tutti gli esami, di tutto l'indirizzo, di tutta l'ingerenza di cui dovrebbe spogliarsi ogni Vescovo per mettersi nelle altrui mani; non parlo di innumerevoli altre conseguenze, non liete per un Vescovo bramoso di adempiere il suo dovere e di esercitare la sua dignità, conseguenze che emergerebbero dalle applicazioni di quelle Regole e che saranno già state da altri avvertite; mi basta di avere ciò accennato sommariamente e fuggitivamente per conchiudere che, lodando in tutto il resto la carità esercitata dall'operoso sacerdote Don Bosco nello accogliere ed istruire tanti e tanti infelici, non potei sottoscrivere al voto di mettere anche nelle sue mani la educazione del giovane clero.

Si fanno, è vero, ogni dì più gravi le nostre condizioni, ma faremo ogni nostro sforzo possibile e la grazia del Signore ci aiuterà; andremo a vivere, se fa d'uopo, nei Seminarii coi nostri Chierici; convertiremo in Seminario i nostri Episcopii, ma non ci spoglieremo giammai di questo diritto paterno di educare il nostro giovane clero, diritto e dovere conceduto a noi e saviamente e ripetutamente prescrittoci dai Pontefici, dai Concilii, dai decreti e  canoni loro, compendiati con sublimi e vive parole dal Concilio Tridentino.

Sia che direttamente od indirettamente si tenda a togliere o scemare all'Episcopato questo suo importantissimo uffizio, crede di dover resistere sempre chi ha l'onore di essere col pi√π profondo ossequio e con ogni venerazione,

Di V. Eminenza Rev.ma,

Um.mo Obbl.mo Servitore

LORENZO, Vescovo di Pinerolo.

 

Evidentemente il Vescovo di Pinerolo non aveva compreso le nostre Regole: poiché, parlando dell'educazione del giovane clero, queste volevano significare essere scopo della Pia Società Salesiana, al pari dell'educazione dei giovani poveri ed abbandonati negli Oratori Festivi e nelle Scuole d'Arti e Mestieri, anche il preparare nuove reclute ai Seminari mediante i nostri Collegi con scuole ginnasiali; e Don Bosco noti pensò mai a soppiantare i seminari. Eppure da taluni male interpretavasi questa sua provvidenziale carità, la quale, in quegli anni, si protrasse pel suo zelo anche per il tempo degli studii filosofici e teologici, affinchè le Diocesi del Piemonte fossero provviste di clero istruito ed esemplare, quando i Seminari diocesani erano chiusi.

Ben diverso però era il giudizio che dava di Don Bosco e della Pia Società Salesiana chi era meglio al corrente del loro spirito, Mons. Lorenzo Gastaldi, Vescovo di Saluzzo.

 

A Sua Em. Rev.ma il Card. Prefetto delta S. Congregazione dei Vescovi e Regolari.

Saluzzo, 25 Maggio 1868.

 

Eminenza Rev.ma,

 

Dichiaro io sottoscritto di aver piena cognizione dell'Istituto fondato e diretto dal M. R. Sig. Don Giovanni Bosco nativo del comune di Castelnuovo, diocesi di Torino, perchè io stesso vidi nascere e progredire questo Istituto sotto i miei occhi, e ne vidi a crescere i frutti preziosi di dottrina e virtù cristiana.

L'Istituto suddetto, nella sua Casa principale a Torino e negli Oratorii da esso aperti e diretti, rappresenta alla lettera lo stesso spettacolo di pietà, che porgevano a Roma gli Oratorii aperti da S. Filippo.

Il numero prodigioso dei giovani che frequentano questi Oratorii, l'attitudine e disposizione che quivi essi acquistano alla pietà ed a tutte le pratiche cristiane, la perseveranza nello spirito cristiano, che la maggior parte dei giovani quindi usciti conservano, il loro affetto tutto singolare che, sia al sig. Don Bosco, sia ai suoi compagni nel sacerdozio dimostrano e che conservano anche da lungo tempo usciti dagli Oratorii, dimostrano e provano ad evidenza, che quivi il misericordioso Iddio spande in misura sovrabbondante le sue benedizioni, e che quivi vi ha una missione particolare in vantaggio della gioventù.

Questa benedizione risulta pure dalle vocazioni allo stato ecclesiastico, che quivi si sono svegliate; locchè fece sì che dall'anno 1848 al 1863, nel qual tempo il Seminario Arcivescovile di Torino rimase chiuso, l'Oratorio di Don Bosco che nel suo Collegio Convitto conta circa 800 giovani, fornì ed educò i Chierici alla Diocesi di Torino: del che S. E. Mons. Fransoni esprimeva al sottoscritto le sue compiacenze, mentre gemeva nel suo esiglio di Lione ed era dal sottoscritto visitato.

Ma il sig. Don Bosco non avrebbe potuto fare che una parte menoma di tanto bene, ove non si fosse unito a tempo dei compagni, e non avesse formata una Società di Chierici e Sacerdoti, i quali sotto la sua direzione esercitassero la carità con quei giovani sovrammenzionati.

Ora il sottoscritto dichiara, che esso vide formarsi e crescere questa Società, ne vide le Regole, ne vide il risultato. Vide che con l'osservanza di queste Regole si mantenne costantemente in essa lo spirito di obbedienza, sottomessione, umiltà, pietà, concordia, pace e carità. Trovò mai sempre nei membri formanti questa Società, come una sola mente ed un cuore solo. Vide come per miracolo sorgere in seno alla medesima una chiesa colossale che forma la meraviglia di chi la esamina, e che per la spesa di oltre a un mezzo milione di lire sostenuta da poveri sacerdoti nulla tenenti, è come un portento, il quale prova che Iddio benedice questa Società.

Il sottoscritto pertanto non può a meno di fare voti perchè questa Società insieme con le sue regole venga approvata da Sua Santità, ed eretta alla classe di Ordine religioso, confidando che quindi ne verrebbe del gran bene alle anime, al clero, alla Chiesa in generale, ma in ispecie alla gioventù, la quale abbisogna oggidì più che mai di ottimi educatori; e quindi abbisogna di Ordini religiosi, che ne prendano cura con quello spirito di carità, discrezione, pazienza, col quale da molti anni ne prende cura la Società istituita e diretta dal detto sig. Don Giovanni Bosco.

Il sottoscritto passa a dichiararsi col pi√π profondo rispetto, e baciandole umilmente la sacra porpora,

Di V. E. Rev.ma,

Obbl.mo e osseq.mo Servitore

LORENZO, Vescovo di Saluzzo.

 

Anche l'Arcivescovo di Pisa aveva mandato la sua Commendatizia direttamente a Roma; ma di essa non abbiam potuto rintracciar copia.

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