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Capitolo 13

Compra del campo dei sogni - Trattative con Rosmini per un imprestito e disegno di una fabbrica in Valdocco - Don Bosco per la seconda volta a Stresa - A Castelnuovo - Indulgenze per la Cappella dei Becchi - Lettera di D. Bosco al Teol. Borel - Cagliero Giovanni incontra D. Bosco.


Capitolo 13

da Memorie Biografiche

del 24 novembre 2006

Nei mesi precedenti D. Bosco non aveva perduto di mira le proposte fatte all'Abate Rosmini. Perciò il 20 giugno, con atto rogato Turvano, faceva acquisto dal Seminario di Torino di una giornata di terreno (38 are), coltivato a orto e di forma triangolare, per il prezzo, di lire 7.500. È quel sito medesimo, dove dopo altre rivendite e compere, sorgono oggidì la Chiesa di Maria Ausiliatrice e i laboratorii della tipografia coll'annesso cortile.

Il Padre Gilardi Carlo aveva intanto scritto da Stresa a D. Bosco, accondiscendere volentieri l'Abate Rosmini alla sua domanda di dargli una somma ad imprestito. D. Bosco così rispondevagli:

 

Ill.mo Signore,

 

Con grande soddisfazione ho ricevuto la compitissima lettera di V. S. Ill.ma esprimente i sentimenti del Rev.mo Sig. Abate Rosmini, e mi tornò tanto più di gradimento, perchè l'offerta superò l'aspettazione mia.

Accetto pertanto l'imprestito di ventimila franchi da impiegarsi nell'edifizio già da noi nominato, dandone assicurazione ipotecaria e riserbandoci a tempi migliori il venire a determinazioni analoghe ai tempi, ai luoghi ed alle persone. Siccome però presentemente sono assai aggravato dai fitti, così chiederei solo mi venisse condonato l'interesse per tre anni, finchè andando al possesso del nuovo Oratorio resti scaricato in parte del fitto presente. Questo dico soltanto per convenienza, non come condizione di contratto, giacchè io gradisco la proposta anche senza ulteriori vantaggi.

Per intenderci adeguatamente, scorgendo necessaria la presenza di ambe le parti, aspetterò solamente che sia terminato il disegno già incominciato della nuova fabbrica per portarlo personalmente costà ed avere cosi i savi pareri del Chiar.mo Sig. Abate Rosmini.

Faccia gradire i sentimenti della pi√π viva gratitudine al veneratissimo suo Superiore e nella speranza che quel Signore il quale dispose venissero cominciate le nostre trattative, le voglia compiere a sua maggior gloria e a vantaggio spirituale delle anime nostre e altrui, mi reputo ad onore il potermi dichiarare

Di V. S. Ill.ma

Torino, 13 luglio 1850.

Um.mo Servitore amico

D. BOSCO GIO.

Capo dei Biricchini.

 

Il Padre Gilardi, come procuratore de' Rosminiani, così rispondeva al Direttore del pio Ricovero in Valdocco:

 

 

Stresa, 26 luglio 1850.

 

Premesse le debite scuse per avere sin qui tardato a rispondere alla gentilissima sua del 13 corrente, il mio Rev.mo P. D. Antonio Rosmini non potrebbe nè  meno nei primi tre anni privarsi del frutto del capitale inteso; potrebbe però accordarle di dilazionarne oltre ai tre anni il reale versamento dietro dei vaglia, o pagherò, come li chiama, ch'Ella gli farebbe intanto.

Il Rev.mo Sud. con molto piacere ha inteso la sua determinazione di venir presto a vederci e desidera che troppo non indugi, anche per questo che la pecunia sarebbe quasi tutta pronta da mettersi quandochessia a di Lei disposizione ecc. ecc.

C. GILARDI P.

 

D. Bosco gli riscriveva:

 

Car.mo Sig. D. Carlo,

 

Temo che il mio ritardo a recarmi a Stresa cagioni qualche incertezza riguardo alla nostra intelligenza; perciò reputo bene lo scrivere a V. S. Car.ma e significarle che l'unico motivo di questo mio ritardo si è l'aspettazione del piano e del disegno della casa da fabbricarsi. Il Sig. Bocca mi ha assicurato che nella corrente settimana finisce il desiderato lavoro, sicchè nella ventura prossima spero di potermi recare a Stresa. Però, dovendo il 9 settembre essere impegnato per una muta di Spirituali Esercizii, ne avverrà che se non vado nella prossima settimana, non ci potrò fino al 16 del venturo settembre.

Egli è questo il motivo per cui non ho potuto effettuare la mia gita a Stresa, come desiderava. Onde La prego a farmi scusato presso il Rev.mo Sig. Abate Rosmini e di accertarlo che sono tuttora nella medesima determinazione.

Mentre, coi sentimenti della massima venerazione, mi reputo a grande onore il potermi dire di tutto cuore in Domino

Di V. S. Ill.ma e Car.ma

Torino, 27 agosto 1850.

Obbl.mo Servitore

D. BOSCO GIO.

 

Il 16 settembre adunque del 1850 D. Bosco partiva da Torino per Stresa. Andava per intendersi intorno ad affari ed a costruzioni; ma nello stesso tempo voleva osservare meglio il regolamento e il metodo disciplinare di quella casa, che era la principale della Congregazione dei preti della carità, ed il noviziato.

Giunto a Santhià verso mezzanotte confessava il conducente della diligenza; quindi, toccata Vercelli e Novara, scendeva ad Arona. Aveva fatto disegno di recarsi a Stresa sul battello. All'ufficio della diligenza però trovava il Marchese Arconati, suo amico e benefattore dell'Oratorio, il quale gli propose di lasciare la via per acqua e di salire sulla propria carrozza, poichè egli lo avrebbe accompagnato. Con ciò sperava che il viaggio riuscirebbe meno penoso per D. Bosco. In questa stessa occasione il Marchese proponeva una visita ad Alessandro Manzoni. D. Bosco accettò il cordiale invito. Attaccati i cavalli in breve tempo giunsero a Lesa, ove in quella stagione dimorava Manzoni in villeggiatura. Furono accolti con ogni cortesia, ed ivi D. Bosco fece il dejuné col grande scrittore, che aveva seco alcuni parenti, e che gli fece vedere i suoi manoscritti tutti scarabocchiati per le tante correzioni. D. Bosco col Manzoni non ebbe altro contatto in sua vita che la fermata di quelle poche ore; ma tanto gli bastava perchè sempre più si persuadesse la semplicità nello scrivere essere frutto di lunghi studii.

Ripartito col Marchese, fu condotto a Stresa, ove venne accolto con mille feste dall'Abate Rosmini e da' suoi religiosi, che si compromettevano di averlo poi sempre per confratello. Quivi dimorò soli cinque o sei giorni ed ebbe lunghi trattenimenti coll'Abate. Si parlò eziandio dei beni Ecclesiastici, avidamente insidiati. Vedevasi chiaramente che le antiche forme degli Ordini religiosi non potevano più sussistere di fronte alle usurpazioni che i Governi minacciavano alle loro proprietà collettive. Bisognava adunque trovar modo di assicurare l'esistenza di una società in maniera che un Governo si trovasse di fronte al diritto comune dei singoli cittadini e nel tempo stesso che durasse il sacro legame dei voti. Don Bosco aveva sciolto il problema nella sua mente, ma l'Abate Rosmini era stato fra i primi a conciliare nelle regole della sua Istituzione il voto di povertà col possesso personale. Esso presentò adunque a D. Bosco le Costituzioni dei Preti della Carità, narrandone la storia, le ragioni, e l'approvazione ottenuta da Roma. Egli aveva stabilito che ogni membro mantenesse il dominio de' suoi beni al cospetto della autorità civile, ma non potesse alienarli, o disporne in altro modo senza il consenso del superiore; e così mentre il voto di povertà rimaneva essenzialmente salvo, si evitavano i pericoli della proprietà collettiva. La cosa pareva in sul principio così nuova, che la Congregazione romana, a cui era raccomandato l'esame delle costituzioni, aveva mosse gravi difficoltà. Ma avendo egli fatto osservare, l'essenza della virtù stare nell'anima e non nelle cose di fuori, e la povertà religiosa consistere nel distacco da ogni affetto alle ricchezze e nella pronta disposizione di privarsene, e professare la povertà effettiva, quelle ottennero approvazione. - E concludeva: - La nostra Congregazione non sarà mai soppressa, perchè non vi è nulla da guadagnare!

A Stresa accadde un fatto degno di essere ricordato. Una ricca e colta signora, Anna Maria Bolongaro, aveva donato all'Abate Rosmini una villa delle meglio situate sulle sponde del Lago Maggiore, con annesso giardino e piccolo bosco. Siccome molti dotti venivano a visitarlo per conoscerlo di persona, per conferire con lui, per udire i suoi ammaestramenti, egli, per non cagionar disturbi nella casa di noviziato, aveva trasferito in quest'anno la sua dimora in quel palazzo. Quivi i suoi ospiti si raccoglievano a scientifiche disputazioni, e con agio maggiore vi erano albergati. Abitando D. Bosco nel Convento, Rosmini un giorno lo invitò a pranzo a casa di Donna Bolongaro, ed egli accondiscendendo si trovò in un convegno di scienziati e di filosofi di quel tempo, parte dei dintorni, parte venuti da lontano. I commensali erano circa trenta e fra questi Nicolò Tommaseo, il poeta e romanziere Grossi, il napoletano Roggero Bonghi, e il medico Carlo Luigi Farini di Russi; e altri che poi figurarono nelle rivoluzioni italiane. Farini aveva pubblicato la Storia dello Stato Romano, e parve moderato nei giudizii. D. Bosco aveva letto questo volume, ma non ne conosceva l'autore e molto meno sospettava che si trovasse presente al convegno.

A mensa ragionossi di argomenti politici e religiosi; ma i giudizii emessi dai commensali non erano molto retti. Da tutti si zoppicava verso il liberalismo nel vero senso odierno della parola; si criticavano le disposizioni della Corte romana, e si lodavano quei Governi d'Italia, che con atti illegittimi avevano posto ostacolo ai diritti della S. Sede.

L'Abate Rosmini non mostrossi contrario a qualcuna di quelle osservazioni che riguardavano la politica, e D. Bosco avendo tutto il suo cuore attaccato alla S. Sede, ed al Papa in modo speciale, ne era grandemente disgustato; trovandosi però in casa altrui fra uomini in fama d'essere consumati negli studii, ascoltava senza proferir parola. Ad un certo punto si venne a parlare delle nuove relazioni della Chiesa collo Stato in Piemonte; si prendevano le difese dell'Opuscolo di Rosmini La Costituzione secondo la giustizia sociale, stampato nel 1848 e proibito dalla Sacra Congregazione dell'Indice; si parlava anche delle elezioni dei Vescovi da rimettersi ai comizii del clero e del popolo. Quelle discussioni si erano accese in modo che uscivano dai limiti del discorso tra vicino e vicino. D. Bosco stava come persona che non s'interessa di ragionamenti altrui. Rosmini a un tratto fa cenno ai convitati di parlare più sommessamente e poi di smettere, e sottovoce disse a Bonghi: - C'è Don Bosco! - Ma Bonghi con giovanile insolenza rispose a Rosmini, credendo che D. Bosco non l'udisse: - Non capisce nulla quell'imbecille! - D. Bosco simulò di non avere inteso quell'insulto; ma Rosmini, cui tali discorsi non garbavano, e che sapeva quanto valesse D. Bosco, era soprappensiero. Ed ecco in sul levar delle mense aggirarsi i discorsi sulla storia dello Stato Romano del Farini, che allora allora era stata data alla stampa. Rosmini avendo osservato come D. Bosco fosse rimasto taciturno in tutto il tempo del pranzo, lo invitò ad esporre anch'egli qualche sua idea. Don Bosco annuì volentieri, perchè la palla gli veniva al balzo. Senza acrimonia, ma con franchezza, in mezzo alla curiosità universale, osservò che la storia di Farini non era degna di gran lode e per certe inesattezze storiche e per il disonore che talora versava sopra il dominio temporale dei Papi; dimostrando di conoscere a fondo gli scritti di Farini. Tutti i convitati si misero a ridere per quella critica inaspettata, approvando con arte quanto diceva, ed incitandolo a continuare le sue osservazioni. D. Bosco non sospettando di nulla, proseguiva. Quando si trattava dell'onore della Chiesa e del Papa non transigeva. Farini impassibile in volto, taceva; gli altri si prendevano un matto divertimento di quell'incidente. Finalmente pensate qual fu la sorpresa di D. Bosco allorchè gli fu detto: - Conosce lei il dottor Farini?

- Non lo conosco!

- Eccolo! ho l'onore di presentarglielo. - D. Bosco non si turbò; salutò cortesemente Farini, gli domandò scusa, dichiarando che non aveva intenzione di offendere alcuno; e mantenne il suo detto, continuando a fargli notare con bel garbo come fosse caduto in parecchi grossi errori nel capitolo dei Casi di Romagna. Tutti credevano che Farini se ne adontasse, andasse in collera e si difendesse; ma egli mostrò invece di gradire molto quella critica assennata, e ringraziò Don Bosco, dicendogli: - Si vede che lei è pratico e conosce bene la storia; mi piace la sua schiettezza: nessuno finora mi fece mai queste osservazioni.

Lo stesso Rosmini rimase stupito del coraggio di D. Bosco e quando fu solo con lui esclamò: - Io non mi sarei azzardato di dire a Farini tali cose. - Un altro aveva ammirato D. Bosco; Nicolò Tommaseo.

Sul finir di quella settimana D. Bosco ritornò a Torino sulla diligenza, poichè alla domenica voleva trovarsi in mezzo a' suoi giovani dell'Oratorio festivo.

Di qui sul finir di settembre prendeva le mosse per Castelnuovo. Non dimentichiamo le fatiche da lui sopportate in quest'anno, facendo scuola continuata di lingua latina ai quattro giovani Buzzetti, Gastini, Bellia, Reviglio. Ed ora li conduceva con sè  ai Becchi per la festa del S. Rosario, che doveva celebrarsi con speciale solennità per i favori spirituali chiesti e concessi dal Papa; ed eziandio perchè avessero un po' di sollievo, veramente meritato con l'intensa applicazione allo studio, di cui abbiamo detto nel volume precedente. Con questi conduceva con sè  varii altri suoi alunni.

Nei paesi pei quali transitava andando o ritornando dalla casa paterna, s'intratteneva colle persone che incontrava, e dopo aver con affabile interesse chieste notizie delle campagne

 

 

 

Nella borgata di Castelnuovo della Diocesi di Torino havvi una Cappella nella quale si celebra la S. Messa e si dà la Benedizione col SS. Sacramento. Sembrerebbe all'Oratore D. Giovanni Bosco che per accrescere la divozione de' fedeli accordasse V. Santità le seguenti grazie spirituali:

1° Indulgenza parziale di 300 giorni a chiunque interverrà alla predica e benedizione nei giorni della novena di Maria SS. del Rosario, che suol praticarsi in detta Cappella;

2° Indulgenza plenaria a tutti quelli che confessati e comunicati visiteranno detta Cappella, pregando secondo l'intenzione del Romano Pontefice per i bisogni di S. Chiesa.

Che della grazia ecc.

 

Ex audientia SS. - Die 28 Septembris 1850.

 

Sanctissimus Dominus Noster Pius Divina Providentia Papa IX Oratoris precibus per me infrascriptum relatis benigne annuit iuxta petita, absque ulla Brevis expeditione.

 

DOMINICUS FIORAMONTI

SS. D. N. ab Epistolis Latinis.

 

Beatissimo Padre,

 

Il Sacerdote Torinese G. Bosco, Direttore degli Oratorii sotto il titolo del santo Angelo Custode, di S. Luigi Gonzaga, e di S. Francesco di Sales stabiliti in Torino per istruire nella religione e nella pietà la gioventù abbandonata, supplica Vostra Santità a volersi degnare di accordargli

 

non ommetteva di insinuare nel discorso qualche richiamo spirituale: -Che bella cosa è il paradiso; ma non è fatto per i minchioni... e coraggio. - Altre volte diceva: - Che bella cosa quando vedremo Dio faccia a faccia. - Sovente si udiva ripetere: - Mandate i vostri figliuoli al catechismo ed ai Sacramenti? - Abbiate piena fiducia nella nostra buona madre Maria SS. - Fuggite il peccato se volete che Dio benedica i vostri campi e i vostri vigneti. - Il suo parlare era una predica continua, qualunque fosse l'affare che aveva tra le mani. A Buttigliera tutti ricordano ancora le parole dette da D. Bosco or all'uno ora all'altro in questa occasione.

Giunto ai Becchi non tardava a scrivere una lettera al Teol. Borel, sempre pronto a vegliare sull'Oratorio quando l'amico se ne allontanava.

 

Car.mo Sig. Teologo,

 

All'occasione che Comba si porta a Torino per alcune commissioni, non stimo far cosa discara il darle alcune delle nostre nuove.

Da cinque giorni che son qui parmi aver molto acquistato in salute, però non con quella solita abbondanza degli

 

 

almeno ad triennium la facoltà di benedire corone, crocifissi, medaglie, colle applicazioni delle sante indulgenze.

Che della grazia ecc.

 

Ex audientia SS. - Die A Septembris 1850.

 

Sanctissimus Dominus Noster Divina Providentia Pius Papa IX Oratoris precibus per me infrascriptum benigne annuit, eidemque petitam acultatem ad triennium tantum valituram indulsit, absque ulla Brevis expeditione.

 

DOMINICUS FIORAMONTI

SS. D. N. ab Epistolis Latinis.

 

altri anni. Senescimus annis. Savio ha assolutamente congedato le febbri, Reviglio pare che vada pure migliorando, gli altri stanno bene, eccetto l'inquietudine di un continuo famelico appetito; ma c'è buona polenta.

Io mi occupo a correggere un compendio di Storia della Real Casa di Savoia che il Sig. Marietti vuole ristampare. Prima di partire abbiamo avuto poco tempo a parlarci, ma faccia da buon padre di famiglia per la sua e per la mia casa: se ha bisogno di danaro, vada da D. Cafasso e Le rimetterà quanto occorre.

Io scorgerei necessaria una passeggiata a Castelnuovo che farebbe bene a me ed a Lei; e se lo stima, fare una partita col Sig. T. Vola, Carpano, Murialdo (che mi esternò di venire molto volentieri da Moncalieri) ed anche D. Ponte. Stabilito il giorno per la partenza a buon'ora pel vapore, io spero di essere in grado di spedire una guida itineraria, che forse non lascerà loro toccare terreno di strada. O quam bonum et jucundum habitare fratres in unum!

Mi scriva molte cose di Lei, dell'Oratorio e del Refugio, e mentre prego il Signore che l'accompagni, La prego di salutare i soliti nostri amici dell'Oratorio e di credermi sempre

Di V. S. Car.ma

Aff.mo amico

D. BOSCO GIOVANNI.

 

Castelnuovo d'Asti, 30 Settembre 1850.

 

P. S. - Ho ricevuto in buon tempo la facoltà per dare la benedizione coi Venerabile; di che, grazie.

Mentre scrivo ricevo la sua lettera, che mi dice pi√π cose che desiderava di sapere. Le raccomando un nostro ricoverato, Rossi Giuseppe calzolaio, con Costantino, che da alcuni giorni il veggo passeggiar per Torino, senza darsi studio del suo mestiere.

 

D. Bosco aveva scritto al Teol. Borel di rivolgersi per aver danaro a D. Cafasso; ma i suoi bisogni dovevano essere molti, poichè aveva incaricato il suo procuratore di alienare alcuni appezzamenti di sua proprietà in Valdocco. Infatti il 6 ottobre 1850 con atto rogato Turvano vendeva a Nicco Michele un terreno di centiare 38 per lire 250: a Franco Marianna vedova Audagnotto, are 3,89 per lire 2250,62: a Ferrero Giacomo e a Mo Giovenale centiare 6 per lire 37,16.

In questo frattempo D. Bosco a Castelnuovo si vide innanzi per la prima volta un giovanetto: Cagliero Giovanni sui dodici anni, nativo di quel borgo, che a lui era presentato dal parroco D. Antonio Cinzano, perchè esaminasse la sua vocazione e lo accettasse nell'Oratorio di Torino, Lo stesso Cagliero, ora Vescovo, narravaci il suo primo incontro con D. Bosco: L'impressione che io ricevetti fu quella di riconoscere in Don Bosco un sacerdote di merito singolare, sia pel modo e l'attrattiva con cui mi accolse e sia pel rispetto ed onore con cui veniva egli trattato dal mio buon parroco e da' miei maestri a Castelnuovo e dagli altri sacerdoti; impressione che in me non si cancellò nè  diminuì mai, ma crebbe ognor più nei trentatrè  anni durante i quali convissi con lui al suo fianco. Don Bosco adunque dopo avermi interrogato fissò la mia entrata nell'Oratorio per l'anno venturo.

Accettato Cagliero, Don Bosco si trattenne per qualche tempo ancora ai Becchi, e giovandosene per la conclusione del suo affare coll'Abate Rosmini, così gli scriveva:

 

All'Ill.mo e Chiar.mo Signore, il Sig. Ab. D. Antonio Rosmini, Superiore Generale dell'Istituto della Carità. - Stresa.

 

Ill.mo e Reverend.mo Signore.

 

Partecipo a V. S. Ill.ma che le circostanze di mia sanità mi hanno risolto a passare alcune settimane di più in campagna. Presentemente, grazie a Dio, essendomi ristabilito, spero nel giorno di domani di potermi restituire alla Capitale. Pertanto Ella può dare le disposizioni che giudica del caso per quanto riguarda all'imprestito di cui abbiamo parlato. L'assicurazione parmi si possa fare o per mezzo dell'ipoteca sullo stabile, o con una immediata disposizione testamentaria in ciò mi rimetto a quanto Ella meglio giudicherà.

Non posso a meno di rinnovare qui i miei pi√π cordiali ringraziamenti per la gentile accoglienza e cortesia usatami in quei fortunati giorni che passai a Stresa; e mentre Le auguro dal Signore ogni bene, tanto per la conservazione della veneratissima sua persona, quanto per l'incremento dell'Istituto, mi reputo al massimo onore di potermi sottoscrivere Di V. S. Ill.ma e Reverend.ma Castelnuovo d'Asti, 25 ottobre 1850.

 

Umil.mo Servitore

D. BOSCO GIOVANNI (vicino al Refugio).

 

L'indomani eragli fatta risposta:

Stresa, 26 ottobre 1850.

 

Sig. D. Giovanni M. R. e Car.mo,

 

Alla gradita sua del 25 scadente rispondo per commissione del mio Superiore D.re Ab. Rosmini, che caramente La riverisce.

Egli è ben pronto a dare le disposizioni relative al concertato imprestito; ma innanzi bramerebbe al tutto che V. S. R. facesse fare da un abile architetto un disegno regolare della casa, che intende di costrurre secondo le intelligenze che hanno qui seco avute, e tale che possa venire approvato da esso sig. Ab. Rosmini

La somma dei 20 mila franchi gliela verserebbe in una sola volta all'atto dell'analogo istrumento di obbligazione ed assicurazione che Ella gli passerebbe, e ciò anche per evitare la moltiplicità degli istrumenti che occorrerebbero, versandosi la somma in più rate. Ella poi potrebbe per conto di Lei proprio collocarne a frutto quella parte che così tosto non Le occorresse. Il che sarebbe vantaggioso a V. S. potendone Ella ricevere un frutto maggiore dell'interesse a cui si obbligherebbe al prelodato sig. Abate. Finalmente questi presceglierebbe che V. S. gli assicurasse la detta somma con ipoteca sopra il fondo e sopra la fabbrica da costruirsi, anzichè per testamento, anche per la ragione che in quest'altro caso egli o chi per lui dovrebbe soggiacere alla tassa di successione estranea del 10 per 100 ecc.

 

C. GILARDI.

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