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Capitolo 12

Un pubblico elogio alla carità di D. Bosco e de' suoi figli - D. Bosco si offre al sindaco di Pinerolo per l'assistenza dei colerosi -Lettera di Nicolò Tommaseo - Visite illustri all'Oratorio e cortesie di D. Bosco per i suoi giovani - Consiglia ad un chierico la carriera prelatizia - Letture Cattoliche - Un perfido scroccone.


Capitolo 12

da Memorie Biografiche

del 28 novembre 2006

 Riprendiamo il filo del nostro racconto dal settembre 1854. Il servizio prestato in quei giorni ai colerosi dai giovani dell'Oratorio fu giudicato così commendevole, che il migliore dei giornali di quel tempo, registrando gli atti di carità del Clero cattolico durante il coléra, lo volle segnalare con un bellissimo articolo. Affinchè i lettori vi abbiano una conferma di quanto siamo venuti fin qui esponendo, lo mettiamo loro sott'occhio. È del tenore seguente:

“ Nel pubblicare la nostra cronaca della carità del Clero in tempo del coléra, finora del Clero di Torino abbiamo potuto fare poco più, che registrare l'offerta fatta da molti di esso, che esibirono l'opera loro ad un bisogno: fra quali annoverammo i padri Domenicani ed i Sacerdoti Oblati della Consolata. Ma se la mitezza del male (nei quartieri centrali) non diede occasione alla carità del Clero Torinese di dare buona prova del suo zelo, tuttavia quel poco che ebbe a fare, ci rivelò abbastantemente quel troppo più, che avrebbe fatto, se la Provvidenza divina avesse altrimenti di noi disposto.

  ” Potremmo narrare come il Clero abbia usata della sua influenza nel dissipare i pregiudizi sciocchi del volgo contro i medici e le medicine. Il Clero ebbe la consolazione di vedere che, a dispetto di tutti gli improperi, con che il sozzo giornalume lo ricopre, i poveri popolani tocchi dal tremendo morbo, in quella che fanno chiudere brutalmente la porta in faccia al medico, accolgono a braccia aperte il Sacerdote, che va a loro per conforto spirituale e corporale. E basta una parola del Sacerdote, perchè accolgano il medico, e tracannino le medicine quelli che prima detestavano l'uno e le altre più che il morbo, onde sono travagliati. ”Vogliamo per saggio, anzichè tutte raccontare le opere del Clero, parlare del servigio reso al lazzaretto di Borgo S. Donato, raccomandato alle cure del Sia. D. Galvagno, cappellano della Fucina, e del signor D. Bosco, fondatore e direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Per parecchie settimane non  si posero a letto, se non così vestiti per pigliare un po' di riposo, interrotto tre o quattro volte nella notte, per essere sempre a richiesta dei bisognosi. Anzi D. Bosco potè presentare alla Commissione sanitaria una nota di 14 de' suoi giovani, i quali volontariamente si offrirono a rendere ogni sorta di servizio ai colerosi tanto nei lazzaretti, quanto nelle case private. Questi giovani sono sufficientemente istruiti di ciò che conviene fare intorno ai colerosi tanto per l'assistenza spirituale, per suggerire pii sentimenti, parole di conforto quanto per fare da infermieri. Animati dallo spirito del loro padre più che superiore, D. Bosco, si accostano coraggiosamente ai colerosi, inspirando loro coraggio e fiducia, non solo colle parole, ma coi fatti, pigliandoli per le mani, facendo le fregagioni, senza dar vista del menomo orrore o paura. Anzi entrati in casa di un coleroso si volgono tosto alle persone esterrefatte, confortandole a ritirarsi se hanno paura, mentre essi adempiono a tutto l'occorrente, eccettuato che si tratti di persone del sesso minore, chè in tal caso pregano che alcuno di casa resti, se non vicino al letto, almeno in luogo conveniente. Spirato il coleroso, se non è donna, compiono intorno al cadavere l'estremo uffizio.

  ” Oltre ai 14 portati in nota, ve ne ha ancora una trentina degli allievi del buon Sacerdote, parimenti istruiti ad aiutare l'anima ed il corpo, pronti a correre in aiuto dei loro compagni, se per sventura ne fosse il bisogno.

” Abbiamo voluto in modo particolare insistere sui servizi di questa preziosa istituzione, perchè questo è come un debito che dessa ha, e noi per essa, di rendere ragione delle sue opere a quei pietosi benefattori, che la sostengono colla loro carità. Poche settimane sono ci volgemmo alla loro generosità pei bisogni gravissimi dell'Oratorio. Le nostre parole ebbero buon risultato, e sieno rese dovute grazie anche a nome dell'ottimo Rettore,dello stabilimento a quei generosi. Siamo certi che saranno lieti di sapere, almeno in parte, quanto sieno fruttuose le loro limosine fatte a quei poveri giovani, e questo sarà nuovo stimolo alla loro carità, la quale non permetterà che sieno lasciati nella necessità coloro, che sono pronti a sacrificare la vita in servizio dei loro fratelli ”.

 

Fin qui l'egregia Armonia di quei giorni, nel n. 112, 16 settembre 1854.

  Ma per quanto D. Bosco faticasse in Torino non era così assorbito delle sue cure pietose, da non pensare al modo di sollevare dall'infortunio coloro che abitavano fuori della capitale. Avendo saputo che eziandio in Pinerolo il fiero morbo faceva le sue vittime, sicuro nel valore dei suoi figli, scriveva al Sindaco di quella città, offrendo a servizio degli ammalati alcuni de' suoi infermieri. Il Sindaco gli rispondeva:

 

Pinerolo, addì 2 ottobre 1854.

 

Ill.mo Signore,

 

  Mille grazie alla S. V. M. R. è mio debito di profundere per la generosa e ad un tempo pietosa offerta di quattro giovani individui che si dedicherebbero al soccorso della languente umanità al servizio dei colerosi in Pinerolo. Se occorrerà ancora (che però voglia impedirlo il sommo Iddio) che siano necessari degli infermieri pel servizio dei colerosi ricoverati nel Lazzaretto di Pinerolo, profitterò della graziosa offerta, ma pel momento pare che il morbo micidiale sia per giungere al suo termine; essendo da alcuni giorni diminuito il numero delle vittime e colla speranza che più non sarà per aumentare il male d'intensità.

  Li ricoverati nel Lazzaretto non sommano più che a 29 dei quali 24 sono fuori di pericolo ed in situazione di uscire tutti entro otto o dieci giorni dall'Ospedale. Se da un mese che è stato aperto il Lazzaretto e nel quale passarono circa duecento individui, io avessi conosciuto che esisteva in Torino una sì pia associazione per l'assistenza dei malati, avrei sicuramente implorata la filantropica opera di quella benemerita società che di grande utilità sarebbe tornata ai nostri infelici malati.

  Nel pregare la S.V. di gradire i sensi della massima mia gratitudine non che quelli del Municipio di Pinerolo e con premura di ricorrere a Lei all'occasione, ho l'onore di protestarmi colla massima stima e divozione.

Della S. V. Ill.ma

 Umilissimo e devotissimo Servo

Il Sindaco Giosserano.

 

Di questi fatti gloriosi per D. Bosco abbiamo memoria in un foglio a lui indirizzato in quel tempo da Nicolò Tommaseo, che in quest'anno era venuto a stabilirsi in Torino, ove dimorò fino al 1859:

 

Reverendissimo Signore,

 

S'Ella ha le opere del Rosmini, dal tomo XI al XVI, La prego di volermeli prestare, se tutti a un tratto non può, ad uno ad uno. Il mio mal d'occhi ed altri incomoducci, che mi visitano di tanto in tanto, mi impediscono di venire io stesso a pregarnela. E da gran tempo Le debbo ringraziamenti per l'onorevole dono di libri; e Le debbo notizia che de' miei due figliastri l'uno è, collocato in una stamperia, l'altro presso un legatore di libri, e per ora vivono in casa meco. So della generosa carità esercitata da Lei e dai suoi nella malattia che minacciava specialmente i poveri della città; e anche di ciò Le debbo ringraziamenti vivissimi come Cristiano. Se il latore non la trovasse in casa, prego la sua bontà d'una parola di risposta da indirizzare al nome mio al N. 22 in Dora Grossa. Creda alla riconoscenza del suo

Torino, 3 Ottobre 1854.

 

 Devotissimo

N. Tommaseo.

 

 

Il Tommaseo veniva talora a visitare D. Bosco, col quale aveva comuni gli amici, l'Abate Rosmini e il Marchese Gustavo di Cavour. Ci narrò Carlo Tomatis: “. Un mattino io era in dormitorio, cioè in una camera bassa, stretta, con quattro letti, nella casa Pinardi. Ritornava dal Lazzaretto. Ed ecco verso le 9 entra D. Bosco con un signore la cui vista pareva debolissima, conducendolo a visitare l'Ospizio. Era Nicolò Tommaseo, il quale seguendo D. Bosco, in quel mentre gli diceva: Caro Sig. D. Bosco, sono lieto di poterle dire 'che lei trovò uno stile facile, il vero modo di spiegare al popolo le sue idee in maniera che le intenda. Anzi lei seppe rendere popolari e piane anche le materie difficili Intanto D. Bosco appena mi ebbe visto mi chiamò innanzi a quel signore, esponendogli il mio nome e la mia professione. Ciò non mi fece maraviglia, perchè nel 1853, tornando con lui un giorno dalla città a casa, c'imbattemmo in Silvio Pellico, e D. Bosco prima di incominciare un ragionamento, che fu abbastanza protratto, volle presentarmi con parole di lode all'autore delle Mie Prigioni. E non solamente a me usava tali riguardi, ma sebbene a tutti i suoi figli adottivi; poichè fu sua costante costumanza di presentarli sempre, quando erano con lui, a

qualunque personaggio gli si, avvicinasse, dando segno della sua deferenza rispettosa verso di essi. E si noti che fin dal principio della mia dimora all'Oratorio non furono pochi i personaggi eminenti ed i letterati di grido, che venivano in Valdocco, per visitare quell'asilo e quell'uomo di carità ”.

   Ma fra queste visite, gratissima fu al nostro D. Bosco quella del Ch. Emiliano Manacorda, che gli faceva acquistare un grande amico. Questo chierico era venuto all'Oratorio risoluto di fermarsi con D. Bosco. Passeggiò lungamente con lui nel cortile davanti alla casa, chiedendo consiglio, perchè non gli era troppo simpatica la vita del Seminario, e il suo naturale pareva portato ad una maggiore attività ed esercizio di pratiche religiose. Don Bosco, che pure aveva tanto bisogno di chierici, lo ascoltò con bontà, lo persuase ad andare in Seminario e concluse che quando avesse finiti gli studi teologici, allora si sarebbe veduto la risoluzione da prendersi. Il Ch. Manacorda di quando in quando negli anni seguenti ritornava presso D. Bosco, esponendogli anche il suo disegno di partir missionario per i paesi infedeli; ma non parve che D. Bosco approvasse quella propensione. Allora D. Manacorda, ordinato prete, venne verso il 1863, all'Oratorio e vi abitò per circa sei mesi, e quindi partì per Roma,, avendolo consigliato D. Bosco ad intraprendere la carriera prelatizia. Egli nel tempo che stette nell'Oratorio studiò Don Bosco con tanta attenzione, da restare ammirato delle sue eroiche virtù. Divenuto Monsignore e, poi Vescovo di Fossano, ne fu il più ardente testimonio e predicatore.

   Frattanto l'assistenza ai colerosi non aveva impedito a D. Bosco di preparare i due opuscoli pel mese di settembre e stampavasi anonimo il seguente libretto: Del Commercio delle coscienze e dell'agitazione protestante in Europa. Vi si leggeva:

    “ È  coi trenta denari di Giuda che i protestanti cercano di indurre i Cattolici a rinnegare Gesù Cristo e la sua Chiesa, abusando specialmente delle miserie dei poverelli. Benchè fra coloro che son nati protestanti non pochi siano, in buona fede, i Capi delle loro sette non credono più nè alla Bibbia nè a Dio. Divisi fra di loro, da irrimediabili opinioni diverse, in un solo punto convengono; cioè nell'odio furioso contro la Chiesa Cattolica.

   ”Non sono in buona fede i Pastori, i catechisti, i missionari protestanti sia per ragione del mostruoso principio del libero esame, che nega l'infallibilità del Papa e della Chiesa mentre la concede ad ogni fedel minchione eziandio se non sa leggere; sia perchè il loro movente sono le buone paghe colle quali vengono retribuiti. Il loro fine non è di convertire i malvagi, ma di corrompere le anime ingenue ed incaute e ribellarle alla verità. Satana ingannatore dei nostri primi parenti nel paradiso terrestre è il loro modello; ne ricopiano in sè la malizia, conoscendo la perfidia della propria ignoranza ”.

   Ciò non ostante i malvagi non si stancavano di inventar nuove armi contro D. Bosco. Si legge nell'Armonia del 17 ottobre: “Un parroco dei dintorni di Torino ci scrive che il 13 corrente verso sera, recandosi a casa incontrò un giovane, che, accostandoglisi con aria semplice e bonaria, gli presentò alcuni libriccini a nome del Sig. Don Bosco, pregandolo di raccomandare al suo popolo l'opera dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Soggiungeva che il parroco tale, ed il parroco tale avevano dato chi due, chi tre lire per l'Oratorio. Essere incaricato dal Sig. Don Bosco di presentarsi per questo scopo da tutti i parroci: e siccome l'ora era tarda, lo pregava dell'ospitalità. Il buon parroco accettò i libri, diede lire tre, scrivendo il suo nome e la somma offerta sul libro presentatogli dal dabben giovane, e rifiutò con buon pretesto di accordargli l'ospitalità.

  ”Il Parroco, entrato in casa, aprì uno dei libretti, e quale non fu il suo stupore scorgendo che erano tutt'altro che libri buoni! Allora solo si avvide d'essere stato scroccato da un furfante, che va vivendo col rubare i danari ai parrochi e la riputazione al Sig. D. Bosco. Questo serva d'avviso a chi di ragione ”.

 

 

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