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Cap XIX. - NEL PLACIDO TRAMONTO.

Credo che quel pezzetto di carne staccatomi non abbia sentito nulla.


Cap XIX. - NEL PLACIDO TRAMONTO.

da Don Bosco

del 14 dicembre 2011

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Dopo una vita straricca di doni soprannaturali come quella di Don Bosco, chi sa quanti si sarebbero aspettato che all'approssimarsi della fine dovessero sfolgorare in lui lampi straordinari, preludio dei fulgori eterni; invece non ne fu nulla, ma tutto passò nelle forme e nelle condizioni solite a riscontrarsi in chi si avvia a una morte preceduta da lunga e dolorosa infermità: se pure non si deve considerare straordinario il modo, con cui Don Bosco sopportò fino all'ultimo i suoi mali. La santità cresce fino al termine estremo della vita; allora anzi, meglio di prima, si vede chi è veramente santo.

«La morte di un santo, scrive il Faber, è un'opera d'arte divina, un capolavoro soprannaturale tutto risplendente di eterna bellezza; non ve ne sono due che si somiglino, e tutte sono ammirabili». Il medesimo autore, enumerando le morti più preziose agli occhi di Dio, ne mette fra queste una, che chiama «morte del distacco». Fa una simile morte chi non ha nulla da sacrificare, nulla di cui spogliarsi, nulla da lasciare, perché la sua anima o 'non s'è mai attaccata alla terra o se n'è staccata da molto tempo, così che la morte spirituale andò innanzi alla morte fisica. «Una tal morte, dice, è puramente un atto di amore. Potrebbe dirsi l'esecuzione di un rito sacro, anziché di un castigo. L'uomo distaccato non è più figlio della terra, ma è un angelo nei vincoli di una carne mortale».

Sotto tale aspetto ci si presenta Don Bosco durante i quarantadue giorni, nei quali si preparava a lasciare la terra per il cielo: uomo non più di questo mondo, ma tutto rapito nell'aspettazione fidente dei beni futuri. Il Signore dispose che nel non breve periodo della malattia ci edificasse dal letto de' suoi dolori con la sua eroica pazienza, con il suo inestinguibile ardore per il bene delle anime e con la sua fervorosa pietà: triplice effetto di quella sua non mai interrotta unione con Dio, che lo faceva soffrire per amor di Dio, amare di soprannaturale amore il prossimo e guardare con filiale tenerezza il Signore.

Con queste tre emanazioni della sua unione con Dio può trovare posto anche la sua divozione incondizionata al Vicario di Gesù Cristo. Don Bosco però è sempre Don Bosco: non aspettiamoci dunque esteriorità impressionanti: gli intimi suoi sentimenti s'intuiscono attraverso manifestazioni misurate e tranquille. Non è possibile che agli occhi di chi bene osserva stia nascosta l'interiorità di quegli uomini, la cui vita abscondita est cum Christo in Deo? pertanto a considerare una a una le particolarità suindicate.

A Don Bosco la pazienza non venne meno un istante in tutte le penose vicende del male che lo afflisse, perché lo sorreggevano le tre virtù teologali. La fede gli faceva riguardare l'infermità come inviatagli da Dio per il bene dell'anima sua, la speranza gl'infondeva imperturbabile quiete di animo nella fiduciosa attesa degli aiuti divini per sopportare tutti gl'incomodi dall'infermità causati; la carità gl'ispirava conformità perfetta al divino volere, poiché soffriva per puro amor di Dio. Questa umile pazienza era da lui esercitata in parole, in opere e in pensieri.

Nessuno in quarantadue giorni udì mai dalle labbra di Don Bosco il minimo lamento né per le sofferenze né per il servizio né per i modi e mezzi di cura. Ma, senza questo, è cosa tanto ordinaria nei malati parlare del loro stato! È uno sfogo della natura. Godono in raccontare ogni caso occorso, vogliono che si sappia come han passato la notte e il giorno, descrivono l'andamento del male e, pronosticano quello che verrà. Quando poi non cercano deliberatamente di muovere a compassione di ciò che soffrono, gustano almeno di sentirsi compassionare spontaneamente da chi li visita, massime se li si loda di saper sopportare i loro incomodi. Nulla di tutto questo in Don Bosco.

Il coadiutore che lo vegliò per quaranta notti, ritrasse con semplicità nei processi la sua maniera di comportarsi a tal riguardo dicendo: «Metteva in pratica il suo motto che mi ripeteva sovente da sano: 'Fare, patire e tacere'. Allora, non potendo più fare, pativa e taceva». Taceva, s'intende, sul suo patire tanto che della parola non cessò mai di servirsi, finché non gli fu impossibile, a scopo di bene.

Una volta sola, due giorni prima di morire, gli disse': - Caro mio, quanto soffro! Ma tosto fece seguire un'espressione di umiltà: - Se continua così ancora un poco, non so se saprò resistere. Indi si rianimò, alzando gli occhi al cielo ed esclamando con gran fede: - Sia fatta la volontà di Dio in tutte le cose!

Spesso, secondo il solito, dissimulava il suo soffrire, pronunciando motti arguti, che distraevano l'attenzione degli astanti, come quando ebbe subita l'operazione, della quale parlai altrove. Pochi minuti dopo, a chi gli domandò come stesse: - Mi hanno fatto un taglio da maestro, - rispose. E l'altro: - Povero Don Bosco! avrà sentito molto male.

- Ma egli: - Credo che quel pezzetto di carne staccatomi non abbia sentito nulla.

Una sera l'Economo Generale Don Sala: - Don Bosco, gli chiese, si sente molto male, non è vero?

- Eh, sì! rispose modestamente. Ma tutto passa, e passerà anche questo. Ciò udito, Don Sala gli domandò che cosa potesse fare per alleviarlo un poco. Prega! fu la risposta. Poi egli stesso, giunte le mani, si raccolse in preghiera. A quanti lo compassionavano, rispondeva: - Il Signore ha sofferto più di me.

Paziente si mostrò in ogni suo atto. La malattia fu lunga e dura. L'esperienza insegna che in simili casi anche i temperamenti più saldi hanno i loro scatti: la nervosità li eccita. Don Bosco si abbandonò sempre nelle mani dei medici che lo curavano, e delle persone che lo assistevano. Si può ben immaginare quante e quali fossero le premure di queste ultime. L'infermo, dimentico di sé, esprimeva il suo rincrescimento per i sacrifici che dovevano fare; e siccome la mielite nel muoversi gli causava spasimi e quelli se n'accorgevano, egli per toglierli di pena usciva in qualche facezia.

Che impresa allorché bisognava trasportarlo da un letto all'altro! Sebbene si facesse questo con infiniti riguardi, erano inevitabili gravi sofferenze, anche perché mancavano mezzi adatti, e gli esecutori non avevano l'abilità degli infermieri di professione. Il povero paziente, sempre tranquillo, si lasciava muovere e trattare come un automa, dicendo ogni tanto qualche piacevolezza. E si che la manovra si doveva ripetere quasi tutti i giorni. Una notte voleva da bere, ma gli si dovette negare per la troppa frequenza del vomito: non si scompose, ma disse: - Bisogna imparare a vivere e a morire; l'una e l'altra cosa. Di sue esigenze per avere il conforto di qualche delicatezza, non è nemmeno da parlare: una volta anzi s'allarmò, perché gli parve di avvertire alcun che d'insolito.

Quando nelle ultime settimane lo crucciava un'ardente sete, che né acqua né ghiaccio valevano a smorzare, si ricorse all'acqua di seltz. Questa sembrò arrecargli sollievo; ma egli, credendo che fosse una bevanda costosa, rifiutò assolutamente di giovarsene. Per acquietarlo bisognò fargli vedere che costava sette centesimi alla bottiglia. Cade quanto mai opportuna anche qui un'osservazione del Faber. «Non vi è carattere, dice, più universale nei Santi, che il loro orrore per le dispense, e il crescere di questo orrore è proporzionato al crescere del bisogno e dei diritti che ne possono avere».

Quali fossero i pensieri che gli occupavano la mente, continueremo a vederlo di mano in mano che andremo avanti. Qui in tema di pazienza basti accennare al suo spirito di rassegnazione alla volontà di Dio. Dopo una vita attiva come la sua, parrebbe che dovesse farglisi innanzi spesso l'idea del bene che avrebbe continuato a compiere, ricuperando la salute. I malati accarezzano volentieri e senza rimorso tale supposizione, immaginandosi di bramare ciò unicamente per servire Dio. Ma le anime sante sanno che il miglior modo di servir Dio e servirlo a modo suo, e quindi, se Dio vuole l'infermità, così sia!

Questo sentimento di perfetta rassegnazione non abbandonò un istante Don Bosco. Tutti i testimoni oculari sono unanimi a proclamarlo. Reiteratamente infatti or l'uno or l'altro i Superiori lo eccitavano a pregare per ottenere la guarigione, persuasi com'erano che, se anche lui avesse pregato, la grazia si sarebbe ottenuta. Ma egli non acconsentì mai; ogni volta ripeteva: - Sia di me la santa volontà di Dio. Anzi, taluno, suggerendogli giaculatorie, fece il tentativo d'inserire quasi di soppiatto fra le altre un: - Maria Ausiliatrice, fatemi guarire. Ma a questo punto Don Bosco tacque.

Nell'esprimere la sua rassegnazione, soleva alzar le braccia al cielo, giungendo poi le mani. Paralizzataglisi a poco a poco la parte destra e reso immobile quel braccio, non cessava di alzare il sinistro, ripetendo: - Sia fatta la vostra santa volontà.

- Perduta infine la parola, levava di tanto in tanto la mano nello stesso modo, rinnovando molto probabilmente col muto gesto la segreta offerta della vita al Signore.

Don Bosco, che per tutta la vita aveva messo in pratica la massima di un autore d'ascetica: «Una conversazione sacerdotale deve sempre suggerire un Sursum corda», poteva scordarsene sul finire dei suoi giorni. Già di per sé il vederlo là sofferente, ma tutto composto a rassegnata tranquillità, riempiva di edificazione; aveva però sempre parole che facevano del bene ai presenti e stimolavano a farne agli assenti. Parole veramente poteva dirne poche; ma il suo cuore, unito a quello di Gesù, gli- metteva nella voce una vibrazione tale, che suscitava emozioni salutari.

Con quelli che erano più assidui al suo capezzale, come il suddetto coadiutore e il giovane segretario Don Viglietti, non aveva solo affettuose espressioni di ringraziamento o amabili piacevolezze, ma anche esortazioni a rendergli per motivi soprannaturali i servizi consueti. Al primo, per esempio: - Ricordati, mio caro, che in fin di vita raccoglieremo il frutto delle buone opere fatte. Procura di lavorare per la gloria di Dio, e il Signore ti pagherà bene. E al secondo con paterna bontà: - Dirai a tua madre che la saluto, che cerchi di far crescere cristianamente la famiglia e che preghi anche per te, affinché sia sempre un buon prete e salvi molte anime.

Questa del salvare anime era una delle sue raccomandazioni più frequenti. Disse un giorno a Mons. Caghero: - Domando una cosa sola al Signore, che possa salvare la povera anima mia. A te raccomando di dire a tutti i Salesiani che lavorino con zelo. Lavoro, lavoro! Adoperatevi indefessamente a salvare anime. E alla Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dopo averla benedetta: - Salvate molte anime. Di nuovo al Cagherò, cinque giorni prima della morte, mormorò con gran fatica: - Salvate molte anime nelle Missioni.

Il Cagherò amò poi sempre ricordare e commentare animatamente la calda raccomandazione del caro Padre circa il lavoro. Non per nulla Don Bosco la rivolse in quegli estremi a preferenza di altre. La laboriosità è una delle più genuine tradizioni salesiane. Sì può estendere anche ai figli di Don Bosco quello che Don Marmion dice dei figli del suo S. Benedetto.

La Regola salesiana come la benedettina non prescrive penitenze straordinarie, come cilizi, discipline e simili; ma il lavoro costituisce nell'una e nell'altra famiglia religiosa la forma di penitenza fatta per esse. Tutti nella Chiesa vanno alla vita religiosa per cercare Iddio. Ora le due Regole impongono di cercarlo non solo con la preghiera, ma anche col lavoro: ora et labora, troverà Dio tanto più chi più gli darà gloria, e lo glorificherà con la libera disposizione delle sue forze impiegate nel servire la sua volontà suprema secondo l'obbedienza. Ecco in fondo il pensiero che a Don Bosco morente mise sulle labbra il pressante appello.

Le due Congregazioni da lui fondate richiamavano naturalmente la sua paterna attenzione; gli estremi suoi consigli erano per la santificazione dei loro membri e per la loro conservazione e feconda attività a bene delle anime. Richiesto di un ricordo per le Figlie di Maria Ausiliatrice: - Ubbidiènza, rispose. Praticarla e farla praticare. E a Don Bonetti, quando mancavano appena tre giorni alla fine: - Ascolta. Dirai alle Suore che, se osserveranno le Regole, la loro salvezza è assicurata. Il giorno avanti, con un filo di voce e in tono incoraggiante, aveva detto a Mons. Cagherò: - La Congregazione non ha nulla a temere. Ha uomini formati. Prendila a cuore. Aiuta gli altri superiori in tutto quello che potrai. Quella sera Don Sala, trovandolo un po' riposato, quasi per fargli animo, gli disse: - Don Bosco, ora si troverà contento, pensando che dopo una vita di tanti stenti e fatiche è riuscito a fondare case in varie parti del mondo e a stabilire saldamente la Congregazione Salesiana. Sì, rispose. Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore. Si sarebbe potuto fare di più. Ma faranno i miei figli. La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria Ausiliatrice.

Non faccia meraviglia che si ponga qui un cenno sulla divozione di Don Bosco verso il Vicario di Gesù Cristo, manifestata sul letto di morte. Non pensava egli e non insegnava essere il Sommo Pontefice l'anello che unisce gli uomini a Dio? Gli rese una magnifica testimonianza Pio XI, quando affermò di scienza propria che Don Bosco metteva al di sopra di ogni gloria l'essere il fedele servitore come di Gesù Cristo e della sua Chiesa, così del suo Vicario.

Orbene, durante la malattia, allorché fra un dolore e l'altro poteva riaprire il cuore ai nobili sentimenti che lo avevano animato nel corso di tutta la vita, fece su tal proposito a Mons. Cagherò una rivelazione; disse infatti che la cosa era stata tenuta fino a quel punto segreta. E il geloso arcano consisteva in questo: - La Congregazione e i Salesiani l’hanno per iscopo speciale di sostenere l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino, dovunque lavorino.

Chi conosce i tempi che furono suoi, sa comprendere facilmente tutto il perché dell'aver occultato agli occhi del pubblico un simile articolo del suo programma di azione. Ritornò sull'argomento in un'affettuosa visita fattagli dal Card. Alimonda, Arcivescovo di Torino. Non accennò più a voler rivelare un mistero, ma espresse un desiderio, e furono solenni le sue parole: - Ho passato tempi difficili, Eminenza. Ma l'autorità del Papa... l'autorità del Papa. L'ho detto qui a Mons. Cagherò: i Salesiani sono per la difesa dell'autorità del Papa, dovunque lavorino, dovunque si trovino. Si ricordi, Eminenza, di dirlo al Santo Padre.

Il Cardinale due mesi dopo, nella solenne commemorazione del defunto, narrato della visita e riferite quelle parole, proseguiva: «In quelle parole il venerabile Uomo mi apriva il suo testamento. Che dico aprire? L'intera sua vita privata e pubblica è nota all'universo qual testamento papale». E quando il successore di Don Bosco nella prima udienza accordatagli da Leone XIII rievocò questi sentimenti del lacrimato Estinto, il Papa esclamò: - Oh! si vede che Don Bosco era un santo, simile in questo a S. Francesco d'Assisi che, venuto a morire, raccomandò caldamente ai suoi religiosi di essere sempre figli devoti e sostegno della Chiesa Romana e del suo Capo. Praticate queste raccomandazioni del vostro Fondatore, e il Signore non mancherà di benedirvi. Senza dubbio, chi si accingerà a studiare la devozione di Don Bosco al Vicario di Gesù Cristo, troverà abbondante materia per dimostrare che tale devozione era fatta di venerazione profonda, di amore cordiale e di obbedienza assoluta.

Ci rimane a dire della pietà, resa manifesta e insieme alimentata, come sempre, dalla preghiera, dalle due principali divozioni del Santo e dai Sacramenti: «Pregava quasi continuamente», attesta il solito coadiutore nei processi. «Continuamente pareva assorto in Dio», rincalza a sua volta il segretario. «Lo dicevano, soggiunge, il suo contegno umile e divoto, i suoi sguardi ardenti al Crocifisso, i baci all'abitino e alle medaglie della Madonna, le giaculatorie che numerose e frequenti gl'infioravano il labbro». L'abitino era quello del Carmine, indossatogli per suo desiderio durante la malattia dal Salesiano che aveva la facoltà d'imporlo. Quanto al Crocifisso, oltre a quello che portava ordinariamente al collo, negli ultimi giorni ne aveva con viva compiacenza ricevuto uno, baciando il quale poteva acquistare ogni volta indulgenza plenaria. A chi, vedendolo penare più del solito, gli aveva suggerito di pensare per confortarsi ai patimenti di Gesù, rispose: - È quello che faccio sempre.

Nonostante i mali che lo travagliavano, voleva che il segretario dicesse ogni mattina con lui le preghiere, gli leggesse la meditazione e gli facesse altre pie letture. Tutte le mattine, fino alla festa di S. Francesco di Sales, assistette divotamente alla santa Messa, appoggiato sui guanciali; la celebrava il medesimo segretario nella cappella attigua alla sua stanzetta. In gennaio, provando uno smarrimento di testa, disse: - Mi sembra di pregare sempre; ma non lo so di certo. Aiutatemi voi.

Non solo pregava, ma faceva pregare. Da principio disse ai Superiori che pregassero tutti per lui e invitassero tutti i Salesiani a pregare, affinché potesse morire in grazia di Dio, giacché non desiderava altro. Nel pomeriggio del 24 gennaio, stando malissimo, mandò a chiamare il giovane sagrestano Palestrino, del quale aveva molta stima, e gli fece dire che rimanesse a pregare Gesù e Maria per tutto il tempo libero, affinché, mentre aspettava l'ora sua, potesse avere viva fede. Dopo, il giovane venne introdotto presso di lui che gli ripeté la stessa cosa tutto commosso, e poi lo benedisse. Verso sera, contrariamente a ciò che succede negl'infermi, si sentiva più sollevato, il che come disse a Don Lemoyne, era in grazia delle preghiere di quel buon giovane. In seguito, crescendogli la difficoltà di parlare, si raccomandò agli astanti che gli suggerissero giaculatorie divote.

Quante novelle prove diede della sua costante e fervida divozione a Maria Santissima ed a Gesù Sacramentato! Godeva di ricevere spesso la benedizione di Maria Ausiliatrice secondo una formula approvata dalla Congregazione dei Riti. Teneva abitualmente in mano la corona del rosario. Una volta, baciando la medaglia, esclamò: - Ho sempre avuto grande fiducia nella Madonna. Ma anche senza che lo dicesse, chiunque avesse osservato come ne baciava l'effigie, avrebbe pensato di lui la medesima cosa.

Sul finire del dicembre disse a parecchi Superiori: - Raccomando ai Salesiani la divozione a Maria Ausiliatrice e la frequente comunione. Parve a Don Rua che questa potesse essere la strenna da mandare alle Case per il nuovo anno, e gliene fece parola. Questo sia per tutta la vita, - gli rispose. Poi annuì al desiderio espressogli. Poco dopo, rivolto a Mons. Cagherò, gli disse: - Propagate la divozione a Maria Santissima nella Terra del Fuoco. Se sapeste quante anime Maria Ausiliatrice vuol guadagnare al cielo per mezzo dei Salesiani! E ancora un'altra volta al medesimo: - Quelli che desiderano grazie da Maria Ausiliatrice, aiutino le nostre Missioni e saranno sicuri di ottenerle.

Ai primi di gennaio, quando tutti trepidavano per timore dell'imminente catastrofe, ecco un improvviso progressivo miglioramento. Ci videro tutti una grazia particolare per le tante preghiere che si facevano in ogni parte. La sera del 7 dettò per Don Lemoyne al segretario un messaggio, che diceva: «Come si può spiegare che una persona, dopo ventun giorni di letto, quasi senza mangiare, con la mente indebolita all'estremo, ad un tratto sia ritornata in sé, percepisca ogni cosa e si senta in forze e quasi capace di alzarsi, scrivere, lavorare? Sì, mi sento sano in questi momenti, come se non fossi mai stato ammalato. A chi domandasse il come, gli si può rispondere così: Quod Deus imperio, tu prece, Virgo, potes». È indescrivibile la gioia che invase l'Oratorio a si inaspettata buona novella. Nei punti della casa più frequentati si leggeva, su cartelli appesi ai muri, il verso latino, che esaltava l'onnipotenza supplicante di Maria.

Durante la vita aveva pregato chi sa quante volte la Madonna, affinché lo aiutasse a salvare i suoi giovani e a ben dirigere la Congregazione. Il ricordo di tante invocazioni, in momenti di assopimento, gli suscitava dentro la rappresentazione di scene quali aveva vedute spesso, nelle quali gli era stato spontaneo e fervido il ricorso a Maria.

Un giorno, scossosi a un tratto, battè le mani gridando: - Presto, presto a salvare quei giovani! Maria Santissima, aiutateli! Madre, Madre! Un altro giorno fu udito nel dormiveglia esclamare: - Ecco, sono imbrogliati! Su, coraggio! avanti! sempre avanti! Madre! Madre! E ripetè una ventina di volte questa tenera invocazione. Un po' più tardi, essendo pienamente in sé, giunse le mani e con ardore replicò tre volte: - Oh Maria! oh Maria! oh Maria! Quel chiamare la Madonna con sentimento così filiale fu cosa molto frequente sull'ultimo, finché gli durò con la conoscenza là favella.

Il suo serafico ardore per Gesù Sacramentato gli traspariva dal volto nel ricevere la santa Eucaristia. Ogni mattina, tranne le poche volte che non era potuto restar digiuno, faceva la comunione, alla quale non gli sembrava mai di essere abbastanza preparato; giacché quasi tutti i giorni, visitato dal suo con fessore si voleva riconciliare. Si comunicò fino al 29 gennaio, festa di S. Francesco di Sales. Quella mattina alcuni pensavano che non si dovesse comunicarlo, perché sembrava fuori dei sensi; ma prevalse l'opinione contraria. Si ritenne che al momento giusto si sarebbe riavuto. E fu così. Avvisato che presto sarebbe venuto il Signore, non si mosse. Ma appena il celebrante gli si accostò con l'ostia santa e disse ad alta voce il Corpus Domini nostri Jesu Christi, 'infermo si scosse, aprì gli occhi, fissò l'ostia, giunse le mani e, ricevuto il Signore, stette raccolto, ripetendo parole di ringraziamento suggeritegli dal Superiore che lo assisteva.

Questa fu l'ultima sua comunione; ma non aveva aspettato tanto a domandare il Viatico. Da tre giorni appena rimaneva a letto, quando disse al segretario: - Fa' che tutto sia pronto per il santo Viatico. Siamo cristiani, e si fa volentieri a Dio l'offerta della propria vita. Il tono parve così risoluto, che nessuno dei Superiori ardì assumersi la responsabilità di differire; perciò fu deciso per l'indomani, vigilia di Natale. Quando tutto era pronto, venne avvertito. Allora, come tutto preoccupato, disse ai presenti: - Aiutatemi, aiutatemi voialtri a ricevere Gesù. Io sono confuso. In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.

La processione, formata da tutto il piccolo clero e da quanti sacerdoti e chierici poterono prendervi parte, si avvicinava. Udendo i canti, Don Bosco s'intenerì; ma al veder comparire il Santissimo recato da Mons. Cagherò, ruppe in pianto. Rivestito della stola, «sembrava un angelo», nota qui il diario. Monsignore, parlandone nei processi, disse che gli era parso di vedere il S. Girolamo del Domenichino.

Nemmeno per l'Olio Santo aveva voluto indugi. Alle sue insistenze Monsignore glielo amministrò la sera stessa del Viatico. Prima l'infermo aveva espresso il desiderio che si chiedesse per lui la benedizione del Papa, e la cosa fu eseguita con la massima prontezza. Ricevuto il sacramento, non parlava più che di eternità e di argomenti spirituali.

Incantava tutti la serenità, che abitualmente gli traspariva dall'aspetto, dallo sguardo e dall'accento. Tale serenità egli mantenne fino all'estremo; anzi gli rimaneva impressa nel volto anche dopo aver perduta oramai ogni percezione del mondo esteriore. Non so trattenermi dall'aggiungere, che, vedutolo l'ultima sera, mi sembra ancora di aver dinanzi agli occhi quella soave immagine. Appoggiato sui guanciali, presentava le fattezze del viso così delicatamente composte da non produrre l'impressione che si trovasse nello stato preagonico. Non si sarebbe mai cessato di rimirarlo. Anche dopo la morte, la vista del suo volto esanime infondeva un senso di dolce quiete, che faceva esclamare: Quanto è bella agli occhi di Dio e degli uomini la morte dei santi!

Ho accennato alla visita fatta all'infermo dal grande Cardinale Alimonda. Per lui, come disse poi nella commemorazione, «fu un veemente affetto, una legge il visitarlo». Stupì nel vederlo così tranquillo di spirito e così pieno del pensiero di Dio; onde nell'uscire si volse a Mons. Cagherò che lo accompagnava e gli disse: - Don Bosco è sempre con Dio, è l'unione intima con Dio. I segni di questo divino contatto abituale, neppure l'avvicinarsi della morte, anzi neppure la morte stessa, potè farglieli scomparire. 

Eugenio Ceria

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