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Cap X. - CONFESSORE.

Riguardo alla confessione, la sua maniera di amministrare questo sacramento non s'intende a pieno, se non si tenga conto della sua pratica personale e de suoi ordinari insegnamenti.


Cap X. - CONFESSORE.

da Don Bosco

del 14 dicembre 2011

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Il commercio intimo con Dio, quando c'è davvero, fa si che un sacerdote non sappia solamente, ma senta anche di essere persona sacra, senza che'mai gli si appanni nella coscienza l'idea luminosa di tale suo carattere, qualunque cosa egli dica o faccia in privato o in pubblico, direttamente o indirettamente, trattando con prossimi d'ogni grado, ceto o condizione. Allora lo spirito sacerdotale si sprigiona da tutta quanta la vita, irradiando intorno influssi soprannaturali che sanano e purificano le anime, le fortificano nel bene, le elevano alle cose celesti; come in Gesù l'umana natura, congiunta ipostaticamente alla divinità, era strumento di mirabili operazioni, così nel sacerdote, di vita interiore non c'è parola né atto che non porti l'impronta sacerdotale e non serva per agire salutarmente sulle anime, fino a meritare che di lui pure si affermi che scaturisce da esso virtù salutifera per ogni sorta di morbi spirituali: virtus de ilio exibat et sanabat omnes.

'Questo noi ora vedremo, esaminando le attività esplicate da Don Bosco nel confessionale, dal pulpito, con la stampa e come educatore.

Riguardo alla confessione, la sua maniera di amministrare questo sacramento non s'intende a pieno, se non si tenga conto della sua pratica personale e de suoi ordinari insegnamenti.

Don Bosco si affezionò alla confessione fin dalla più tenera età, né alcun mutamento di vita valse ad affievolire in lui l'amorosa propensione ad accostarvisi con frequenza. Infatti vi andava da sé di buonissima voglia, anche quando la madre non era più là a condurvelo, e vi andava così spesso, come generalmente non si faceva a quei tempi, massime da giovanetti, meno che mai da piccoli e sperduti figli dei campi.

Studente a Chieri e liberissimo di se stesso, pensò tosto a cercarsi un confessore stabile, il quale, sebbene lo scorgesse di umile condizione e di modi assai semplici, pure dalla sua diligente assiduità a confessarsi ne presagì grandi cose. Chierico nel seminario, si distinse subito e sempre per la puntuale regolarità, con cui non preteriva settimana senza presentarsi al tribunale di penitenza. Prete a Torino, si confessava ogni otto giorni dal beato Cafasso. Morto il Servo di Dio, ricorse al ministero di un pio sacerdote già suo condiscepolo, che tutti i lunedì mattina si recava a riceverne la confessione nella sagrestia di Maria Ausiliatrice, confessandosi quindi a sua volta da Don Bosco stesso.

Durante i viaggi e nelle assenze del proprio confessore ordinario si manteneva fedele alla sua cara pratica, rivolgendosi a un Salesiano o ad altri, secondo i casi: ad esempio, durante un soggiorno di due mesi a Roma nel 67, si confessava settimanalmente dal padre Vasco, gesuita da lui conosciuto a Torino. I suoi figli talora sulle prime esitavano; ma egli: - Su, su, diceva, fa' questa carità a Don Bosco, e lascia che si confessi.

Notevole era pure il suo modo di compiere la santa azione: già ne abbiamo fatto altrove un cenno che completeremo qui. Per confessarsi non sceglieva luoghi reconditi od ore solitarie, quasi male operans, se ne stava esposto alla vista di chicchessia; onde fedeli e giovani ebbero agio di osservare 'come tanto nella preparazione quanto nel ringraziamento egli si mostrasse altamente compreso della grandezza e santità dell'atto. Praticare con si vivo e perseverante affetto la confessione frequente costituisce di per sé una vigile e non mai interrotta custodia del cuore, la quale ne rimuove di continuo ogni più piccolo impedimento all'operazione dello Spirito Santo, sicché sempre maggiore piove nell'anima la copia dei celesti suoi doni.

La pratica personale di Don Bosco riguardo alla confessione si rifletteva nei suoi insegnamenti scritti e orali su questa materia, imprimendovi una nota tutta sua, che è la tendenza spiccata non solo ad attirarvi, ma anche ad affezionarvi i fedeli, massime i giovani, oggetto precipuo della sua provvidenziale missione.

L'originalità di Don Bosco quando scrive della confessione, è non nella novità delle cose, ma nel suo calore apostolico per far amare un sacramento da lui tanto amato. Nella sua Vita di Magone Michele inserito una digressione, con la quale in termini vibranti di carità sacerdotale si rivolge prima ai giovani per incitarli a filiale confidenza verso il padre delle loro anime, e poi ai confessori dei giovani per esortarli a portare bontà paterna nell'esercizio di tale ministero.

Anche in una memoria destinata ai Salesiani vuole che il sacerdote, richiesto di ascoltare le confessioni, «si presenti con animo ilare» e che nessuno «usi mai sgarbatezza né mai dimostri impazienza», e raccomanda che «i fanciulli si prendano con modi dolci e con grande affabilità», senza mai strapazzarli né fare le meraviglie per l'ignoranza o per le cose confessate. Nel medesimo scritto pone questa gran norma: «È cosa assai importante ed utile per la gioventù di fare in modo che non mai un fanciullo si parta malcontento da noi».

Nel Giovane Provveduto egli ci si porge guida così amabile, che, chiunque lo segua, si confessa con vera soddisfazione spirituale. Leggendo infatti quelle pagine semplici e soavi, anche chi non sia più giovane, anche chi abbia la fronte solcata dalle rughe del pensiero, sperimenta un senso di fiducioso abbandono, che lo muove a portarsi ai piedi del confessore con fervore di spirito e con la semplicità serena degli anni primi. Anche nei regolamenti per Oratori, per Istituti e per Compagnie la confessione tiene un posto d'onore, ma è presentata sempre in una luce serena e volutamente simpatica.

Come negli scritti, così a viva voce. Il maggior biografo del Servo di Dio afferma che «ogni frase di Don Bosco fu un eccitamento alla confessione». Sorvoliamo su quello che l'espressione possa contenere d'iperbolico riguardo all'universalità, sebbene sarebbe da augurarsi che tutte le iperboli avessero si buon fondamento nella realtà; ma quanto alla positiva efficacia d'ogni suo eccitamento alla confessione, non c'è da discutere, perchè contro il fatto ragion non vale. Diremo meglio contro i fatti; poiché questi ci son noti in tanto numero e con tanta varietà di circostanze, che, leggendone il racconto, si rimane trasecolati e si ammirano i prodigi della grazia divina nell'opera di salvazione.

Il pensiero del ritorno a Dio s'impadroniva con forza si irresistibile della mente di coloro, ai quali Don Bosco ne faceva invito, ch'essi gli cadevano tosto ai piedi o comunque gli aprivano la coscienza, fossero giovani suoi o estranei, operai o professionisti, semplici privati o personaggi altolocati, gente per bene o malfattori. Le vittorie di Don Bosco in questo campo non si contano. Ora, la facilità a trovare le vie dei cuori per indurre ad atto così arduo in sé, più arduo in dati individui, non è possibile se non quando, oltre una gran fede nel sacramento della penitenza e una grande franchezza apostolica, si possegga pure un’altra qualità che sia l'anima di tutto il resto, Quale? Don Bosco stésso se rie lasciò 'sfuggire di bocca la rivelazione.

Nel 62, richiesto a nome d'un buon sacerdote di Osimo che volesse svelare il suo segreto per guadagnare i cuori, egli rispose: «Io l'ignoro se quel buon prete ama Dio, riuscirà pure in ciò assai meglio di me».

Troviamo nel libro del Chautard un bel commento a queste parole, che è pregio dell'opera riferire. «Fra la bontà naturale, frutto del temperamento, e la bontà soprannaturale d'un apostolo corre tutta la distanza che fra l'umano e il divino. La pri ma potrà far nascere il rispetto, anche la simpatia, per l'operaio evangelico, facendo talora deviare verso la creatura un affetto che doveva andare a Dio solo; ma non potrà mai determinare le anime a fare, e veramente per Iddio, il sacrificio necessario per tornare al loro Creatore. Solamente la bontà che sgorga dall'unione con Gesù può ottenere tale effetto».

Se Don Bosco faceva così in incontri isolati, figuriamoci come dovesse profittare dell'occasione quando impartiva l'istruzione religiosa o dispensava la parola di Dio. Nei catechismi non rifiniva mai di tornare da capo sulle disposizioni necessarie per ricevere con frutto il sacramento della penitenza, rappresentando al vivo la bontà del Signore nell'istituirlo e i beni che esso arreca alle anime. Dall'amare la confessione e quindi la comunione egli faceva dipendere la possibilità di trascorrere immacolato il tempo delle passioni o quella di rialzarsi dalle prime cadute.

Erano poi rarissime le sue parlate ai giovani, le sue conferenze al personale, le sue prediche a ogni qualità di ascoltatori, in cui non toccasse opportune e importune 'argomento della confessione sacramentale. Non veniva egli a noi, così facendo, o non correva rischio di urtare l'uditorio, dando, per fare ciò, in stonature? No. Chi parla con fede e amore parla ispirato, trascinando chi ode. Infatti il cardinal Cagherò, che lo sentì centinaia di volte, depone che del suo tema prediletto Don Bosco «parlava sempre con modi nuovi e attraenti». E quanto a uscire di tono, meno che meno; poiché, qualunque persona, qualunque adunanza di persone avesse dinanzi a sé, Don Bosco non vedeva uomini, vedeva anime. La qual vista due sentimenti gli svegliava dentro, uno di desiderio e l'altro di timore: desiderio di condurre tutti in paradiso e timore che alcuno battesse la strada dell'inferno. Ora, questi due sentimenti, armonizzati nell'amor divino che formava tutta l'intima ragion di essere come del suo operare così del suo parlare, davano l'intonazione fondamentale a' suoi discorsi, pur passando per variazioni molteplici, una delle quali, e la più ordinaria e la più abilmente intercalata, era il richiamo al sacramento della misericordia.

Quanta e quale fosse la carità che abitualmente infiammava il cuore di Don Bosco verso Dio, oltreché dall'eccitare così con la penna e con la lingua alla confessione, traluce in sommo grado dal suo modo di amministrare questo sacramento.

Il Huysmans, da grande convertito, come si dice in Francia, trova che per i suoi pari, i quali «tutta d'un colpo debbono riversare la loro vita vissuta ai piedi d'un sacerdote», sarebbe «veramente bello e buono» venire «confortati» e «aiutati» come Don Bosco confortava e aiutava i penitenti, tanto «il suo modo, di confessare ricorda l'insuperabile misericordia di Gesù». Il solo vederlo nell'atto di così santo ufficio ingenerava nei riguardanti riverenza e amore verso l'augusto sacramento.

Con quel senso delle cose divine che gli era proprio, accedeva al luogo delle confessioni, non già tenendo la berretta in testa, ma stringendola fra le dita davanti al petto, né si assideva prima d'aver pregato e fatto un bel segno di croce. D'ordinario confessava da un seggiolone a bracciuoli, collocato fra due inginocchiatoi. La sua positura era quale si addice a rappresentante di Dio, cioè dignitosa e amorevole. Ginocchia unite, piedi sopra lo sgabelletto, busto eretto, capo leggermente chino, volto d'uomo assorto in opera divinissima e tutto penetrato dello spirito di Dio. Si volgeva alternatamente a destra e a sinistra, con movimento grave e modesto. Nell'accogliere i penitenti non li mirava in faccia, né mostrava punto di volerli conoscere; ma, appoggiato il gomito sull'inginocchiatoio, accostava alla loro bocca il suo orecchio, facendovi riparo con il cavo della mano. Ascoltava attento, non mutando mai aspetto e usando una dolcezza inalterabile.

Che cosa passasse fra lui e i penitenti, non è dato saperlo se non da quelli, a cui toccò in sorte di averlo per confessore. Uno di essi, autorevolissimo per più titoli, è il cardinal Cagherò, confessatosi da Don Bosco per più di trent'anni. Egli dice nei processi e altrove: «Ammirabile la sua bontà coi giovanetti e con gli adulti. Quasi tutti ci confessavamo da lui, guadagnati dalla sua dolcezza e dalla sua carità sempre benigna e paziente. Era breve, senza fretta. Benigno al sommo e non mai severo, c'imponeva una breve penitenza sacramentale, adatta alla nostra età e sempre salutare. Sapeva farsi piccolo coi piccoli, darci gli avvisi opportuni, e le stesi se riprensioni sapeva condirle con tale sapore, che (C'infondeva sempre amore alla virtù e orrore al peccato. Un ambiente angelico aleggiava sopra la sua persona e le sue esortazioni».

Era poi voce comune che assai sovente si vedessero persone, le quali, presentatesi a lui sfiduciate, se ne tornavano raggianti di consolazione, quasi ricolme di fiducia nell'infinita misericordia divina. Questo suo modo di confessare ispirava tanta confidenza, che, chi l'aveva sperimentato, non se ne dimenticava più. Quindi i già suoi penitenti, incontrandolo anche dopo non pochi anni, o spontaneamente gli manifestavano senz'altro come stessero d'anima e da quanto tempo non si fossero confessali, o a sua domanda rispondevano con affettuosa sincerità; molti, informati della sua presenza in dati luoghi, volavano a lui anche da lontano, per potersi nuovamente confessare come una volta.

Non sarebbe detto abbastanza intorno al suo modo di confessare, se non si aggiungessero ancora due osservazioni, che aiutano a scandagliare sempre meglio le profondità della sua vita interiore.

In primo luogo, confessando, egli era un uomo completamente astratto dalle cose di questo mondo. E si che affari ne aveva fin sopra i capelli, e di si gravi, che, ripartiti, avrebbero occupato a sufficienza più persone di attività non pigra! Eppure, richiesto di confessare nel bel mezzo di qualsiasi faccenda, non si mostrava importunato, non diceva di tornare più tardi, non indirizzava a qualche altro; ma, sospesa ogni cosa temporale si metteva, umilmente al servizio di quell'anima. Per solito, poi, scoccata l’ora delle confessioni, si spiccava tostamente da tutto e da tutti: nulla da quell'istante aveva a' suoi occhi importanza maggiore. Ciò si ripeteva ogni sabato sera, ogni vigilia di feste e tutte le mattine prima e durante la messa della comunità. Se ne stava nel confessionale parecchie ore di seguito, interamente concentrato nel suo ministero, senz'aria di noia, senza mai sospendere per umane ragioni. Non sospendeva nemmeno quando convenienze eccezionali sembravano consigliare di farlo. È inutile discutere: per i Santi non esistono negozi terreni che reggano al confronto degl'interessi celesti.

Una domenica mattina capitò all'Oratorio il marchese Patrizi, romano, ospite desideratissimo. Lo ricevettero come poterono meglio alcuni superiori, perché Don Bosco era a confessare i ragazzi esterni. Il Servo di Dio, avvisato, rispose con calma: - Bene, bene! Ditegli che sono contento del suo arrivo e che aspetti un momento, finché abbia terminato di ascoltare questi poverini, che desiderano di fare la santa comunione. Quel momento durò un'ora e mezzo.

La seconda osservazione si riferisce all'impassibilità, con cui, una volta assiso nel confessionale, sopportava qualsiasi disagio, molestia o sofferenza. Impassibile alla stanchezza: dopo giornate molto laboriose, quasi non sentisse bisogno di riposare, rimaneva inchiodato là, finché continuavano a venire penitenti. Impassibile all'asprezza della temperatura: prima che ci fosse calorifero, soffriva invitto i rigori dell'inverno torinese fino alle dieci e alle undici di notte.

Impassibile in Liguria agli assalti delle zanzare: lasciava che lo punzecchiassero, levandosi alla fine tutto crivellato nella fronte e nelle mani. Impassibile a qualche cosa di peggio: i poveri oratoriani di quei tempi al confessore non portavano solo peccati; dopo le confessioni certe volte era un affar serio per Don Bosco liberarsi da tanti minuscoli aggressori di varie specie: ne aveva ben avvertito l'avanzarsi minaccioso e in numero crescente, ma non se n'era dato per inteso, sempre intento alla cura di quelle misere anime.

E le confessioni dei carcerati? Le carceri d'allora erano peggiori delle carceri odierne, per quanto concernesse nettezza e decenza. Don Bosco, dotato di sensitività squisita, sembrava non avere più, in quell'ambiente stomachevole, né occhi né nari: applicato a medicate le piaghe spirituali di quei disgraziati, non aveva tempo di badare alle ripugnanze suscitategli dai sensi. Insomma, dopo il fin qui detto, come non richiamare le parole di Pio X, il quale nell'enciclica dell'11 giugno 1905 ai Vescovi d'Italia affermava categoricamente, che per sopportare con perseveranza le noie inseparabili da qualunque apostolato mancano del tutto le forze, dove non ci sia l'ausilio della vita interiore?

 

 

Eugenio Ceria

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