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C'è una pillola che può far perdere Obama

La decisione “sconsiderata” dell'Amministrazione americana prevede che persino enti come scuole, ospedali e associazioni cattoliche dovranno offrire ai loro dipendenti pacchetti assicurativi nei quali la contraccezione viene considerata come un servizio sanitario irrinunciabile, inclusa la cosiddetta “contraccezione post-coitale.


C'è una pillola che può far perdere Obama

da Quaderni Cannibali

del 26 gennaio 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

Obama potrebbe perdere voti preziosi per le sue elezioni presidenziali “grazie” al rimborso obbligatorio di contraccettivi previsto nella sua riforma sanitaria.

          La decisione “sconsiderata” - secondo i vescovi d’America, che hanno già invitato i cattolici a dissentire pubblicamente - dell’Amministrazione americana prevede, sostanzialmente, che i lavoratori dipendenti di qualsiasi ente od organizzazione abbiano un piano assicurativo che comprenda obbligatoriamente un minimo di servizi, fra i quali, appunto, il rimborso di tutti i contraccettivi, compresi quelli cosiddetti “di emergenza”, che potrebbero anche avere effetti abortivi.

          Il che significa che pure enti come scuole, ospedali e associazioni cattoliche dovranno offrire ai loro dipendenti pacchetti assicurativi nei quali la contraccezione viene considerata come un servizio sanitario irrinunciabile, inclusa la cosiddetta “contraccezione post-coitale”. Sono esenti quelle organizzazioni religiose che hanno dipendenti solamente della loro stessa fede e come obiettivo l’insegnamento di valori religiosi: una clausola che comunque non coprirebbe la maggior parte delle opere cristiane statunitensi.

          L’ambiguità della categoria della “contraccezione di emergenza” è nota: somministrato nei giorni (da tre a cinque) immediatamente successivi a un rapporto sessuale potenzialmente fecondo, questo tipo di prodotti chimici potrebbe avere un effetto contraccettivo - evitando la fecondazione - oppure antinidatorio, cioè impedire all’embrione già formato di annidarsi in utero. Una forma precocissima di aborto, insomma. Sono prodotti che agiscono, quindi, in una duplice incertezza: quella della presenza di un embrione e quella del meccanismo di azione.

          Un’incertezza comoda, dal punto di vista delle compagnie produttrici, che registrando questi farmaci come contraccettivi possono commercializzarli più agevolmente, rispetto a quelli dichiaratamente abortivi. Un’incertezza devastante, dal punto di vista educativo e sanitario. Educativo, perché il messaggio trasmesso in questo modo è che “basta che funzioni”, come nel film di Woody Allen: non so con precisione quel che è successo nel mio corpo, non so come agirà questo farmaco, non mi interessa sapere niente di tutto questo. L’importante è evitare una possibile gravidanza, comunque sia. Sanitario, perché - pur non considerando la possibilità di soppressione di un eventuale embrione - la cosiddetta “contraccezione di emergenza” dovrebbe essere usata, secondo quanto indicato dalle stesse case produttrici, solo in casi eccezionali. Ma la libera vendita nelle farmacie non ne consente la tracciabilità, e quindi il controllo dell’uso, specie nelle minorenni. Il risultato, in molti paesi, è surreale: è libera la somministrazione di vere e proprie “bombe ormonali” in giovani donne nel periodo più delicato della loro crescita, e al tempo stesso c’è bisogno dell’autorizzazione dei genitori per qualsiasi altro tipo di farmaci, come ad esempio antibiotici o antiinfiammatori.

          Per trovare una soluzione al problema si dovrebbe cominciare da un uso corretto dei termini: nell’attesa di un chiarimento sui possibili meccanismi di azione di questa categoria di prodotti, si dovrebbe evitare di chiamare “contraccettivi” dei farmaci dei quali non si è in grado di escludere l’azione antinidatoria. O, quanto meno, bisognerebbe metterne bene in evidenza i limiti, spiegando onestamente e senza ambiguità ciò che si conosce e ciò che è ancora ignoto: solo chiamando le cose con il loro nome, senza imbrogli linguistici, è possibile ridurre la carica ideologica che inevitabilmente queste tematiche portano con sé.

          Un buon consigliere del Presidente Obama potrebbe suggerire di disinnescare le polemiche a partire da un chiarimento terminologico su questo tipo di prodotti, possibilmente accompagnato da una riflessione più attenta su quali farmaci, effettivamente, siano da considerarsi irrinunciabili per un servizio sanitario nazionale. Potrebbe essere un’occasione, questa campagna presidenziale, di affrontare il problema della “contraccezione di emergenza”, una volta tanto, senza nascondersi dietro trucchetti lessicali che servono solo a coprire la verità e inasprire gli animi.

          L’aborto, anche quello sotto le forme incerte e ambigue della “contraccezione di emergenza”, è un tema che scotta, specie negli Stati Uniti, dove l’imponente mercato creato da potenti catene di cliniche private dedite solamente ad “attività” di aborto e contraccezione ha suscitato la reazione di un largo fronte pro-life che attraversa e unisce tante chiese cristiane, cattoliche e protestanti evangeliche, unite in battaglie per la vita tutt’altro che timide, e che potrebbero essere determinanti nella prossima campagna presidenziale. Obama è avvertito.

Assuntina Morresi

http://www.ilsussidiario.net

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