Domenica 19 marzo 1876
Un giorno il divin Salvatore, passeggiando per le campagne vicine alla città di Samaria, volgendo gli sguardi attorno e per le pianure e per le valli, vedendo che la messe in ogni luogo era molto copiosa invitò i suoi apostoli a ricreare anche essi la loro vista a quel ridente aspetto delle campagne, ma subito s’accorsero che malgrado della quantità della messe non vi era nessuno che ne raccogliesse le biade. Allora esso, certo alludendo a qualche cosa ben superiore, voltosi agli apostoli disse loro: Messis quidem multa operarii autem pauci [Mt 9,37], è bensì molta la messe da raccogliersi, ma vedete come sono pochi gli operai. Questo è il grido straziante che in ogni tempo fecero sentire la Chiesa ed i popoli: la messe è molta, ma pochi gli operai. Il divin Salvatore, e voi lo capite a sufficienza, per campo o vigna che gli stava d’attorno intendeva di parlare della Chiesa e di tutti gli uomini del mondo; la messe da farsi consiste nella salvezza delle anime, ché tutte le anime devono esser raccolte e portate nel granaio del Signore; oh quanto copiosa è questa messe; quanti milioni d’uomini sono su questa terra! quanto lavoro sarebbe ancora a farsi per ottenere che tutti si salvino; ma operarii autem pauci, gli operai son pochi. Per operai che lavorano nella vigna del Signore s’intendono tutti coloro che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime. E, notate bene, che operai qui non s’intendono solo, come alcuno può credere, i sacerdoti, predicatori e confessori, che certo più di proposito son posti a lavorare e più direttamente s’affaticano a raccoglier la messe, ma essi non son soli, né essi basterebbero.
Operai son tutti quelli che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime; come operai nel campo non son solo quelli che raccolgono il grano, ma anche tutti gli altri. Guardate in un campo, questa varietà di operai. Vi è chi ara, chi dissoda la terra; altri che colla zappa l’aggiusta; chi col rastrello o randello rompe le zolle e le appiana; altri getta la semente, altri la copre; chi toglie poi l’erba cattiva, la zizzania, il loglio, la veccia; chi sarchia, chi sradica, chi taglia; altri poi innaffia a tempo opportuno ed incalza; altri invece miete e fa manipoli e covoni e borle, e chi carica sul carro e chi conduce; chi stende, chi batte il grano; chi separa il grano dalla paglia; altri lo avaccia, lo purga, lo vaglia, lo mette nella sacca, lo porta al molino e qui da vari si rende in farina; poi chi lo buratta, chi l’impasta, chi l’inforna. Vedete miei cari, quanta varietà d’operai si richiede prima che la messe possa riuscire al suo scopo a ridarci cioè pane eletto del paradiso.
Come nel campo, così nella Chiesa, c’è bisogno d’ogni sorta d’operai, ma proprio di tutti i generi; non c’è uno il quale possa dire: “Io benché tenga condotta irreprensibile, sarò buono a niente nel lavorare a maggior gloria di Dio”. No, non si dica così da nessuno; tutti possono in qualche modo far qualche cosa. Gli operai son pochi. Oh se si potessero avere tanti sacerdoti da mandare in ogni regione della terra, in ogni città, paese, villaggio, campagna e convertir il mondo. Ma tanti sacerdoti è impossibile averli; bisogna dunque che vi siano anche altri; poi i sacerdoti come potrebbero esser liberi nel loro ministero se non avessero chi loro cuoce il pane e le vivande; se avesse[ro] da sé a farsi le scarpe e gli abiti? Il sacerdote ha necessità d’esser coadiuvato; e io credo di non dire errore se asserisco che quanti siete qui, e preti e studenti e artigiani e coadiutori, tutti, tutti potete essere veri operai evangelici e far del bene nella vigna del Signore. E come? In molti modi.
Tutti ad esempio potete pregare. Certo non c’è chi questo non possa. Oh vedete, tutti dunque potete fare la parte principale di cui parla il divin Salvatore in questo luogo; poiché, dopo d’aver detto che pochi sono gli operai, soggiunge: “Pregate adunque il padrone della messe che mandi gli operai nella messe sua”, Rogate ergo dominum messis ut mittat operarios in messem suam [Mt 9,38]. La preghiera fa violenza al cuore di Dio; Dio è in certo qual modo obbligato a mandarli. Preghiamolo per i nostri paesi, preghiamolo per i paesi lontani; preghiamolo per i bisogni delle nostre famiglie e delle nostre città; e preghiamolo per coloro che sono ancora involti nelle tenebre dell’idolatria, della superstizione, dell’eresia. Oh tutti preghiamo di vero cuore, preghiamo molto il padrone della messe.
Una cosa che si può anche fare da tutti, ed è di massima utilità e un vero lavorare nella vigna del Signore, si è il dare buon esempio. Oh quanto del bene si può fare in questo modo; buon esempio colle parole incoraggiando gli altri al bene, dando buoni avvisi, buoni consigli. Qui c’è uno che è in dubbio di sua vocazione; là c’è un altro che è in procinto di prendere una risoluzione che gli arrecherà poi danno sempre; ebbene costoro se sono consigliati, confortati nel bene, quanto non ne potranno avvantaggiare! Molte volte basta una sola parola per far sì che uno stia o si metta sulla buona strada. San Paolo diceva ai fedeli che cercassero di essere lucerna lucens et ardens [Gv 5,35]. Se proprio si vedesse in noi questa luce! Che tutti restassero edificati dalle nostre parole. Ma non basta: che ci fossero anche le opere. Ci fosse quella carità infiammata che ci fa tenere in non cale ogni cosa, purché possiamo far del bene ai nostri fratelli; se ci fosse proprio quella castità perfetta che fa riportar vittoria su tutti gli altri vizi; se ci fosse proprio quella mansuetudine che ci attira il cuore degli altri! Oh io credo che tutto il mondo resterebbe attirato nelle nostre reti.
Altra cosa che tutti possono fare si è la frequenza nelle cose di religione, nelle pratiche di pietà, nel prender parte a tutte le cose che possono promuovere la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime. Il parlar bene della Chiesa, dei ministri della religione, del papa in special modo, delle disposizioni ecclesiastiche. Son queste cose che chiunque può fare dal più grande al più piccolo di voi; e tra noi qui in casa, il parlar bene dei superiori, della Congregazione, della casa, degli apprestamenti. Ma non basta. Una cosa che tutti possono fare si è di aiutare ad estirpare le erbe cattive, la zizania, il loglio, la gramigna, la veccia ed ogni altra erba che non faccia che recar del male; voglio dire che quando c’è qualche scandalo non si tolleri; ma chi è nel caso di poterlo togliere lui, lo tolga e adoperi ogni mezzo per farlo cessare; chi non può, non stia neghittoso, ma ne parli a chi di ragione e se non basta una volta, ne parli due e tre e più; ma che lo scandalo si tolga.
Tutti potete, sentendo qualcuno lamentarsi degli apprestamenti di tavola, correggerlo; vi sarà chi desidera d’uscire senza permesso o chi si lamenta perché non può uscire, tutti potete animarlo, incoraggiarlo, consigliarlo a pazienza. Una gran cosa poi si è estirpare la zizzania, cioè lo scandalo col parlare. Avviene molte volte che vi è qualche disordine in casa ed i superiori non lo sanno e perciò non possono porvi rimedio; è di assoluta necessità che voi ne parliate, li rendiate consapevoli del male; voi vi trovate a contatto con costoro mentre dai superiori stanno lontano. Altro modo di estirpar zizzania si è la correzione fraterna. Avviene e mentre si è qui e mentre si è a casa dei genitori al proprio paese che nostri amici inavvertitamente in nostra presenza tengono discorsi non dicevoli ad un giovane cristiano; scrivono lettere servendosi di frasi non cristiane e d’espressioni che possono suscitare la nostra ira o cattivi pensieri. Ebbene? Si risponda a quel tale con bei modi: “Vedi, tu dici così e così; ma osserva che queste parole non stan bene in bocca a un cristiano. Io so che tu mi sei amico e scrivesti questo senza avvedertene; ma appunto perché amico io credo che tu non ti offenderai se io ti correggo in questo e quello”. Oppure: “Abbimi per scusato, ma io non posso accettare quelle proposte che tu mi fai le quali non son conformi alla vita che deve tenere un giovane cristiano”. Molte volte qualche correzione amichevole così fatta produce nel cuore dei compagni e fratelli l’effetto di più prediche, ed avviene che si mettano a servir Dio o per lo meno ad amare più la religione, solo perché trovano questa cortesia di modi in chi sanno che pratica la religione.
E pur troppo che varie volte avviene che coi genitori stessi bisogna usare questa carità di istruirli, correggerli, riprenderli. Si usi fortezza, si faccia anche questo; si faccia coraggiosamente, ma nel modo si usi proprio tutta quella carità, quell’amorevolezza, quella mansuetudine che avrebbe usato san Francesco di Sales trovandosi nel nostro caso. Tutti questi e mille altri sono modi che ciascuno, sia prete, sia chierico, sia laico di qualunque età o condizione, può usare nel lavorare nella vigna del Signore. Vedete adunque che attorno alla messe evangelica tutti possono lavorare in molti e vari modi, solo che ciascuno sia zelante dell’onor di Dio e della salvezza delle anime. Adesso qualcuno domanderà: “Ma, Signor don Bosco, ed a che cosa vuol ella alludere con questo? Che cosa intende ella di dirci? Per qual motivo ci manifestò queste cose stasera?”. Oh, miei cari! quel grido “operarii autem pauci” non si faceva solo sentire nei tempi antichi, nei secoli scorsi; ma a noi, a noi in questi nostri tempi si fa sentire imperioso più che mai. Alla Congregazione salesiana cresce di giorno in giorno così smisuratamente la messe che quasi direi non si sa più da che parte cominciare o come nel lavoro regolarci. Egli è per questo che io vorrei vedervi tutti e presto buoni operai nella vigna del Signore! Le domande di collegi, di case, di missioni vengono in numero straordinario sia dai nostri paesi qui d’Italia, sia dalla Francia, sia dalle estere regioni. Dall’Algeria, dall’Egitto, dalla Nigrizia in Africa, dall’Arabia, dall’India, dalla Cina e dal Giappone in Asia; dall’Australia, dalla repubblica Argentina, dal Paraguay, da Gibilterra e si può dire da tutta l’America si fanno domande di aprire nuove case poiché dappertutto vi è una scarsità tale di operai evangelici che spaventa chi osserva il tanto bene che si potrebbe fare e che si deve lasciar indietro per mancanza di missionari.
Dalla repubblica Argentina poi abbiamo notizie proprio strazianti da don Cagliero. Là per lo più quando vanno a confessarsi non si domanda: da quanto tempo è che non vi siete più confessato, ma si dice: vi siete già confessato qualche volta? E non raro capita di avere uomini e donne sui trenta o quaranta anni che non si sono confessati ancora mai. E non è che odino le cose di chiesa o di confessione, no; ma questo avviene perché non ebbero ancor comodità. E figuratevi quanti, oh quanti si trovano in punto di morte e desidererebbero per lo meno allora avere un prete cui confessare le proprie colpe ed averne l’assoluzione, ma neppure quello non è loro concesso perché raramente trovano il sacerdote che possa soddisfarli!
Non è però mio scopo di invitarvi ad andare in luoghi così lontani; questo si può fare da vari e non da tutti, sia perché il bisogno è anche tanto urgente qui, sia perché per varie cagioni non tutti coloro che si sentono chiamati alla Congregazione salesiana sarebbero disposti a recarsi in così immense distanze. Ma in vista di tanti bisogni, di tanta mancanza di operai evangelici, notando che tutti voi chi in un modo chi in un altro potete lavorare nella vigna del Signore, potrei io stare quieto e non manifestarvi il secreto desiderio del mio cuore? Oh sì che desidererei di vedervi tutti slanciati a lavorare come altrettanti apostoli! A questo tendono tutti i miei pensieri, tutte le mie cure, tutte le mie fatiche. Egli è per questo che si accelerano gli studi, si dà ogni comodità affinché si possa far presto ad indossare l’abito ecclesiastico, si imprendono scuole particolari.
E potrei io in vista di tanti e sì pressanti bisogni tacere? E potrei io, mentre da ogni parte ci chiamano e par proprio la voce di Dio che si manifesti per le bocche di tanti, ritirarmi? E, dopo i manifesti segni della divina Provvidenza che tanto grandi cose vuol operare per mezzo dei Salesiani, [potrei io] stare muto e non cercare di aumentare il numero degli apostoli evangelici?
Ora ho ancora una cosa a dirvi ed è la più importante. Nel mentre che io invito tutti voi a star costanti o a farsi iscrivere nella Congregazione salesiana, non voglio che chi non ha la vocazione cerchi di entrarvi. Io vedo il gran bene che possiamo fare; vi espongo come sia grande la messe che sta avanti ai nostri occhi, come abbisogni di molti coltivatori la vigna del Signore affinché coloro che si sentono un’interna voce che gli dica: tu nella Congregazione potrai fare più facilmente la salute dell’anima tua e la salute delle anime del prossimo; sappia le cose come stanno ed abbia comodità di farsi inscrivere. Mentre intendo che tutti gli altri secondino la propria vocazione. Quello che voglio e quello su cui tanto insisto si è in questo, che dovunque uno sia, sia proprio, come si legge là nel Vangelo, “lucerna lucens et ardens”. Io non son contrario ad un giovane che voglia andare in seminario e farsi prete nel secolo. Quello che io voglio e su cui insisto e insisterò finché avrò fiato e voce si è che colui il quale si fa chierico sia santo chierico; colui il quale si fa prete sia santo prete; si è che colui il quale vuole partecipare dell’eredità del Signore abbracciando lo stato ecclesiastico, non si impigli in cose secolaresche, ma intenda solo a salvar delle anime. Questo io domando che tutti, ma specialmente l’ecclesiastico sia luce che illumini tutti coloro che lo circondano e non tenebre che inganni chi lo segue.
Ma questa luce non si manifesti solo in parole: venga alle opere. Ciascuno procuri di ornarsi il cuore di quella carità che fa dar la vita per salvar le anime; la quale fa sì che non si guardi a nessun interesse corporale quando si tratta di far del bene e proprio dire con San Paolo che gli interessi mondani e le cose di questa terra le riteneva come sozzure per far lucro d’anime a Gesù Cristo: omnia arbitror ut stercora ut Christum lucrifaciam [Fil 3,8]. Bisogna che nessun si lasci dominare dalla gola, dall’intemperanza che è quella che miseramente mena a naufragio tanta gioventù e, diciamolo pure, tanti ecclesiastici. Bisogna che si sappia moderare e mortificare specialmente nel vino colui che desidera lavorare con frutto quella vigna del Signore, in qualunque stato si trovi.
Vero operaio evangelico, dovunque si trovi, è colui che prende parte volentieri alle pratiche di religione, le promuove, le rende solenni. Se c’è una novena essi ne sono contenti; fanno essi qualche pratica speciale, invitano altri a farne.
Per esser vero operaio evangelico bisogna non perder tempo, ma lavorare: chi da una parte, chi da un’altra; chi tra gli studi, tra le assistenze e tra le cattedre; chi tra le cose materiali; chi tra i pulpiti e confessionali; chi tra uffizi e prefetture. Ma si tenga bene a mente che il tempo è prezioso e che chi lo perde o non si sforza di occuparlo bene, non potrà mai esser un buon operaio evangelico.
Ecco, miei cari figliuoli, le cose che vi ho esposte per divenir buon operaio evangelico. Oh se queste cose esattamente si praticassero da noi! Volgiamo un po’ uno sguardo: si praticano esse nella nostra Congregazione? Oh se io potessi un po’ dire che veramente queste cose ci sono e son praticate esattamente; me fortunato, io potrei veramente andarne superbo. Oh se i Salesiani mettessero veramente in pratica la religione nel modo in cui la intendeva san Francesco di Sales, con quello zelo che aveva lui, diretto da quella carità che aveva lui; moderato da quello zelo e da quella mansuetudine che aveva lui, sì che potrei andarne veramente superbo e vi sarebbe motivo di sperare un bene immenso nel mondo. Anzi io vorrei dire che il mondo verrebbe dietro a noi e noi c’impadroniremmo di lui.
Ancora una cosa che io credo d’un’importanza proprio straordinaria e che bisogna che cerchiamo proprio che ci sia in noi ora e che si conservi sempre. Questo è l’amor fraterno. Credetelo, il vincolo che tiene unite le società, le congregazioni è questo amor fraterno. Io credo di poterlo chiamare il vincolo, il perno su cui s’aggirano le congregazioni ecclesiastiche. Ma a che grado dovrebbe esso ascendere? Il divin Salvatore ce lo disse: Diligite vos alterutrum sicut et ego dilexi vos [Gv 13,34]. Amatevi a vicenda nel modo, con quella misura con cui io amai voi. E nelle sacre scritture ad ogni passo è ripetuta questa cosa che noi ci amiamo molto. Ma quest’amore per essere come si richiede dev’essere tale che il bene di uno sia bene di tutti ed il male di uno sia il male di tutti. Bisogna che ci sosteniamo a vicenda e che non mai uno biasimi quello che l’altro fa; non mai si abbia un po’ d’invidia: “A quel tale quella carica, a me invece no”; “Quel tale è il più ben visto, mentre io non ho nessuno che mi guardi”. “Ecco, se c’è qualche cosa di bello e di buono bisogna che capiti a quel tale mentre a me nessuno pensa”. No, bando a queste invidie, il bene di uno deve essere il bene di tutti. Il male di uno poi anche male di tutti. C’è qualcuno che sia perseguitato? bisogna che ci figuriamo perseguitati tutti e compatirlo e aiutarlo. C’è qualcuno malato? esserne malcontento come se lo fossimo noi. Promuovere poi insieme d’accordo le cose buone, l’iniziativa venga da chi si vuole. E si sa ben che non tutti hanno la stessa capacità, studi, mezzi. Adunque grande amor fraterno. Se faremo così sapete che ne avverrà? Ne avverrà ciò che venne nella Chiesa. Alcuni erano apostoli, ma oltre gli apostoli vi erano i 72 discepoli; poi vi erano i diaconi, vi erano i cooperatori evangelici; ma tutti costoro lavoravano d’accordo, tutti insieme con grande amor fraterno e per ciò riuscirono a quello che riuscirono, cioè il cambiar la faccia al mondo. Così noi, dovunque siam posti, in qualunque maniera siamo adoperati, purché possiamo salvare delle anime ed in cima a tutte possiamo salvare l’anima nostra e noi ne abbiamo abbastanza.
Ma tutte queste cose non si ottengono se non a prezzo di grandi sacrifici, senza aver da patire qualche cosa. Senza grandi fatiche non si arriva mai a poter fare cose grandi; e perciò noi dobbiamo mostrarci pronti a tutto. Sì, ciascuno si faccia ascrivere alla Congregazione salesiana, ma dica: io voglio mettermi per questa via col solo motivo di salvar delle anime; inteso che volendo salvarne delle altre voglio prima di tutto salvare la mia. Questo non si può ottenere senza sacrifici? Ebbene, io son pronto a fare qualunque sacrificio. Io mi voglio porre alla sequela di Gesù crocifisso; se esso muore in croce, patendo orribili dolori, io che voglio essere suo seguace devo mostrarmi pronto a qualunque patimento, fosse pure di morire in croce con lui. D’altronde guardate, nel Vangelo io trovo scritto beati i tribolati e non mai, beati coloro che se la godono. Tocca adunque di soffrire qualche cosa? Beato me, così potrò più da vicino seguire le orme del divin Redentore. I gaudenti di questo mondo godono per un momento e poi dei loro goderi ne avran ben poco, anzi nulla e peggio che nulla per l’eternità. I tribolati invece patiscono bensì qualche cosa, ma questo durerà poco ed ogni patimento gli sarà cambiato in gemma preziosa lassù in cielo che li consolerà per tutti i secoli.
Io finisco con quel detto di san Paolo, “Vos delectat magnitudo praemiorum; non vos deterreat magnitudo laborum”: vi diletta il pensiero della gran ricompensa del paradiso? Non vi spaventi se dovrete soffrire qualche cosa su questa terra.
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