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Vivere l'amore grande

Ciascuno di noi è il protagonista di un insieme di amori di cui alcuni sono piccoli e altri grandi. Un amore piccolo è quello che ci coinvolge poco, che ci conduce a poco, che ci costa poco. È un amore grande quello che ci ispira la gratuità, che ci allontana dal nostro io, che ci regala agli altri.


Vivere l’amore grande

da Teologo Borèl

del 06 aprile 2009

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli” (Gv 15,13) non è una definizione filosofica, ma è un invito preciso a non sbagliare amore, a individuare criteri di discernimento.

Ciascuno di noi è il protagonista di un insieme di amori di cui alcuni sono piccoli e altri grandi. Un amore piccolo è quello che ci coinvolge poco, che ci conduce a poco, che ci costa poco. È un amore grande quello che ci ispira la gratuità, che ci allontana dal nostro io, che ci regala agli altri.

L’amore grande ci fa capire che è molto importante dare, donare, ma è molto più importante darsi, donarsi; anzi, Gesù ce lo insegna, il vero dono è quello di tutta la nostra persona. C’è una grande differenza tra dare e darsi: si possono dare molte cose, come parole, gesti e tempo, ma tenendosi per sé il “di più”. L’amore grande esprime la gratuità, ci allontana da noi e ci inclina a donarci.

 

L’esperienza insegna che i comportamenti sono miscele di amori piccoli e grandi che si influenzano a vicenda e si contrastano. Immersi come siamo nel relativismo etico e morale, oggi, a differenza di ieri, ci vuole tanta più chiarezza. Tutti gli amori ormai vantano il diritto di essere per il solo fatto che ci sono: amo, dunque sono; ma è “l’amo”, quell’amare che va messo in discussione, e oggi non lo si mette più.

Ecco perché in questo mondo così confuso e disorientato bisogna trovare la propria strada e non c’è altro che aggrapparsi all’incorruttibile esempio che è Gesù Cristo, amico che non ci inganna, che ci introduce in una scuola d’amore che ci permette di evitare devianze, indebolimenti e perciò, sempre, tragedie e sofferenze.

 

 

GESÙ È STATO LA STORIA UMANA DELL’AMORE

 

E lo sapeva: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Pensare a Gesù come a un uomo che ha amato molto, è psicologicamente esatto, ma non teologicamente: Gesù ha amato molto, ma non ha amato come amo io che amo e faccio altre cose. Egli è stato l’amore incarnato, il regalo del Padre e si è comportato da regalo sempre, non solo in qualche occasione.

Se un oggetto regalato sapesse parlare e capire che è un regalo, mi verrebbe incontro, probabilmente, e mi chiederebbe: “mi vuoi? ti piaccio?” E Gesù parla come un dono: Sono venuto con un fine ben preciso: affinché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza. Gesù non parla della nostra vita (“abbiate la vita” non è “abbiate la vostra vita”), che abbiamo già, ma della sua. Infatti “in abbondanza” nel greco non vuol dire “un po' di più”, ma “di un’altra qualità”: cioè la sua vita. È bellissimo sapere che ogni volta che Gesù ci incontra, lo incontriamo, Egli è il dono, sempre; non solo allora ma anche adesso.

La consapevolezza che non poteva stare senza regalare continuamente tutto ci aiuta a essere suoi tralci, a scegliere di vivere come Lui. Presi come siamo dalla mentalità utilitaria, ossessionati dal “io faccio, ma tu quanto mi dai?”, dobbiamo davvero capovolgere le cose e lasciarci prendere dallo Spirito per vivere nella misura del dono.

 

 

GESÙ È STATO UN’OFFERTA VIVENTE

 

“Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17-18). Perciò, sapendo che era un dono non soltanto per farci stare meglio (“alzati e cammina”), ma era un dono per salvarci (la salute nel senso teologico), Gesù non ha potuto non essere una totale offerta: si è consumato. Tutti daremo la vita come Dio ci chiederà; ma Gesù, che era il dono, ha dovuto e ha voluto arrivare alla pienezza di questo programma. È inconcepibile un Gesù che muore tranquillo!

 

Ha dato tutto quando muore sulla croce perché ha voluto offrirsi. Si può vedere la croce come una tragedia di dolore, ma è importante contemplarla come un dono completo. È stupendo questo Gesù!

La vita di Dio non può essere distrutta. In apparenza Gesù è schiacciato, trattato come l’ultimo degli uomini, ma in realtà va dentro quella violenza, mettendosi nelle mani dei violenti. Nessuno gli toglie la vita, la offre da se stesso. È l’amore che lo sorregge: Gesù è docile ma non passivo, vinto dalle circostanze ma audace nel camminare dentro la propria passione e, mentre la soffre tutta, instancabile nel dire “Sì, è questo che voglio perché amo”.

 

Anche noi qualche volta siamo capaci di queste altezze quando scegliamo di vivere con dedizione in una situazione difficile, pur soffrendo: abbiamo l’impressione di entrare nel dolore come in un muro spesso, che però attraversiamo perché l’amore ci spinge. Si va avanti, si riprende la vita, si vive il sacrificio con semplicità, ci accorgiamo che Gesù è imitabile: un Gesù che si è dato come maestro anche in questo.

Chiunque faccia il più piccolo sacrificio, la più piccola rinuncia entra in questa economia. Se Dio ci chiedesse una volta per tutte la vita, insomma, sarebbe una parete un po' troppo alta da scalare, ma chiedendoci piccole cose che possiamo dare e dando un valore grandissimo a questi piccoli gesti di amore, ci allena all’amore generoso. Ecco perché ha senso il sacrificio e continua ad avere senso anche nella cultura edonistica di oggi, dove la parola stessa sacrificio è scomparsa. Invece il sacrificio ha un grandissimo senso, perché la più piccola rinuncia spezza il filo di un piccolo amore e mi sento più libero, più puro e più capace di grandi amori. Questa economia dell’amore è il segreto della salvezza.

 

 

GESÙ È STATO AMORE PORTATO A PIENEZZA

 

“Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Quando muore, Gesù conferma tutto. Giovanni riferisce che l’ultima parola di Gesù in croce, dopo la quale chinato il capo spirò, è: “tutto è compiuto”. Nel verbo greco non vuol dire “finito” nel senso cronologico della parola, ma “portato a pienezza”. L’espressione quindi è da intendere: ora il mio amore è giunto al suo colmo, di più non potevo dare. E, in effetti, chinato il capo, spirò.

Dobbiamo ringraziare Dio se nella vita abbiamo dei momenti in cui possiamo dire che abbiamo dato tutto ciò che potevamo. E chi è che non ha di queste occasioni? Conosciamo quel certo rimorso tipico che è il rimorso di non aver dato tutto, di non essere stati completamente generosi in quella piccola cosa che mi costava quella parola, quel minuto di più, quel gesto. Essere cristiani è anche procurarsi con piccole occasioni grandi esperienze di generosità.

È stato l’amore a sorreggere Gesù in tutte le sue giornate. Che bello se in certi momenti delle nostre giornate con semplicità possiamo dire: “Padre, mi pare che tutto sia compiuto”.

 

 

LA VOCAZIONE CRISTIANA

 

La vocazione è essere chiamati a prendere molto sul serio Gesù come modello dell’amore più grande, rimanendo attenti a non lasciarsi condizionare dagli amori piccoli. È una purificazione.

Se scattasse in noi la scoperta sfolgorante che il dono crea amici, non ci vorrebbe tanto perché le civiltà fossero trasformate. Certo, il peccato resterà, il diavolo per adesso non scompare, ma che trasformazione inizierebbe se tutti i credenti partissero da questo presupposto!

Ti sei creato come amico uno che non conoscevi, uno che aveva fame, aveva sete, un carcerato, uno straniero? Gesù ha il quadro degli amici che non avremmo avuto; se sono diventati tali per il dono allora “Venite, benedetti dal Padre mio” (Mt 25,34). E sarà la gloria.

 

Questa è una grande lezione inesauribile, quotidiana, un esame di coscienza molto semplice. Non so se si possa proprio tutti i giorni acquistare un amico nuovo con il dono della vita, credo di sì, ma la tensione interiore deve esserci, eccome! Quando si prega Dio perché aiuti questo mondo, perché i peccatori si salvino, quando si offre qualche sacrificio perché qualche cuore si converta, si segue esattamente questa strada senza avere neanche la piccola soddisfazione di un volto che ci guardi, ci sorrida e ci dica grazie, perché si vedrà in cielo cosa si è combinato di bello per la salvezza; l’orizzonte però è molto radioso, molto aperto.

Chiediamo l’aiuto a Maria, lei che si è fatta amico il mondo quando ha detto quel famoso “sì” a Giovanni accettandolo come suo figlio mentre il suo vero figlio moriva. Aver tenuto il cuore aperto in quel momento è l’atto più eroico che la storia umana possa mai segnare sulle sue pagine.

 

tratto da un incontro all’Arsenale della Pace

testo non rivisto dall'autore

 

mons. Giuseppe Pollano

http://www.giovanipace.org

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