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“Vi siete convertiti al Dio vivo e vero”

La comunità di Tessalonica appare con evidenza come espressione di una Chiesa missionaria. Propone anche a noi di esserlo. In particolare quei cristiani si rivolgono a voi giovani e vi incitano ad essere una presenza missionaria tra i vostri coetanei. Diceva Giovanni Paolo II: “Non è tempo di vergognarsi del Vangelo; è tempo di predicarlo sui tetti”.


“Vi siete convertiti al Dio vivo e vero”

da Teologo Borèl

del 28 aprile 2009

Saluto cordialmente tutti voi giovani. I vari momenti in cui si snoda la nostra Veglia hanno una denominazione comune: la conversione al Dio vivo e vero. Nell’anno dedicato all’apostolo Paolo il primo momento è stato dedicato proprio a lui, a Paolo, e al suo incontro con il Dio vivo e vero. Avvenne sulla strada di Damasco quando gli si manifestò Gesù risorto e vivo. Incontrando lui, egli fu intimamente trasformato dall’Amore divino (cfr. Messaggio del Papa). E così, da persecutore, divenne testimone e missionario.

 

Paolo scrive ai cristiani di Tessalonica

 

Ora siamo al secondo momento della nostra Veglia. È dedicato a una comunità di persone che, attraverso la predicazione dell’apostolo Paolo, si sono convertite al Dio vivo e vero. A loro, che vivevano nelle città di Tessalonica, l’apostolo Paolo invia una sua lettera: la prima in assoluto del suo epistolario. La invia insieme con due suoi stretti collaboratori: Silvano e Timoteo. Silvano era un uomo eminente della comunità di Gerusalemme e Paolo l’aveva scelto perché lo accompagnasse nel suo secondo viaggio missionario, quello che lo ha portato non solo nelle regioni dell’Asia Minore, ma in Europa (cfr At 15-40). Timoteo venne conosciuto da Paolo nella prima parte di questo secondo viaggio. Lo incontrò andando a Derbe e Listra. Là c’era un discepolo chiamato Timoteo “figlio di una donna giudea e di padre greco. Egli era assai stimato dai fratelli di Listra e Iconio. Paolo volle che partisse con lui” (At 16,1-2).

La comunità a cui è destinata la lettera è quella che è nata nella città di Tessalonica, capitale della provincia di Macedonia. Una città di prim’ordine. Dal punto di vista religioso vi si adoravano le divinità più svariate: culti locali, religione ufficiale romana, religioni misteriche provenienti dall’Egitto e dall’Asia Minore. C’era pure una sinagoga, con una consistente comunità. I giudei godevano di piena libertà religiosa. Proprio nella sinagoga Paolo andò, per tre sabati, a predicare (cfr At 17,2-3). Ci furono delle conversioni. I missionari vennero anche ospitati in casa di un certo Giasone, che pure si era convertito a Gesù, predicato da Paolo. “Ma i Giudei, ingelositi, mettevano in subbuglio la città”. Andarono nella casa di Giasone, cercando Paolo e Silvano. Non li trovarono. Condussero dai capi Giasone e altri fratelli della nuova comunità. Perciò “subito, durante la notte, i fratelli fecero partire Paolo e Silvano verso Berea” (At 17,5-10), a circa 75 km, da dove pure Paolo dovrà fuggire perché i Giudei di Tessalonica avevano mandato anche là delle spie (cfr At 17,13-15). Paolo era preoccupato per la comunità di Tessalonica: egli era rimasto troppo brevemente fra loro. Non aveva avuto il tempo di far approfondire la fede. Per di più erano perseguitati. Desiderava tornare (cfr 1 Ts 2,17-18). Ma gli era impossibile. Pensò allora di inviare il suo collaboratore Timoteo. Quando fu di ritorno, portò anche i dubbi sorti in quella comunità su alcuni punti della fede che avrebbero richiesto ulteriori chiarimenti. Perciò Paolo decide di scrivere una lettera. Nella veglia di questa sera ne è stata proclamata la prima pagina (cfr 1 Ts 1,1-10). C’è un passaggio, in questo brano, a cui vorrei dare particolare evidenza. Si trova verso la fine. È un elogio nei confronti dei cristiani di Tessalonica.

Eccolo:

“Sono loro (gli abitanti di Macedonia e di Acaia) a parlare di noi,

dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi

e come vi siete convertiti a Dio,

allontanandovi dagli idoli,

per servire il Dio vivo e vero” (v. 9).

Dinanzi a questo passo mi pongo alcune domande: donde questa conversione e chi ne è il soggetto? Che cosa significa, in concreto, convertirsi? Che cosa qualifica in modo originale e profondo l’esistenza cristiana?

 

“Fratelli amati da Dio, eletti da lui”

Alla prima domanda Paolo ci risponde che la conversione è un dono. Scrive infatti: “Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui”.

Non dice solo “fratelli” (un termine frequente in Paolo e che dice un rapporto di affetto dell’apostolo con le sue comunità). Il vocativo prende particolare rilievo perché aggiunge: “Amati dal Signore”. Paolo vuol far comprendere ai cristiani di Tessalonica che, se sono diventati cristiani, lo devono all’amore del Signore che li ha scelti. Essi hanno ricevuto da lui una “vocazione” (cfr 1 Cor 1,26ss). Questa grazia precede sia l’opera dell’apostolo sia la loro risposta.

Se il primo soggetto è Dio, ve ne sono altri due: i “collaboratori di Dio” che sono Paolo, Silvano e Timoteo; e poi i Tessalonicesi stessi perché da loro è stata espressa la decisione personale di accogliere l’annuncio e di fare il passo della fede, senza dimenticare che Dio agisce con la sua grazia in chi annuncia: “Il nostro Vangelo, infatti, non si è diffuso tra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo” (v. 5).

Protagonista della vita cristiana rimane dunque il Signore. E anche la risposta dei Tessalonicesi, mentre include la loro decisione personale, è accompagnata e sostenuta dalla forza di Dio ed è vissuta “con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione” (v. 6). E non è ancora tutto: la grazia che ha condotto i Tessalonicesi ad accogliere il Vangelo diventa grazia che conduce i Tessalonicesi a diventare, a loro volta, “segno” per gli altri: “Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la vostra fede si è diffusa dappertutto” (v. 8).

 

“Vi siete convertiti”

Alla seconda domanda circa il significato concreto del convertirsi, Paolo risponde: “Vi siete convertiti a Dio, abbandonate gli idoli, per servire il Dio vivo e vero” (v. 9). Accogliendo l’annuncio del Vangelo e compiendo il passo della fede “non si è fatto soltanto un cambio passando da uno dei tanti dèi a un altro. È cosa diversa ciò che è avvenuto: si è passati da ciò che è vano a ciò che è realtà, da ciò che è nulla all’unico Dio vivo e vero, rivelato pienamente nella persona di Gesù e nella sua missione (cfr H. Schlier, L’apostolo e la sua comunità, p. 32).

Chi si converte al Dio vivo e vero, riconoscendolo come l’unico Dio e il centro della sua esistenza, cerca ogni giorno di vivere come piace al Signore. come scriverà Paolo ai cristiani di Roma: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi (cioè la vostra esistenza stessa) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm  12,1). Lo stesso Paolo, all’inizio della lettera ai Romani dirà di se stesso: “Paolo, servo di Gesù Cristo” (Rm 1,1).

Ecco dunque in che cosa consiste la conversione: comprende una “adesione” nei confronti di Dio; comprende un “distacco” nei confronti degli idoli; e comprende la decisione di amare e servire Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutto se stessi.

 

 

Fede, carità, speranza

Quanto alla terza domanda relativa a ciò che qualifica in modo originale e profondo l’intera esistenza cristiana, trovo la risposta di Paolo all’inizio della pagina che stiamo meditando, là dove dice il suo “grazie” dinanzi a Dio nella preghiera. Scrive: “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo”.

Con questo triplice riferimento Paolo riassume, già nella prima pagina della sua prima lettera, l’esistenza cristiana. Come scrive l’autore già citato, “sono i doni dello Spirito Santo e accettandoli, conservandoli, dandone prova, il cristiano si rivela cristiano”. Che cos’è “l’impegno nella fede”? Paolo “intende dire che la fede dei Tessalonicesi è diventata efficace annuncio di fede. è la loro fede «missionaria»”. Che cos’è “l’operosità nella carità”? Paolo “non allude solo alla fatica di coloro che nella comunità hanno incarichi particolari”, ma anche allo spirito di servizio di tutti i membri della comunità”. Che cos’è “la costante speranza”? “È quella che contraddistingue la condizione cristiana della fede, e precisamente la «speranza nel nostro Signore Gesù Cristo”. Questa speranza genera la capacità di affrontare con fermezza le tribolazioni (in particolare, la persecuzione)”. Poiché nella comunità di Tessalonica “fede, amore, speranza sono vivi nel senso che hanno dato frutto nell’opera della predicazione”, Paolo ha motivo di far salire all’orecchio di Dio, nella preghiera il suo ringraziamento (cfr. Schlier, p. 25).

 

Meditatio

 

a) Di fronte a una Chiesa missionaria

La comunità di Tessalonica appare con evidenza come espressione di una Chiesa missionaria. Propone anche a noi di esserlo. In particolare quei cristiani  (e anzitutto Paolo, Silvano e Timoteo) si rivolgono a voi giovani e vi incitano ad essere una presenza missionaria tra i vostri coetanei. Diceva Giovanni Paolo II: “Non è tempo di vergognarsi del Vangelo; è tempo di predicarlo sui tetti”. Questa veglia è un invito che attende la risposta.

 

b) Di fronte a una Chiesa che vive in una città moderna

La condizione concreta dei cristiani di Tessalonica appare molto moderna: multiculturale e multi religiosa. Non era certamente facile diventare cristiani, né rimanere fedeli al Signore. Doveva affrontare anche la persecuzione. Quei cristiani si rivolgono a voi giovani per dirvi di non avere paura degli ostacoli che trovate sulla strada del cammino della fede; nemmeno di qualche forma di persecuzione. E vi ricordano un segreto molto importante, già indicato da Gesù ai suoi discepoli: “Riceverete forza dallo Spirito Santo e sarete testimoni di me fino ai confini del mondo”. Vita di preghiera, ascolto della Parola di Dio, partecipazione ai Sacramenti: ecco dove si attinge luce e forza per essere credenti nel secolo XXI, anche da parte di voi giovani. Questa veglia è un invito a verificare se poggiamo la nostra vita personale e quella dei nostri gruppi di adolescenti e giovani sulla potenza dello Spirito Santo o semplicemente sulle forze umane.

 

c) Di fronte a una Chiesa che mette Dio al primo posto

Gli idoli c’erano già allora e ci sono anche oggi. Sono quelle realtà che pretendono di occupare nella nostra vita il posto di Dio. L’apostolo Paolo vuole trasmettere a noi quel che ha cercato di trasmettere ai Tessalonicesi. Era qualcosa che partiva dal profondo. Come ha detto Benedetto XVI, “ciò che lo motivava nel più profondo era l’essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore”. Ha scritto ai Galati: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). “Tutto ciò che Paolo fa – nota ancora il Papa –, parte da questo centro. La sua fede è l’esperienza di essere amato da Gesù Cristo in modo del tutto personale: è la coscienza del fatto che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di lui – di Paolo – e che, come risorto, lo ama tuttora”. Egli è colpito “dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fino nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria. È l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così, questa fede è amore per Gesù Cristo” (Omilia del 28 giugno 2008). È questo amore di Gesù e per Gesù quello che libera il campo della nostra vita dall’invasione distruttiva degli idoli, quelli antichi e quelli di oggi.

Questa veglia è tempo nel quale chiedere, per ciascuno di noi, di conoscere l’amore di Cristo ed è tempo per rispondere al Signore Gesù Cristo dal profondo del nostro cuore. Signore, sii tu il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega, la gioia del mio cuore, la luce della mia anima, la via, la verità, la vita.

 

mons. Renato Corti

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