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Tutte le chiese per tutto il mondo

La Giornata missionaria mondiale deve essere un'occasione propizia per elaborare insieme appropriati itinerari spirituali e formativi che favoriscano la cooperazione fra le chiese e la preparazione di nuovi missionari per la diffusione del Vangelo. Il dono prezioso di preti e di laici “fidei donum”. Alcuni tratti della missionarietà oggi.


Tutte le chiese per tutto il mondo

da Teologo Borèl

del 16 ottobre 2007

La Giornata missionaria mondiale deve essere un’occasione propizia per elaborare insieme appropriati itinerari spirituali e formativi che favoriscano la cooperazione fra le chiese e la preparazione di nuovi missionari per la diffusione del Vangelo. Il dono prezioso di preti e di laici “fidei donum”. Alcuni tratti della missionarietà oggi.

 

«L’impegno missionario – scrive il papa nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale – è il primo servizio che la chiesa deve all’umanità di oggi, per orientare ed evangelizzare le trasformazioni culturali, sociali ed etiche; per offrire la salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo, in tante parti del mondo umiliato e oppresso a causa di povertà endemiche, di violenza, di negazione sistematica di diritti umani».

 

Allora siamo proprio tutti in missione! Nessun cristiano e nessuna chiesa può esimersi da questo servizio. Ora è tempo di alzarsi e di portare la Buona Notizia al mondo… “Va’ e porta il Vangelo ad ogni creatura”. È tempo di dirci che missione è raccontare un’esperienza: l’esperienza di Gesù. E che missione è vivere una presenza: quella di un Dio che è in missione di vita in ogni angolo del mondo. Lui è il missionario che si dona e si proclama, in ogni tempo e in tutte le culture. Lui, il padrone della messe, è con noi e guida senza sosta il suo popolo. È Cristo la fonte inesauribile della missione della chiesa. E felici noi, perché egli ci chiama ad accompagnarlo e ci invita a percorrere le strade dell’esistenza, vivendo e testimoniando il suo stile umano-divino. Uno stile che, ascoltando i racconti evangelici, possiamo coniugare così:

 

– Vibrare con il cuore universale di Gesù nella quotidianità del mondo, offrendo alla società un’esperienza di vita e un servizio alle esigenze vitali di tutti. Rendere presente nella nostra società dei consumi la testimonianza concreta di un’esistenza segnata dalla sobrietà e dall’essenzialità.

 

– Andare all’altro con compassione, capace di entrare in un mondo “altro” con una visione di fede e di speranza; impegnati cuore e corpo ad addomesticare l’altro, poiché questa è la nostra possibilità di vivere. Infatti, addomesticare «è creare dei legami», dice la volpe al “Piccolo principe”, è rendere qualcuno unico. Niente di più banale, certo; ma sta diventando sempre più raro. Infatti, il tempo manca, e creare legami con gli altri richiede tempo.

 

– Camminare con la gente a piccoli passi e a tempi lunghi. La pazienza di Dio è infinita, e la nostra?… È necessario passare dal “tutto e subito” al “poco, ma fatto bene”. Trasformare la tentazione del possedere in desiderio del dare, imparando il linguaggio del donare attraverso proposte concrete e gesti fattibili e quotidiani di giustizia, di rispetto, di attenzione agli ultimi, di salvaguardia del creato.

 

– Partecipare ad una comunità cristiana che cura e riconcilia. In un mondo lacerato da divisioni e feroci competizioni che eliminano chi ci è accanto, imparare ad essere uomini e donne di dialogo, capaci di costruire ponti di comunione, nel rispetto e nell’accoglienza delle diversità.

 

– Far sì che le nostre parrocchie siano il quartiere generale dove si elaborano i progetti per una migliore qualità di vita, dove la solidarietà viene sperimentata in termini planetari e non di campanile, dove si è disposti a pagare di persona il prezzo di ogni promozione umana, dove le nostre piccole e fragili speranze di quaggiù vengono alimentate da quell’inesauribile riserva di speranze che trabocca dal Vangelo. E così assumere comunitariamente stili di vita che esprimono accoglienza, sobrietà, condivisione. Stili che devono coinvolgere tutte le chiese, perché tutta la chiesa e ciascuna chiesa è inviata alle genti. E se le nostre chiese di antica tradizione corrono il rischio di rinchiudersi in se stesse, di guardare con ridotta speranza al futuro e di rallentare il loro sforzo missionario, oggi le chiese di recente evangelizzazione portano a noi nuova linfa e nuova speranza.

 

I vescovi italiani nella Nota pastorale dopo il 4° convegno ecclesiale nazionale ci sorreggono in questo cammino e ci animano con queste parole: «Desideriamo che l’attività missionaria della chiesa italiana si caratterizzi sempre più come comunione-scambio tra chiese e, mentre offriamo la ricchezza di una tradizione millenaria di vita cristiana, riceviamo l’entusiasmo con cui la fede è vissuta in altri continenti. Non solo quelle chiese hanno bisogno della nostra cooperazione, ma noi stessi abbiamo bisogno di loro per crescere nell’universalità e nella cattolicità» (Rigenerati per una speranza viva: testimoni del grande sì di  Dio all’uomo n. 9).

 

 

I “fidei donum”, nuovo soggetto missionario

 

Ricorre quest’anno il 50° anniversario dell’enciclica Fidei donum che invitava sacerdoti e laici a partire per le missioni in terre lontane. «Oggi – scrive Benedetto XVI – rendiamo grazie al Signore per i frutti abbondanti ottenuti da questa cooperazione missionaria in Africa e in altre regioni della terra. Schiere di sacerdoti, dopo aver lasciato le loro comunità di origine, hanno posto le loro energie apostoliche al servizio di comunità talora appena nate, in zone di povertà e in via di sviluppo. Tra loro ci sono non pochi martiri che, alla testimonianza della parola e alla dedizione apostolica, hanno unito il sacrificio della vita». E la Redemptoris missio afferma che «i presbiteri fidei donum evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede» (n. 69).

 

Fra i tanti missionari e missionarie, religiosi e laici sparsi per il mondo, in questi ultimi decenni una piccola esperienza ha portato frutti e fecondato le nostre chiese: l’esperienza dei fidei donum. Attualmente circa 550 sacerdoti diocesani e 150 laici sono a servizio di altre chiese, soprattutto delle comunità cristiane presenti nel Sud del mondo.

 

Ma che significa essere fidei donum oggi? Ha ancora senso andare? Molteplici sono stati in questi mesi i convegni e gli incontri di sacerdoti e laici fidei donum promossi da Missio. Da inchieste, dibattiti e lavori di gruppo svoltisi in tutti i continenti è emerso che essere fidei donum è uno stile di chiesa, di una chiesa che è tutta missionaria; è uno stile sia presbiterale sia laicale. Non è ad tempus; ad tempus è il ministero presso altre chiese. L’esperienza dei fidei donum alimenta questo stile di chiesa, che può divenire ricchezza nel quadro della spiritualità diocesana: essere con il dono della fede per il mondo, nel vasto mondo in cammino verso il Signore risorto. Uno stile di cui nei nostri convegni siamo riusciti a percepire alcuni tratti:

 

Siamo:

 

* uomini e donne, battezzati, inviati da una chiesa ad un’altra chiesa, per tessere legami di scambio e costruire spazi di comunione e di missione. Uomini e donne che, attraverso la loro esperienza, costruiscono legami di incontro, di servizio, di crescita evangelica delle due chiese;

 

* uomini e donne che pongono se stessi e i propri doni, maturati e ricevuti nella fede, a servizio della chiesa sorella. Un servizio che chiede di inserirsi umilmente e rispettosamente nei progetti pastorali e di promozione umana che la diocesi che accoglie ha maturato e scelto.

 

 

Ci viene chiesto:

 

1. di essere compagni e compagne di viaggio, di acquisire progressivamente una buona qualità di ascolto e di elaborare un’abituale capacità di discernimento all’interno di un sentire comunitario-ecclesiale. Quando si è compagni di viaggio, si riceve e si dà. Il missionario non porta nulla ma dà un nome a quello che già esiste;

 

2. di assumere un profondo atteggiamento di simpatia e di ascolto e di saper curare lo sguardo per divenire capaci di rispetto dell’altro, dei popoli, delle loro culture, del loro stile di vita, delle loro storie. Quando si cammina insieme, non si è faccia a faccia, ma fianco a fianco. Non invito a casa mia, ma sono ospite a casa sua, sono a fianco del cammino che l’altro/a già sta percorrendo. Tutto questo domanda un’effettiva capacità di saper relazionarsi e di porsi di fronte all’incontro di due cammini in un atteggiamento di rispetto, perché colui verso il quale noi andiamo è “storia sacra”;

 

3. di mantenere costante l’attenzione alla dimensione ecumenica, sia qui, nella nostra vita ecclesiale, come in missione, aperti alla collaborazione con le altre confessioni cristiane ed evitando atteggiamenti di proselitismo;

 

4. di vivere lo scambio tra chiese, tenendo vivo il contatto diretto con le diversità di condizioni dell’umanità, con le condizioni di ingiustizia e povertà. La scelta dei poveri e degli ultimi chiede di divenire attenti a come le comunità cristiane si situano tra i poveri e con i poveri;

 

5. di assumere uno stile di vita sobrio, attento all’impegno ecologico e alla salvaguardia del creato, per partecipare attivamente alla costruzione di un modo di vita che sia in sintonia con un modello sostenibile di sviluppo, capace di far leva più sulla qualità della vita che sull’aumento dei consumi;

 

6. di continuare ad alimentare e ad esprimere la dimensione universale della missione anche dopo il necessario rientro. Una dimensione che ci stimola ad essere laici e preti evangelizzatori che rendono le nostre comunità sempre più missionarie con l’animazione, ma molto più con una formazione continua, sistematica, in cui sono implicati sacramenti, catechesi, attività pastorali, promozione umana, dialogo ecumenico e interculturale. Servitori umili e fedeli in questa chiesa italiana che sta puntando sulla missione come paradigma di tutta la sua azione.

 

 

È fondamentale:

 

a) partire “in compagnia” (fare équipe), in collegamento con il Centro missionario diocesano, e inseriti nel clero diocesano locale,

 

b) essere “inviati” dalla chiesa madre per “inserirsi” nella chiesa che accoglie, nelle sue strutture e nei suoi progetti pastorali,

 

c) essere parte di una chiesa discepola, che prende volto attorno alla missione, all’annuncio del Vangelo, alla parola di Dio che incrocia la vita nelle sue differenti situazioni.

 

Il papa nel suo messaggio, chiede di ricordare nelle preghiere questi fratelli e di domandare a Dio «che il loro esempio susciti ovunque nuove vocazioni e una rinnovata consapevolezza missionaria del popolo cristiano. In effetti, ogni comunità cristiana nasce missionaria, ed è proprio sulla base del coraggio di evangelizzare che si misura l’amore dei credenti verso il loro Signore».

 

 

Una spiritualità dell’incontro

 

Benedetto XVI ci esorta affinché la Giornata missionaria mondiale sia occasione propizia per elaborare insieme appropriati itinerari spirituali e formativi che favoriscano la cooperazione fra le chiese e la preparazione di nuovi missionari per la diffusione del Vangelo.

 

“Tutte le chiese per tutto il mondo” è il messaggio del santo padre per questa 81ª giornata missionaria mondiale; un invito stimolante!

 

A tutti è chiesto di riscoprire la propria vocazione missionaria e di andare con la certezza che la missione rinnova la chiesa. Missionario è colui che va con un umile atteggiamento di ascolto, di fermento e di servizio, con la pazienza di bussare e fermarsi alle porte delle case, con l’entusiasmo di invitare tutti a condividere il bene che ognuno ha, scoprendoci creature e figli di un Padre che a tutti dona beni e possibilità.

 

Felice Tenero, sacerdote fidei donum

http://www.dehoniane.it

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