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Sri Lanka: perché il massacro dei Tamil non indigna il mondo?

Cosa ci sia di diverso tra le migliaia di morti e feriti palestinesi durante l'attacco israeliano alla Striscia di Gaza nel dicembre scorso e le migliaia di civili tamil uccisi e feriti in questi ultimi mesi nell'offensiva dell'esercito contro i ribelli tamil nel Nord dello Sri Lanka, se lo chiedono insistentemente molte organizzazioni umanitarie e soprattutto i civili tamil sul campo e quelli della diaspora...


Sri Lanka: perché il massacro dei Tamil non indigna il mondo?

da Attualità

del 30 aprile 2009

Cosa ci sia di diverso tra le migliaia di morti e feriti palestinesi durante l’attacco israeliano alla Striscia di Gaza nel dicembre scorso e le migliaia di civili tamil uccisi e feriti in questi ultimi mesi nell’offensiva dell’esercito contro i ribelli tamil nel Nord dello Sri Lanka, se lo chiedono insistentemente molte organizzazioni umanitarie e soprattutto i civili tamil sul campo e quelli della diaspora, che con manifestazioni in tutto il mondo (inclusi scioperi della fame e autoimmolazioni con il fuoco) hanno inutilmente chiesto l’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per un cessate-il-fuoco.

 

 

Una catastrofe di ‘serie B’

 

La situazione è definita “non meno che catastrofica” dal Comitato internazionale della Croce Rossa in Sri Lanka, che ha denunciato “centinaia di vittime” tra i civili tamil solo negli ultimi tre giorni in cui l’esercito sta tentando di dare l’ultimo affondo alla ribellione delle Tigri per la liberazione della patria tamil (Ltte) nei pochi chilometri quadrati di territorio rimasto ai ribelli; entrambe le parti si accusano reciprocamente di usare i civili come scudi umani, e questi ultimi muoiono sotto i colpi di entrambi.

 

Sarebbero alcune migliaia, forse addirittura 4500, i civili uccisi negli ultimi tre mesi e ancor di più quelli feriti, secondo stime accolte dal Consiglio dell’Onu per i Diritti umani. 

 

Il segretario generale dell’Onu ieri ha deciso di inviare un team di esperti nella cosiddetta “zona di sicurezza” dove decine di migliaia di civili tamil sono intrappolati tra i combattimenti; resta da vedere se Ban riuscirà dove ha fallito il primo ministro inglese Gordon Brown che sempre ieri si è visto respingere dal presidente dello Sri Lanka Mahinda Rajapakse l’autorizzazione per all’arrivo sull’isola di un gruppo di parlamentari inglesi in missione umanitaria e diplomatica; Rajapakse ha inoltre respinto l’ennesima sollecitazione di Brown per una tregua umanitaria sostenendo che questa “non è necessaria” dopo la fuga di decine di migliaia di civili dalla zona dei combattimenti (sarebbero 100.000, secondo l’esercito, i profughi scappati da lunedì, ma l’Onu stima che ce ne siano altri 50.000 intrappolati nel fuoco incrociato).

 

“C’è stata una certa pressione dei governi stranieri su Colombo. Rajapakse è un decisionista, che intende il governo come frutto delle sue scelte poco propenso a seguire le normali procedure della politica e che non ama intromissioni” dice Jehan Perera  direttore dell’istituto di ricerca per la pace  National peace council a Colombo.

 

 

Che fine ha fatto il Consiglio di Sicurezza?

 

Ma ciò che lascia interdetti è l’atteggiamento del Consiglio di sicurezza che in un crescendo di violenza nell’ultimo anno e mezzo  non ha mai messo la crisi umanitaria nel nord dello Sri Lanka in agenda nelle sue riunioni ufficiali, come fatto per Gaza, per il Darfur e per il nord Kivu, emettendo anche specifiche risoluzioni .

 

L’annuncio di Ban di inviare un “team di esperti” per verificare la situazione umanitaria giunge dopo che i rappresentanti del Consiglio di Sicurezza, su invito della Francia, hanno svolto una “riunione informale”, mercoledì sera, conclusasi con una comunicazione verbale del rappresentante della presidenza di turno, l’ambasciatore messicano, in cui si condanna le Ltte chiedendo loro di  arrendersi e lasciare fuggire i civili usati come scudi umani e si  sollecita il governo a rispettare il diritto umanitario internazionale.

 

Fonti ben informate dell’Onu hanno spiegato che l’inusuale formula  di “riunione informale” non prevista dal regolamento, sembra un linguaggio diplomatico con cui i membri accettano di riunirsi a parlare di un argomento per il quale sarebbe impossibile convocare una vera riunione, a causa soprattutto dell’opposizione di alcuni e per problemi politici più generali. 

 

La reticenza nel dibattere la questione nel Consiglio di sicurezza potrebbe essere nel fatto che le Ltte sono sulla lista dei gruppi terroristi, dice Perera, che poi ammette come anche Hamas condivida la stessa definizione; oppure per la tendenza a non interferire negli affari interni di un paese, benché ciò non sia successo con il Darfur, ad esempio, né di recente con il Nord Kivu nella Repubblica democratica del Congo.

 

Da parte sua Rajapakse sostiene che l’Onu non interviene perché il conflitto nel nord del paese non è una minaccia per il mondo.

 

 

Le ribellioni secessioniste non piacciono alle potenze mondiali

 

“Piuttosto – dice Perera – un’ipotesi sensata è che nel Consiglio di Sicurezza ci siano paesi che non vogliono siano creati precedenti per crisi umanitarie determinate dalla repressione di ribellioni secessioniste e penso alla Russia e alla Cina, che hanno il diritto di veto, e che hanno aperte le questioni della Cecenia e del Tibet, anch’esse mai oggetto di una risoluzione”.

 

L’aspetto positivo della “riunione informale” è che segnala la volontà di qualcun altro di parlarne: ovvero Messico,  Francia, Gran Bretagna ed anche Stati Uniti.

 

“L’India – aggiunge Perera –  condivide l’obiettivo di Colombo di eliminare le Ltte che rappresentano un rischio anche per il subcontinente, ma hanno più volte chiesto una tregua umanitaria e sollecitato il governo di Colombo e ribelli a passare al dialogo politico, sotto la pressione della sua ‘minoranza’ Tamil (circa 40 milioni di persone, ndr) e dei suoi partiti politici”.

 

 

La storia del conflitto

 

Il conflitto etnico separatista in Sri Lanka è cominciato nel 1986 ma è covato per decenni dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna (con non poche responsabilità dei colonizzatori), anche con episodi di violenza;  la minoranza di lingua tamil e religione prevalentemente induista che abita i territori del nord e dell’est denunciava discriminazioni sociali e politiche nel paese a grande maggioranza cingalese di religione buddista; la rivolta tamil è stata monopolizzata dal movimento armato delle Ltte, definite uno dei gruppi ribelli militarmente più forti del mondo, che non hanno esitato a portare a segno decine e decine di attentati contro civili, sin dal 1987.

Obiettivo era la secessione o al limite una sostanziale autonomia dei territori abitati dai tamil.

La stima dei morti nel conflitto, secondo i calcoli degli esperti, sfiora i 100.000.

 

 

Quale futuro per i Tamil?

 

Qualcuno spera che l’eliminazione militare delle Ltte e che la promessa mantenuta del governo di puntare tutto sullo sviluppo possa vincere i cuori della minoranza tamil e favorire la riconciliazione.

 

“Tutto dipende da quanto Rajapakse riuscirà a sganciarsi dai gruppi e i politici che hanno fatto pressione per la guerra ad oltranza” dice Perera riferendosi a forze nazionaliste, ostili a ogni ipotesi federale, ma anche al ministro della Difesa, fratello del presidente.

 

“Queste forze chiederanno che siano messe le condizioni perché una ribellione tamil non sorga di nuovo; anche l’esercito vorrà che il sangue versato non sia stato  invano. Il che significa - conclude - una forte presenza militare nel nord e uno stretto controllo di sicurezza”. In altre parole un’occupazione che vedrà i civili tamil i primi a soffrirne.

 

Fabia Ortensi

http://www.internationalia.net

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