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Simpatie e antipatie da Giovani per i Giovani

L'amico o l'amica del cuore. Ci passo ore insieme e il tempo sembra trascorrere sempre troppo veloce. Poi una gran litigata. Quelli con cui avevo condiviso tanto tempo, esperienze entusiasmanti ... ora mi sembrano insopportabili, scatta la parola tagliente contro tutto e tutti...


Simpatie e antipatie da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 03 novembre 2008

Che simpatico!

Vivo in gruppo, in comunità: facilmente alcuni si rivelano particolarmente simpatici, altri proprio non li sopporto, in mezzo sta un bel po’ di gente che non attira la mia attenzione…

Ben presto la gente che ha obiettivi simili tra loro si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo. Ci si nutre l’uno dell’altro; ci si lusinga: «sei meraviglioso», «anche tu sei meraviglioso», «siamo meravigliosi perche siamo intelligenti, furbi».

Le amicizie basate su criteri solamente umani possono cadere rapidamente in un club di mediocri, in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga reciprocamente e si fa credere di essere i migliori.

Un gruppo chiuso in se stesso impedisce di vedere la propria povertà interiore e le proprie ferite. Quando sono insieme ai soliti o nel mio contesto favorevole, sembro un leone, ma appena qualcosa mi costringe a confrontarmi con me stesso, cado rovinosamente. Può succedere in certi gruppi che l’amicizia non sia più un incoraggiamento a crescere, ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, ad essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più attenti allo Spirito. L’amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni. Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù. La vita porta con sé anche dei pesi a volte insopportabili; crescere nell’amicizia significa aiutarsi a liberarsi dalle catene e continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione.

 

 

Non ti sopporto più …

In un gruppo ci sono anche delle «antipatie». Ci sono sempre delle persone con le quali non mi intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia libertà. Quanto mi infastidiscono! La loro presenza sembra minacciare e risvegliare la mia povertà, le mie colpe e le mie ferite.

Io non sopporto uno che la butta sempre sul ridere, non sa essere serio nemmeno nei momenti importanti … Ma di fronte a lui non so reagire serenamente; probabilmente il suo atteggiamento richiama in me il desiderio di essere più libero e gioioso, ma qualcosa dentro di me sembra non concedermelo. Qualcuno provoca in me reazioni di aggressività. Di fronte ad altri invece cado in una forma di regressione servile: anche se non sono d’accordo, non dico nulla e fingo che vada tutto bene.

In presenza di alcuni sono incapace di esprimermi e di vivere pacatamente. Altri fanno nascere in me sentimenti di invidia e di gelosia: loro sono tutto quello che vorrei essere e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono. La loro radiosità e la loro intelligenza mi rimandano alla mia intelligenza. Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro richiesta affettiva incessante. Sono obbligato a respingerli.

 

È naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità e questi blocchi tra sensibilità diverse. Queste cose derivano dall’immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli.

 

Il gruppo si chiude in se stesso

Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno dei clan all’interno della comunità. Allora non sarà più una comunità, un luogo di comunione, ma dei gruppi di persone più o meno chiuse su di sé e bloccate nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sotterranee. Le persone non si guardano in faccia.

Quando si incontrano nei corridoi, sono come navi nella notte. Una comunità è tale quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzolo delle «amicizie» per tendere la mano ai «nemici».

Ma è un lungo cammino. Una comunità non si fa in un giorno. In realtà, non è mai fatta! È sempre sia in progresso verso un amore più grande, sia in regresso; a seconda che le persone accettino o rifiutino di scendere nel tunnel della sofferenza per rinascere nello Spirito: di fronte all’altro, sono chiamato prima di tutto a confrontarmi con me stesso, con le mie fatiche e le mie paure.

 

Le barriere e i muri attorno alle comunità che si chiudono per paura o per elitarismo, sono lo specchio delle barriere e dei muri che le persone costruiscono attorno al loro cuore ferito.

C’è un passo molto significativo nella lettera agli Efesini, nel quale Paolo dice che Gesù è venuto per distruggere le barriere di ostilità che separano i due popoli e dei due farne uno solo (Ef 2,14).

 

 

La doccia e il mixer

Bill Clarke dà un esempio di sofferenza insopportabile nella vita in comunità. Due persone vivono nella stessa camera; una schiaccia sempre con cura il tubo del dentifricio all’estremità mente l’altra, che si serve dello stesso tubo, lo schiaccia nel mezzo!

Non sempre è facile perdere qualcosa di se stessi per andare incontro all’altro e alle sue esigenze. Conosco marito e moglie, lei molto ordinata, lui è un genio fuori dagli schemi. Dopo uno stupendo fidanzamento, il primo trauma “matrimoniale” è stato quando lui si è fatto la doccia, lasciando poi il bagno tutto in disordine con gli asciugamani bagnati a terra. Lei invece ci tiene parecchio all’ordine, anche nell’angolo di lavoro del marito musicista: ritiene importante che il mixer sia lucido, così ogni volta ci passa sopra lo straccio … cambiando inevitabilmente le impostazioni sonore che avevano richiesto ore per essere definite! Ieri invece questa giovane moglie ci confidava che ormai da tempo usa delicatamente il piumino per togliere la polvere negli strumenti tecnologici del marito …

 

              

Scott Peck parla di pseudo–comunità nelle quali si pretende di vivere la comunità. Tutti sono educati e obbediscono alle leggi e al regolamento. Si parla solo di banalità e di cose in generale. E dietro tutto questo, c’è una paura immensa del conflitto, la paura di lasciar scappare fuori i mostri nascosti. Se le persone iniziano veramente ad ascoltarsi, ad impegnarsi, a parlare secondo il loro essere profondo, la collera e le paure affiorano e allora non si rischia di picchiarsi sulla testa degli uni e degli altri con una padella per friggere? Ci sono tante emozioni nascoste in fondo al loro cuore che, se cominciano ad arrivare in superficie, Dio sa cosa può succedere! È il caos!

Ma da questo caos può derivare la guarigione. Le persone capiscono in che stato si trova la comunità, quali terribili paure la abitano. Allora si sentono perse e vuote. Che fare? Che strada prendere? Scoprono di essere vissute nel falso. Allora può avvenire il miracolo della comunità! Sentendosi perdute, iniziano a condividere la loro sofferenza, la disillusione, l’amore e scoprono che sono fratelli e sorelle. Iniziano a chiedere a Dio luce e guarigione; scoprono il perdono. Scoprono la comunità.

 

La luce interiore 

Il nemico mi fa paura. Sono incapace di ascoltare il suo grido, di rispondere ai suoi bisogni; i suoi atteggiamenti aggressivi e dominatori mi soffocano. Lo fuggo o vorrei che scomparisse. Ma in comunità sono chiamato a scoprire che il «nemico» è una persona che soffre, e a prendere coscienza, attraverso lei, della mia debolezza, della mia mancanza di maturità e della mia povertà interiore.

Ed è forse proprio questo che rifiuto di guardare. I difetti che critico negli altri, spesso sono i miei difetti che rifiuto di guardare in faccia. Coloro che criticano gli altri e la comunità e cercano la comunità ideale, spesso stanno fuggendo dai loro difetti e dalle loro debolezze.

Vedono la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma sembrano completamente incoscienti della trave che è nel loro. Rifiutano di conoscere le loro ferite, i difetti, gli sbagli.

Il messaggio di Gesù è chiaro: «E io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi maltrattano. A chi ti colpisce su una guancia, porgi anche 1’altra ... Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso (Lc 6,27ss.)».

«Uno dei segni del male è la tendenza a proiettare il proprio sbaglio sugli altri. Perché non si può o non si vuole affrontare i1 proprio peccato, occorre sbarazzarsene accusando e condannando altri».

 

«So che il primo compito dell’amore è la purificazione di sé stessi. Quando si è purificati dalla grazia di Dio, al punto di poter veramente amare i propri nemici, succede qualcosa di molto bello. È come se le pareti dell’anima divenissero così pure da essere trasparenti e una luce tutta speciale irradiasse dalla persona[1]».

 

Abbiamo l’esempio di un gruppo che ha tanto faticato ad esistere, ma che è riuscito proprio ad incarnare tutto ciò: i dodici apostoli. Ricordiamo infatti i litigi fra i membri (Giuda Iscariota che rubava dalla cassa, i fratelli del Tuono che volevano una raccomandazione, Pietro che tradisce, Paolo che litiga spesso e volentieri …), che però sono sempre stati superati perché avevano imparato ad amare anche i nemici e perché formavano una comunità, che è la massima essenza di un gruppo, dove sono superate le simpatie e le antipatie, perché si è diventati una carne sola in Cristo. Questo è quello che viene richiesto ad un’amicizia veramente cristiana: vedere Dio nell’amico.

 

Il nemico, nella comunità, rivela, fa risuonare la comunità all’interno di noi stessi.

 

 

 

 

 

Liberamente tratto da J. Vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa, Jaca Book, 1991, 370 pp.

 

Per informazioni a riguardo di questo autore, vedi http://www.arca-it.org/1LeComunitaDellArca/2JeanVanier.html

 

Per alcune dinamiche, vedi anche - G. De Nicolò – S. Movilla – D. Sigalini, Vita di gruppo. Manuale pratico-teorico di conduzione di gruppo, Elledici, 1993, soprattutto alle pagine 176-177, 179-181.

 

 

Sara Chiereghin sara.stars@libero.it,

Caterina Colombo caterina_c@hotmail.it,

Cristiano De Marchi recristianorum@libero.it

don Paolo Mojoli paomojo@yahoo.it,

 

[1] Scott Peck, People of the Lie, p. 268.

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