La mamma di Mirko ha confessato! Non doveva farlo! Ha tolto del lavoro a cronisti, ai quali non sembrava vero di avere tra le mani un «giallo» misterioso, protagonista un bambino, una bella donna con ambizioni di fotomodella, che abitava in una frazione di Casatenovo ‚Äì e questo nessuno l'ha scritto! ‚Äì che ha dato alla Chiesa e alle missioni sacerdoti d.o.c.: Valaperta.
del 17 gennaio 2008
La mamma di Mirko ha confessato! Non doveva farlo! Ha tolto del lavoro a cronisti, ai quali non sembrava vero di avere tra le mani un «giallo» misterioso, protagonista un bambino, una bella donna con ambizioni di fotomodella, che abitava in una frazione di Casatenovo – e questo nessuno l’ha scritto! – che ha dato alla Chiesa e alle missioni sacerdoti d.o.c.: Valaperta.
Al paese nessuno conosceva la famiglia, la mamma non aveva molte amicizie, si è trovata sola a gestire un bimbo di 5 mesi, desiderato, sognato e finalmente arrivato per la gioia dei parenti, del marito, anche sua, stando alle testimonianze. E allora cosa è accaduto perché il figlio desiderato, dalla stessa madre venisse rifiutato per sempre? Lo ha portato nel suo grembo per nove mesi, gli ha donato la vita, un nome: Mirko...
Sono bastati solo cinque mesi per disinnamorarsi! Che mistero e che distanza tra il figlio che si sogna e il figlio reale, che non ti lascia dormire, che ha bisogno di tutto per crescere, limitandoti la libertà, disturbando il riposo, le notti; tra il figlio, fotografato in mille modi e il figlio che devi lavare, pulire, consolare in altrettanti modi.
Perché i cronisti, che morbosamente inseguono la storia, non raccontano le fatiche di una madre, che genera e affronta per la prima volta la maternità con tutto quello che comporta? Perché non si mettono nei panni di chi, ferita dalle depressioni post partum o dalle delusioni di una maternità, scoperta non come dono di Dio ma con fatica quotidiana, è presa, quasi rapita dalla follia della morte, che elimina «l’oggetto» desiderato e improvvisamente odiato?
È stata forse lasciata sola nella sua fatica d’amore, nell’affrontare il cambio di stile di vita, che un bimbo provoca nascendo? Non lo so, non ho indagato sul caso, so solo che Maria ha pianto a lungo, dopo avere confessato la sua follia.
Altre lacrime accompagneranno la sua vita in carcere, dove incontrerà donne che, senza avere ucciso, hanno avuto percorsi, che le hanno portato a gesti trasgressivi, antisociali. Da loro, sono certo, potrà trovare quella solidarietà, che non ha avuto dai mass-media: sono donne, alcune mamme, che hanno sofferto e sono in grado di capire chi soffre.
Forse Maria scriverà un’altra storia d’amore che nascerà proprio dal pentimento per quello che ha commesso. Certo non saranno le pagine o le fotografie impietose, i giudizi pesanti dei cronisti, che l’aiuteranno a ritrovare la dignità e una ragione di vita. «Occorre un ritorno alle pietà. Pietà per me, pietà per voi, per i morti e per i vivi, pietà per tutti».
 Sono parole di don Mazzolari, che invocava una «amorevole intelligenza» della condizione umana: se non ci lasciamo indurre dalla tentazione di questa dolente pietà, suona falso il cordoglio per le vittime e l’orrore per i carnefici.
Giornalisti con il cuore gonfio d’amore, uomini tra gli uomini, trovano sempre la misura per raccontare le tragedie del quotidiano, meglio ancora le donne che hanno provato la fatica della maternità, nel loro corpo, nella loro storia. Che la pietà non muoia e che la tribolazione di Maria, e di suo marito, venga accostata con maggiore delicatezza.
Non domandiamo ai giornalisti di chiudere gli occhi, chiediamo solo di non abbassare il toni, alimentando curiosità malsane, pettegolezzi da bar e giudizi feroci. Non muoia la pietà, anche quando il delitto gela i cuori, perché chi è stato ucciso si chiamava Mirko, un bimbo di cinque mesi.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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