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Riflessione sul autobus “ateo”

“There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life”: “Forse non c'é Dio. Dunque, non preoccuparti più e godi la vita”. Per noi, salesiani, ci dovrebbe preoccupare di più la seconda parte: ricordando le parole di Don Bosco all'inizio del Giovane Provedduto, che costituiscono un'idea molto attuale, anche se forse le parole potrebbero essere diverse...


Riflessione sul autobus “ateo”

da Attualità

del 04 febbraio 2009

Riflessione sul autobus “ateo”: “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life”: “Forse non c’é Dio. Dunque, non preoccuparti più e godi la vita”. Le critiche a quest’iniziativa (indubbiamente, provocatoria) si riferiscono soprattutto (da quello che si legge e si sente) alla prima parte della frase.

Ma, in realtà, questa prima parte potrebbe essere sottoscritta anche da Joseph Ratzinger: cfr. Introduzione al Cristianesimo, il bel racconto di Martin Buber (le Storie dei Hassidim), l’incontro di un ateo con lo zaddik Levi Yitschak. Questo “forse” è come un fiume nel quale ci bagniamo tutti, ma nelle rive opposte…

Per noi, salesiani, ci dovrebbe preoccupare di più la seconda parte: ricordando le parole di Don Bosco all’inizio del Giovane Provedduto, che costituiscono un’idea  molto attuale, anche se forse le parole potrebbero essere diverse: una delle strategie più utilizzate dal demonio per allontanare i giovani dalla vita cristiana, é farli sentire che questa è fonte di noia, di tristezza, di malinconia… quando in realtà è tutto il contrario.

Ma forse l’opposizione di noi, credenti e soprattutto cristiani, l’eventuale stracciarci le vesti, in fondo contribuisce a fare il loro gioco: è quello che cercano, scandalizzare i credenti: in fondo,  la nostra reazione diventa controproducente.

Quello invece che può essere l’attacco più forte è mostrare come non tanto i credenti, ma anche gli atei più radicali non sarebbero per niente d’accordo con loro. Per dirlo con un’immagine: Nietzsche, per esempio, non sarebbe salito su quel autobus. E non soltanto perché, essendo malato dalla vista, non potrebbe chiedere opportunamente la fermata, ma perché non sarebbe per niente d’accordo. Basta ricordare quella famosa frase che ha scritto alla sua sorella Elisabetta: “Se vuoi essere felice, credi; se vuoi la verità, devi cercare. Tra queste due opzioni ci sono molti compromessi”.

Possiamo anche citare J.-P. Sartre, il quale, verso la fine della sua vita, scrisse nella sua autobiografia, Les Mots: “Ho appena raccontato la storia di una vocazione mancata: avevo bisogno di Dio, mi fu dato, lo ricevetti senza capire che lo cercavo. Non potendo attecchire nel mio cuore, egli ha vegetato in me, poi è morto”. E verso la fine dell’opera, afferma: “l’ateismo è un’impresa crudele e di lungo respiro: io credo di averla condotta in porto. Vedo chiaramente, sono disinganato, conosco i miei veri compiti, merito certamente un premio di civismo; da quasi dieci anni sono un uomo che si sveglia guarito di una lunga, amara follia, e che non si rimette, e che non può ricordare senza ridere i suoi vecchi errori, e che non sa più che fare della sua vita. Sono ritornato il viaggiatore senza biglietto che ero a sette anni: il controllore è entrato nel mio scompartimento, mi guarda, meno severo di prima: in efetti non chiede di meglio che andarsene, che lasciarmi finire il viaggio in pace; che io gli dia una scusa valida, una qualsiasi, e lui se n’accontenterà. Sfortunatamente non ne trovo nessuna, e d’altronde non ho nemmeno voglia di cercarla: rimarremo così, da solo a solo, a disagio, fino a Digione dove so benissimo che nessuno mi aspetta”.

E proprio alla fine, confessa: “Per parte mia, mi chiedo a volte se non gioco a vinciperdi e non mi studio di calpestare le mie speranze d’un tempo perché tutto mi sia reso centuplicato”. Se quello è l’autobus di cui si parla, non è che si trovi in esso molto contento, godendo della vita…

 

Dall’altra parte, troviamo un testo interessantissimo in un romanzo troppo dimenticato, L’Adolescente, di Dostoevskij. In un dialogo tra un medico, che ha fama di ateo, e l’anziano pellegrino Makar Ivanovich, padre legale dell’adolescente, il primo gli domanda:

- Makar Ivanovich! –gridò il dottore fingendo d’essere offeso-: sono o no io un ateo?

- Tu un ateo? No, tu non sei un ateo, -rispose il vecchio con voce pacata, guardandolo fisso. No, che Dio sia lodato! –e scosse la testa: Tu sei troppo allegro per essere ateo.

- E chi è allegro non può essere ateo? – osservò il dottore con ironia.

-È un pensiero profondo! Esclamai involontariamente, colpito dall’idea.” Dice l’adolescente (parte terza, cap. secondo, III).

 

Ma, fino adesso, si potrebbe ancora obiettare: va bene, la fede dà senso alla vita, e dunque è fonte di gioia: questo lo potrebbe ancora accettare Nietzsche; e anche Marx (“l’oppio del popolo”). Ma in fondo, non sarebbe soltanto un’illusione?

In un libro molto interessante, scritto non da un teologo, ma da un sociologo, Peter L. Berger, Questioni di Fede, che ha come sottotitolo Una professione scettica del Cristianesimo, si trova una frase che qualcuno potrebbe considerare inadeguata, ma che per me, proprio nella sua inadeguatezza, colpisce nel segno: la fede è la scomessa nella fondamentale validità della gioia” (p. 18). Dunque, non soltanto che la fede sia fonte e causa di gioia, ma che questa gioia sia vera, valida.

Vorrei ilustrare questo con una citazione del Vangelo: quando Maria incontra la sua cugina Elisabetta, questa dice: “Beata te, che hai creduto; che o perché si adempirà ciò che il Signore ti ha detto” (Lc 1, 45). Nell’edizione Nestlé-Aland tedesca, si mettono insieme la traduzione di Lutero e quella ecumenica: Lutero traduce come “perché”, e l’altra come “che”. Lo stesso Max Zerwick, nella sua “Analysis Philologica” presenta le due possibilità linguistiche: come dichiarativo o come causale. Non si tratta di discutere la traduzione, ma di sottolineare: la felicità della fede non è conseguenza di un semplice “credere”, quasi esagerando: la beatitudine della suggestione, ma della speranza nel compimento: la beatitudine della solidità della fede (o, come diceva Berger, la validità della gioia).

 

Questa e la sfida che tutti noi, come cristiani e particolarmente come salesiani, riceviamo da questa provocazione: in fondo, lo stesso Nietzsche ha formulato questa sfida in maniera insuperabile: “canti migliori dovrebbero cantarmi, perché io creda al loro Redentore; più redenti  (erlöster) dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli!”

 

don José Luis Placencia

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