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Quando parlare di fede ai bambini?

Per trasmettere la fede ai bambini è necessario che impariamo ad essere come loro. “Farsi bambini – diceva Josemarìa Escrivà, fondatore dell’Opus Dei - significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza...


Quando parlare di fede ai bambini?

del 23 febbraio 2018

Per trasmettere la fede ai bambini è necessario che impariamo ad essere come loro. “Farsi bambini – diceva Josemarìa Escrivà, fondatore dell’Opus Dei - significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza...

 

Una lettrice mi scrive: “Ho avuto una bambina da poco, vorrei parlarle di Dio ma mi sembra un argomento troppo difficile. È possibile iniziarla alla fede nel primo anno di vita? Non è troppo presto?”. Mia cara, la fede non va insegnata ma trasmessa. E allora chi comincia nel primo anno di vita ha già perso il tempo della gravidanza!

La trasmissione della fede durante la primissima infanzia si nutre della relazione genitori-figli. Infanzia vuol dire innocenza, purezza, gioia, voglia di vivere, vuol dire speranza. I bambini si fidano! Sanno che da soli non possono bastare a se stessi, sanno che la loro stessa vita reclama la comunione, reclama la presenza di un’altra persona. L’altro è una esigenza, non ne possono fare a meno. Ma questo stesso bisogno dell’Altro, inteso come Dio, è stato purtroppo dimenticato da molto adulti.

Autosufficienza è il principio cardine della vita di molte persone, ed è quello che inevitabilmente si comunica anche ai figli. Perciò per trasmettere la fede ai bambini è necessario che impariamo ad essere come loro. “Farsi bambini – diceva Josemarìa Escrivà, fondatore dell’Opus Dei - significa rinunciare alla superbia, alla sufficienza, riconoscere che, per imparare a camminare e perseverare nel cammino, da soli non possiamo nulla, ma abbiamo bisogno della grazia, del potere di Dio nostro Padre”.

Dunque dobbiamo tornare ad abbandonarci come sanno abbandonarsi i più piccoli. Dobbiamo tornare a credere come credono loro, a pregare come pregano loro. Il bambino crede, si affida, dipende dai genitori anche e soprattutto in termini di sviluppo affettivo e valoriale.

Troppo spesso sento dire che tanto c’è tempo per la fede, che parlare di Dio ad un bambino è troppo impegnativo per lui. Perchè siamo convinti che l’età in cui porre le basi per lo sviluppo della fede sia quella della ragione? Quando nostro figlio sarà in grado di concettualizzare e argomentare forse sarà troppo tardi!

Nel primo anno di vita del bambino i genitori possono comunicare la fede anche attraverso un linguaggio muto. Non servono discorsoni difficili, la fede non è una materia, un insieme di nozioni. In realtà il genitore parla anzitutto guardando il proprio bambino. Lo sguardo del genitore è il punto zenit in cui l’amore di Dio si incontra con il cuore del piccolo. Ma questo presuppone che noi come genitori, siamo consapevoli di essere riflesso della genitorialità celeste. E allora una domanda che rivolgo alla lettrice che mi ha scritto, ma anche a tutti coloro che leggono: siete consapevoli di essere immagine della paternità di Dio agli occhi del vostri figli?

La relazione primaria tra genitore e figlio, quella fatta di abbracci, di coccole, di un dialogo di anime, struttura la sua personalità, e lo introduce nel mondo dell’universo non tattile, l’universo dello spirito, il regno di Dio.

Nel primo anno di vita, l’accudimento materiale dei genitori fatto di gesti affettuosi, permette al piccolo di scoprire in chi si prende cura di lui il primo altro che lo accoglie e gli dà fiducia. Lo fa entrare in qualche modo nella dimensione del sacro e lo prepara a scoprire in Dio il definitivo Altro con la A maiuscola.

Dunque passiamo a dare dei consigli pratici:

Parlare al bambino di Dio fin dai primi mesi di vita è importantissimo. Possiamo farlo attraverso filastrocche, frasi semplici ma chiare, abitudini sane che però richiamano costantemente la presenza dell’Altissimo nella vita. Penso alla benedizione della mensa ad esempio, ad una semplice preghierina serale, ad una fiaba che magari racconti brevemente un racconto della Bibbia.

In secondo luogo è importante, nel primo anno di vita, dare segnali chiari e precisi. I bambini sono ottimi osservatori. Scegliete un angolo della casa da dedicare alla Parola e al crocifisso. Non dovrà essere un oggetto di arredamento, ma il posto in cui vi radunate come famiglia per la preghiera. Non vi propongo liturgie lunghe, ma brevi momenti che si inseriscono nel ritmo della vita e scandiscono la quotidianità.

In ultimo vi dico: non aspettate! Affrettatevi ad iniziare i figli alla fede. Il tempo può essere nemico. Fatelo con la stessa premura con cui seguite la loro curva di crescita.

 

ACS Italia

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