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PADRE PADRONE

Apologo sulla necessità di spezzare il potere autoritario e sul rifiuto del silenzio, è un film razionale e lucido che assomiglia al paesaggio sardo: ventoso e scabroso, enigmatico e violento, soffuso di una luce che gli dà la nobiltà maestosa di un quadro antico...


PADRE PADRONE

da Quaderni Cannibali

del 25 novembre 2005

Regia: Paolo e Vittorio Taviani

Interpreti: Omero Antonutti, Fabrizio Forte, Saverio Marconi

Origine: Italia 1977

Durata: 117’

 

Tratto dal libro autobiografico “Padre padrone, l’educazione di un pastore” narra la storia di Gavino, pastore che vive in un piccolo paese sardo. A sei anni il padre lo obbliga ad abbandonare la scuola per fargli guardare le pecore e contribuire così al sostentamento della famiglia. A venti, egli sa tutto della vita sui pascoli e tra i monti, di boschi e di bestiame, ma è un’analfabeta e sa parlare solo in dialetto. La vista di due ragazzi forniti di fisarmonica lo scuote dal suo torpore: per procurarsene una uccide un paio di agnelli. È il primo atto di ribellione contro il padre, che però continua a dettar legge. Il giovane parte per il servizio militare: è la sua grande occasione di riscatto e non se la lascia sfuggire. Con l’affettuoso aiuto dei compagni impara a leggere e a scrivere, poi rinnova la ferma finchè, ottenuta la licenza liceale, torna a casa. Non smette di studiare però, e poiché il padre vorrebbe rimandarlo sui campi, ha con lui un drammatico scontro. Lo vince, ma deve comunque andar via di casa: non per obbedienza, ma per se stesso. Si laureerà con una tesi sui dialetti sardi, scriverà libri, diventerà docente a contratto all’Università di Sassari.

 

 

Hanno detto del film

“Padre padrone” non è la contestazione del padre in sé, bensì di un certo modo di intendere il ruolo, un modo autoritario, dispotico. Il padre non è il “primus inter pares” in quella comunità famigliare, ma colui che dà ordini perentori ed esige obbedienza assoluta.

                                             (Ernesto G.Laura, Cinema e Famiglia, ACEC / ANCCI 1988)

 

Il film è, più che un racconto, una rappresentazione e, come tale, procede attraverso continue cesure logistiche e ritmiche, selezionando nella materia originaria i nodi essenziali della storia di Gavino, restituita attraverso una serie successiva di “stazioni” che corrispondono al lento passaggio del giovane pastore dall’oppressione al miraggio della libertà, dalla coscienza della propria subalternità di figlio-servo alla ribellione.

                            (Lino Miccichè, Cinema italiano degli anni ’70, Venezia, Marsilio, 1980)

 

Apologo sulla necessità di spezzare il potere autoritario e sul rifiuto del silenzio, (…) è un film razionale e lucido che assomiglia al paesaggio sardo: ventoso e scabroso, enigmatico e violento, soffuso di una luce che gli dà la nobiltà maestosa di un quadro antico.

                                                                               (Il Morandini, Dizionario dei film, 2002)

CGS

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