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Nel ventre della balena

Il ventre della balena in cui si trovano molti bimbi e bimbe oggi non provoca in loro riflessioni, ma lascia memorie, ferite, che forse la vita non riuscirà mai più a cancellare. I bambini che ne escono sono bambini segnati dall'abbandono, da una solitudine non voluta, da una latitanza educativa di genitori e di adulti, che hanno creato «il disagio» per la disgrazia di vivere.


Nel ventre della balena

da L'autore

del 25 gennaio 2008

 Mi hanno invitato anni fa a presentare il film, Jona, che visse nella balena, di Faenza, tratto dal libro di Jan Oberski Anni d’infanzia. Mi sono commosso alla storia di questo bambino olandese vissuto nei lager nazisti, nell’età dei giochi, della tenerezza, delle prime esperienze di amicizie, quella che va dai quattro agli otto anni. Il bambino è uscito dal «ventre della balena», i suoi genitori, no: il padre è morto di stenti, la madre è impazzita.

Il film e il libro non li ho più dimenticati, mi hanno fatto pensare a tutti i bambini che anche oggi vivono nel ventre della balena, feriti dalla guerra, dalla miseria, dalla violenza dei popoli e dei razzismi di chi ha dimenticato e calpestato la dignità delle persone, dell’uomo. Sono ancora mille le forme di nazismo che continuano ad infliggere nei corpi degli adulti e dei bambini sevizie, torture, morte.

Altri bimbi vivono «soli» nel ventre delle balene della nostra società occidentale, poco rispettosa nei loro confronti: abusi e violenze si consumano in casa e fuori casa, spesso tenute nascoste dalle stesse vittime, i piccoli, che non osano o non sanno a chi rivolgersi per denunziarle.

 Il ventre della balena nella quale si è trovato Giona, il profeta della Bibbia, era un ventre freddo, umido, il luogo del silenzio, della riflessione, che ha portato Giona a riconoscere di essere un profeta mancato, convertito a Dio ma non agli uomini.

 Il ventre della balena in cui si trovano molti bimbi e bimbe oggi non provoca in loro riflessioni, ma lascia memorie, ferite, che forse la vita non riuscirà mai più a cancellare. I bambini che ne escono sono bambini segnati dall’abbandono, da una solitudine non voluta, da una latitanza educativa di genitori e di adulti, che hanno creato «il disagio» per la disgrazia di vivere.

Penso che non sia difficile ad ognuno di noi identificare quali sono i «ventri di balena» dei nostri giorni. Il guaio è che oggi sono pochi quelli che si sentono responsabili dei bambini che hanno un passato «dentro il ventre della balena ». Più arduo ancora far scattare l’impegno concreto, che porta ad accoglierli nella scuola, nel quartiere, in famiglia o nella cerchia degli amici, dei gruppi, nelle associazioni o movimenti, in oratorio.

Ridare speranza al loro essere rifiutati, riaccendere una luce nel loro cuore, nei loro occhi, è l’unico modo che abbiamo per liberarci dal complesso di colpa, che ci prende quando leggiamo le loro storie. Le Caritas parrocchiali possono essere in prima fila per seguire le famiglie in difficoltà; gli oratori a prendere atto di questi bambini e ragazzi, che abitano le nostre città, per elaborare progetti di accoglienza, proposti dallo stesso piano pastorale nell’Assemblea diocesana degli Oratori. Non pensiamoli irricuperabili o indegni della nostra attenzione: saremmo noi stessi non «ventre della balena», ma dei Giona, profeti e testimoni mancati del Signore.

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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