Sono almeno 35 i minori rimasti uccisi dall’inizio delle proteste. Domani il dossier approda al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Anche la Cina invita alla de-escalation
di Luca Miele, tratto da avvenire.it
Sono almeno 35 i minori rimasti uccisi dall’inizio delle proteste. Domani il dossier approda al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Anche la Cina invita alla de-escalation
Sono oltre 500 i civili, tra cui molti studenti e adolescenti, uccisi dalle forze di sicurezza dal colpo di Stato militare del 1° febbraio in Myanmar (ex Birmania), secondo l'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici. "Abbiamo la conferma di 510 morti", afferma l'ong specificando che il bilancio "è probabilmente molto più alto", con centinaia di persone arrestate negli ultimi due mesi di cui non si sa più nulla.
Assediata, brutalizzata, la popolazione birmana non si arrende, non retrocede, non rinuncia alla battaglia. Dopo la strage di sabato – 114 morti, il bilancio più cruento da quando sono iniziate le proteste contro il colpo di Stato in Myanamr del primo febbraio, con le truppe birmane che hanno sparato persino a un funerale – le strade sono tornate a riempirsi, e manifestazioni si sono svolte in tutte le principali città del Paese. Il tragico copione dei giorni scorsi si è ripetuto anche ieri, con 5 vittime a Yangon. «Sparano ad altezza d’uomo», ha raccontato alla Reuters un testimone oculare.
Un corteo di protesta contro il golpe a Mandalay - Ansa
Una repressione sempre più sanguinosa che non risparmia i più piccoli. Secondo l’Unicef, sono almeno 35 i bambini uccisi dal primo febbraio, centinaia quelli feriti, mentre almeno mille minori sarebbero stati detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza in tutto il Paese. È l’intera situazione dell’infanzia nel Paese ad essere a rischio: nel Paese, fa sapere l’Unicef, «quasi un milione di bambini non hanno accesso ai vaccini fondamentali ».
Pneumatici bruciati per le strade di Yangon - Ansa
Cresce, intanto, la pressione internazionale. Domani si terrà una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, su richiesta del Regno Unito. Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto alla comunità internazionale maggiore unità dopo le violenze «assolutamente inaccettabili». Inviti alla moderazione sono venuti anche dalla Cina, primo partner commerciale dell’ex Birmania e da sempre “garante” del regime. Il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha auspicato che tutte le parti coinvolte nella crisi «intraprendano azioni con un atteggiamento costruttivo per la deescalation e per raffreddare la situazione. Violenza e spargimento di sangue non sono nell’interesse di nessuno». Anche l’altro tradizionale alleato del regime, la Russia ha espresso «grande preoccupazione per il numero crescente di vittime fra i civili». «Il mantenimento delle relazioni non significa assolutamente che approviamo gli eventi tragici registrati nel Paese», hanno fatto sapere dal regime. Anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha assicurato che «la Ue sta lavorando con i suoi partner per porre fine a questa atroce violenza contro la stessa popolazione del Myanmar». Gli Stati Uniti, dopo che il presidente Joe Biden aveva definito «oltraggiose» le violenze di sabato, «hanno sospeso tutti gli accordi commerciali Usa con la ex Birmania secondo il Trade and Investment Framework Agreement del 2013».
Studenti in marcia "per la democrazia" - Reuters
Lo scontro rischia di radicalizzarsi. Il General Strike Committee of Nationa-lities, uno dei principali gruppi di protesta del Paese, ha rivolto un appello su Facebook alle forze delle minoranze etniche affinché si schierino al fianco di chi subisce «l’ingiusta oppressione» dei militari: «È necessario che le organizzazioni armate etniche proteggano le persone», si legge nel testo. Non solo: le violenze rischiano di destabilizzare anche le relazioni con i vicini, innescando nuove ondate di profughi. Forti scontri sono scoppiati nel fine settimana vicino al confine thailandese tra l’esercito e combattenti della più antica forza di minoranza etnica del Myanmar, la Karen National Union. Circa 3.000 abitanti del villaggio sono fuggiti in Thailandia quando i jet militari hanno bombardato l’area nella quale risiedono. Ieri le forze thailandesi hanno costretto i profughi a rientrare in Myanmar.
Un oppositore con un fucile ad aria compressa nelle strade di Mandalay - Reuters
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