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Morire per decreto

Dubbi e perplessità di ordine giuridico che sorgono alla lettura del testo della sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Milano in cui di dice che...


Morire per decreto

da Quaderni Cannibali

del 11 luglio 2008

Il decreto della Corte d’appello di Milano che ha autorizzato l’interruzione del trattamento di sostegno vitale per Eluana Englaro, come richiesto dal padre e tutore di lei, consegna una vicenda dolorosa e drammatica che ha commosso tutti, a un percorso terminale di “morte per decreto” di una persona umana.

 

Il provvedimento inizia con la sintesi del lungo cammino giudiziario, culminato nella sentenza del 16 ottobre 2007 della Cassazione, e si enuncia fin da principio col tono di una specie di “epilogo necessario” della vicenda, dentro il solco dei criteri che la suprema Corte dettò per il giudizio di rinvio.

 

Disse allora la Corte che il giudice può autorizzare il distacco del sondino che nutre e idrata un paziente, che giace da moltissimi anni in stato vegetativo permanente ed è tenuto artificialmente in vita da quel sondino, quando lo chiede il tutore in contraddittorio con il curatore speciale, se concorrono due presupposti:

a) che lo stato vegetativo sia irreversibile e nessun fondamento medico lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche recupero della coscienza e di ritorno alla percezione del mondo esterno;

b) che l’istanza esprima realmente la “voce del paziente medesimo” tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, in base a elementi di prova chiari, univoci e convincenti.

 

Dentro quel solco la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato di inoltrarsi doverosamente e necessariamente, come assemblando una costruzione giuridica con materiali predisposti e soggetti solo più a verifica ricognitiva, pur con ampio spettro problematico dell’orizzonte affrontato.

 

Schematicamente, sono visibili tre capitoli, per giungere al dispositivo. Il primo riguarda la condizione di irreversibilità dello stato vegetativo permanente di Eluana; la questione è prospettata discorsivamente, per liquidarla come non più proponibile, perché già valutata da altri giudici in precedenza, e dunque “coperta dal giudicato”. La seconda riguarda una esplorazione tematica dei profili di costituzionalità dei principi che la Corte si accinge ad applicare. La terza analizza le prove raccolte sugli orientamenti di Eluana, per capire se ciò che chiede suo padre è ciò che lei chiede.

 

Il primo argomento, schiettamente giuridico formale, è sorprendente: siccome la valutazione di irreversibilità dello stato vegetativo permanente è già stata posta, e non impugnata, e reputata anche dalla Cassazione, non va più verificata nell’attualità, perché coperta dal giudicato. Non dunque il responso della scienza, ma il meccanismo logico-giuridico che fa del giudicato una “verità” di per sé.

 

Si può osservare che l’irreversibilità è una prognosi, cioè riguarda il futuro; ma con lo scorrere del tempo, ciò che in un dato istante è futuro diviene presente e poi se ne va nel passato, e la prognosi sul “futuro che resta” è necessariamente un diverso affaccio che deve tener conto dell’accaduto, entrato nella conoscenza.

 

Èl’indagine empirica che decide. Se lo stato di Eluana è oggi irreversibile o no va giudicato oggi. Ognuno capisce l’assurdo di appellarsi all’autorità di un “giudicato precedente”; a quella stregua, non conterebbe nulla neanche se Eluana aprisse gli occhi, si direbbe che è irrilevante, perché tanto c’è il giudicato che non li avrebbe mai riaperti. Il corretto metodo, in questa materia - di stato personale - non è il giudicato, ma il responso scientifico attualizzato al momento del giudizio.

 

Il secondo nucleo del provvedimento è dedicato alla valutazione dei profili della vicenda, secondo il percorso verso il quale si va incamminando, di fronte ai principi costituzionali. È una sorta di interludio, in cui la Corte esprime i suoi convincimenti, in seno a un dibattito dottrinale fatto di molte voci, orientamenti, dissonanze critiche, tensioni dialettiche, già vivacemente introdotte e discusse dopo la sentenza della Cassazione dell’ottobre scorso.

 

Solo un cenno ai punti salienti: il diritto alla salute, il consenso informato, il concetto di rifiuto del consenso e il concetto di “autodeterminazione terapeutica”, sullo sfondo. Poi lo zoom sulla condizione del paziente incapace di esprimersi, la comparsa di “qualcun altro” che parla per lui, la possibilità o l’impossibilità che questo “farsi voce” d’un altro riguardi un diritto personalissimo come la salute (tanto più quando c’è di mezzo la vita).

 

E qui vien rammentato il caposaldo enunciato dalla Cassazione: non esiste un “diritto a morire”, non può riconoscersi l’eutanasia. Però si afferma che esiste un diritto a lasciare che la vita segua il suo corso “naturale”, senza interventi artificiali, quando siano più dannosi che utili o sproporzionati.

 

Sono temi e tesi di grande spessore, sui quali è possibile distinguere, discernere. Le vicende umane non sono fatte in serie; sono le situazioni reali che possono indicare ciò che è proporzionato o no, ciò che è accanimento o no. La Cassazione ha detto chiaro che la nutrizione e idratazione col sondino non è accanimento terapeutico. Ma allora, la disamina astratta sulla praticabilità o meno di altri generi di trattamento medico di sostegno vitale “con carattere intollerabilmente invasivo” è un fuor d’opera, non si attaglia.

 

Infine, la prospettiva che un tutore possa scegliere la prosecuzione o l’interruzione del sostegno vitale (qui, si rammenti è la nutrizione e l’idratazione) anche quando non è assolutamente possibile ricostruire una volontà presunta del malato - problema sottilmente diverso dalle precedenti sue espressioni, poiché bisognoso di attualizzazione - ci sembra francamente inaccettabile sotto il profilo costituzionale dei diritti inalienabili della persona, anche malata e incapace, previsti nell’art. 2, e in particolare di fronte al diritto alla vita; non scavalcabile “indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e della percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa”.

 

La terza parte del provvedimento è dedicata all’esame di quella “volontà presunta” di Eluana secondo la ricostruzione fattane dal padre e tutore. La Corte ha utilizzato anche il materiale raccolto nelle precedenti fasi (che in tali sedi era stato giudicato dubbio). Vi ha aggiunto, di nuovo, e vi ha dato forte rilievo, un nuovo interrogatorio del padre e tutore.

 

Ad evidenza, nessuno può contestare che la fonte informativa privilegiata circa la personalità di Eluana, dei suoi convincimenti, del suo stile di vita eccetera, sia suo padre. Salva la cautela tecnica di non cortocircuitare la funzione di parte istante e la funzione testimoniale. Diversamente non si verte più in tema di prova, ma di allegazione; il procedimento non è più accertativo, ma asseverativo. Il giudizio si concentra sulla “credibilità” di ciò che viene asserito.

 

Quanto all’analisi delle deposizioni testimoniali su episodi della vita di Eluana, l’impressione del lettore è che la vitalità di Eluana, il valore da lei dato alla libertà, all’autonomia, all’interazione col mondo attraverso le facoltà intellettive-percettive-cognitive, eccetera, siano ravvisabili nell’età giovane di infinite persone. E forse chiunque di noi, interrogato a bruciapelo, potrebbe esclamare che se per sventura dovesse subire un incidente stradale grave preferirebbe restare morto che paralizzato; ma ciò ha un altro significato, e non vuol dire che prenoti il rifiuto delle cure nel caso in cui resti vivo.

 

Come in tutte le decisioni, il giudizio “di fatto” si presta o si sottrae a valutazioni critiche, perché non si cimenta con “tesi”, ma con l’interpretazione di dati materialmente acquisiti. Nondimeno, il giudizio “di fatto” che la voce di Eluana sia questa, diviene un altro anello debole della costruzione che conduce al distacco del sondino, nel punto in cui allaccia a questi criteri di ricostruzione indiretta un’efficacia che neppure una dichiarazione autografa (come forma di dichiarazioni anticipate di trattamento terapeutico futuro) potrebbe dispiegare in modo dirimente, senza una legge regolatrice del suo valore, del suo vigore nel tempo, del suo adattamento alle circostanze.

 

Se si esclude l’eutanasia, neanche un testamento biologico può essere una prenotazione di eutanasia. Staccare il sondino che nutre e idrata allo scopo di provocare la morte secondo il desiderio presunto del paziente può chiamarsi come si vuole, ma è figura di eutanasia.

Giuseppe Anzani

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