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Mamma, ho preso la sbronza

Come si festeggia la fine della scuola? Con una sbronza. Come ci si prepara al primo appuntamento con una ragazza? Con un paio di bicchieri. E che cosa si fa a un compleanno, in discoteca, al pub con gli amici, soprattutto d'estate? Si beve, tanto, troppo.


Mamma, ho preso la sbronza

da Attualità

del 25 giugno 2009

 Come si festeggia la fine della scuola? Con una sbronza. Come ci si prepara al primo appuntamento con una ragazza? Con un paio di bicchieri. E che cosa si fa a un compleanno, in discoteca, al pub con gli amici, soprattutto d'estate? Si beve, tanto, troppo. Parliamo di ragazzi di terza media e primo anno delle superiori, fra i 13-15 anni, chiusi nel loro mondo, carichi d’insicurezze e paure. In teoria, essendo vietato, il loro consumo di alcolici dovrebbe essere vicino allo zero. Invece non è così. Cominciano con una birra a 11 anni, a 15 mescolano allegramente superalcolici e vino.

 

«Una cosa da duri» - «Sentirsi brillo», la ricerca qualitativa curata da Paola Nicolini (psicologa e psicoterapeuta) con Michela Bomprezzi (assistente sociale e mediatrice familiare) e Luisa Cherubini (psicologa del lavoro e delle organizzazioni) ha ascoltato 1500 ragazzi in due anni, ha raccolto le loro voci che vengono fuori, timide, curiose, sfrontate, tra migliaia di pagine, grafici, tabelle e mappe concettuali. Un materiale ricco che sarà la base di studi futuri. Chi beve lo fa «per non pensare alle cose brutte», «per sentirsi invincibile», «sciolto, libero, felice», addirittura «più bello», perché «è una cosa da duri», «si ha l'impressione che niente può andare storto». Ma anche «per una botta di vita», «per divertimento», «per fare colpo», «per essere figo». Paola Nicolini l'ha chiamata «sbronza preventiva»: non ci si ubriaca più per dimenticare ma per vivere. I numeri possono dare appena un'idea delle dimensioni del problema, ma servono a orientarsi. Michela Bomprezzi traccia una linea di continuità tra le varie indagini dal 2001 a oggi: «Il 67% dei 13-15enni beve al sabato sera. Di questi, il 20% si ubriaca nel fine settimana. I dati dimostrano che tra i teenager è diffuso il fenomeno del binge drinking, bere sei o più bicchieri in un’unica occasione. Gli happy hour aumentano del 70% il rischio del pronto soccorso». E l'happy hour è responsabile del flirt, sempre più stretto, tra le ragazzine e l'alcol (55%).

 

Paura di crescere - Ma l'aspetto più importante della ricerca sta nelle motivazioni, nella percezione di sé che hanno questi adolescenti. Nessuno associa l'ubriachezza al timore di essere scoperto, al senso del proibito, alla trasgressione. La birra, il vino, la vodka, il rum, il limoncello sono la stampella di un Io fragile che cerca conferme nel gruppo. Tutti vogliono essere simpatici, spiritosi, brillanti. E bere aiuta. Alla domanda: «Che cosa apprezzano di te i tuoi familiari?» la maggioranza risponde: «Non lo so, non ne ho la più pallida idea». Stessa cosa per gli insegnanti. L'unica paura vera è quella di crescere: «Vorrei che il tempo si fermasse per rimanere così», «Cerco di essere sempre più bambino, il pensiero di essere grande con tante responsabilità mi spaventa». Oppure: «Sono talmente confusa su che fare del mio futuro che a volte mi sembra d’impazzire frantumandomi in mille pezzi». E raccontano storie di serate alcoliche con amici che hanno visto diventare confusi, violenti, «dare di matto», vomitare e avere allucinazioni. L'altro aspetto dell'indagine riguarda padri e madri. Nelle risposte ai 674 questionari c'è tutto il disorientamento e il senso d’impotenza delle famiglie. Metà dei genitori sa che i figli bevono, soprattutto durante il fine settimana, e pensa che lo facciano perché «vogliono sentirsi grandi» ma anche per tristezza, depressione e noia. La maggioranza vuole capirne i motivi e anche «fare ricorso a punizioni». Emerge forte la delega delle responsabilità («maggior ricorso alle leggi e ai controlli»). Indebolita la famiglia, proiettati verso l'esteriorità, questi ragazzini si spezzano per niente, anche per un esame andato male. Da un'altra ricerca, condotta su 1200 adolescenti nel territorio fiorentino, più che mai attuale, viene fuori che il dodici per cento degli intervistati ha pensato al suicidio e il nove ci ha provato davvero. Perciò «Sentirsi brillo» (una sintesi esce il 6 luglio da Franco Angeli) è più che un segnale d'allarme. Specialmente se un bambino disorientato, infelice e in cerca d’dentità è capace di dire: «Io sono la bottiglia che bevo».

 

 

 

5 domande a Paola Nicolini psicoterapeuta

«OSSESSIONATI DAL BISOGNO DI PIACERE AGLI ALTRI»

 

Dottoressa Nicolini, perché i ragazzini cominciano a bere così presto?

«Per essere accettati dal gruppo ma soprattutto per esorcizzare l'ansia, affrontare le difficoltà».

 

Che tipo di difficoltà?

«Sono ossessionati dal desiderio di piacere agli amici, ai professori, alle ragazze. Vivono in una bolla e ne escono solo con un aiutino per essere all'altezza di un modello sociale che prevede leggerezza, allegria, sicurezza di sé: il modello della tv, dei reality e dei talent show».

 

Durante la ricerca lei ha parlato coi ragazzi, ha spiegato i rischi. Qual è stata la loro reazione?

«L'abbiamo chiamato ottimismo irrealistico: non contestano i danni alla salute, semplicemente pensano che a loro non succederà. Succederà agli altri. È l'atteggiamento che hanno molti fumatori».

 

E la famiglia?

«Ha un ruolo passivo-impotente, non riesce a combattere ciò che offre il macrosistema. Vino e birra, certo, si trovano più facilmente delle droga, ma i genitori sono spesso intrappolati nel ruolo di confidenti-amici, sono pronti a sottovalutare la sbronza, ragionano alla pari, senza proporre un modello educativo».

 

Che fare, allora?

«Lavorare sugli adulti. È da lì che si comincia a ricostruire l'identità».

 

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