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Ma i bambini oggi nascono diversi?

«Educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande 'emergenza educativa'...


Ma i bambini oggi nascono diversi?

da Attualità

del 07 febbraio 2008

Formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e dare un senso alla propria vita

 

«Educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una “frattura fra le generazioni”, che certamente esiste e pesa, ma che è l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori.

Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione a loro affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita» [Lettera di Benedetto XVI alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione].Il Papa torna a segnalare, con una Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma, la “grande emergenza educativa” e l’urgenza di un “ambiente più favorevole all’educazione” perché “tutti abbiamo a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città. Non possiamo dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale”. E il Papa inizia con un invito molto semplice ma fondamentale all’interno di una atmosfera diffusa, di una mentalità e di una forma di cultura che portano a dubitare del valore di ogni persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita: “Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti non sono insormontabili”. Occorre, però, rendersi veramente conto che la “frattura fra le generazioni, che certamente esiste e pesa, è l’effetto e non la causa della mancata trasmissione di certezze e di valori”. E il Papa con una acuta capacità critica unita ad una grande volontà costruttiva, una grande apertura e simpatia affronta la problematica.

Tutte le difficoltà a livello educativo sono il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna

“A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale”.

E qui, constatando la possibilità straordinaria di addizionare un progresso in campo materiale, che nella conoscenza crescente delle strutture della materia e delle invenzioni sempre più avanzate si dà in una continuità del progresso verso una padronanza sempre più grande della natura, si scivola nel ritenere che anche nell’ambito della consapevolezza etica e della decisione morale ci sia una simile addizione, indipendentemente dalla libertà che necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente cioè culturalmente. Ma questo diffuso spontaneismo senza disciplina, senza autorevolezza, senza autorità, senza obbedienza non favorisce l’educazione, non è reale ma ideologico, per il semplice motivo che la libertà di ogni uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente prese per noi dagli altri, nemmeno dai propri cari - in tal caso, infatti, non saremmo più liberi. La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio: in famiglia alla generazione fisica deve seguire in continuità la generazione della persona. Certamente, le nuove generazioni possono costruire sulle conoscenze e sulle esperienze di coloro che le hanno precedute, come possono attingere al tesoro morale dell’intera umanità, al fondo storico dell’umana sapienza. Ed è sempre una perdita puntare a una ragione a-storica che cerca di auto costruirsi soltanto in una razionalità a-storica: la sapienza dell’umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose e cristiane di fede - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ma il semplice sapere storico rende tristi e si può anche rifiutarlo se non si esperimenta che la sua conoscenza diviene il mio bene attuale, il nostro bene in un vissuto fraterno di amicizia, quel bene che ci rende veri, buoni, che ci apre ad una speranza affidabile, ad una meta sicura, a quel grande Amore nel cui orizzonte ogni piccolo amore suscita stupore, entusiasmo, coraggio. Ed è esistenzialmente l’incontro oggi con la Persona di Gesù Cristo in vissuti fraterni di comunione ecclesiale che dà alla vita una memoria attraente di tutto il passato, una direzione decisiva del futuro, una speranza affidabile, una meta sicura, un ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio che continua nella via umana alla Verità e alla Vita della Chiesa, si è rivelata e si rivela insieme, come il Bene, come la Bontà stessa in Persona: il senso della mia vita non è un’idea o una mia decisione etica, una libertà sempre fragile, ma l’avvenimento dell’incontro con una Persona divina (la Grazia) attraverso volti umani, cui mi posso sempre rivolgere nella preghiera personale e liturgica e con la quale si può sempre conquistare di nuovo la libertà per il bene, anche dopo cadute.

Fin da Francesco Bacone gli aderenti alla corrente di pensiero dell’età moderna da lui ideologicamente ispirata, si è sempre più diffusa una mentalità che l’uomo sarebbe redento mediante la scienza, mediante le sue strutture umanizzanti capaci di fissare in modo irrevocabile una determinata - buona - condizione del mondo e dell’umanità (la politica della priorità dello Stato sulla persona nella Rivoluzione borghese del 1789, la priorità del collettivo della classe operaia nella rivoluzione marxista) senza più il rischio educativo indissociabile dalla priorità della persona propria del cristianesimo e senza più bisogno dell’incontro redentivo con Cristo nel suo corpo che è la Chiesa. In questa corrente di pensiero dell’età moderna non avrebbe più senso la verità del peccato originale che in termini di racconto rivela la possibilità del male, implicita nella libertà umana e quindi fa di ogni uomo nella sua scelta spirituale la vera causa del bene e del male che si incontra nella storia. Non si riconosce nel male alcun ruolo di Satana, dell’angelo decaduto, del “principe di questo mondo”.

Ma la Chiesa in Italia è ancora una realtà viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane hanno ancora un certo radicamento e continuano a produrre frutti, mentre è in atto uno sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in modo particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie. Ma a questo, nell’attuale drammatica frattura tra Vangelo come una delle fondamentali voci della ragione etica dell’umanità e pressioni degli interessi e utilità come criteri ultimi, occorre contribuire per mantenere desta in tutti la sensibilità della verità; invitare la ragione di tutti a mettersi di nuovo alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. In ogni università, come in ogni scuola, occorre ritornare a coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche al consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. Culturalmente è questa una avventura che sta davanti a noi, un’avventura educativa affascinante nella quale merita spendersi per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa, con una laicità positiva, alla fede cristiana e la patrimonio delle religioni piena cittadinanza.

 

L’educazione ha bisogno di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore

 

Ogni persona umana non è soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta. E chi educa necessita della certezza che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e le nostre debolezze, per offrirci sempre, fino al momento terminale della vita, una nuova possibilità di bene. Occorre rifarci a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni educatore non può non sapere che per educare occorre donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare tendenze narcisistiche ed egoismi e a diventare capaci di farsi dono nel modo più gratuito possibile. In un piccolo bambino c’è un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni, anche scientifiche, di cose particolari e delle informazioni su piccole speranze lasciando da parte le domande fondamentali riguardo alla verità della propria origine e del proprio destino e sulla speranza affidabile e sulla meta sicura per affrontare il presente, anche faticoso. Ci si interroga e spesso ci si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al contempo, privo di senso. In particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi il suo potere sembra rafforzarsi e vengono spesso smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia l’esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche. Ritorna, dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l’amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l’opera della sapienza di Dio. Far capire che anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili o poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme. Qui, molto di più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica in forma narrativa: il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente ogni uomo concreto, lo ama appassionatamente comunque ridotto e attende a sua volta di essere amato da lui senza costringerlo. Dà vita perciò a una storia di amore con Israele, il suo popolo luce per tutti i popoli, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite. E in Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi, unendo giustizia e misericordia. Nella morte in croce si compie dunque quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale, nel quale si manifesta cosa significhi “Dio è amore” (1 Gv 4,8) e si comprende anche come debba definirsi l’amore autentico (Deus caritas est nn. 9-10 e 12).

Proprio perché ci ama veramente, Dio rispetta e salva la nostra libertà Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande perché un rapporto costretto verso di lui impedisce che avvenga l’amore, ma preferisce porre il limite della pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza.

 

Trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina

Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro per nessuno. Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà e capacità di amare. Da questa sollecitudine per ogni persona umana e la sua formazione vengono i nostri “no” a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi “no” sono piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato e redento da Dio. Ogni rapporto educativo è anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione dell’intelligenza, senza trascurare il retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero nuove frontiere del progresso umano.

L’educazione non può dunque fare a meno di quella autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità.

 

L’autorevolezza è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.Decisivo è il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore, certamente, ma anche e in misura che cresce l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. E’ responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri- Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo fino al perdono.La responsabilità è in primo luogo personale, ma c’è anche una responsabilità che condividiamo insieme, in vissuti fraterni di amicizia, come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e membri della Chiesa in vissuto di comunione autorevolmente guidata. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli orientamenti complessivi della società in cui viviamo, e l’immagine che essa dà di se stessa attraverso i mezzi della comunicazione, esercitano un grande influsso sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche per il male. La società però non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme, con gli orientamenti, le regole e i rappresentanti che ci diamo, sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C’è bisogno dunque del contributo di ognuno di noi; di ogni persona, famiglia o gruppo sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente più favorevole all’educazione.

 

Anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile

 

Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12).

Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita. Ma occorre porre in Dio la nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore.

don Gino Oliosi

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