Lectio divina_28a domenica del tempo ordinario

Signore, mentre ancora camini attraversando le nostre terre, oggi ti sei fermato qui e sei entrato nel mio villaggio, nella mia casa, nella mia vita. Non hai avuto paura, non hai disdegnato la profonda malattia del mio peccato; anzi, ancora di più Tu mi hai amato. A distanza mi fermo, o Maestro, insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle che camminano con me in questo mondo.

Lectio divina_28a domenica del tempo ordinario

da Teologo Borèl

del 13 ottobre 2007

a) Il testo:

11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!».14Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati.

15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: 19«Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».

 

b) Il contesto:

Questo brano pone i nostri passi dentro la terza tappa del cammino che Gesù sta compiendo verso Gerusalemme; la meta ormai è vicina e il maestro chiama con ancora maggior intensità i suoi discepoli, cioè noi, a seguirlo, fino ad entrare con Lui nella città santa, nel mistero della salvezza, dell’amore. Il passaggio si compie solo attraverso la fede, alimentata da una preghiera intensa, incessante, insistente, fiduciosa; lo vediamo ripercorrendo i capitoli che precedono e seguono questo racconto (17, 6; 17, 19; 18, 7-8; 18, 42). Queste parole ci invitano a identificarci con i lebbrosi, che diventano bambini (cf. Lc 18, 15-17) e con il ricco che si converte e accoglie la salvezza nella sua casa (Lc 18, 18 ss.); se le accogliamo veramente e le custodiamo in modo tale da metterle in pratica, potremo finalmente arrivare anche noi a Gerico (19, 1) e di lì cominciare a salire con Gesù (19, 28), fino all’abbraccio gioioso col Padre.

 

c) La struttura:

v. 11: Gesù è in cammino e attraversa la Samaria e la Galilea; si avvicina piano a Gerusalemme, nulla Egli lascia di non visitato, non toccato dal suo sguardo d’amore e di misericordia.vv. 12- 14a: Gesù entra in un villaggio, che non ha nome, perché è il luogo, è la vita di tutti e qui incontra i dieci lebbrosi, uomini malati, già intaccati dalla morte, esclusi e lontani, emarginati e disprezzati. Subito Egli accoglie la loro preghiera, che è un grido del cuore e li invita ad entrare in Gerusalemme, a non stare più a distanza, ma a raggiungere il cuore della Città santa, il tempio, i sacerdoti. Li invita al ritorno alla casa del Padre.v. 14b: Non appena ha inizio il santo viaggio verso Gerusalemme, i dieci lebbrosi vengono risanati, diventano uomini nuovi.

vv. 15-16: Ma uno solo di loro torna indietro per rendere grazie a Gesù: sembra quasi di vederlo correre e saltare di gioia. Loda Dio a gran voce, si prostra in adorazione e fa eucaristia. vv. 17-19: Gesù constata che da dieci uno solo è tornato, un samaritano, uno che non apparteneva al popolo eletto: la salvezza, infatti, è per tutti, anche per i lontani, gli stranieri. Nessuno è escluso dall’amore del Padre, che salva grazie alla fede.

 

d) Per meditare la Parola:

L’invito è già chiaro al mio cuore: l’Amore del Padre mi aspetta, come quell’unico samaritano che è ritornato pieno di gioia e di gratitudine. L’Eucaristia della mia guarigione è già pronta; la sala al piano di sopra è addobbata, la tavola imbandita, il vitello immolato, il vino versato… il mio posto è preparato. Rileggo con attenzione il brano, lentamente, soffermandomi sulle parole, sui verbi; guardo i movimenti dei lebbrosi, li ripeto, li faccio miei, mi muovo anch’io, verso l’incontro con il Signore Gesù. E mi lascio guidare da Lui, ascolto la sua voce, il suo comando. Vado anch’io verso Gerusalemme, verso il tempio, che è il mio cuore e compiendo questo viaggio santo ripenso a tutto l’amore che il Padre ha avuto per me. Mi lascio avvolgere dal suo abbraccio, sento la guarigione della mia anima… E per questo, pieno di gioia, mi alzo, torno indietro, corro verso la sorgente della felicità vera che è il Signore. Mi preparo a dirgli grazie, a cantargli il cantico nuovo del mio amore per Lui. Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? …

Con il suo bel greco, Luca ci dice che Ges√π sta continuando il suo viaggio verso Gerusalemme e utilizza un verbo molto bello e intenso, anche se comune e usatissimo.

Solo in questa breve pericope torna per tre volte: v. 11: nel viaggiarev. 14: andatev. 19. va’E’ un verbo di movimento molto forte, che esprime pienamente tutte le dinamiche proprie del viaggio; potremmo tradurlo con tutte queste sfumature: vado, mi reco, parto, mi porto da un luogo a un altro, percorro, vado dietro. In più c’è dentro il significato dell’attraversamento, del guadare, dell’andare al di là, superando gli ostacoli. E’ Gesù il grande viaggiatore, il pellegrino instancabile: Lui per primo ha lasciato la sua dimora, nel seno del Padre, ed è sceso fino a noi, compiendo l’esodo eterno della nostra salvezza e liberazione. Lui conosce ogni via, ogni percorso dell’esperienza umana; nessun tratto di strada rimane nascosto o impercorribile per Lui. Per questo può invitare anche noi a camminare, a muoverci, ad attraversare, a porci in una situazione continua di esodo. Perché anche noi possiamo finalmente tornare, insieme a Lui, e andare da questo mondo al Padre.

Entrando in un villaggio: Gesù passa, attraversa, percorre, si muove e ci raggiunge; a volte, poi, decide di entrare, fermandosi più a lungo. Come avviene in questo racconto. Luca si sofferma su questo particolare e scrive che Gesù entrò in un villaggio. L’entrare, in senso biblico, è una penetrazione, è l’ingresso nel profondo, che implica condivisione e partecipazione. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un verbo molto comune e molto usato; solo nel Vangelo di Luca ricorre tantissime volte e disegna chiaramente l’intenzione di Gesù di farsi vicino, farsi amico e amante. Lui non disdegna nessun ingresso, nessuna comunione. Entra nella casa di Simone il lebbroso (4, 38), nella casa del fariseo (7, 36 e 11, 37), poi nella casa del capo della sinagoga (8, 51) e di Zaccheo il pubblicano (19, 7). Entra continuamente nella storia dell’uomo e partecipa, mangia insieme, soffre, piange e gioisce, condividendo ogni cosa. Basta aprirgli, come dice Lui stesso (Ap 3, 20) e lasciarlo entrare, perché rimanga (Lc 24, 29).

Dieci lebbrosi: Mi chiedo cosa significhi veramente questa condizione umana, questa malattia che si chiama lebbra. Parto dal testo stesso della Scrittura che descrive lo statuto per il lebbroso in Israele. Dice così: “Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento” (Lev 13, 45-46). Dunque comprendo che il lebbroso è una persona colpita, ferita, percossa: qualcosa lo ha raggiunto con violenza, con forza e ha lasciato un segno di dolore, una ferita. E’ una persona in lutto, in grande dolore, come dimostrano le sue vesti stracciate e il capo scoperto; è uno che deve coprirsi la bocca, perché non ha diritto di parlare, né quasi più di respirare in mezzo agli altri: è come un morto. E’ uno che non può rendere culto a Dio, non può entrare nel tempio, né toccare le cose sante. E’ una persona piagata profondamente, un emarginato, un escluso, uno lasciato in disparte, in solitudine. Per tutto questo i dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù, si fermano a distanza e solo da lontano gli parlano, gridandogli il loro dolore, la loro disperazione.

Gesù maestro!: E’ bellissima questa esclamazione dei lebbrosi, questa preghiera. Innanzi tutto chiamano il Signore per nome, come si fa con gli amici. Sembra che si conoscano da tempo, che sappiano gli uni dell’altro, che si siano già incontrati a livello del cuore. Questi lebbrosi sono già stati ammessi al banchetto dell’intimità con Gesù, alla festa di nozze della salvezza. Dopo di loro solo il cieco di Gerico (Lc 18, 38) e il ladrone sulla croce (Lc 23, 42) ripeteranno questa invocazione con la stessa familiarità, lo stesso amore: Gesù! Solo chi si riconosce malato, bisognoso, povero, malfattore, diventa prediletto di Dio. Poi lo chiamano ‘maestro’, con un termine che significa più propriamente ‘colui che sta in alto’ e che ritroviamo sulla bocca di Pietro, quando, sulla barca, fu chiamato da Gesù a seguirlo (Lc 5, 8) e lui si riconosce peccatore. E qui siamo al cuore della verità, qui è svelato il mistero della lebbra, quale malattia dell’anima: essa è il peccato, è la lontananza da Dio, la mancanza di amicizia, di comunione con Lui. Questo fa disseccare l’anima nostra e la fa morire pian piano.

Tornò indietro: Non è un semplice movimento fisico, un cambiamento di direzione e di marcia, ma piuttosto un vero e proprio rivolgimento interiore, profondo. ‘Tornare’ è il verbo della conversione, del ritorno a Dio. E’ il cambiare qualcosa in un’altra cosa (Ap 11, 6); è il tornare a casa (Lc 1, 56; 2, 43), dopo essersi allontanati, come ha fatto il figlio prodigo, perso nel peccato. Così fa questo lebbroso: cambia la sua malattia in benedizione, la sua estraneità e lontananza da Dio in amicizia, in rapporto di intimità, come tra padre e figlio. Cambia, perché si lascia cambiare da Gesù stesso, si lascia raggiungere dal suo amore.

Per ringraziarlo: Bellissimo questo verbo, in tutte le lingue, ma in modo particolare in greco, perché porta in sé il significato di eucaristia. Sì, è proprio così: il lebbroso ‘fa eucaristia’! Si siede alla mensa della misericordia, dove Gesù si è lasciato ferire e piagare ancor prima di lui; dove è diventato il maledetto, l’escluso, il buttato fuori dell’accampamento per raccogliere tutti noi nel suo cuore. Riceve il pane e il vino dell’amore gratuito, della salvezza, del perdono, della vita nuova; finalmente può entrare di nuovo nel tempio e partecipare alla liturgia, al culto. Finalmente può pregare, avvicinandosi a Dio in piena fiducia. Non ha più le vesti stracciate, ma l’abito da festa, la veste nuziale; ha i calzari ai piedi e l’anello al dito. Non deve più coprirsi la bocca, ma può ormai cantare e lodare Dio, può sorridere e parlare apertamente; può avvicinarsi a Gesù e baciarlo, come un amico fa con l’amico. La festa è piena, la gioia traboccante.

Alzati e va!: E' l’invito di Gesù, del Signore. Alzati, cioè ‘Risorgi!’. E’ la vita nuova dopo la morte, il giorno dopo la notte. Anche per Saulo, sulla via di Damasco, è risuonato questo invito, questo comando d’amore: “Risorgi!” (At 22, 10. 16) ed è nato di nuovo, dal grembo dello Spirito Santo; è tornato a vedere, ha ricominciato a mangiare, ha ricevuto il battesimo e il nome nuovo. La sua lebbra era scomparsa.

 

e) Alcune domande:

# Se in questo momento, Ges√π, passando e attraversando la mia vita, si fermasse per entrare nel mio villaggio, io sarei pronto ad accoglierlo? Sarei gioioso nel lasciarlo entrare? Lo inviterei, insisterei, come i discepoli di Emmaus?

# E com’è il mio rapporto con Lui? Riesco a chiamarlo per nome, come hanno fatto i lebbrosi, pur così a distanza, ma con tutta la forza della loro fede? Nasce mai l’invocazione del nome di Gesù dal mio cuore, dalle mie labbra?

# Ho il coraggio di mettere a nudo il mio male, il mio peccato, che è la vera malattia? Gesù invita i dieci lebbrosi ad andare dai sacerdoti, secondo la legge ebraica, ma anche per me, oggi, è importante, indispensabile compiere questo passaggio: il raccontarmi, il portare alla luce quello che mi fa male dentro e mi impedisce di essere sereno, felice, in pace. Se non è davanti al sacerdote, almeno bisogna che io mi metta davanti al Signore, faccia a faccia con Lui, senza maschere, senza nascondigli e gli dica tutta la verità di me. Solo così sarà possibile guarire veramente.

# E ora ascolto l’invito di Gesù: “Alzati e mettiti in viaggio”. Dopo questa esperienza non posso stare fermo, chiudermi nel mio mondo, nella mia tranquilla beatitudine e dimenticarmi di tutti. Devo alzarmi, uscire fuori, mettermi in cammino. Se il Signore ha beneficato me, è perché io porti il suo amore a miei fratelli. La gioia dell’incontro con Lui e della guarigione dell’anima non sarà mai vera, se non è condivisa e messa a servizio degli altri. Mi basta un attimo, per farmi venire in mente tanti amici, tante persone più o meno vicine che hanno bisogno di un po’ di gioia e di speranza. Perché, allora, non mi muovo subito?

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