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La vera storia di Napoli: ucciso bimbo malato

Ci sono le storie vere, le notizie vere. Eccone una che ha questo inevitabile titolo: Napoli, ucciso un bambino perché malato. Ve la racconto nel segno di un impegno doloroso ma sempre più necessario: nominare le cose con il loro nome proprio, dire la verità.


La vera storia di Napoli: ucciso bimbo malato

da Attualità

del 15 febbraio 2008

Ci sono vere idee come la moratoria sull'aborto, giudicata 'oscena' da un bouquet di signore tra le pi√π chic del Paese.

 

Poi ci sono le storie finte, le montature ideologiche per fare panico e bastonare le idee sconvenienti: blitz poliziesco in un ospedale di Napoli, dove la Donna è crocifissa e sottoposta a tortura per colpa del clima di intimidazione propalato da Giuliano Ferrara.

 

Seguono indignazioni collettive, manifestazioni, strepiti, interrogazioni, pensose e amareggiate riflessioni (...) di grandi medici, parlamentari, ministri della Salute, moralisti, teodem e preti in vena di scherzare.

 

Poi ci sono le storie vere, le notizie vere. Eccone una che ha questo inevitabile titolo: Napoli, ucciso un bambino perché malato. Ve la racconto nel segno di un impegno doloroso ma sempre più necessario: nominare le cose con il loro nome proprio, dire la verità.

 

La donna ha 39 anni, dice Repubblica. Suo figlio aveva 21 settimane. Aveva occhi, naso, bocca, braccia, piedi, cuore, sistema nervoso e tutto il resto. Se ne stava lì aspettando di nascere, lottando per vivere. Provava dolore o piacere, a seconda. Erano in simbiosi, sua madre e lui, ma lui non era un parassita. Era un essere umano di sesso maschile. Con un'anomalia che, secondo il maggior esperto italiano, il professor Carlo Foresta, è propria di un nato su cinquecento, e spesso non è nemmeno diagnosticata, chi ce l'ha non lo sa. Era malato, diciamo così. Aveva la sindrome di Klinefelter. Ce l'hanno a decine di migliaia in Italia. Bisogna curarsi. Ci sono seri inconvenienti, tra cui spesso, molto spesso, la sterilità. Ma per il resto uno se la cava e vive, in mezzo agli altri uomini e alle altre donne, curandosi. Io non mi impiccio delle coscienze individuali, né di quella della madre né di quella del padre (scomparso come quasi sempre accade), e nemmeno di quella dei medici.

 

Merita solidarietà e misericordia la donna che ha abortito in circostanze che hanno creato sospetto e che hanno indotto, ai sensi della legge 194, a un accertamento da parte di un ufficiale di polizia in borghese, donna.

 

Accertamento svolto in un clima da obbligo legale assolto come si doveva, secondo il procuratore di Napoli adesso ispezionato dal Csm, a quanto pare. Assolto con indelicatezza e insensibilità, secondo coloro che per tutelare la privacy della donna hanno spifferato la cosa ai giornali, i quali hanno violato quella privacy pucciandoci il biscotto in ogni possibile particolare. Allo scopo di difendere quella privacy, naturalmente.

 

Il tutto in una struttura pubblica ispezionata dalla Turco, che è il ministro della Salute il quale trova crudele curare i neonati prematuri senza l'autorizzazione dei genitori e non se ne vergogna. Tutti meritiamo misericordia. Perfino lei.

Il bambino non ha avuto misericordia. Peccato. Non ha avuto nome né vita propria. Non è nato. È stato ucciso con dei farmaci ed espulso, pare, in un bagno. Qualcuno ha deciso per lui. Era uno schiavo moderno. Quelli antichi, nella società romana dove era cresciuto un paganesimo colto, erano persone di famiglia, godevano di tutele, salvo la libertà. Lui niente. Né vita né libertà. Peccato.

 

Le femmes en colère che mi odiano dicono sui giornali che io do di 'assassina' alla donna che abortisce. Non è vero, care signore. Non vi do querela solo perché odio le querele. Io dico un'altra cosa. Siamo tutti responsabili di assassinio culturale.

 

L'omicidio perfetto che ha ucciso a Napoli un bambino rapinandolo di tutto il suo futuro, solo perché malato, è il frutto del modo in cui tutti viviamo e pensiamo la vita disumanizzandola. Come diceva il teologo Ratzinger, abbiamo «dichiarato eretici l'amore e il buonumore». Ci siamo fatti brutti, sporchi e cattivi voltando la faccia dall'altra parte una volta depenalizzato, a certe condizioni non rispettate, con una legge che non viene rispettata (la 194), l'aborto di massa.

 

Lo abbiamo scambiato con un diritto, in realtà con il simulacro ideologico di un diritto di libertà che nessuna donna e nessun uomo, se non ingannato dalla cultura del suo tempo, vorrebbe mai esercitare.

 

Alcuni lavorano per la vita da molti anni. Con quella donna avrebbero parlato per non farla sentire sola e avrebbero cercato di evitare un omicidio. Bisogna portarli in Parlamento, questi volontari. La mia lista serve a questo. E serve a inzeppare di questa gente buona e brava del nostro tempo le altre liste. Sto vincendo, e nonostante la fatica non sono mai stato così felice in vita mia.

 

 

© Copyright Il Foglio, 15 febbraio 2008

Giuliano Ferrara

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