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La necessità di un'introduzione: motivi e difficoltàda «Leggere la Bibbia, si pu...

Negli ultimi quattro secoli e mezzo, da Lutero in poi, nella Chiesa cattolica la Bibbia è stata sottratta all'uso del fedele. All'origine del sequestro moderno della Bibbia è la rivendicazione del libero esame, di una lettura cioè guidata non dalla predicazione della Chiesa, ma istruita dallo Spirito stesso di Dio...


La necessità di un’introduzione: motivi e difficoltàda «Leggere la Bibbia, si può?» seconda puntata

da Teologo Borèl

del 13 novembre 2008

(lettura e commento Ap 5,1-5)

Il libro sigillato come immagine della storia umana. Ha un disegno? e quale? Nessuno in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo; il veggente piange; ma è consolato dall’angelo: c’è uno in grado di aprire i sigilli; è l’Agnello immolato e risorto. La rivelazione di Dio in questo mondo assume la forma della incarnazione del figlio. Attraverso la sua vicenda mortale l’Agnello toglie i sigilli dal libro.

Documento della verità attestata dall’Agnello è la Bibbia. Il libro è disorientante, appare come una biblioteca piuttosto che un libro (il termine greco biblia è plurale, vuol dire libri): 73 libri, distinti in 46 dell’Antico testamento e 27 del Nuovo Testamento; la loro composizione si distende sull’arco di mille anni; le lingue usate sono due, ebraica e greca; i generi letterari sono molti, difficili anche solo da contare. La Bibbia rischia di apparire come un codice segreto e addirittura sigillato.

 

Storia del problema

 

Negli ultimi quattro secoli e mezzo, da Lutero in poi, nella Chiesa cattolica la Bibbia è stata sottratta all’uso del fedele. All’origine del sequestro moderno della Bibbia è la rivendicazione del libero esame, di una lettura cioè guidata non dalla predicazione della Chiesa, ma istruita dallo Spirito stesso di Dio. Ma già prima che intervenissero cautele e proibizioni suscitate dalla Protesta, essa era sostanzialmente inaccessibile ai più, specie nei libri dell’Antico Testamento, appartenenti a una stagione culturale troppo remota (vedi la pratica ,dell’interpretazione allegorica).

La centralità della Bibbia nella tradizione protestante ha due sviluppi diversi, per molti aspetti divergenti, anche se entrambi procedono dal principio del libero esame:

a) La lettura devota del testo, nel quale è cercata edificazione per la fede e per la speranza; due sentimenti religiosi dominanti, il pentimento e la fiducia. La massima espressione di questa linea sarà il pietismo, movimento di grande intensità e ricchezza, che incoraggia però un’interpretazione dubbia del cristianesimo: religione dell’anima e del libro, senza occhi per la vita “esteriore”.

b) La lettura “critica”: per opporsi alla dottrina romana si cerca la veritas ebraica o il vero pensiero di Paolo. In seconda battuta la lettura critica assume la piega della ricerca storico letteraria; la filologia e la storia sostituiscono la pietà.

Tra fine Settecento e metà del Novecento la polemica tra cattolici e protestanti trova riscontro nella diversa posizione nei confronti dell’approccio storico critico; gli studiosi cattolici si vedono negata la possibilità di prendere parte alla ricerca storico critica sulla Bibbia dai molti divieti della Pontificia Commissione Biblica

 

(excursus).

Gli studiosi protestanti sono stati protagonisti privilegiati della ricerca filologica sulla Bibbia nella lunga stagione tra fine Ottocento e metà del Novecento. Il ricorso ai nuovi metodi autorizzò dubbi radicali a proposito del testo biblico e della sua attendibilità storiografica. I dubbi propiziarono la dispersione delle tesi; soprattutto, la distanza tra esegesi scientifica e lettura ecclesiastica e liturgica della Bibbia. In reazione al radicalismo della critica torna più vivace la lettura devota e polemica, spesso con una tinta fondamentalista.

Il Concilio propiziò la rimozione del blocco della PCB; in particolare mediante il decreto su La verità storica dei vangeli (21 aprile 1964) liberalizzò il ricorso ai metodi propri della cosiddetta storia delle forme. Nei tempi più recenti, la ricerca cattolica entra in pieno nel campo degli studi biblici; il suo contributo è ormai equivalente a quello protestante. Anche nella Chiesa cattolica si approfondisce tuttavia la distanza tra lettura devota e lettura storico critica.

Rimane inoltre consistente la difficoltà proposta dal carattere scandaloso di molte pagine, troppo distanti dalla nostra sensibilità; specie quelle che paiono un’apologia della violenza: Samuele disse a Saul: «Il Signore ha inviato me per consacrarti re sopra Israele suo popolo. Ora ascolta la voce del Signore. Così dice il Signore degli eserciti: Ho considerato ciò che ha fatto A`malek a Israele, ciò che gli ha fatto per via, quando usciva dall’Egitto. Và dunque e colpisci A`malek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini». (1 Sam 15, 1-3)

Nel frattempo si diffonde il desiderio di una lettura personale della Bibbia; davvero un desiderio? o piuttosto la percezione di una necessità? Per andar oltre alla comprensione catechistica infantile del cristianesimo occorre essere in grado di leggere la Bibbia e servirsene nella vita. La raccomandazione di un accostamento personale è fatta con insistenza dalla predicazione ecclesiastica corrente.

Alla realizzazione di tale lettura sembrano per altro opporsi difficoltà insuperabili. Come realizzare l’introduzione indispensabile? Come evitare che l’uso personale della Bibbia alimenti una religione proiettiva e sostanzialmente arbitraria? Su questo tema appunto riflettono i vescovi di tutto il mondo nel Sinodo che si tiene nelle settimane di ottobre.

 

Il Sinodo

 

Dalla relazione del Card. Marc Ouellet:

La Costituzione dogmatica Dei Verbum ha segnato una vera svolta nel modo di affrontare la Rivelazione divina.

Invece di privilegiare come in precedenza la dimensione noetica delle verità da credere, i Padri conciliari hanno messo l’accento sulla dimensione dinamica e dialogale [3] della Rivelazione come autocomunicazione personale di Dio. Hanno così gettato le basi di un incontro e di un dialogo più vivo tra Dio che chiama e il suo popolo che risponde.

Ma non si tratta soltanto di “accenti”; la svolta teologica è profonda, a stento se ne misura il prezzo: si passa da una concezione “dottrinalistica” di rivelazione a una concezione che le riconosce la qualità di evento. La Bibbia è “parola di Dio” non nel senso verbale del temine, ma nel senso di testimonianza del verbum, della Parola fatta carne; lo stesso Ouellet ha distinto la Parola dal libro.

 

Questa svolta è stata ampiamente accolta come un fatto decisivo da teologi, esegeti e pastori. Tuttavia, è stato in gran parte riconosciuto che la Costituzi Dei Verbum non è stata sufficientemente recepita e che la svolta che ha inaugurato non ha dato ancora i frutti sperati e attesi nella vita e nella missione della Chiesa. Pur tenendo conto dei progressi fatti, occorre interrogarsi sul perché il modello della comunicazione personale non è penetrato maggiormente nella coscienza della Chiesa, nella sua preghiera, nelle sue pratiche pastorali nonché nei metodi teologici ed esegetici.

Due osservazioni: (a) Se la Dei Verbum non è stata sufficientemente recepita e la svolta non ha dato ancora i frutti sperati dipende non da difetto di fedeltà pratica dei pastori al Concilio, ma dal fatto che le indicazioni non erano ancora chiare. (b) Se il «modello della comunicazione personale» non è «penetrato maggiormente nella coscienza della Chiesa …» è perché esso non è affatto chiaro. Può essere chiarito solo mediante la lettura effettiva della Bibbia, in primis dei vangeli. Gesù stesso portò alla luce la verità della Legge e dei Profeti dialogando con i discepoli; non insegnò un metodo, ma mediante il riferimento alla propria vicenda aprì i loro occhi alle Scritture. Non il modello dialogale apre la verità delle Scritture, ma il dialogo effettivo

con il Signore Ges√π.

Il Sinodo deve proporre soluzioni concrete per colmare le lacune e porre rimedio all’ignoranza delle Scritture, che si aggiunge alle difficoltà attuali dell’evangelizzazione.

Tali soluzioni esigono: (a) che sia chiarito il tratto della Scrittura quale testimonianza della fede apostolica, mediante la quale il vangelo di Ges√π giunge a noi. (b) che siano precisati i rapporti tra lettura credente della Bibbia e lettura scientifica.

Nel documento base del Sinodo si dice delle difficoltà del cristiano nella lettura del Bibbia: Bisogna tenere conto del fatto che troppi fedeli esitano ad aprire la Bibbia per varie ragioni, specialmente per la sensazione che sia un Libro troppo difficile da comprendere. […]

In tanti cristiani il desiderio intenso di ascoltare la Parola di Dio si realizza in un’esperienza più emotiva che convinta, a causa della scarsa conoscenza della dottrina.

Più che di convinzione, la lettura emotiva manca di pertinenza obiettiva. Accade della Bibbia quel che accade della fede: oggi essa non ha la forma del consenso a una dottrina, a una morale, o a un rituale assegnato, ma quella dell’invenzione che utilizza il patrimonio proposto da una tradizione religiosa. L’uso fantasioso della religione trova appunto nell’uso del testo biblico un’espressione privilegiata. Il documento bade del Sinodo intende la lettura proiettiva come il riflesso della distanza tra verità della fede ed esperienza del lettore: Questa frattura tra verità di fede ed esperienza di vita si avverte soprattutto nell’incontro liturgico con la Parola di Dio.

La distanza non riguarda solo la liturgia, ma anche la lettura personale al di fuori del contesto liturgico. Il difetto di competenza non nasce dalla scarsa conoscenza della verità di fede, ma del libro.

 

Le conoscenze tecniche che mancano

 

Per essere di essere meno vaghi, le conoscenze del libro necessarie si riferiscono a diversi aspetti; li riassumiamo sotto tre titoli.

a) Le conoscenze relative al genere letterario dei singoli libri e dei diversi testi all’interno del singolo libro.

Quale poi sia il senso letterale di uno scritto, spesso non è così ovvio nelle parole degli antichi Orientali com'è per esempio negli scrittori dei nostri tempi. Ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età.

Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. Quali esse siano, l'esegeta non lo può stabilire a priori, ma solo dietro un'accurata ricognizione delle antiche letterature d'Oriente. (Pio XII, Divino

affilante Spiritu, 1943)

b) Le conoscenze relative alla cultura sottesa ai testi, molto remota dalla nostra, specie nel caso dei libri dell’Antico Testamento. La difficoltà maggiori che propone la lettura dei testi biblici sono quelle legate appunto alla distanza culturale, o di mentalità, di forma mentis.

c) Le conoscenze relative alla storia, che fa da sfondo ai singoli testi; esse offrirebbero un criterio indispensabile per la lettura; ma sono possibili? Le critiche più radicali ai testi vengono dall’idea che essi siano frutto della elaborazione leggendarie o mitiche prodotte a partire da uno sfondo che ci sfugge. Ma davvero ci sfugge del tutto?

 

don Giuseppe Angelini

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