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La moratoria sull'aborto

È da salutare con favore la riproposizione della difesa della vita nascente. Ma, perché essa abbia successo, sono necessari e urgenti un forte supporto etico e un cambiamento culturale.


La moratoria sull'aborto

da Quaderni Cannibali

del 18 febbraio 2008

 Fin dal Codice di Ippocrate, nell’aborto era avvertito un male etico. Il cristianesimo, pur con qualche incertezza in merito al momento preciso dell’animazione, ha ratificato la condanna delle pratiche abortive fino a colpirle con la scomunica. Nella percezione del profilo sociale della sessualità, veniva inserito anche quello dell’aborto, che perciò gli ordinamenti giuridici, compreso il Codice Rocco, penalizzavano.

La privatizzazione della sessualità e un sempre più forte accento dei diritti della donna, fino allo slogan femminista l’utero è mio e ne faccio quel che voglio, a cominciare dagli anni 30-50 hanno portato alla graduale depenalizzazione e legittimazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, come d’ora in poi sarà denominato l’aborto. La sua diffusione nel mondo ha raggiunto cifre impressionanti.

 

 

Il Movimento per la vita e la 194

 

Lo stimolo alla nascita del movimento che oggi viene denominato Movimento per la vita, risale al 1975 dall’esplosione della campagna per la legalizzazione dell’aborto e dal processo clamoroso intentato contro una clinica fiorentina gestita dal Partito radicale, dove si effettuavano aborti su donne provenienti da ogni parte d’Italia. Nell’opinione pubblica l’idea radicale che l’interruzione volontaria della gravidanza fosse l’unica via percorribile per aiutare le donne in difficoltà, perché alle prese con gravidanze difficili o indesiderate, trovava vasti consensi.

I Centri di aiuto alla vita, espressioni del Movimento per la vita, laici e interconfessionali al contrario sostenevano la tesi che le difficoltà non si superano sopprimendo la vita ma superandole insieme. Idea e prassi che hanno trovato rapida affermazione e consistenti sviluppi: mediamente 2.000 bambini, grazie all’articolata e appassionata azione di questi Centri, sono stati sottratti ogni anno all’aborto.

Va poi ricordata la grande manifestazione del 15 gennaio 1976, svoltasi a Firenze, sul tema se vuoi la pace difendi la vita con la raccolta di firme per impedire l’approvazione della legge abortista e a scongiurare i referendum intentati dai radicali, fin dal 1975, contro il Codice Rocco. Nel 1977, avendo il Senato bocciato una prima proposta di legge, il Movimento sottopone alla firma una iniziativa popolare di legge per l’accoglienza della vita nascente e la tutela sociale della maternità, che, pur essendo sostenuta da un milione e duecentomila firme, non viene presa in considerazione dal parlamento che, in sua vece, il 22/5/78 approva la 194 la quale, allo scopo di porre fine all’aborto clandestino e aiutare le donne in difficoltà, legalizza entro i 90 giorni l’aborto che tuttavia viene escluso come mezzo idoneo al controllo delle nascite (art. 1).

Anche dopo l’entrata in vigore della legge, il Movimento non desiste dalla sua azione e si impegna nello studio della sua incostituzionalità, ravvisata in essa da molti giudici italiani. A fronte del silenzio della Corte Costituzionale, nei primi mesi del 1980 da parte abortista viene indetto un referendum per rendere ancora più permissiva la 140, per cui, dopo molte incertezze e tergiversazioni, allo scadere del tempo utile, il Movimento si vede costretto a chiedere anch’esso un referendum per cancellare o rendere, almeno in parte, più restrittiva la legge. A onta delle molte firme raccolte (2 milioni e 300 mila), l’esito della consultazione (17 maggio 1981) conferma la 194.

L’attività del Movimento, tuttavia, non subisce soste ma si intensifica mentre cresce e si dilata nel paese la sua costruttiva presenza.[1]

 

 

Valutazione della moratoria

 

Incoraggiato dall’esito favorevole riscontrato per la moratoria sulla pena di morte, approvata dall’Onu, il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, sgomentato di fronte alle drammatiche cifre degli aborti nel mondo e anche nella nostra Italia, soprattutto per quanto concerne le donne immigrate, che si dibattono nelle distrette dell’indigenza e della solitudine, senza impegnarsi in discussioni etico-teologiche, lavora instancabilmente per proporre analoga moratoria in tema di aborto coinvolgendo in essa quanti non vogliono sentirsi corresponsabili di questa strage o genocidio di innocenti.

L’eco dell’Evangelium vitae si è riverberata ben oltre i confini del mondo cattolico e la riconosciamo nelle prese di posizione in favore della vita, espresse da Norberto Bobbio, Antonio Baldassare, ex presidente della Corte Costituzionale, da Oriana Fallaci, nella famosa Lettera a un bambino mai nato, e da altri laici di chiara fama.[2]

In attesa che la proposta prenda corpo e pi√π chiara fisionomia, ci pare che essa possa essere articolata sul piano politico internazionale, legislativo e su quello culturale.

Al primo livello, assume consistenza la proposta di inserire il riconoscimento dei diritti del concepito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Mentre, infatti, nella cultura abortista sono fortemente rimarcati i diritti della donna, compreso quello che erroneamente viene conclamato diritto all’aborto, passano sotto silenzio il diritto alla vita di ogni concepito, senza discriminazioni arbitrarie, e il diritto della donna alla libera scelta di non abortire. In secondo luogo, la moratoria investe quegli stati che nei loro ordinamenti giuridici non mettono freno all’aborto, ma lo concepiscono come metodo per la limitazione delle nascite.

Per quanto concerne la situazione italiana, la moratoria vuol significare che ci siano sempre meno aborti o che non ce ne siano più. In merito alla 194, preso atto dell’esigenza di non penalizzare le donne, già emotivamente provate e di inserirle nella relazionalità con il maschio che sta dietro la decisione abortista, considerata l’attuale non praticabilità politica di una sua sospensione, vanno prese in considerazione attenta quelle parti della legge che intendono proteggere la maternità e dissuadere l’aborto. Appaiono quindi molto valide le proposte del Movimento per la vita.

L’art. 1 («Lo stato riconosce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio») va modificato così: «Lo stato... tutela il diritto alla vita fin dal suo concepimento», al fine di bloccare in partenza le lunghe diatribe in merito all’inizio della vita.

Tra le cause descritte nell’art. 4 come “circostanze” che potrebbero portare una donna all’aborto, vanno escluse quelle “economiche e sociali”, oggi non più così rilevanti, o superabili attraverso gli aiuti di associazioni pronte a intervenire.

L’art. 5, che riguarda la prevenzione dell’aborto, richiede un ampliamento: le cause dell’aborto vanno verbalizzate, come anche le soluzioni proposte alla donna come alternativa all’aborto e le conseguenti risposte ottenute. Il compito dei consultori, infatti, non dev’essere quello di autorizzare l’aborto, ma di lavorare in funzione dell’aiuto alla nascita.

Si richiede poi che l’aborto terapeutico per anomalia del nascituro (previsto dall’art. 7) sia sempre seguito da un riscontro diagnostico che verifichi l’effettiva esistenza della patologia. Nuove acquisizioni scientifiche e dati di esperienza dimostrano, inoltre, l’esigenza di diminuire il numero delle settimane entro le quali la legge prevede la liceità dell’aborto, poiché la possibilità di vita autonoma del feto, di cui parla lo stesso articolo 7, appaiono abbastanza consistenti oltre le 22 settimane. Si propone, infine, che l’obiezione di coscienza sancita dall’art. 9 abbia effetto immediato e riguardi anche gli addetti alle farmacie.

La 194 non è quindi un assoluto intoccabile, ma può e deve essere modificata: la sua applicazione tanto deficitaria, mentre non ha eliminato l’aborto clandestino, non ha impedito la morte dal 1978 ad oggi, in trent’anni dalla sua promulgazione, di ben 4,8 milioni di bambini non nati, e quindi rappresenta una sconfitta per le donne e per l’intera società italiana,[3] anziché una conquista da enfatizzare.

Una moratoria urgente riguarda la Ru486 che privatizza ulteriormente l’aborto, svuota la portata della 194 e consente, con tutti i rischi denunciati, ma disattesi per interessi di profitto, l’aborto fai da te anche alle minorenni, dietro ricette rilasciate da medici compiacenti.[4]

Su tale moratoria legislativa, i vescovi italiani – come ha dichiarato mons. Betori –rivelano un aperto consenso, ma insistono soprattutto sulla necessità di un profondo mutamento culturale, al quale le ripetute insistenze magisteriali hanno avviato le coscienze dei credenti e anche dei laici.[5]

 

 

Notazioni critiche

 

Dopo lunghi silenzi ed eclissi, assistiamo a una riemergenza di consapevolezza sull’intollerabilità dell’aborto. I rilievi e le avances sia all’Onu che sul piano legislativo esigono tempi lunghi e non permettono eccessive speranze. Sarebbe, tuttavia, irresponsabile abbandonarsi a una rassegnata impotenza. Molto è possibile fare in ordine a una cambiamento culturale, a una metanoia sul piano dell’educazione delle coscienze, nella formazione dei giovani alla vita e all’amore, per la promozione di politiche familiari idonee a rimuovere gli ostacoli che si frappongono all’accoglienza della vita. Giustamente osserva G. Campanini: «Una cosa, soprattutto, appare necessaria (e forse è questa la più autentica moratoria, attuabile in tempi brevi): e cioè contrastare la sistematica – sia essa scoperta o strisciante – delegittimazione televisiva, giornalistica, legislativa della famiglia fondata sul matrimonio, vero luogo privilegiato dell’accoglienza amorosa e fiduciosa dell’altro, quale che sia il suo volto, atteso o non atteso» (cf. Famiglia cristiana 3/2/08, p. 3).

Infine, qualcuno ha rilevato un’ambiguità nel termine moratoria. Anziché un chiaro pronunciamento in termini di sì o di no, si preferisce una sorta di posizione agnostica per trovare più facile accoglienza negli ambienti allergici a tesi troppo marcatamente precise.

Ritengo che un tale agnosticismo sia superabile quando la moratoria trovi un forte supporto etico e, anziché essere limitata al solo aborto, sia estesa a tutti i settori ove la vita oggi incontra difficoltà ad essere tutelata: guerra, terrorismo, fame, pena di morte, vita nel suo concepimento (tutela dei feti prematuri) e nella sua conclusione (rifiuto dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico).

                                             

 

 

[1] Cf. “Movimento per la vita” in Dizionario di bioetica, EDB e ISB, 1994 e Enciclopedia di bioetica e sessuologia, LDC, Leumann (TO) 2004, a firma di C. Casini.

[2] Cf. P. Viana, “Se la tutela della vita diventa una questione di laicità”, in Avvenire 3/2/08, p. 7.

[3] Cf. “Noi. Genitori e figli”, Supplemento ad Avvenire del 27/1/08.

[4] Cf. E. Roccella, “La pillola abortiva non ha titoli per l’autorizzazione”, in Avvenire del 3/2/08, editoriale, e A. Morresi, “Pillola Ru486 nessun automatismo”, ivi p. 4.

[5] Cf. “Aborto sconfitta per l’intera società”, in Avvenire 30/1/08, p. 8.

Giuseppe Mattai

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