«La gioventù di oggi è corrotta nell'anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura». Chi scrive così, non è un educatore di oggi, ma di tremila anni fa.
del 05 gennaio 2008
«La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura». Chi scrive così, non è un educatore di oggi, ma di tremila anni fa.
Con un po’ di pazienza, potremmo ritrovare in ogni epoca affermazioni simili a questa contenuta in una tavoletta babilonese, risalente mille anni prima di Cristo. Viene il dubbio che sia un fatto fisiologico, impossibile da cambiare: da una parte l’adulto, con le sue esperienze d’un tempo, che giudica inesperti e immaturi i giovani; dall’altra, il giovane che vuole, sogna «novità», contrapponendosi all’adulto, alle sue memorie, per costruire il proprio futuro.
È una distanza generazionale, che va accettata, non annullata: «Se venisse meno la distanza generazionale, le varie culture vivrebbero una stagnazione di tipo conservatorio che, oltre a impedire l’evoluzione, ne provocherebbe l’involuzione e quindi la degenerazione progressiva». È bello vivere questo fenomeno nella quotidianità: i giovani continuamente provocano, stimolano le energie dell’adulto, obbligandolo a ricercare motivazioni e testimonianze, senza cancellare la distanza generazionale, naturalmente.
 L’adulto che si fa giovane, viene spesso compatito, si espone a figure ridicole agli occhi dei giovani stessi. Si deve operare invece nella direzione di una comunicazione di dialogo, che renda prossima la distanza generazionale. Adulti e giovani, diversi e simili allo stesso tempo, sono nelle condizioni migliori per comunicare.
È una comunicazione non sempre facile, faticosa da gestire, scomoda, disperante. L’adulto si sente investito di responsabilità educativa, è il custode della tradizione e della memoria storica, che vuole comunicare al figlio, all’allievo, al gruppo dei giovani, che avvicina come genitore, educatore o insegnante.
I giovani, che vivono il presente, temono invece di mummificare la loro vita, accettando la cultura coi padri, chiunque essi siano: famiglia, scuola, Stato, Chiesa. È importante quindi trovare un punto d’incontro, costruire spazi di dialogo, esperienze comuni, all’interno delle quali confrontarsi, tessere relazioni, superando pregiudizi e paure, non sempre giustificate.
Ciò richiede, sia da parte degli adulti che dei giovani, tempo, umiltà, capacità di ascolto, coerenza, conoscenza reciproca dei mondi in cui essi abitano: l’adulto, di quello giovanile, così affascinante, così ardente e fragile; il giovane, di quello dell’adulto, con i suoi valori e le sue esperienze di umanità, di amore.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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