Non c'è alcuno spazio, neanche 'zone grigie', per l'eutanasia, come ha detto esplicitamente il Papa riprendendo il magistero e - soprattutto - la testimonianza di Giovanni Paolo II: 'Mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia'.
del 23 novembre 2007
'Ha ancora senso l’esistenza di un essere umano che versa in condizioni assai precarie, perché anziano e malato? Perché, quando la sfida della malattia si fa drammatica, continuare a difendere la vita, non accettando piuttosto l’eutanasia come una liberazione? E’ possibile vivere la malattia come un’esperienza umana da assumere con pazienza e coraggio?'. Domande pesanti quelle che ha posto sabato 17 novembre il Papa ai partecipanti alla 22ma conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari sul tema 'La pastorale nella cura dei malati anziani'.
 
Domande pesanti e ineludibili, in un momento in cui anche in settori del mondo cattolico si affacciano posizioni possibiliste sulla questione dell'eutanasia, magari appellandosi a ipotetiche 'zone grigie'. Come sempre Benedetto XVI è stato chiarissimo nel denunciare 'l’odierna mentalità efficientista' che 'tende spesso ad emarginare questi nostri fratelli e sorelle sofferenti, quasi fossero soltanto un 'peso' ed 'un problema' per la società'. 'Chi ha il senso della dignità umana - ha proseguito - sa che essi vanno, invece, rispettati e sostenuti mentre affrontano serie difficoltà legate al loro stato'.
 
Ed ecco la strada indicata dal Papa: 'E' giusto che si ricorra pure, quando è necessario, all'utilizzo di cure palliative, le quali, anche se non possono guarire, sono in grado però di lenire le pene che derivano dalla malattia. Sempre, tuttavia, accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre mostrare una concreta capacità di amare, perché i malati hanno bisogno di comprensione, di conforto e di costante incoraggiamento e accompagnamento. Gli anziani, in particolare, devono essere aiutati a percorrere in modo consapevole ed umano l'ultimo tratto dell'esistenza terrena, per prepararsi serenamente alla morte, che - noi cristiani lo sappiamo - è transito verso l'abbraccio del Padre celeste, pieno di tenerezza e misericordia'.
 
In tutto questo non c'è alcuno spazio, neanche 'zone grigie', per l'eutanasia, come ha detto esplicitamente il Papa riprendendo il magistero e - soprattutto - la testimonianza di Giovanni Paolo II: 'Mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia'.
 
 
Discorso integrale di Benedetto XVI
 
 
Sabato, 17 novembre 2007
 
Signori Cardinali,venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,illustri Signori e Signore,cari fratelli e sorelle!
 
 
Sono lieto di incontrarvi in occasione di questa Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, che, in primo luogo, va al Signor Cardinale Javier Lozano Barragán, con sentimenti di gratitudine per le gentili espressioni da lui rivoltemi a nome di tutti. Con lui saluto il Segretario e gli altri componenti del Pontificio Consiglio, le autorevoli personalità presenti e quanti hanno preso parte a quest’incontro per riflettere insieme sul tema della cura pastorale dei malati anziani. Si tratta di un aspetto oggi centrale della pastorale della salute che, grazie all’aumento dell’età media, interessa una popolazione sempre più numerosa, portatrice di molteplici bisogni, ma al tempo stesso di indubbie risorse umane e spirituali.
 
Se è vero che la vita umana in ogni sua fase è degna del massimo rispetto, per alcuni versi lo è ancor di più quando è segnata dall’anzianità e dalla malattia. L’anzianità costituisce l’ultima tappa del nostro pellegrinaggio terreno, che ha fasi distinte, ognuna con proprie luci e proprie ombre. Ci si chiede: ha ancora senso l’esistenza di un essere umano che versa in condizioni assai precarie, perché anziano e malato? Perché, quando la sfida della malattia si fa drammatica, continuare a difendere la vita, non accettando piuttosto l’eutanasia come una liberazione? E’ possibile vivere la malattia come un’esperienza umana da assumere con pazienza e coraggio?
 
Con queste domande deve misurarsi chi è chiamato ad accompagnare gli anziani ammalati, specialmente quando sembrano non avere più possibilità di guarigione. L’odierna mentalità efficientista tende spesso ad emarginare questi nostri fratelli e sorelle sofferenti, quasi fossero soltanto un 'peso' ed 'un problema' per la società. Chi ha il senso della dignità umana sa che essi vanno, invece, rispettati e sostenuti mentre affrontano serie difficoltà legate al loro stato. E’ anzi giusto che si ricorra pure, quando è necessario, all’utilizzo di cure palliative, le quali, anche se non possono guarire, sono in grado però di lenire le pene che derivano dalla malattia. Sempre, tuttavia, accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre mostrare una concreta capacità di amare, perché i malati hanno bisogno di comprensione, di conforto e di costante incoraggiamento e accompagnamento. Gli anziani, in particolare, devono essere aiutati a percorrere in modo consapevole ed umano l’ultimo tratto dell’esistenza terrena, per prepararsi serenamente alla morte, che - noi cristiani lo sappiamo - è transito verso l’abbraccio del Padre celeste, pieno di tenerezza e di misericordia.
 
Vorrei aggiungere che questa necessaria sollecitudine pastorale verso gli anziani malati non può non coinvolgere le famiglie. E’ in genere opportuno fare quanto è possibile perché siano le famiglie stesse ad accoglierli e a farsene carico con affetto riconoscente, così che gli anziani ammalati possano trascorrere l’ultimo periodo della vita nella loro casa e prepararsi alla morte in un clima di calore familiare. Anche quando si rendesse necessario il ricovero in strutture sanitarie, è importante che non venga meno il legame del paziente con i suoi cari e con il proprio ambiente. Nei momenti più difficili il malato, sorretto dalla cura pastorale, sia incoraggiato a trovare la forza per affrontare la sua dura prova nella preghiera e col conforto dei Sacramenti. Sia circondato da fratelli nella fede, disposti ad ascoltarlo e a condividerne i sentimenti. E’ questo, in verità, il vero obiettivo della cura 'pastorale' delle persone anziane, specialmente quando sono malate, e ancor più se gravemente malate.
 
In più occasioni, il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II, che specialmente durante la malattia ha offerto un’esemplare testimonianza di fede e di coraggio, ha esortato gli scienziati e i medici ad impegnarsi nella ricerca per prevenire e curare le malattie legate all’invecchiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia. Non dimentichino gli scienziati, i ricercatori, i medici, gli infermieri, così come i politici, gli amministratori e gli operatori pastorali che 'la tentazione dell’eutanasia appare come uno dei sintomi più allarmanti della cultura della morte che avanza soprattutto nella società del benessere' (Evangelium vitae, 64). La vita dell’uomo è dono di Dio, che tutti siamo chiamati a custodire sempre. Tale dovere tocca anche agli operatori sanitari, la cui specifica missione è di farsi 'ministri della vita' in tutte le sue fasi, particolarmente in quelle segnate dalla fragilità connessa con l’infermità. Occorre un generale impegno perché la vita umana sia rispettata non solo negli ospedali cattolici, ma in ogni luogo di cura.
 
Per i cristiani è la fede in Cristo ad illuminare la malattia e la condizione della persona anziana, come ogni altro evento e fase dell’esistenza. Gesù, morendo sulla croce, ha dato alla sofferenza umana un valore e un significato trascendenti. Dinanzi alla sofferenza e alla malattia i credenti sono invitati a non perdere la serenità, perché nulla, nemmeno la morte, può separarci dall’amore di Cristo. In Lui e con Lui è possibile affrontare e superare ogni prova fisica e spirituale e, proprio nel momento di maggiore debolezza, sperimentare i frutti della Redenzione. Il Signore risorto si manifesta, in quanti credono in Lui, come il vivente che trasforma l’esistenza dando senso salvifico anche alla malattia ed alla morte.
 
Cari fratelli e sorelle, mentre invoco su ciascuno di voi e sul vostro quotidiano lavoro la materna protezione di Maria, Salus infirmorum, e dei Santi che hanno speso la loro esistenza al servizio dei malati, vi esorto ad operare sempre per diffondere il 'vangelo della vita'. Con tali sentimenti, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, estendendola volentieri ai vostri cari, ai vostri collaboratori e particolarmente alle persone anziane malate.
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