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Intervista doppia: Pierluigi Grison & Matteo Destro da Giovani per i Giovani

Durante la Festa dei Giovani abbiamo realizzato una INTERVISTA DOPPIA con due artisti dei Workshop: Pierluigi Grison di Danza Teatrale e Matteo Destro di 'Il prorio Clown'.


Intervista doppia: Pierluigi Grison & Matteo Destro da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 01 gennaio 2002

 

 

 

 

Pierluigi Grison

Matteo Destro

1) C’è una persona-modello nella tua esperienza artistica, qualcuno che ti ha aiutato in qualche modo a capire che avresti voluto fare esattamente ciò che stai facendo ora?

 

Più che uno sono stati diversi i modelli. Uno non mi bastava, sarebbe stato “sottilizzare” troppo un percorso e renderlo univoco. Ho avuto diversi personaggi che hanno fatto un po’ da maestri e da ciascuno ho preso quello che si confaceva  più a quello che io volevo essere.  

Il mio rapporto con i maestri è che io prendevo quello che sentivo che corrispondeva al progetto mio personale anche nei confronti della danza e della mia professione. Erano persone che io ho conosciuto… Professionisti nella loro epoca e nel loro tempo, alcuni viventi ancora.

 

Penso che ci siano state più persone, alcune più significative di altre: è stato tutto un cammino, ogni incontro ha aperto strade nuove, e adesso ricordo magari l’ultimo che mi ha portato in questa strada, ma quell’ultimo è esistito perché ci sono stati tutti gli altri prima. Per me sono sempre degli angeli, degli angeli Gabriele che mi dicono “C’hai  la vita dentro!”. A volte li riconosco, a volte no...

Uno dei più importanti mi ha parlato attraverso un lavoro sul Clown, che mi ha guidato a capire che mi piaceva quest’attività, la quale suscitava in me qualcosa. Mi ha stimolato e mi ha aperto la sensibilità. Più che le persone però mi hanno parlato molto le esperienze che ho fatto, alcuni spettacoli che ho visto…

2) Festa dei Giovani: chi ti ha incastrato?

 

Ho ricevuto la telefonata da don Igino, ma credo che chi ha soffiato il mio nome sia stato Sandro Crippa, mi pare… Non sono sicuro, prova a chiederlo a lui!

Io a mia volta ho invitato Sara Berardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Io non conoscevo molto il mondo salesiano prima, però ho degli amici che frequentano questi ambienti. Sapevo un po’ chi è don Bosco, so storicamente chi era. So chi è perché è anche il santo protettore dei clown. Una ragazza che frequentava i salesiani e conosceva il mio lavoro si era accorta che quello che facevo, anche se non aveva l’etichetta salesiana, di don Bosco, della Chiesa, era qualcosa che qui poteva interessare. Dunque mi ha segnalato ai responsabili che, forse anche perché credevano che sapessi far girare le tre palline in aria o le clavette, non lo so, forse con questa idea del clown, mi hanno invitato. Io sono arrivato qua un po’ dubbioso: “Andiamo dai salesiani… i preti…”, e loro “Boh… un clown”. Ma poi abbiamo visto che in fondo stavamo parlando la stessa lingua… E così siamo già al terzo anno! Non è stato un incastramento… è stato un incontro!!

 

3) Conoscevi già i Salesiani prima della tua partecipazione?

 

Sì, conoscevo i salesiani perché quando ero piccolo nella mia parrocchia c’erano e avevo un gran bel ricordo di loro, del loro modo di rapportarsi con i giovani, della profondità del rapporto e della testimonianza del messaggio che portavano.

 

So che a Padova (ndr: Matteo è di Padova) hanno qualcosa, ho degli amici nell’ambiente… ma li conoscevo di più per quel famoso detto “Le tre cose che non sa neanche Dio”…una delle tre riguarda i salesiani! Conoscevo di più i francescani, perché sono stato a scuola da loro.

4) Come vivi l’esperienza della FdG? Perché lo fai? Che cosa ti rimane?

 

L’ho vissuta con un grande entusiasmo perché sono convinto che la danza deve essere riscoperta all’interno del nostro modo di esprimere la nostra fede… Danzare è un grosso richiamo all’interiorità. Quindi la trovo molto in sintonia con una festa come questa.

Mi rimangono prima di tutto i volti dei ragazzi con cui ho lavorato, la loro fatica, il loro impegno, il loro crederci in quello che hanno fatto. E poi quello che mi rimane è il fatto di vedere così tanti giovani in un giorno solo, e giovani così giovani… É quasi una ricarica per me, perché comunque l’entusiasmo e la buona volontà di un giovane è stimolante anche per noi grandi.

 

 

Adesso lo faccio perché… non ho ancora capito perché, ma da qualche parte mi provoca, ed essendo uno che vive di arte, di poesia, quando c’è qualcosa che mi provoca, vuol dire che là c’è qualcosa di vero.

Quando lavoro in queste condizioni, mi trovo nelle anti-condizioni in cui lavoro di solito: c’è poco tempo, bisogna produrre qualcosa perché lo spettacolo deve esserci e si deve toccare la bellezza… è una sfida affascinante!

 

5) Come nasce il Workshop? L’idea dell’esibizione è interamente tua o viene modellata “in corso d’opera” anche dai ragazzi che partecipano?

 

Nel caso di quest’anno dovevamo seguire un copione e nel copione la danza aveva quel posto e doveva trasmettere quei contenuti. Allora quello che io ho cercato di fare con loro è stato di non proporre io ma di guidare loro alla ricerca dell’espressività in maniera che sentissero che era farina del loro sacco, della propria mente, della propria ricerca, del proprio lavoro, dei propri sentimenti, qualcosa che nasceva dal di dentro. Io l’ho preso e l’ho pulito, in un certo senso, l’ho fatto diventare danza perché c’era qualche gesto che magari era un gesto della vita quotidiana ma non danza. Ho capito che è una pista buona quella di farli lavorare e di prendere da loro l’ispirazione per i passi, per la sequenza.  

 

 

C’è una scissione forte nel mio modo di lavorare tra il prodotto finale e il cammino da fare per arrivare a quel prodotto.. In genere io curo di più il seme, il cammino nel tempo… Qua mi si chiede il fiore! Comunque cerco di tenere la maggior parte del Workshop come ricerca personale, nel silenzio, per far emergere il clown…. Poi io propongo una canzone e loro ci mettono quello che hanno trovato. Io pulisco il tutto e li armonizzo. Tutto quello che avete visto è stato  prodotto in un’ora qua al Palazzetto. Non è pulitissimo come il balletto dei ballerini… è un’altra cosa!

 

6) Giovani: cosa pensi dei giovani d’oggi?

 

Penso che stiamo entrando secondo me in una nuova fase: fino a un po’ di anni fa si parlava di una grossa crisi nel mondo giovanile, almeno sentivo dire.

L’impressione che ho adesso è che stia come rinascendo una sensibilità per le cose profonde , per le cose vere, non che non ci fosse prima, ma se per un certo periodo è stata comunque turbata o scossa dal progresso e dal mondo tecnologico in un certo senso, adesso ci si è un po’ accostumati al mondo tecnologico e si ritorna alle esigenze dei valori profondi.

Una manifestazione come questa ne è la testimonianza perché non credo che verrebbero se non avessero una sensazione, un bisogno o delle domande per le quali trovare delle risposte. Io mi trovo bene e ho tanto da imparare qui  perché sento che c’è una genuinità, una freschezza abbastanza nuova.

 

É una domanda che segna sempre perché se uno ti chiede cosa pensi dei giovani vuol dire che… non sei più giovane! Mica me lo chiedevano quando avevo 15 anni! Comunque facciamo la premessa “mi sento giovane dentro “. E detto questo spirò (ndr: ride come un matto)!

I giovani di oggi sono i giovani di sempre, le esigenze sono sempre quelle; c’è la necessità di capire chi si era, chi si vuole diventare e il divenire. Ed è un dramma, perché ci sono due poli che mi tirano, c’è dinamica: da qualche parte mi si chiede di diventare adulto ma fino a ieri ero un bambino… Quindi cosa sono?

Questo fatto c’è sempre stato, cambiano le forme. La società di oggi ha perso il contatto con la natura, con il ritmo della natura, con il ritmo della vita… Ci sono dei ritmi costruiti, una natura costruita, tutto è artificiale… E anche le forme dei giovani sono costruite, ed è più facile per loro perdersi la dentro, più di una volta che c’era una tradizione, una natura che ti richiamava al senso della vita… Adesso è più dura!

Però prima quando è partita la canzone house tutti si sono accesi come un fiammifero.. è partito un battito comune… forse bisognerebbe ripartire da là, dal sentire comune. Comunque… FORZA GIOVANI!

7) Qual è il volto che tu cerchi?

 

Al di là di quei volti comuni che stiamo cercando che sono la non violenza, la pace, la giustizia, la verità e tutte queste cose di cui si parla anche oggi, un volto che per me è importante cercare è quello che mi porta all’unione diretta con Dio. Io ho superato i 40 anni  e ho girato tanto il mondo e ne ho viste di tutti i colori; a questo punto c’è per me una ricerca dell’essenziale di ciò che mi rimane anche dopo morto.

Mi faceva impressione oggi quell’esperienza di don Andrea, nel senso che vanno a proporre Gesù : non è tanto un’idea, ma è l’incontro con una persona. E quella persona che ha un cuore che batte è Gesù… che è in paradiso, ma ha un cuore che batte.

È quello il rapporto che cerco, il rapporto con una persona viva con cui non mi troverò a disagio nel dopo della vita.

 

Non lo so. Potrei risponderti quando lo sento… Perché questa domanda può essere che prenda il volto “di un Gesù” o “di un Signore” proposto da una religione o da una rivelazione. Io sento l’armonia, questa cosa che ci unisce. A volte faccio fatica a capire tante altre forme, più istituzionalizzate: sento che c’è la necessità di queste, perché non tutti possono arrivare attraverso un cammino artistico. Ci sono diverse sensibilità per arrivarci: in questo momento quella istituzionale, della Chiesa mi è un po’ lontana, però mi affascina tantissimo perché sento che dentro c’è chi sta facendo un cammino verso la stessa cosa mia, che non so cosa sia. Se voglio dargli un nome, comunque, salvo il nome di Gesù: quello sempre e comunque, perché è una delle poche storie che leggendola ogni volta mi stupisce.

8) Quali volti ti incuriosiscono di pi√π?

 

Sono forse due paradossi: uno è il volto delle cose più belle al mondo e quindi tutte quelle cose che hanno a che fare con tutto ciò che nel rapporto tra uomini e donne porta alla maturità e all’unità delle persone.Quindi da una parte quei volti che hanno a che fare con la grandezza e l’intelligenza umana, con la grandezza della vita di fede, con tutto ciò che è bello. In fin dei conti come danzatori siamo un po’ alla ricerca dell’estetica cioè delle cose più belle.

Però devo dire che una cosa che mi ha affascinato tanto nel mio girare sono anche quei volti che hanno bisogno di ritrovare la bellezza, e penso a certi bambini che ho conosciuto nelle favelas o certe persone anziane o tutto quel mondo di quelle persone che sono costrette a stare dentro una situazione negativa non per colpa loro ma per un disagio sociale; e anche tutte quelle persone che hanno un’aridità dentro che ha bisogno di essere nutrita che sono comunque volti che mi richiamano a essere presente a essere lì, non tanto perché ho delle risposte. L’unica risposta per tutti e per ciascuno ce l’ha Dio in tasca. Però essere presente accanto come strumento d’amore mi attira. 

 

 

É curiosa  questa domanda! Non saprei dare una tipologia, perché dietro al volto c’è una luce, e dunque poi io sento la luce e penso che sia il volto, il naso… e invece è la luce che mi guida ad essere incuriosito. Penso che il volto, i tratti vengano da molto di più, da un movimento che noi siamo. Ci sono delle persone che accettano di essere così e lo mettono a servizio: quelle persone, magicamente , hanno un volto, delle orecchie, un naso che diventano interessanti.

E la luce viene dalla ricerca interiore che ha fatto una persona.

Questo lo vedo molto di più in quelli che mi assomigliano anche fisicamente nel colore della pelle, perché, a primo impatto, gli africani, gli orientali, per me sono tutti uguali e fatico a vedere la loro luce perché c’è un fondo di pregiudizio… però a volte  mi confondo anche con i volti occidentali… da quando sono stati inventati i trucchi e i profumi, accidenti!

 

9) Credi in Dio?

 

Sì, ma non è un sì scontato. É un sì che è una questione di rapporto, e una questione che se due amici si frequentano si conoscono, se due amici non si frequentano non sono nemmeno amici.

 

Sì.

10) La vostra identità di artisti: sei intrappolato nel tuo personaggio?

 

No, perché ne devo giocare tanti, devo cambiare continuamente personaggi, anche se è vero che l’unicità della nostra persona singola poi ha anche delle preferenze di espressione. Non l’ho mai sentito come una trappola, l’ho sempre sentito come una possibilità di essere un dono per il pubblico che mi sta di fronte.

Anche quando torno a casa da uno spettacolo… piano piano ho imparato a liberarmi dalla maschera perché è vero che può essere una trappola, può essere un tranello però ho visto che piano piano se si è coerenti con ciò che si vive dentro si trova la liberta di mettere ogni cosa al suo posto

 

 

Questa è una cosa che… mi crea dinamica: ho una grande coscienza di essere quello che devo essere e una grande coscienza del sociale, di quello che gli altri si aspettano da me. Dunque gli altri hanno bisogno del pagliaccetto, e mi dicono: “Matteo, fa il pagliaccetto”. Gli altri: “Ah, tu sei il pagliaccio, facci ridere”... Sento che questo mi tocca, perché anche io ho dei limiti… Non è che bisogna solo ridere perché l’allegria è bella e la tristezza no…. Gesù ha pianto due volte, si è incazzato nel tempio, ma non c’è mai scritto che ha riso, o mi sbaglio? Ma sicuramente sì nella realtà, perché se ha pianto e si è arrabbiato, si sarà “imboressato dal ridere” chissà quante volte!

Chissà che barzellette idiote raccontava…

Anche lui lo intrappoliamo in quel “Sono Gesù, e io faccio miracoli”… E invece no… Anche io sento che qualche volta è così forte che tutti vogliono che io sia così. É troppo forte il fatto di spiegare “No, ragazzi, anche io sono…”. Così faccio il personaggio, perché sono stanco in quel momento, non ho voglia di far vedere i miei limiti, la mia umanità , che io sono anche triste, che io ho anche problemi, che io sono peloso, che io sono calvo… Però sento che più vado avanti meno ho il bisogno di farlo… Ho questa fiducia.

 

12) Qual è il tuo motto?

 

Ne ho uno che è una frase del Vangelo che mi piace tantissimo ed è: “Chi mi avrà testimoniato davanti agli uomini anch’io lo testimonierò davanti al Padre mio che è nei cieli”.

L’ho sentita per me sempre. É una cosa importante perché c’è il rischio di nascondersi davanti al mondo, io ho sentito che se io avrò questo coraggio Gesù avrà coraggio verso di me quando  lo incontrerò di persona.

 

 

C’è un motto che uso spesso che non è mio: è di Ghandi. E mi piace… Tante volte vorrei dire “quella cosa là” e scopro che l’ha già detta Ghandi! E io la uso… mica sono scemo!

É il famoso motto: “La verità vince”… sempre …abbiate fiducia nella verità! Ma così mi sembra un messaggio del Papa!

 

13) Qual è il tuo santo preferito? Cosa ti affascina di più in lui?

 

Ce ne sono due: San Pietro e San Luigi Gonzaga, a causa del mio nome.

In Pietro mi affascina questo desiderio radicale di rapporto con Dio; è lui che promette, promette, poi tradisce poi dopo però giura che gli vuole bene più di tutti gli altri. In San Luigi la chiarezza di saper sacrificare le cose più belle della vita per Dio. Ma quello che mi impressionava era che lui da ricco ha saputo sacrificare la propria ricchezza, la propria persona, il proprio corpo per amore.

 

 

Io ho grande fascino per la vita dei santi, però direi che quello che conosco di più è San Francesco e quello che mi affascina di più direi che è la sua radicalità, il suo grande amore per il Vangelo, la sua naifte, la sua ingenuità, come dicono i francesi… il suo dire: “Va ben, so limità…”. Prendo il vangelo e leggo: Mettiti i sandali e andate a due a due... E lui: “Bon, ti e ti và!”.

Lui ha sentito che c’era qualcosa di grande in quella storia che ha letto nelle prigioni di Perugia, non l’ha capita bene, penso, non ci ha fatto sopra speculazioni filosofiche o bibliche, ha detto: “C’è scritto così, facciamo così” e penso che questa ingenuità sia stupenda…Noi pensiamo sempre che i santi siano degli illuminati, invece sono persone che fanno quello che c’è scritto perché sentono che è giusto. E questo mi ha guidato molto anche nel mio lavoro.

 

14) Ti sarebbe piaciuto fare l’ingegnere? Insomma, ti piacerebbe fare un lavoro più tradizionale ma stabile, sicuro?

 

Sì, ci sono dei momenti in cui credo che sia una delle cose più difficili per una vita così, che non è mai tutte le settimane uguale e un po’ fisicamente e a volte mentalmente ci sarebbe bisogno di un po’ di stabilità, programmazione specie dopo i 40 anni. Finora non avevo nessun problema, anzi rifiutavo l’idea di un qualche cosa di sempre uguale, tutti i giorni, tutte le settimane , un orario… terribile!

Siamo spiriti liberi,  però in alcuni momenti ce ne sarebbe bisogno, perché mette ordine nella vita, bisogna trovare il giusto equilibrio.

 

 

Questa è una domanda che mi provoca molto perché ci sono dei momenti in cui mi confronto anche io col denaro, faccio un po’ i conti e dico: “Ok, per quest’anno riesco a vivere”. Ma comunque c’è sempre la precarietà, dunque la sicurezza non mi viene da ciò che costruisco fuori, ma da quello che costruisco dentro di me. E mi dico: “Più io mi sento forte più sicuramente le cose arriveranno, perché non può non essere così, perché è sempre stato così”.

Perdere tempo ad assicurare che tutte le cose fuori siano sicure non serve, per questo a volte dico dei no, perché devo tenermi il tempo per costruirmi dentro perché sicuramente ritornerà dieci volte tanto poi.

Però a volte, nel quotidiano è dura: sarebbe bello sapere che alla fine del mese guadagno quei tre-quattro milioni, o che lavorerò… ma tutto questo svanisce nel momento in cui nel lavoro sento la poesia, quando sfioro la poesia non c’è neanche il dubbio del dubbio, perché mi sento privilegiato, non per il fatto che “io sì e gli altri no”, ma perché sono riuscito ad ascoltarmi per volere questo. Prima facevo un altro lavoro, ero pedagogista, andavo a parlare con le persone, con le istituzioni ed è stato quel lavoro sul clown che feci un po’ per caso che mi ha portato qua… E da là è nata la grande sete, e non sono ancora dissetato!

Non dico che quello che faccio ora sia il mio lavoro definitivo… Prima o poi arriverà un altro angelo Gabriele che mi indicherà la strada!

15) Di che colore è il cielo?

 

Solo azzurro, perché sotto sotto nella nostra vita c’è la figura di una madre che ci tiene in braccio. 

 

 

 

Allora, dico un colore che può far stupire… nero!

Nero perché, come dicevano i primitivi  e le culture basche, il cielo è il grande buco, e giustamente, se quaggiù è pieno, il buco sarà in alto. E nel buco c’è il nero. Non sai cosa c’è, non lo vedi…

Renzo Moreale, Francesca Marcon

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