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Intervista a un clown

Conosciamo i Barabba's Clown: un' Associazione che nasce da un lavoro di ricerca teatrale incominciato nel 1979 presso il Centro Salesiano San Domenico Savio di Arese, casa di accoglienza per ragazzi e giovani in difficoltà. Attraverso la figura del clown ha condotto i giovani accolti nelle comunità del Centro a scoprire quanto di più bello abbiano in loro da donare agli altri: il sorriso.


Intervista a un clown

da Quaderni Cannibali

del 18 dicembre 2008

Non è facile intervistare un clown. Se è bravo. Se è anni che lavora. È sempre insoddisfatto di quello che fa. Vorrebbe dare di più. Per far sorridere.

Almeno il clown che pensiamo noi. Non è quello dello sghignazzo. Dell’ironia facile. Dello scherno. Il nostro Clown non vuole ferire. Colpire, sì! L’ingiustizia. La violenza. Lo fa sorridendo. A volte con un velo di mestizia. Di tristezza. Quando non riesce ad arrivare al cuore. Quando il suo sorriso non viene accolto.

Non è facile neppure intervistare un Barabba’s Clown. Alle spalle, spesso, un vissuto sofferto. Ferite che non vuol dire. Per non far piangere. Lui vuol fare sorridere per sorridere prima lui. Donare una speranza ritrovata, dissotterrata, a volte, in un deserto di sentimenti, di aridità di cuori.

Siamo riusciti a “mettere all’angolo” due di loro. Massimo e Giacomo. Uno, Giacomo, dal volto svagato, di chi vive sulle nuvole con un piede solo per terra. Non sempre quello giusto tanto è sbadato. Disordinato. Ma sulle nuvole ha trovato la poesia del sorriso e la vive da stralunato ma anche da fine osservatore del cuore umano. È il tipico “fool” che per scettro tiene tra le mani un mestolo e sul capo un colapasta.

L’altro, Massimo, è colui che ha ricevuto il testimone da Bano e da Don Vittorio, i mitici fondatori dei Barabba’s Clowns. Non si può dire che sia il Direttore. Nel Circo è colui che comanda ma non sempre ha occhio per l’Augusto. Se poi lo conosci bene non ti appare più il Direttore ma l’Augusto. Dal cuore aperto. Dallo sguardo oltre. È la balena del Giona ma anche il Clown che si fa bambino con in bambini. Per la sua semplicità nel sognare cose grandi. La solidarietà. Il Perù. La Bosnia: il Rwanda. Capriole sotto le stelle. Come il clown di Bataille.

Poeti e vagabondi. Poveri di cose. Ricchi dentro.

Li abbiamo intervistati. A fatica. A stento. A bocconi. Tra un gamberone e l’altro. Nella comunità di Massimo e Angela. Dei suoi figli Gabri, Franci e Luigi. Da 23 anni. Massimo cucina bene il pesce, dicono. Noi ne abbiamo approfittato. È vero.

 

Domanda. Come è nata la voglia di far ridere?

Risposta. Dopo alcune rappresentazioni di un testo drammatico, ricco di speranza, dove la gente si commuove al sentire storie di emarginazione. Un testo denso di emozioni, che don Luigi Melesi aveva composto: erano ragazzi che recitavano in gabbia, come titolava il dramma. I ragazzi un giorno hanno detto: “Siamo stufi di far piangere. Vogliamo far sorridere la gente”. L’incontro con Bano Ferrari, un clown professionista, che lavorava a “Espressione Giovani”, una rivista di teatro originale, eccellente tra quelle che giravano a quei tempi per l’Italia, è stato il colpo di fulmine che ha dato il via all’avventura dei clowns.

 

D. Perchè Barabba’s Clowns?

R. È stato Don Vittorio e suggerirla e ad imporla: lui era il Capo degli educatori. I ragazzi l’hanno accolta con entusiasmo perché rappresentava un messaggio di gioia che dava valore al termine “barabitt”, piccoli Barabba, con i quale erano chiamati, non sempre con simpatia, i ragazzi in difficoltà in Lombardia: “Anche nel Barabitt più barabitt c’è qualcosa di buono”, avrebbe detto Don Bosco, se li avesse conosciuti. Lui li chiamava “discoli”!

 

D. Carta di identità di un vero clown.

R. Il clown non ha volto suo! Il naso rosso, la più piccola maschera del mondo, ne rivela un altro: quello illuminato dal cuore, perché il clown è dalla parte del cuore sempre. Noi almeno la pensiamo così, sottolineando la sua umanità, la sua voglia di comunicare felicità. Vorrebbe che fosse una felicità duratura, qualcuno la pensava “eterna”, ma quella è di Dio. Comunque una conquista personale di ognuno. Se il clown non è dalla parte del cuore diventa un “guitto”, “un comico”, un istrione ma questo i bimbi lo capiscono e ne hanno paura!

 

D. Solo questo?

R. No! Qualcosa di più. Non basta far sorridere. Noi abbiamo un “per chi”: per i poveri del mondo. Abbiamo cominciato con “un sorriso per i poveri”, portato avanti dai primi clowns, per i campesinos delle Ande del Perù, gli amici di Padre Hugo dell’Operazione Mato Grosso. “Per chi” sono diventati le vittime della guerra di Bosnia. “Per chi” oggi sono i ragazzi le ragazze, le famiglie di Musha in Rwanda, che abbiano incontrato subito dopo il genocidio del 1994. Là abbiamo pure fondato i “Barabbas’ clowns” del Rwanda, aperto scuole, laboratori professionali, cooperative agricole finanziate con il microcredito… I Barabba’s lavorano sempre gratuitamente: non tengono niente per sé. Tutto per i poveri!

 

D. In che cosa consiste la vostra appartenenza al carisma salesiano di don Bosco?

R. Noi siamo con Don Bosco che faceva consistere la santità nell’allegria. Noi siamo commessi viaggiatori di sorrisi, li produciamo e li vendiamo per sostenere i poveri: in questo siamo dalla parte del cuore, missionari.

Siamo stati a lavorare tra i gitani di Spagna come nelle periferie di Milano, portando il nostro camper in luoghi dove ragazzi e giovani vivevano al margine perché considerati “guasti” dalla gente per bene.

Viviamo tra i giovani e per i giovani siamo stati, alcuni di noi, con Massimo e Giacomo in Randa, per animare l’oratorio e la scuola. Siamo di Don Bosco anche per il coraggio con il quale portiamo avanti le nostre iniziative.

 

D. Ma voi chi siete nella vita?

R. Ragazzi e giovani normali, che hanno scoperto il clown che è nascosto in ogni persona e hanno accettato di vivere da clown, con una spiritualità del dono, della pulizia morale, di un sorriso che nasce dall’essere contenti della propria storia, della propria vocazione di clown.

 

D. Le vostre attività?

R. Noi non siamo professionisti, anche se alcuni dei nostri, lasciando il Centro, dopo anni con i Barabba’s lo sono e sono davvero bravi: Sergio Procopio lavora da solo, producendo spettacoli molto apprezzati anche all’estero; Gian Luca Previato lavora in coppia con Bano Ferrari, suo maestro e fondatore dei Barabba’s; Enrico Caruso è uno dei pilastri della Fondazione Garavaglia, lavora negli ospedali, è stato in Afganistan con Patch Addams, in India, in Sri Lanka, Perù…

Le nostre attività sono spettacoli, corsi, organizzazione di rassegne, teatro nelle scuole, in collaborazione anche con l’Università Cattolica, e… il Rwanda come “per chi” facciamo tutta questa fatica.

 

D. Qualche storia di “ordinaria o straordinaria allegria”.

R. Ci è difficile fare una sintesi delle meravigliose avventure in Italia e all’estero, della gente e del pubblico che abbiamo incontrato, dello spettacolo di “Gio & Na”, rappresentato in Aula Nervi in Vaticano con il pellegrinaggio milanese a Roma, guidato dal cardinal Martini…

Tra l’altro abbiamo sperimentato che anche quando davamo spettacoli con i più poveri o con i sofferenti, anche con gli ammalati, l’allegria del clown era contagiosa. Chi soffre ha bisogno di gente allegra che regali una buona risata. Essa allunga la vita!

 

 

 

 

D. Funziona davvero la terapia del sorriso?

R. Da sola no, costruendo un rapporto personale con le persone, sì. È la terapia dell’amore che cambia. Se il sorriso nasce dalla gratuità, dall’amore, lascia certamente un segno!

 

D. Dopo tanti anni, tanti viaggi, avete ancora voglia di sorridere?

R. Spegnere il sorriso è spegnere la gioia, intristire la vita, i rapporti con la gente! Certo che abbiamo voglia di sorridere anche perché guardandoci indietro, ci siamo accorti che la nostra vita non è stata inutile!

 

D. Avete qualche barzelletta da raccontarci?

R. Il clown non racconta barzellette. Vive frammenti di vita per dare spore alla vita, sorridendo anche delle “disgrazie”. La sofferenza fa arte della vita del clown. È con la sofferenza che matura e la sofferenza è la misura del suo amore agli uomini, a Dio.

 

 

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Il grande clown, in un nostro testo, La ricreazione, creazione del mondo rivisitata dai clowns, è Gesù Cristo stesso, colui che annuncia “buone notizie”, che da povero Cristo dà valore anche al dolore e alla sofferenza, da povero Cristo ha fatto esclamare a Dario Fo: “È matto il figlio di Dio, è matto! Perché moriva per salvare gente che non lo amava”.

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