Nel mondo digitale di oggi, i giovani sono chiamati a non perdersi, ma a riscoprirsi. Tra connessioni e scelte, cresce una nuova umanità. Oggi parliamo di il corpo non è un accessorio
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Viviamo sempre più nel digitale. Comunichiamo con messaggi vocali, reagiamo con emoji, ci incontriamo in videochiamata, ci esprimiamo con immagini e contenuti filtrati. Tutto sembra accadere “da qualche parte nella rete”, dove il corpo spesso scompare.
Eppure, senza il corpo non siamo pienamente umani. Possiamo essere digitali, sì, ma non smaterializzati.
Il mondo digitale ha tanti vantaggi: accorcia le distanze, rende tutto accessibile, moltiplica le possibilità di comunicare. Ma tende a smaterializzare la nostra esperienza.
Cosa vuol dire? Che rischiamo di vivere in una realtà senza odori, suoni, contatti, sguardi reali. Dove le emozioni vengono “trasmesse” ma non “percepite”, dove il corpo è spesso ridotto a un avatar, un filtro, un’immagine da condividere.
Si perde così il senso della presenza reale, del limite, del tempo vissuto insieme, della fragilità condivisa. E soprattutto, si perde la coscienza che noi siamo corpo, non solo “abbiamo” un corpo.
Il corpo non è un oggetto da mostrare, né una macchina da potenziare. È la casa della nostra anima, il primo luogo in cui viviamo, amiamo, piangiamo, preghiamo. È nel corpo che si manifestano l’affetto, la tristezza, la gioia. È con il corpo che tocchiamo, abbracciamo, camminiamo, danziamo, celebriamo.
La Bibbia non ha dubbi: Dio ci ha creati “a sua immagine”, corpo e spirito. E nella persona di Gesù, il Verbo si è fatto carne (Gv 1,14). Non pixel. Non app. Carne.
Per questo anche oggi, nel tempo dei social e del metaverso, l’esperienza del corpo rimane fondamentale per la nostra crescita umana e spirituale.
Quando si vive troppo tempo nel digitale, il corpo ne risente:
Ma c’è di più: il digitale può modificare il nostro rapporto con il corpo, portandoci a vederlo come un oggetto da modificare (con filtri, editing, prestazioni), invece che come una realtà da accogliere, curare e abitare.
Don Bosco diceva ai suoi ragazzi di curare la salute e lo sport, di vivere con energia e allegria, perché “la santità consiste nello stare molto allegri” anche nel corpo. Oggi potremmo aggiungere: la santità passa anche per uno sguardo sano e rispettoso verso il proprio corpo.
Una delle più grandi povertà oggi è la mancanza di presenza. Siamo ovunque e in nessun luogo. Chatto con uno, rispondo a un altro, intanto guardo un video. Ma il corpo è qui. E chi è davanti a me, sente se ci sono o no.
Essere presenti davvero, con tutto il corpo e tutto il cuore, è oggi un gesto rivoluzionario. È dire: “Tu sei importante. Questo momento è vero. Io ci sono davvero”. È l’arte della prossimità.
“Il mondo digitale, se non è ben orientato, può isolare. L’incarnazione di Dio ci mostra invece una prossimità che salva”
(Papa Francesco, Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, 2022)
Per educare il corpo a stare bene anche nel tempo digitale, si possono fare alcune scelte concrete:
E poi, ogni tanto, spegnere lo schermo per tornare ad abitare il corpo: guardare le stelle, sedersi sull’erba, respirare piano, ascoltare il silenzio.
Come ricorda la Laudato Si’, siamo parte di un mondo creato, in relazione con la terra, gli animali, le stagioni, i ritmi del giorno e della notte. Il corpo ci ricorda questo legame profondo.
“Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia”
(Laudato Si’, 118)
Essere digitali non deve mai spezzare questo legame. Al contrario, il digitale dovrebbe aiutarci a prenderne più coscienza. E forse, proprio grazie alla rete, possiamo generare esperienze, messaggi e scelte che ci riportino a vivere meglio nella carne e nel creato.
In un tempo che ci vuole sempre più connessi, dobbiamo avere il coraggio di riconnetterci col nostro corpo, per riscoprirci umani, fragili, reali. Solo così possiamo essere liberi, felici e capaci di relazione.
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